Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

sabato 27 giugno 2015

Il termine nirviśēṣa o ‘senza caratteristiche’ indica un’esperienza assoluta ma può essere compreso concettualmente solo in un senso relativo

Michael James

25 Giugno 2015
The term nirviśēṣa or ‘featureless’ denotes an absolute experience but can be comprehended conceptually only in a relative sense

In un commento a uno dei miei articoli recenti, L’ego è essenzialmente un fantasma senza forma e perciò senza caratteristiche , un amico di nome ‘Sleepwalker’ ha citato una frase tratta dalla sua tredicesima sezione, L’auto-consapevolezza può essere considerata una caratteristica dell’ego? (che avevo citato da Siamo consapevoli di noi stessi anche se siamo senza caratteristiche, la seconda sezione in un mio articolo precedente, Essere attentivamente auto-consapevoli non comporta alcuna relazione soggetto-oggetto), vale a dire “Quando diciamo, ‘ho dormito pacificamente la notte scorsa’, stiamo esprimendo la nostra esperienza di essere stati in uno stato in cui non sperimentavamo caratteristiche”, e ha chiesto se lo stato di pace del sonno non è appunto una caratteristica.

Poiché il concetto di nirviśēṣatva (essere senza caratteristiche o assenza di ogni caratteristica di distinzione) è un’idea significativa ed utile nella filosofia advaita, e poiché è molto pertinente all’auto-investigazione, ho deciso di scrivere la seguente risposta dettagliata a questa domanda:
  1. In quale senso la pace del sonno non è una caratteristica?
  2. Sat, cit e ānanda non sono caratteristiche
    1. Upadēśa Undiyār verso 23: ciò che esiste è ciò che è consapevole
    2. Upadēśa Undiyār verso 28: sat-cit-ānanda è eterno, infinito e indivisibile
  3. Il nostro ego è distinto da brahman solo in apparenza, non in sostanza
    1. Upadēśa Undiyār verso 24: il nostro ego e Dio sono solo una sostanza
    2. Upadēśa Undiyār verso 25: conoscere noi stessi senza aggiunte è conoscere Dio
    3. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 25: se investigato, questo ego fantasma svanirà
  4. Essere senza caratteristiche è un indizio fondamentale nell’auto-investigazione
  5. La fioritura della pura auto-consapevolezza consumerà il nostro ego e ogni altra cosa


1. In quale senso la pace del sonno non è una caratteristica?

Considerare la pace del sonno come una caratteristica o meno dipende da ciò che intendiamo esattamente con il termine ‘caratteristica’. Generalmente uso questo termine nello stesso senso della parola Sanscrita viśēṣa, che significa qualsiasi cosa che è speciale, peculiare, differente o distintiva, come spiego nel secondo paragrafo della stessa tredicesima sezione di quell’articolo:
L’equivalente Sanscrito di ciò che in Inglese chiamiamo ‘caratteristica’ è viśēṣa, e brahman (il nostro sé reale) è definito come nirviśēṣa — non-viśēṣa o privo di viśēṣa. ‘Caratteristica’ non è una traduzione del tutto adeguata di viśēṣa, perché il termine viśēṣa indica un concetto alquanto più astratto di ‘caratteristica’. Ciò che viśēṣa significa esattamente è ciò che è speciale, peculiare, differente o distintivo, o la qualità astratta di essere speciale, peculiare, differente o distintivo, così una caratteristica è qualcosa che è viśēṣa. Cioè, una caratteristica di qualcosa è ciò che è speciale, peculiare, differente o distintivo rispetto a quella cosa.
Quindi nel contesto dell’insegnamento di Bhagavan o della filosofia advaita in generale, il termine nirviśēṣa o ‘senza caratteristiche’ è usato in un senso relativo, anche se denota un’esperienza che trascende tutta la relatività, perché qualcosa può essere detta speciale, peculiare, differente o distintiva solo in relazione a qualche altra cosa. In assenza di ogni altra cosa, ciò che esiste non è differente o distinto da alcuna cosa, e quindi brahman, la sola realtà esistente, che è il nostro sé essenziale o ātma-svarūpa, è detto nirviśēṣa o senza caratteristiche.

Poiché questo termine nirviśēṣa o ‘senza caratteristiche’ è così usato in un senso relativo, potremmo dire per esempio che relativamente parlando uno schermo cinematografico è nirviśēṣa o senza caratteristiche, perché in relazione alle immagini che sono proiettate su di esso è senza caratteristiche in quanto è solo una superficie bianca e liscia. Se avesse qualche altra caratteristica, come delle strisce rosse o qualche altro disegno colorato, o se la sua superficie fosse sgualcita o irregolare, esso non servirebbe al suo scopo di essere uno sfondo senza caratteristiche su cui le immagini possono essere proiettate e sembrare reali.

Nello stesso modo, la nostra auto-consapevolezza è lo sfondo senza caratteristiche su cui le caratteristiche dell’esperienza fenomenica sono proiettate e sembrano reali. Proprio come uno schermo cinematografico rimane immutato sia che vengano proiettate su di esso delle immagini o meno, l’auto-consapevolezza rimane immutata sia che le esperienze fenomeniche siano proiettate su di essa (come nella veglia o nel sogno) o meno (come nel sonno). Questo è il motivo per cui la nostra esperienza nel sonno sembra senza caratteristiche, perché tutto ciò che sperimentiamo nel sonno è lo sfondo di auto-consapevolezza su cui tutte le caratteristiche dell’esperienza fenomenica sono proiettate nella veglia e nel sogno.

Poiché la nostra auto-consapevolezza rimane immutata sia che le esperienze fenomeniche siano proiettate su di esso o no, esso è immutabile e quindi perfettamente indisturbato o pacifico, così la pace che sperimentiamo nel sonno è la natura essenziale della nostra auto-consapevolezza, quindi è lo sfondo su cui sono proiettate tutte le caratteristiche dell’esperienza fenomenica. Come tale, la pace del sonno non è una caratteristica, perché proprio come lo schermo in un cinema è sempre presente, sia che lo sperimentiamo come è, sia che sembri celato da tutte le caratteristiche moleste o non pacifiche delle esperienze fenomeniche che sono proiettate su di esso nella veglia e nel sogno.

Un altro modo di spiegare questo è dire che una caratteristica è qualcosa che risalta e quindi distingue se stessa da altre caratteristiche. Poiché uno schermo cinematografico non risalta o si distingue in nessun modo dalle immagini che sono proiettate su di esso, in relazione alle caratteristiche di quelle immagini esso è senza caratteristiche. In un senso potremmo dire che l’uniformità e la bianchezza dello schermo sono sue caratteristiche, ma in un altro senso possiamo dire che queste caratteristiche sono in effetti senza caratteristiche, perché sono proprio le caratteristiche che non lo fanno risaltare o essere distinguibile dalle immagini che sono proiettate su di esso.

Proprio come l’uniformità e la bianchezza dello schermo sono sempre presenti ma risaltano solo quando nessuna immagine è proiettata su di esse, la pace essenziale dell’auto-consapevolezza è sempre presente ma risalta solo quando nessuna esperienza fenomenica è proiettata su di essa, come nel sonno. Quindi la pace essenziale dell’auto-consapevolezza che sperimentiamo nel sonno è in effetti una caratteristica senza caratteristiche perché non risalta tranne quando nessun’altra caratteristica è proiettata su di essa.

2. Sat, cit e ānanda non sono caratteristiche

L’idea che brahman è nirviśēṣa o senza caratteristiche è spesso criticata dai filosofi dvaita, perché essi considerano sat (esistenza, cit (consapevolezza) e ānanda (felicità) come caratteristiche, e quindi discutono che se brahman fosse senza caratteristiche non sarebbe sat-cit-ānanda, e così non esisterebbe, non sarebbe consapevole o sperimenterebbe felicità. Questo argomento è basato non solo su un malinteso o un’interpretazione errata di ciò che gli advaitin intendono con il termine nirviśēṣa, ma anche su un malinteso del concetto di sat-cit-ānanda.

L’esistenza di ogni fenomeno potrebbe essere discussa in un certo senso come una caratteristica, perché nessun fenomeno esiste per sempre, così benché ogni fenomeno può sembrare esistere in un dato momento, ci saranno altri momenti in cui non sembrerà esistere, e quindi la sua esistenza temporanea è relativa alla sua temporanea non-esistenza. Dunque la sua esistenza è distinta dalla sua non-esistenza, così in questo senso la sua esistenza è viśēṣa – speciale, peculiare, differente o distintiva – e può quindi essere chiamata una caratteristica. Per esempio, ora sembriamo esistere come un certo corpo, ma non esistevamo come questo corpo un centinaio di anni fa e non esisteremo come questo corpo un centinaio di anni da ora, così la nostra esistenza come questo corpo è viśēṣa – qualcosa che è speciale, peculiare, differente o distintiva.

Tuttavia, essa è solo relativa o un’esistenza temporale che può essere considerata come viśēṣa o una caratteristica. L’esistenza assoluta o eterna non può essere considerata nello stesso modo come viśēṣa, perché l’esistenza di ciò che sempre esiste non è distinta dalla sua non-esistenza, poiché non è mai non-esistente. Quindi l’esistenza di brahman, il nostro sé reale, non è viśēṣa, perché è eterno e quindi assoluto. Dunque, poiché il termine sat in sat-cit-ānanda non si riferisce ad alcuna esistenza temporale ma solo all’esistenza eterna di brahman, non è viśēṣa ma solo nirviśēṣa – qualcosa che non è speciale, peculiare, differente o distintivo in qualunque modo. E’ semplicemente lo sfondo eterno su cui tutte le cose viśēṣa sembrano apparire e scomparire.

2a. Upadēśa Undiyār verso 23: ciò che esiste è ciò che è consapevole

Proprio come l’esistenza ( sat) di brahman non è viśēṣa o una caratteristica distintiva, anche la sua consapevolezza ( cit) e la sua felicità ( ānanda) non sono caratteristiche, perché sono eterne e assolute, e quindi non speciali, peculiari, differenti o distintive. Inoltre, la consapevolezza ( cit) di brahman non è qualcosa distinta dalla sua esistenza ( sat), perché essere auto-consapevole è la sua vera natura. Come Bhagavan dice nel verso 23 di Upadēśa Undiyār:
உள்ள துணர வுணர்வுவே றின்மையி
னுள்ள துணர்வாகு முந்தீபற
      வுணர்வேநா மாயுள முந்தீபற.

uḷḷa duṇara vuṇarvuvē ṟiṉmaiyi
ṉuḷḷa duṇarvāhu mundīpaṟa
      vuṇarvēnā māyuḷa mundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: உள்ளது உணர உணர்வு வேறு இன்மையின், உள்ளது உணர்வு ஆகும். உணர்வே நாமாய் உளம்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uḷḷadu uṇara uṇarvu vēṟu iṉmaiyiṉ, uḷḷadu uṇarvu āhum. uṇarv[u]-ē nām-āy uḷam.

அன்வயம்: உள்ளது உணர வேறு உணர்வு இன்மையின், உள்ளது உணர்வு ஆகும். உணர்வே நாமாய் உளம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): uḷḷadu uṇara vēṟu uṇarvu iṉmaiyiṉ, uḷḷadu uṇarvu āhum. uṇarvē nām-āy uḷam.

Traduzione: A causa della non-esistenza di [ogni] consapevolezza ( uṇarvu) diversa [da ciò che è] che conosca ciò che è ( uḷḷadu), ciò che è, è consapevolezza. Noi esistiamo in quanto ‘solo la consapevolezza è noi’.
Qui உள்ளது ( uḷḷadu) significa ‘ciò che è’ o ‘ciò che esiste’, così è l’equivalente Tamil della parola Sanscrita सत् ( sat), e உணர்வு ( uṇarvu) significa consapevolezza o coscienza nel senso di ‘ciò che è consapevole’ o ciò che cosciente’, così è l’equivalente Tamil della parola Sanscrita चित् ( cit). Per sperimentare ciò che è ( uḷḷadu o sat), non c’è niente che sia consapevole ( uṇarvu o cit) diverso da uḷḷadu stesso, perché se ciò che è consapevole fosse diverso da ciò che è, non esisterebbe, e se ciò che è fosse diverso da ciò che è consapevole, non sarebbe consapevole di se stesso. Quindi, poiché ciò che è ( uḷḷadu) è consapevole di se stesso come ‘io sono’, esso solo è ciò che è consapevole ( uṇarvu). Inoltre, poiché ciò che esiste è solo noi stessi, noi soltanto siamo sia ciò che esiste ( uḷḷadu) sia ciò che è consapevole ( uṇarvu).

Proprio come ciò che è ( uḷḷadu o sat) e ciò che è consapevole ( uṇarvu o cit) sono una cosa sola, vale a dire noi stessi, così come lo è anche la felicità ( iṉbu o ānanda), perché quando siamo consapevoli soltanto di noi stessi, siamo perfettamente felici. Se la felicità fosse qualcosa diversa da noi stessi, quando siamo consapevoli soltanto di noi stessi (come lo siamo nel sonno, per esempio) non saremmo felici, così poiché quando siamo consapevoli soltanto di noi stessi siamo perfettamente felici, la felicità deve essere ciò che siamo realmente. Sperimentiamo una mancanza di felicità solo quando siamo consapevoli di qualcosa diversa da noi stessi, e questo è a causa del fatto che allora non sperimentiamo noi stessi come siamo realmente ma solo come un ego, così è solo il sorgere di questo ego illusorio e la sua esperienza di altre cose ad oscurare la nostra consapevolezza di noi stessi come l’infinita felicità che siamo realmente.

2b. Upadēśa Undiyār verso 28: sat-cit-ānanda è eterno, infinito e indivisibile

Quindi sat, cit e ānanda non sono tre cosa separate, ma una cosa sola, e sembrano essere separate solo quando sorgiamo come un ego e sperimentiamo l’alterità o la differenziazione. Il nostro stato naturale di essere senza ego è completamente privo di tutta l’alterità e la differenziazione, così è uno stato nirviśēṣa o senza caratteristiche, perché la sola cosa che esiste in esso è noi stessi, la cui natura è sat-cit-ānanda senza inizio, senza fine, infinito e indivisibile, come Bhagavan intende chiaramente nel verso 28 di Upadēśa Undiyār:
தனாதியல் யாதெனத் தான்றெரி கிற்பின்;
னனாதி யனந்தசத் துந்தீபற
      வகண்ட சிதானந்த முந்தீபற.

taṉādiyal yādeṉat tāṉḏṟeri hiṯpiṉ
ṉaṉādi yaṉantasat tundīpaṟa
      vakhaṇḍa cidāṉanda mundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: தனாது இயல் யாது என தான் தெரிகில், பின் அனாதி அனந்த சத்து அகண்ட சித் ஆனந்தம்.

Padacchēdam (separazione delle parole): taṉādu iyal yādu eṉa tāṉ terihil, piṉ aṉādi aṉanta sattu akhaṇḍa cit āṉandam

அன்வயம்: தான் தனாது இயல் யாது என தெரிகில், பின் அனாதி அனந்த அகண்ட சத்து சித் ஆனந்தம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): tāṉ taṉādu iyal yādu eṉa terihil, piṉ aṉādi aṉanta akhaṇḍa sattu cit āṉandam.

Traduzione: Se se stesso conosce ciò che è la natura di se stesso, allora [ciò che esiste è solo] senza inizio, senza fine [o infinito] e ininterrotto.
In assenza di qualsiasi cosa diversa da noi stessi niente è viśēṣa – speciale, peculiare, differente o distintivo – perché non c’è niente dal quale potremmo essere differenti o distinti, o che potrebbe essere differente o distinto da noi stessi, così noi dobbiamo essere nirviśēṣa o senza caratteristiche, e perciò sat, cit e ānanda non sono caratteristiche nel senso di essere qualcosa che è differente o distinta dall’una e dall’altra o da ogni altra cosa. Cioè, poiché solo sat-cit-ānanda esiste, non c’è niente che non è sat-cit-ānanda, così essere sat-cit-ānanda non è in nessun modo viśēṣa, speciale, peculiare, differente o distintivo, e non è una caratteristica o qualcosa che risalta.

Quindi l’argomento concepito dai filosofi dualisti ( dvaitin) che se brahman fosse nirviśēṣa o senza caratteristiche non sarebbe sat-cit-ānanda e quindi non esisterebbe, non sarebbe consapevole o non sarebbe felice e, da attento esame, non potrebbe risaltare. Solo se qualsiasi cosa diversa da brahman, il nostro sé reale, esistesse realmente ne deriverebbe logicamente che per esistere, essere consapevole o essere felice brahman dovrebbe essere viśēṣa o dotato di caratteristiche, ma poiché ciò che esiste realmente è solo brahman, esso deve essere nirviśēṣa.

3. Il nostro ego è distinto da brahman solo in apparenza, non in sostanza

Tra gli advaitin, quindi, è universalmente accettato che brahman è nirviśēṣa o senza caratteristiche, e che sat, cit e ānanda non sono viśēṣa o caratteristiche distintive, perché esse non sono distinte l’una dall’altra e neppure da ogni altra cosa. Tuttavia l’idea che il nostro ego è anche essenzialmente senza caratteristiche non è familiare a molti advaitin, ma come ho discusso in L’ego è essenzialmente un fantasma senza forma e perciò senza caratteristiche , è inteso chiaramente da Bhagavan Ramana quando descrive l’ego come ‘உருவற்ற பேய்’ ( uru-v-aṯṟa pēy), un ‘fantasma senza forma’, nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu.

Come brahman, che è ciò che siamo realmente, il nostro ego, che è ciò che ora sembriamo essere, non ha forma e quindi nessuna caratteristica propria, ma mentre brahman esiste sia che ogni forma o caratteristica esista o meno, il nostro ego sembra esistere quando forme e caratteristiche sembrano esistere, e in loro assenza non sembra esistere. Quindi brahman non è mai in alcun modo influenzato dalla comparsa o scomparsa di ogni forma o caratteristica, mentre il nostro ego è influenzato dalla loro comparsa e scomparsa. Cioè, benché il nostro ego è essenzialmente senza forma e quindi senza caratteristiche quando è astratto da tutte le forme che afferra, ha origine e si regge solo afferrando le forme, e quando afferra qualche forma esso sembra essere una forma gravata da caratteristiche.

3a. Upadēśa Undiyār verso 24: il nostro ego e Dio sono solo una sostanza

In essenza o sostanza, il nostro ego non è nient’altro che brahman, che è nirviśēṣa o senza caratteristiche, ma poiché esso ha origine come un’entità apparentemente separata solo afferrando le forme, ogni volta che esso esiste come tale sembra essere una forma (un corpo), che viśēṣa o gravato da caratteristiche. Così la differenza tra il nostro ego e brahman non è una differenza in sostanza ma solo una differenza in apparenza. Cioè, quando sorgiamo come questo ego, non cessiamo di essere brahman, anche se sembriamo essere qualcos’altro. Quindi la differenza tra noi stessi come questo ego e noi stessi come brahman non è qualche differenza in ciò che siamo realmente, ma solo una differenza in ciò che sembriamo essere. Questo è ciò che Bhagavan intende nel verso 24 di Upadēśa Undiyār:
இருக்கு மியற்கையா லீசசீ வர்க
ளொருபொரு ளேயாவ ருந்தீபற
      வுபாதி யுணர்வேவே றுந்தீபற.

irukku miyaṟkaiyā līśajī varga
ḷoruporu ḷēyāva rundīpaṟa
      vupādhi yuṇarvēvē ṟundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: இருக்கும் இயற்கையால் ஈச சீவர்கள் ஒரு பொருளே ஆவர். உபாதி உணர்வே வேறு.

Padacchēdam (separazione delle parole): irukkum iyaṟkaiyāl īśa jīvargaḷ oru poruḷē āvar. upādhi-uṇarvē vēṟu.

Traduzione: Per la [loro] natura di essere, Dio e le anime sono solo una sostanza. Solo la [loro] consapevolezza di aggiunte è differente.
இருக்கும் இயற்கை ( irukkum iyaṟkai) significa ‘natura di essere’ o ‘natura quale è’, così இருக்கும் இயற்கையால் ( irukkum iyaṟkaiyāl) significa letteralmente ‘per la natura quale è’, ma in questo contesto significa nella loro natura essenziale, che è solo essere o ciò che è realmente. Questa natura essenziale o ‘ciò che è’ ( uḷḷadu) è l’unica sostanza sia di Dio sia dell’anima o ego, così rispetto a questo non c’è assolutamente differenza tra essi. La sola differenza tra essi non è in ciò che essi sono realmente ma solo in ciò che essi sembrano essere, e qualunque cosa essi sembrano essere è solo una serie di aggiunte estranee.

Le aggiunte ( upādhi) sono qualunque forma o caratteristica che l’ego o l’anima afferra come se stessa e qualunque forma o caratteristica esso attribuisce a Dio, ma tutte queste forme e caratteristiche esistono solo nella visione dell’ego e non nella visione di Dio come brahman, così la sola differenza tra l’ego e Dio è che l’ego ha உபாதி உணர்வு (upādhi-uṇarvu) o ‘consapevolezza di aggiunte’ mentre Dio non ne ha.

3b. Upadēśa Undiyār verso 25: conoscere noi stessi senza aggiunte è conoscere Dio

Quindi per sperimentare noi stesi come brahman, tutto ciò che come questo ego abbiamo bisogno di fare è sperimentare noi stessi in completo isolamento da tutte le aggiunte, le forme o le caratteristiche, come Bhagavan dice nel verso 25 di Upadēśa Undiyār:
தன்னை யுபாதிவிட் டோர்வது தானீசன்
றன்னை யுணர்வதா முந்தீபற
      தானா யொளிர்வதா லுந்தீபற.

taṉṉai yupādhiviṭ ṭōrvadu tāṉīśaṉ
ḏṟaṉṉai yuṇarvadā mundīpaṟa
      tāṉā yoḷirvadā lundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: தன்னை உபாதி விட்டு ஓர்வது தான் ஈசன் தன்னை உணர்வது ஆம், தானாய் ஒளிர்வதால்.

Padacchēdam (separazione delle parole): taṉṉai upādhi viṭṭu ōrvadu tāṉ īśaṉ taṉṉai uṇarvadu ām, tāṉ-āy oḷirvadāl.

அன்வயம்: தானாய் ஒளிர்வதால், தன்னை உபாதி விட்டு ஓர்வது தான் ஈசன் தன்னை உணர்வது ஆம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): tāṉ-āy oḷirvadāl, taṉṉai upādhi viṭṭu ōrvadu tāṉ īśaṉ taṉṉai uṇarvadu ām.

Traduzione: Avendo rinunciato alle [proprie] aggiunte, sperimentare se stesso è sperimentare Dio, perché [egli] risplende come se stesso.
Come questo ego, sembriamo avere aggiunte finché diamo attenzione o sperimentiamo qualsiasi cosa diversa da noi stessi, così il solo modo per lasciare, abbandonare o rinunciare a tutte le nostre aggiunte è dare attenzione soltanto a noi stessi. Quando diamo attenzione soltanto a noi stessi, separiamo ed isoliamo noi stessi non solo da tutte le nostre aggiunte ma anche da ogni altra cosa, perché sperimentiamo altre cose solo quando sperimentiamo noi stessi mischiati con aggiunte. Quindi dando attenzione soltanto a noi stessi, sperimenteremo noi stessi soltanto, e così sperimenteremo Dio o brahman, perché egli o esso non è nient’altro che noi stessi come siamo realmente.

Qualunque forma o caratteristica, noi come questo ego, possiamo afferrare come noi stessi non è ciò che siamo realmente, anche se è temporaneamente ciò che sembriamo essere, così per sperimentare noi stessi come siamo realmente abbiamo bisogno di smettere di afferrare le forme, cosa che possiamo fare solo cercando di afferrare soltanto noi stessi – cioè, dando attenzione e quindi cercando di sperimentare niente altro che noi stessi. Tuttavia, fino a che riusciamo in questo sforzo continueremo a sperimentare noi stessi come una forma o un’altra, e poiché tutte le forme hanno caratteristiche, come questo ego sembreremo sempre avere caratteristiche, anche se siamo realmente senza caratteristiche.

Benché l’ego sembra sempre una forma, la ragione per cui Bhagavan dice che esso è senza forma è che nessuna forma che esso sembra essere è ad esso essenziale, perché non sembra essere la stessa forma ogni volta che esso sorge. In uno stato sembra essere una forma e in altri stati sembra essere altre forme, così non c’è forma che può essere definita propria.

Poiché è essenzialmente senza forma e quindi senza caratteristiche, in alcuni particolari l’ego prende la natura di brahman, ma poiché non può avere origine senza afferrare la forma di un corpo come se fosse se stesso, in altri particolari prende la natura e le caratteristiche di qualunque corpo attualmente sperimenta come se stesso. Così l’ego è un ibrido falso, che è in alcuni particolari senza forma e senza caratteristiche, ma in altri è temporaneamente dotato di forma e quindi gravato da caratteristiche. Esso non è questo né quello, perché non esiste tranne come una fusione di questi due elementi contraddittori. In ogni modo possibile la natura di un corpo è contraria alla natura di brahman, sebbene l’ego in qualche modo riesce a combinare insieme queste due nature contraddittorie come se fossero una.

3c. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 25: se investigato, questo ego fantasma svanirà

Quindi, benché questo ego sembra esistere, non è reale, ma finché sperimenta qualsiasi cosa diversa da se stesso sembra essere reale, così se lo investighiamo cercando di essere consapevoli soltanto di esso, si dissolverà e scomparirà. Questo è il motivo per cui Bhagavan dice nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உருப்பற்றி யுண்டா முருப்பற்றி நிற்கு
முருப்பற்றி யுண்டுமிக வோங்கு — முருவிட்
டுருப்பற்றுந் தேடினா லோட்டம் பிடிக்கு
முருவற்ற பேயகந்தை யோர்.

uruppaṯṟi yuṇḍā muruppaṯṟi niṟku
muruppaṯṟi yuṇḍumiha vōṅgu — muruviṭ
ṭuruppaṯṟun tēḍiṉā lōṭṭam piḍikku
muruvaṯṟa pēyahandai yōr
.

பதச்சேதம்: உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும், உரு அற்ற பேய் அகந்தை. ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṯkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum, uru aṯṟa pēy ahandai. ōr.

அன்வயம்: உரு அற்ற பேய் அகந்தை உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும். ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte secondo ordine naturale di prosa): uru aṯṟa pēy ahandai uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṯkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum. ōr.

Traduzione: Afferrando la forma, l’ego-fantasma senza forma ha origine, afferrando la forma si regge; afferrando e nutrendosi di forma cresce (si estende, si espande o prospera] abbondantemente; lasciando [una] forma, esso afferra [un’altra] forma. Se cercato [esaminato o investigato] esso prende il volo. Investiga [o conosci di conseguenza].
4. Essere senza caratteristiche è un indizio fondamentale nell’auto-investigazione

Nel secondo paragrafo di questo articolo ho accennato il fatto che il concetto di nirviśēṣatva o ‘senza caratteristiche’ è un’idea significativa ed utile che è molto pertinente alla pratica di auto-investigazione, così consideriamo ora come è pertinente a questa pratica.

Per sperimentare noi stessi come siamo realmente, abbiamo bisogno di isolare noi stessi da ogni altra cosa, e per isolare noi stessi abbiamo bisogno di distinguere noi stessi da ogni cosa che sembra essere noi stessi ma non è ciò che siamo realmente. Quindi comprendere che ciò che siamo è essenzialmente senza caratteristiche è un indizio fondamentale senza il quale non saremmo in grado di distinguere noi stessi da tutte le altre cose, ciascuna delle quali ha caratteristiche di un genere o un altro.

Rispetto a questo la nostra esperienza nel sonno è anche un indizio fondamentale, perché il sonno è il solo stato senza caratteristiche con cui abbiamo familiarità. Dalla prospettiva di noi stessi come questo ego, il sonno sembra essere uno stato di completa ignoranza o non-consapevolezza, ma poiché sperimentiamo l’ignoranza apparente del sonno, non è uno stato in cui non siamo consapevoli. Ciò di cui non siamo consapevoli nel sonno è qualsiasi cosa diversa da noi stessi, così poiché siamo essenzialmente senza caratteristiche, il sonno è un’esperienza senza caratteristiche. Quindi proprio l’essere senza caratteristiche del sonno è un prezioso indizio per noi quando stiamo cercando di investigare cosa siamo realmente.

Finché sperimentiamo qualsiasi cosa che non sperimentiamo nel sonno, stiamo sperimentando caratteristiche, e quindi non stiamo sperimentando noi stessi come siamo realmente. Quindi qualsiasi caratteristica o viśēṣa (qualsiasi cosa che è in ogni modo speciale, peculiare, differente o distintiva) che possiamo sperimentare, dovremmo sempre cercare di investigare chi la sta sperimentando. In altre parole, dobbiamo perseverare nel cercare di essere consapevoli soltanto di noi stessi fino a che riusciamo a sperimentare noi stessi senza alcuna caratteristica.

Dalla prospettiva di noi stessi come questo ego, penetrare in profondità all’interno di noi stessi per sperimentare soltanto noi stessi può sembrare come immergersi nella completa oscurità, ma quell’oscurità è solo un assenza di ogni esperienza fenomenica, così è solo in quella oscurità che scopriremo la piena chiarezza della perfetta e pura auto-consapevolezza, che sola è ciò che siamo realmente. Quindi dobbiamo perseverare nel penetrare nella più oscura profondità di noi stessi fino a che sperimentiamo la luce infinitamente brillante che risplende in quell’oscurità – la luce di auto-consapevolezza pura, senza caratteristiche e non duale – che consumerà il nostro ego illusorio per sempre.

5. La fioritura della pura auto-consapevolezza consumerà il nostro ego e ogni altra cosa

Questo è precisamente come Bhagavan ci ha insegnato a pregare, nel verso 27 di Śrī Aruṇācala Akṣaramaṇamālai e nel verso 1 di Śrī Aruṇācala Pañcaratnam:
சகலமும் விழுங்குங் கதிரொளி யினமன
      சலச மலர்த்தியி டருணாசலா.

sakalamum viṙuṅguṅ kadiroḷi yiṉamaṉa
      jalaja malarttiyi ḍaruṇācalā
.

பதச்சேதம்: சகலமும் விழுங்கும் கதிர் ஒளி இன மன சலசம் அலர்த்தியிடு அருணாசலா

Padacchēdam (separazione delle parole): sakalamum viṙuṅgum kadir oḷi iṉa, maṉa-jalajam alartti-y-iḍu aruṇācalā.

Traduzione: O Arunachala, sole dai raggi splendenti che inghiottono ogni cosa, fai fiorire la [mia] mente di loto.

அருணிறை வான வமுதக் கடலே
விரிகதிரால் யாவும் விழுங்கு — மருண
கிரிபரமான் மாவே கிளருளப்பூ நன்றாய்
விரிபரிதி யாக விளங்கு.

aruṇiṟai vāṉa vamudak kaḍalē
virikadirāl yāvum viṙuṅgu — maruṇa
giriparamāṉ māvē kiḷaruḷappū naṉḏṟāy
viriparidhi yāha viḷaṅgu
.

பதச்சேதம்: அருள் நிறைவு ஆன அமுத கடலே, விரி கதிரால் யாவும் விழுங்கும் அருணகிரி பரமான்மாவே, கிளர் உள பூ நன்றாய் விரி பரிதி ஆக விளங்கு.

Padacchēdam (separazione delle parole): aruḷ niṟaivu āṉa amuda-k-kaḍalē, viri kadirāl yāvum viṙuṅgum aruṇagiri paramāṉmāvē, kiḷar uḷa-p-pū naṉḏṟāy viri paridhi āha viḷaṅgu.

Traduzione: O Oceano di amṛta [l’ambrosia d’immortalità], che è la pienezza della grazia, O Supremo Sé, Arunagiri, che inghiotti ogni cosa con [i tuoi] raggi splendenti [di pura auto-consapevolezza], risplendi come il sole che fa fiorire pienamente il [mio] sbocciante loto del cuore.
Ciò che Bhagavan descrive in questi due versi come la fioritura del loto della mente o loto del cuore è la fioritura della pura auto-consapevolezza dentro di noi, e ciò che descrive come inghiottire ogni cosa è ciò che risulta da tale fioritura. Cioè, quando penetreremo in profondità all’interno di noi e sperimenteremo soltanto noi stessi, ci sperimenteremo come la pura auto-consapevolezza senza caratteristiche che sempre siamo realmente, e nell’infinita chiarezza di questa pura auto-consapevolezza il nostro ego e ogni altra cosa sarà inghiottita per sempre, proprio come un’immagine proiettata su uno schermo sarebbe inghiottita interamente se la splendente luce del sole cadesse su di essa.

Nessun commento:

Posta un commento