
L’Essenza della Pratica Spirituale
Sri Sadhu Om
Versione PDF della traduzione Italiana di Sadhanai Saram
Introduzione
di Michael James
di Michael James
சாதனை சாரம் (Sādhanai
Sāram), ‘L’Essenza della Pratica Spirituale’, è una raccolta di alcune
centinaia di versi Tamil composti da Sri Sadhu Om sulla pratica di ātma-vicāra
(auto-investigazione) e ātma-samarpaṇa
(auto-abbandono).
சாதனை (sādhanai) è una forma
Tamil per la parola Sanscrita sādhana, che in un contesto spirituale
significa ‘pratica spirituale’ ma che più generalmente significa ‘espediente’ o
‘un mezzo per un fine’, cioè, ogni mezzo adottato per compiere un intento o
fine particolare (essendo derivata dalla radice verbale sādh, che
significa ‘andare [o dirigere] diritto a un fine’, ‘raggiungere’, ‘realizzare’,
‘effettuare’, ‘determinare’ o ‘produrre’), e சாரம் (sāram) è una parola Tamil per la parola Sanscrita sāra, che significa ‘sostanza’, ‘essenza’ o ‘nucleo
interno’, o in un contesto letterario ‘sommario’ o ‘compendio’, o ‘sostanza’, ‘punto principale’ o ‘reale significato’ di un soggetto.
Poiché le persone hanno molti fini differenti – anche in un
contesto spirituale (poiché sposano molti concetti differenti riguardo il fine
o scopo dello sforzo spirituale o religioso) – essi adottano molte pratiche o sādhana
differenti per raggiungere qualsiasi intento stiano perseguendo. Quindi nel
nome della sadhana le persone fanno differenti forme di meditazione, yōga,
preghiera, adorazione e altre azioni della mente, della parola o del corpo.
Ciascuna di queste azioni fatta nel nome della sādhana
o ‘pratica spirituale’ senza dubbio produrrà qualche risultato, ma qualsiasi
risultato possa essere, sarà il reale fine spirituale che dovremmo cercare? Qual’è effettivamente il reale fine
spirituale?
Una cosa che è comune a tutti i molti fini o risultati che
ciascuno di noi cerca di raggiungere per mezzo di tutti i vari sforzi
spirituali o terreni è che li riteniamo come un mezzo per la felicità. In
definitiva l’unico fine che tutti noi cerchiamo di raggiungere è di essere
felici, così il reale fine spirituale è la felicità – illimitata, pura ed
eterna felicità – e solo quando raggiungiamo tale felicità tutti i nostri
sforzi o sādhana saranno soddisfatti e finalmente giungeranno a una
fine.
Cos’è la reale felicità, e come possiamo raggiungerla? Come
Bhagavan Sri Ramana ci ha insegnato, l’infinita felicità è la nostra reale
natura – il nostro sé essenziale – e la nostra attuale apparente mancanza di
felicità è causata solo dalla nostra auto-ignoranza – la mancanza di chiara e
certa conoscenza riguardo chi o cosa siamo realmente. Quindi egli ci ha
insegnato che l’unico fine reale di tutti gli sforzi spirituali è solo
l’esperienza della chiara auto-conoscenza, perché solo quando conosciamo noi
stessi come siamo realmente sperimenteremo la vera felicità che tutti
cerchiamo.
Poiché l’auto-ignoranza è la massima causa di tutte le forme di infelicità, una sādhana
o ‘mezzo’ può permetterci di raggiungere pura e infinita felicità solo se è in
grado di rimuovere la nostra auto-ignoranza fondamentale. Quindi Sri Ramana ci
ha insegnato che la sola vera sādhana o ‘pratica spirituale’ è ātma-vicāra
– la pratica di auto-investigazione, auto-esame o auto-attentività.
Cioè, per distruggere la nostra auto-ignoranza dobbiamo
sperimentare noi stessi come siamo realmente, e non possiamo conoscere noi
stessi come siamo realmente senza dare attenzione a noi stessi – cioè, senza
esaminare o scrutinare accuratamente e attentamente noi stessi con vero e
divorante amore per conoscere ‘chi sono io?’. Solo quando ritiriamo la nostra
attenzione da ogni altra cosa – da tutti i pensieri, da tutti gli oggetti e da
ogni cosa diversa da ‘io’ – e la focalizziamo accuratamente ed esclusivamente
sulla nostra fondamentale auto-consapevolezza, ‘io sono’, saremo in grado di
sperimentare noi stessi senza la sovrapposizione di tutte le aggiunte che ora
confondiamo come noi stessi, come il corpo e la mente pensante.
Ora confondiamo noi stessi come questo corpo e questa mente
solo perché non abbiamo mai cercato (o non siamo mai riusciti nel nostro
sforzo) di conoscere esclusivamente il nostro sé essenziale – libero anche
dalla minima consapevolezza di qualcosa diversa da ‘io’. Questa
auto-disattenzione o abitudine a ignorare o a lasciarci sfuggire il nostro sé
essenziale è chiamata pramāda (‘disattenzione’ o ‘trascuratezza’), e il
solo mezzo o sādhana con cui possiamo vincerla è la vigilante
auto-attentività o auto-ricordo, che è la pratica di ātma-vicāra o
auto-investigazione.
Questa pratica di ātma-vicāra è anche chiamata ātma-samarpaṇa
o auto-abbandono, perché quando investighiamo e conosciamo il nostro sé
reale automaticamente abbandoneremo o ‘arrenderemo’ il nostro falso sé, che è
la nostra mente o ego, la forma spuria della consapevolezza che sperimenta se
stessa come ‘io sono questo corpo, una persona chiamata tal dei tali’.
Ogni religione ci insegna che dovremmo negare noi stessi o
arrendere noi stessi a Dio, ma come possiamo veramente arrendere o negare noi
stessi quando non conosciamo nemmeno cosa siamo realmente? Se non conosciamo
noi stessi come siamo realmente, non possiamo conoscere cos’è il ‘sé’ che dovremmo
negare o arrendere a Dio.
Non possiamo realmente negare o arrendere il nostro sé reale
– cioè ciò che siamo realmente – così il
‘sé’ che dobbiamo arrendere o cancellare può essere solo il nostro falso sé –
quello che non siamo ma che solamente sembriamo essere. Tuttavia, non possiamo
arrendere o separare noi stessi da questo falso sé, la nostra mente o ego, fino a che lo
sperimentiamo come noi stessi. Quindi possiamo arrendere il nostro falso sé
solo sperimentando noi stessi come il nostro sé reale.
Cioè, sebbene possiamo essere in grado di arrendere (non
completamente ma almeno ad un grado limitato) i desideri e gli attaccamenti del
nostro falso sé senza conoscere il nostro sé reale, non possiamo arrendere il
nostro falso sé se non sperimentiamo noi stessi come siamo realmente. Quindi il
nostro auto-abbandono o auto-rinuncia sarà completa solo quando investighiamo
‘chi sono io?’ e di conseguenza conosciamo cosa siamo realmente.
Così ātma-vicāra o auto-investigazione è il solo
mezzo o sādhana realmente efficace con cui possiamo arrendere noi stessi
a Dio, e questo è il motivo per cui Sri Ramana dice nel tredicesimo paragrafo
di Nāṉ Yār? (Chi
sono io?):
Solo essere completamente assorbiti in ātma-niṣṭhā
[auto-dimora], non dando anche il minimo
spazio al sorgere di ogni altro cintanā [pensiero] tranne ātma-cintanā
[auto-contemplazione o auto-attentività], è donare noi stessi a Dio…
La nostra mente o falso sé sorge e sostiene se stessa
pensando – cioè, dando attenzione a qualsiasi altra cosa diversa da se stessa –
così quando focalizziamo il nostro intero ‘pensiero’ o attenzione su noi stessi
(la nostra auto-consapevolezza essenziale, ‘io sono’) e quindi escludiamo tutti
gli altri pensieri, la nostra mente sprofonderà automaticamente e si dissolverà
nel nostro sé reale, ‘io sono’, che è il ‘fondo’ o consapevolezza fondamentale
di essere che sottende e supporta la sua falsa apparenza.
In altre parole, il pensiero o l’attenzione oggettiva è
l’aria che la nostra mente deve respirare costantemente per sopravvivere. Quindi,
pensando (o dando attenzione) a qualsiasi cosa diversa da noi stessi, stiamo
alimentando e nutrendo la nostra mente, mentre pensando (o dando attenzione) a
noi stessi solamente, la stiamo facendo morire di fame o la stiamo soffocando, facendola
sprofondare o arrendere alla sua realtà sottostante, la nostra originale
auto-consapevolezza non-duale, ‘io sono’.
Quindi, come Sri Ramana insegna in questo importante
passaggio di Nāṉ Yār?,
possiamo arrendere noi stessi effettivamente ed interamente solo essendo
auto-attentivi in modo vigilante e quindi escludendo non solo tutti gli altri
pensieri ma anche la nostra stessa mente pensante. Al contrario, possiamo
essere realmente auto-attentivi – cioè, fermamente stabiliti nella pratica
non-duale di ātma-vicāra o ātma-niṣṭhā
– solo nella misura in cui arrendiamo o neghiamo noi stessi astenendoci da
sorgere come questa mente pensante, che è il nostro falso sé. Quindi
auto-investigazione e auto-abbandono sono realmente un’unità inseparabile, come
due lati di un singolo foglio di carta.
La ragione per cui l’unica vera sādhana o mezzo con
cui possiamo conoscere noi stessi come siamo realmente è a volte descritta come
ātma-vicāra o auto-investigazione e a volte come ātma-samarpaṇa o
auto-abbandono è che la prima enfatizza il suo aspetto jñāna o di
‘conoscenza’ mentre il secondo enfatizza il suo aspetto bhakti o di
‘amore’. Non possiamo conoscere noi stessi come siamo realmente e quindi
arrendere tutto ciò che non siamo se non abbiamo un intenso e divorante amore
per sperimentare noi stessi in questo modo, e il nostro amore per sperimentare
noi stessi in questo modo crescerà e aumenterà nella misura in cui otteniamo la
vera chiarezza dell’auto-consapevolezza praticando costantemente
l’auto-attentività.
Quindi la singola sadhana o pratica di
auto-investigazione e auto-abbandono non è solo il vero jñāna yōga o
‘sentiero di conoscenza’ ma è anche il pinnacolo o culmine del bhakti yōga
o il ‘sentiero di devozione’. Poiché Dio è il nostro sé essenziale, possiamo
arrendere il nostro falso sé e fonderci in lui solo investigando e conoscendo
chi siamo realmente.
Benché ci sono molte forme differenti di sādhana o
pratica spirituale, tra tutte c’è in definitiva solo una forma vera ed
essenziale, ed è questa pratica non-duale di ātma-vicāra o
auto-investigazione, perché è la sola sādhana con cui possiamo
sperimentare direttamente e immediatamente noi stessi come siamo realmente.
Come Sri Ramana una volta ha detto, benché vari sentieri
possono aiutare a purificare la nostra mente e quindi ci conducono vicino alla
cittadella della vera auto-conoscenza, per entrare effettivamente in quella
cittadella dobbiamo attraversare la sola porta, che è la pratica di ātma-vicāra
o auto-investigazione, perché non possiamo conoscere noi stessi come siamo
realmente se non esaminiamo accuratamente noi stessi con un intenso amore per
scoprire ‘chi sono io?’.
Cioè, sebbene altre forme di sādhana possono
purificare la nostra mente e quindi dare ad essa la chiarezza di comprendere
che la sola vera sādhana o mezzo di auto-conoscenza è l’auto-attentività
vigilante e accuratamente penetrante (come Sri Ramana ci insegna nel verso 3 di
Upadēśa
Undiyār), nessun’altra sādhana può permetterci di sperimentare
direttamente l’auto-conoscenza, perché non possiamo conoscere noi stessi come
siamo realmente se non diamo attenzione a noi stessi in modo ravvicinato e
attento. Attenzione, che è la nostra capacità di dirigere la nostra consapevolezza
verso qualcosa (o piuttosto, la nostra capacità di portare qualcosa all’interno
del centro della nostra consapevolezza), è il solo mezzo con cui possiamo conoscere ogni cosa, così possiamo
conoscere il nostro sé essenziale solo dando attenzione a esso – cioè, dando
attenzione alla nostra auto-consapevolezza fondamentale, la consapevolezza che sempre
sperimentiamo come ‘io sono’.
Laddove ogni altra forma di sādhana è un karma
o azione, poiché essa comporta qualche forma di attenzione oggettiva – cioè,
attenzione a qualcosa diversa dal nostro sé essenziale – la pratica di ātma-vicāra
non è un azione o un ‘fare’ ma è solo uno stato di ‘essere’ semplicemente, poiché è
un’attenzione assolutamente non-oggettiva – cioè, un’attenzione a nient’altro
che il nostro sé essenziale, ‘io sono’.
Dato che il nostro fine non è qualche stato di azione o karma ma
solo lo stato originale di essere assolutamente senza azione, non possiamo
ottenerlo per mezzo di ogni genere o ogni quantità di azione, ma solo astenendoci
completamente da tutte le forme di azione, cosa che possiamo fare solo focalizzando
la nostra intera attenzione sul nostro sé essenziale, ritirandola da ogni altra
cosa e causando lo sprofondamento della mente senza azione nel nostro stato
naturale di puro essere auto-cosciente.
Quindi questa sadhana o pratica di
auto-investigazione e auto-abbandono che Sri Ramana ci ha insegnato è realmente
sādhana sāra – l’essenza, il nucleo o crema di tutte le forme di pratica
spirituale – e quindi questa raccolta di versi composta da Sri Sadhu Om su
questa forma essenziale di pratica spirituale è chiamata Sādhanai Sāram,
‘L’Essenza della Pratica Spirituale’.
Nessun commento:
Posta un commento