Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

lunedì 17 agosto 2015

Cos’è cidābhāsa, il riflesso dell’auto-consapevolezza?

Michael James

11 Agosto 2015
What is cidābhāsa, the reflection of self-awareness?

In un commento a uno dei miei articoli recenti, Possiamo sperimentare ciò che siamo realmente seguendo il sentiero della devozione (bhakti mārga)?, un anonimo amico ha citato una traduzione dei versi 8 e 9 di Ātma-Vicāra Patikam (un canto di undici versi composti da Sri Sadhu Om sull’auto-investigazione, che è la prima appendice in Sādhanai Sāram). Ciò che egli ha scritto nel verso 9 è:
நானெதென் றாய வஃது நலிவதற் கேதே தென்றால்
நானெனு மக விருத்தி ஞானத்தின் கிரண மாகும்
நானெனுங் கிரணத் தோடே நாட்டமுட் செல்லச் செல்ல
நானெனுங் கிரண நீள நசித்துநான் ஞான மாமே.

nāṉedeṉ ḏṟāya vaḵdu nalivadaṟ kēdē deṉḏṟāl
nāṉeṉu maha virutti ñāṉattiṉ kiraṇa māhum
nāṉeṉuṅ kiraṇat tōḍē nāṭṭamuṭ cellac cella
nāṉeṉuṅ kiraṇa nīḷa naśittunāṉ ñāṉa māmē
.

பதச்சேதம்: நான் எது என்று ஆய அஃது நலிவதற்கு ஏது ஏது என்றால், நான் எனும் அக விருத்தி ஞானத்தின் கிரணம் ஆகும். நான் எனும் கிரணத்தோடே நாட்டம் உள் செல்ல செல்ல, நான் எனும் கிரண நீளம் நசித்து நான் ஞானம் ஆமே.

Padacchēdam (separazione delle parole): nāṉ edu eṉḏṟu āya aḵdu nalivadaṟku ēdu ēdu eṉḏṟāl, nāṉ eṉum aha-virutti ñāṉattiṉ kiraṇam āhum. nāṉ eṉum kiraṇattōḍē nāṭṭam uḷ sella sella, nāṉ eṉum kiraṇa nīḷam naśittu nāṉ ñāṉam āmē.

Traduzione: Se qualcuno chiede qual è la ragione per cui esso [l’ego] viene distrutto quando si investiga cosa sono io, [è perché] l’aham-vṛtti [consapevolezza-ego] chiamato ‘io’ è un raggio [riflesso] di jñāṉa [pura auto-consapevolezza]. Quando insieme con il raggio chiamato ‘io’ l’investigazione [attenzione o sguardo investigante] va sempre più all’interno, essendo ridotta [e alla fine distrutta] la misura [o la lunghezza] del raggio chiamato ‘io’ [ciò che allora rimane come] ‘io’ sarà davvero jñāṉa [pura auto-consapevolezza].
In questo verso non c’è parola che significhi ‘riflesso’, ma nella sua பொழிப்புரை (poṙippurai) o parafrasi esplicativa di questo verso Sadhu Om ha parafrasato la proposizione ஞானத்தின் கிரணம் (ñāṉattiṉ kiraṇam), che significa ‘raggio di jñāṉa’, come ‘ஆன்மாவின் ஒரு பிரதிபலனக் கிரணம்’ (āṉmāviṉ oru piratiphalaṉa-k-kiraṇam), che significa ‘un raggio pratiphalana di ātman’, in cui pratiphalana è una parola di origine Sanscrita che significa riflesso, immagine riflessa o ombra.

Dopo aver letto la traduzione di questo verso citata nel commento dall’amico anonimo, un altro amico di nome Nilakantha ha scritto un commento in cui si è riferito al termine ‘raggio riflesso’ e ha chiesto:

‘Quale/che mezzo riflette il raggio della consapevolezza di Sé? Come la consapevolezza di Sé irradia un/quel raggio? Presumibilmente quella vera consapevolezza di Sé è la sorgente di quel raggio. Se no cos’altro?
  1. Cidābhāsa è la nostra mente o ego, e il suo mezzo riflettente è il nostro corpo
  2. ’Come sorge questo riflesso (il nostro ego)?’ è la domanda sbagliata da porre
  3. La pura auto-consapevolezza è la sorgente di questa luce riflessa, il nostro ego
  4. Uḷḷadu Nāṟpadu versi 26 e 7: ogni altra cosa esiste e risplende per mezzo di questa luce riflessa
  5. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 22: questa luce riflessa deve ritornare all’interno e fondersi nella sua sorgente
  6. La metafora della luce
  7. Per mezzo dell’auto-investigazione il raggio riflesso si contrarrà all’indietro nella sua sorgente

1. Cidābhāsa è la nostra mente o ego, e il suo mezzo riflettente è il nostro corpo

La descrizione dell’ego o mente come un riflesso di pura auto-consapevolezza sarà familiare a chiunque ha studiato gli insegnamenti di Bhagavan o della filosofia advaita più in generale, e il termine Sanscrito che in questo contesto è generalmente usato e tradotto come ‘consapevolezza riflessa’ è cidābhāsa. Recentemente un altro amico mi ha scritto chiedendomi di spiegare questo termine, dicendo: ‘Esso è usualmente tradotto come consapevolezza riflessa. La mia impressione è che il significato letterale di questo termine è comparsa di consapevolezza. A volte è stato spiegato come lo splendore di Brahman che illumina ogni cosa. E’ stato anche paragonato alle immagini del sole riflesso in una pozza d’acqua. Ti sarei grato se tu potessi anche spiegare la sua importanza e attinenza per una comprensione dell’advaita’. Quindi il resto di questa sezione è adattato dalla risposta che gli ho scritto.

चिदाभास (cidābhāsa) è un composto di due parole, चित् (cit) e आभास (ābhāsa). चित् (cit) è sia un verbo che significa percepire, vedere, notare, osservare, dare attenzione a, conoscere sperimentare o essere consapevoli o coscienti di, e un sostantivo che significa consapevolezza, coscienza o conoscenza, ma in questo contesto significa pura consapevolezza nel senso di ciò che è consapevole di nient’altro che se stesso, e dunque esso indica noi stessi come siamo realmente. आभास (ābhāsa) è un sostantivo derivato dal verbo आभास् (ābhās), che significa risplendere, apparire, sembrare o assomigliare, o una luce, illuminazione, apparenza, sembianza, rassomiglianza, aspetto, riflesso, fantasma o ogni altra apparenza. Quindi चिदाभास (cidābhāsa) significa un riflesso, una sembianza o una falsa apparenza di coscienza o consapevolezza.

Proprio come il riflesso di noi stessi che vediamo in uno specchio assomiglia a noi stessi ma non è realmente noi stessi, cidābhāsa assomiglia a cit ma non è realmente cit, così è solo una falsa apparenza. In altre parole, cidābhāsa significa ciò che sembra essere consapevole ma non è realmente consapevole – cioè, ciò che non è consapevole di ciò che solo esiste realmente (vale a dire noi stessi) come realmente è.

Quindi ‘cidābhāsa’ è solo un’altra descrizione del nostro ego o mente, che è un fantasma o una falsa apparenza che sembra essere consapevole anche se non è la consapevolezza originale (cit), che è solo il nostro sé reale. Il nostro ego sembra essere consapevole perché attinge la luce dell’auto-consapevolezza da noi stessi atteggiandosi come noi stessi, così la sua consapevolezza è una falsa apparenza, essendo solo un riflesso, una sembianza o un’immagine della nostra consapevolezza reale, che è consapevole di nient’altro che noi stessi.

Poiché questo ego può sorgere solo attaccando se stesso a un corpo, non può sembrare esistere senza sperimentare un corpo come se stesso, e quindi può essere descritto o come cit-jaḍa-granthi (il nodo che sembra legare noi stessi, che siamo cit, e questo corpo, che è jaḍa, insieme come se fossero uno) o come cidābhāsa (un riflesso o sembianza di cit risplendente in questo corpo). Quindi il corpo che identifichiamo come noi stessi è il mezzo o superficie riflettente, il nostro ego è il riflesso in esso, e ciò che è riflesso in esso è noi stessi. In altre parole, noi siamo l’originale, il nostro ego è il riflesso, e lo specchio in cui appare questo riflesso è il nostro corpo.

2. ’Come sorge questo riflesso (il nostro ego)?’ è la domanda sbagliata da porre

Spero che la sezione precedente risponda in modo adeguato alla prima domanda di Nilakantha, ‘‘Quale/che mezzo riflette il raggio della consapevolezza di Sé?’. Riguardo la sua seconda domanda, ‘Come la consapevolezza di sé irradia un/quel raggio?’, secondo Bhagavan ‘come’ è la domanda sbagliata da porre in questo contesto, perché essa presuppone che il nostro sé reale, che è pura auto-consapevolezza, realmente irradi o proietti questo raggio apparente (il nostro ego), che non è il caso. Il sorgere del nostro ego dal nostro sé reale mai accade realmente, ma solo sembra accadere, e nella visione del nostro sé reale neppure sembra accadere, così accade solo nella visione del nostro stesso ego. Questo è il motivo per cui esso è chiamato māyā, che significa ‘ciò che non è’, perché questo ego non-esistente sembra esistere solo nella sua visione – la visione di questo ego non-esistente.

Quindi la domanda che dovremmo porre non è ‘come?’ ma solo ‘chi?’ o ‘cosa?’ – cioè, cos’è questo ego, nella cui visione soltanto, tutti questi fenomeni sembrano esistere? Se investighiamo noi stessi per scoprire la risposta a questa domanda, sperimenteremo noi stessi come siamo realmente e quindi l’illusione di essere questo ego sarà distrutta per sempre. Quando essa sarà distrutta, non solo noi non sembreremo essere questo ego, ma non sembreremo essere mai stati questo ego, perché conosceremo chiaramente che solo noi esistiamo, e che quindi non c’è una cosa come il tempo, pertanto dato che il tempo non esiste, non avremmo mai potuto sperimentare noi stessi come qualcosa diversa da ciò che sempre siamo realmente.

3. La pura auto-consapevolezza è la sorgente di questa luce riflessa, il nostro ego

Riguardo la domanda finale di Nilakanha, ‘Presumibilmente quella vera consapevolezza di Sé è la sorgente di quel raggio. Se no cos’altro?’, la semplice risposta è sì, il raggio è il nostro ego, che è noi stessi come ora sembriamo essere, e la sua sorgente è pura auto-consapevolezza, che è noi stessi come siamo realmente, Come Bhagavan dice nella prima frase del settimo paragrafo di Nāṉ Yār?:
யதார்த்தமா யுள்ளது ஆத்மசொரூப மொன்றே.

yathārtham-āy uḷḷadu ātma-sorūpam oṉḏṟē.

Ciò che esiste realmente è solo ātma-svarūpa [il nostro sé essenziale].
Quindi la sorgente di qualunque cosa sembra esistere può solo essere ciò che esiste realmente, vale a dire ātma-svarūpa, che è pura auto-consapevolezza.

4. Uḷḷadu Nāṟpadu versi 26 e 7: ogni altra cosa esiste e risplende per mezzo di questa luce riflessa

Di tutte le cose che sembrano esistere, la prima e la radice è solo il nostro ego, perché ogni altra cosa sembra esistere solo nella visione di questo ego, come Bhagavan intende nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
அகந்தையுண் டாயி னனைத்துமுண் டாகு
மகந்தையின் றேலின் றனைத்து — மகந்தையே
யாவுமா மாதலால் யாதிதென்று நாடலே
யோவுதல் யாவுமென வோர்.

ahandaiyuṇ ḍāyi ṉaṉaittumuṇ ḍāhu
mahandaiyiṉ ḏṟēliṉ ḏṟaṉaittu — mahandaiyē
yāvumā mādalāl yādideṉḏṟu nādalē
yōvudal yāvumeṉa vōr
.

பதச்சேதம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr.

அன்வயம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், அனைத்தும் இன்று. யாவும் அகந்தையே ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே யாவும் ஓவுதல் என ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, aṉaittum iṉḏṟu. yāvum ahandai-y-ē ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē yāvum ōvudal eṉa ōr.

Traduzione: Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste. [Perciò] l’ego è ogni cosa. Dunque, sappi che solo investigare cos’è questo [ego] è rinunciare a ogni cosa.
Sebbene ogni altra cosa ha origine ogni volta che l’ego sorge dal sonno e cessa di esistere ogni volta che sprofonda nel sonno, ciò che lo illumina o lo rende in grado di risplendere o di essere conosciuto è solo questo ego, la luce riflessa della consapevolezza, come Bhagavan intende nel verso 7 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உலகறிவு மொன்றா யுதித்தொடுங்கு மேனு
முலகறிவு தன்னா லொளிரு — முலகறிவு
தோன்றிமறை தற்கிடனாய்த் தோன்றிமறை யாதொளிரும்
பூன்றமா மஃதே பொருள்.

ulahaṟivu moṉḏṟā yudittoḍuṅgu mēṉu
mulahaṟivu taṉṉā loḷiru — mulahaṟivu
tōṉḏṟimaṟai daṟkiḍaṉāyt tōṉḏṟimaṟai yādoḷirum
pūṉḏṟamā maḵtē poruḷ
.

பதச்சேதம்: உலகு அறிவும் ஒன்றாய் உதித்து ஒடுங்கும் ஏனும், உலகு அறிவு தன்னால் ஒளிரும். உலகு அறிவு தோன்றி மறைதற்கு இடன் ஆய், தோன்றி மறையாது ஒளிரும் பூன்றம் ஆம் அஃதே பொருள்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ulahu aṟivum oṉḏṟāy udittu oḍuṅgum ēṉum, ulahu aṟivu-taṉṉāl oḷirum. ulahu aṟivu tōṉḏṟi maṟaidaṟku iḍaṉ āy, tōṉḏṟi maṟaiyādu oḷirum pūṉḏṟam ām aḵdē poruḷ.

அன்வயம்: உலகு அறிவும் ஒன்றாய் உதித்து ஒடுங்கும் ஏனும், உலகு அறிவு தன்னால் ஒளிரும். உலகு அறிவு தோன்றி மறைதற்கு இடன் ஆய், தோன்றி மறையாது ஒளிரும் அஃதே பூன்றம் ஆம் பொருள்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): ulahu aṟivum oṉḏṟāy udittu oḍuṅgum ēṉum, ulahu aṟivu-taṉṉāl oḷirum. ulahu aṟivu tōṉḏṟi maṟaidaṟku iḍaṉ āy, tōṉḏṟi maṟaiyādu oḷirum aḵdē pūṉḏṟam ām poruḷ.

Traduzione: Sebbene il mondo e la mente sorgono e sprofondano simultaneamente, il mondo risplende per mezzo della mente. Solo quello che risplende senza comparire o scomparire, come la base per la comparsa e la scomparsa del mondo e della mente, è poruḷ [la reale sostanza], che è pūrṇa [il tutto infinito].
La parola che ho tradotto qui come ‘mente’ è அறிவு (aṟivu), che significa conoscenza o consapevolezza, ma che in questo contesto significa la mente o l’ego, che è la consapevolezza che conosce il mondo, e che è la sola consapevolezza che sorge e sprofonda o compare e scompare. Poiché essasorge e sprofonda, non è la consapevolezza originale ma è solo un riflesso, una sembianza o una somiglianza di essa, così è ciò che è chiamata cidābhāsa.

L’ aṟivu originale, cit o consapevolezza è solo la pura auto-consapevolezza che risplende costantemente come ‘io sono’, così essa mai sorge (appare) o sprofonda (scompare), e non è mai consapevole di qualcosa diversa da se stessa. E’ quindi ciò che Bhagavan descrive nella seconda frase di questo verso come ‘பூன்றம் ஆம் பொருள்’ (pūṉḏṟam ām poruḷ), che significa ‘la sostanza che è tutto’ o ‘पूर्ण वस्तु’ (pūrṇa vastu), come è chiamato in Sanscrito, ed essa risplende eternamente senza mai comparire o scomparire, essendo quindi la sorgente e la base per la comparsa e la scomparsa della mente e del mondo.

Ciò che Bhagavan intende esattamente quando dice ‘உலகு அறிவு தன்னால் ஒளிரும்’ (ulahu aṟivu-taṉṉāl oḷirum), ‘il mondo risplende per mezzo della mente’? Poiché esso è jaḍa (non-cosciente o privo di consapevolezza) il mondo non può essere consapevole di se stesso o di qualsiasi altra cosa, così parlando metaforicamente esso non può ‘risplendere’ da se stesso. Poiché è sperimentato o conosciuto solo per mezzo della mente, egli dice che esso risplende o è illuminato solo da questa luce di consapevolezza riflessa che chiamiamo la nostra mente o ego. Proprio come un’immagine cinematografica risplende per la luce nel proiettore ma scomparirebbe nella luce splendente del sole, il mondo risplende per la luce riflessa chiamata mente ma scomparirebbe nella luce originale, che è la pura auto-consapevolezza che noi siamo realmente.

5. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 22: questa luce riflessa deve ritornare all’interno e fondersi nella sua sorgente

Come abbiamo visto, la luce originale che illumina la nostra mente è noi stessi, che siamo pura e infinita auto-consapevolezza, ma come la pura auto-consapevolezza che siamo realmente, siamo consapevoli di nient’altro che noi stessi. Quindi quando sorgiamo come questa mente o ego, cessiamo apparentemente di sperimentare noi stessi come pura auto-consapevolezza e ci sperimentiamo invece come una consapevolezza limitata che sperimenta altre cose oltre a noi stessi. Questa consapevolezza limitata chiamata mente o ego non è dunque la nostra luce originale di pura auto-consapevolezza ma solo un riflesso o un’immagine limitata e distorta di essa.

Mentre la luce originale che siamo realmente non è mai consapevole di qualcosa diversa da noi stessi, la luce riflessa chiamata mente o ego non è mai consapevole soltanto di se stessa, ma è sempre consapevole di se stessa oltre ad altre cose. Così usiamo costantemente questa luce riflessa che ora sperimentiamo come noi stessi per sperimentare altre cose, che sembrano esistere solo perché sono illuminate da questa luce riflessa. Quindi per sperimentare noi stessi come la pura auto-consapevolezza che siamo realmente, dobbiamo cessare di usare questa luce riflessa per sperimentare altre cose e dobbiamo invece cercare di usarla per sperimentare soltanto noi stessi, In altre parole, dobbiamo cercare di rivolgere e deviare questa luce riflessa indietro alla sua sorgente, noi stessi.

Questo è ciò che Bhagavan ci insegna nel verso 22 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
மதிக்கொளி தந்தம் மதிக்கு ளொளிரு
மதியினை யுள்ளே மடக்கிப் — பதியிற்
பதித்திடுத லன்றிப் பதியை மதியான்
மதித்திடுக லெங்ஙன் மதி.

matikkoḷi tandam matikku ḷoḷiru
matiyiṉai yuḷḷē maḍakkip — patiyiṯ
padittiḍuda laṉḏṟip patiyai matiyāṉ
matittiḍuda leṅṅaṉ mati
.

பதச்சேதம்: மதிக்கு ஒளி தந்து, அம் மதிக்குள் ஒளிரும் மதியினை உள்ளே மடக்கி பதியில் பதித்திடுதல் அன்றி, பதியை மதியால் மதித்திடுதல் எங்ஙன்? மதி.

Padacchēdam (separazione delle parole): matikku oḷi tandu, am-matikkuḷ oḷirum matiyiṉai uḷḷē maḍakki patiyil padittiḍudal aṉḏṟi, patiyai matiyāl matittiḍudal eṅṅaṉ? mati.

அன்வயம்: மதிக்கு ஒளி தந்து, அம் மதிக்குள் ஒளிரும் பதியில் மதியினை உள்ளே மடக்கி பதித்திடுதல் அன்றி, பதியை மதியால் மதித்திடுதல் எங்ஙன்? மதி.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): matikku oḷi tandu, am-matikkuḷ oḷirum patiyil matiyiṉai uḷḷē maḍakki padittiḍudal aṉḏṟi, patiyai matiyāl matittiḍudal eṅṅaṉ? mati.

Traduzione: Considera, tranne che rivolgendo la mente all’interno e immergendola in Dio, che risplende dentro quella mente dando luce alla mente, come conoscere Dio con la mente?
La parola பதி (pati) significa signore, maestro o sovrano ed è spesso usata per riferirsi a Dio, particolarmente nella forma del Signore Siva, ma in questo contesto significa Dio nel senso di brahman, l’unica realtà infinita, che è il nostro sé reale. In altre parole, essa si riferisce alla pura auto-consapevolezza che siamo realmente, che è la luce originale per mezzo della quale la nostra mente è illuminata, come Bhagavan indica dicendo ‘மதிக்கு ஒளி தந்து, அம் மதிக்குள் ஒளிரும்’ (matikku oḷi tandu, am-matikkuḷ oḷirum), che è una proposizione relativa che descrive பதி (pati) e che significa ‘che [o chi] risplende dentro quella mente dando luce alla mente’.

Benché l’idea centrale in questo verso è espressa come una domanda retorica, essa implica chiaramente che non possiamo conoscere Dio (il nostro sé reale) con la nostra mente in nessun altro modo tranne che rivolgendola all’interno ed immergendola nella sua sorgente, la luce originale di pura auto-consapevolezza dalla quale essa trae la sua luce riflessa di consapevolezza limitata.

Se abbiamo uno specchio, lo possiamo usare per riflettere la luce del sole in una caverna oscura per vedere qualunque cosa c’è al suo interno, ma se rivolgiamo lo specchio verso il sole, il raggio li luce riflesso da esso si fonderà e scomparirà nella luce diretta del sole. Nello stesso modo, se rivolgiamo la nostra attenzione o mente lontano da tutte le altre cose, per guardare soltanto verso noi stessi, essa si fonderà e scomparirà nella nostra luce originale di pura auto-consapevolezza.

Quindi benché Bhagavan parli qui di ‘பதியை மதியால் மதித்திடுதல்’ (patiyai matiyāl matittiḍudal), che significa ‘conoscere [misurare o accertarsi di] Dio con la mente’, non possiamo realmente conoscerlo con la nostra mente, perché quando tentiamo di farlo la nostra mente si fonderà in lui e cesserà di esistere come un’entità separata. Quindi ciò che infine conoscerà Dio (il nostro sé reale) è solo Dio stesso, che sempre conosce se stesso e nient’altro che se stesso. Quindi il risultato finale della nostra auto-investigazione non sarà conoscere qualcosa che non conosciamo già, ma sarà solo perdere tutta la nostra altra conoscenza (o conoscenza apparente) perdendo l’illusione fondamentale di essere questa mente o ego.

6. La metafora della luce

Proprio come abbiamo bisogno di luce fisica per vedere qualsiasi cosa, sia la sorgente di quella luce che qualsiasi altra cosa illuminata da essa, abbiamo bisogno della luce della consapevolezza per sperimentare o essere consapevoli di qualsiasi cosa, sia noi stessi (la sorgente di questa luce) che qualsiasi altra cosa illuminata da essa. Quindi la luce è una metafora appropriata per la consapevolezza o coscienza, ed è stata usata come tale nella letteratura spirituale e filosofica da tempo immemorabile.

Anche la luce fisica è illuminata solo dalla luce della nostra mente, perché senza la consapevolezza che chiamiamo mente fisica la luce non sarebbe mai vista e non potrebbe essere sperimentata o conosciuta. Ugualmente, la luce della nostra mente è illuminata solo dalla luce della nostra auto-consapevolezza, perché prima di poter essere consapevoli di ogni altra cosa dobbiamo essere consapevoli di noi stessi. L’auto-consapevolezza è quindi la forma originale di consapevolezza e dunque la luce originale, la luce per mezzo della quale tutte le altre luci sono conosciute, ed è la sorgente dalla quale la nostra luce mentale (la consapevolezza con cui tutte le altre cose sono conosciute) ha origine.

Parlando metaforicamente, quindi, possiamo descrivere la nostra mente o ego come una luce riflessa, in primo luogo perché non è la luce originale di pura auto-consapevolezza ma solo una propaggine o raggio che emana da essa, e in secondo luogo perché essa non può scaturire senza prima essere riflessa tramite il mezzo di un corpo, che sperimenta come se stessa. Un’analogia usata qualche volta per illustrare questo è la luce lunare. La luce che vediamo scaturire dalla luna non ha origine da essa ma è solo riflessa da essa. Nello stesso modo, la luce di consapevolezza che sperimentiamo risplendere nel nostro corpo non ha origine da esso ma è solo riflessa da esso.

Proprio come la luce che vediamo risplendere nella luna ha origine solo dal sole, così la luce (la nostra mente) che sperimentiamo risplendere nel nostro corpo origina solo dalla nostra pura auto-consapevolezza, che è ciò che siamo realmente. Benché la luce lunare è debole in confronto alla luce solare, in assenza di luce solare diretta è sufficiente per rendere visibili le cose sulla terra. Nello stesso modo, sebbene la luce della consapevolezza mentale è debole in confronto alla luce originale di pura auto-consapevolezza, è sufficiente per permetterci di sperimentare altre cose ma non sufficiente per permetterci di sperimentare noi stessi come siamo realmente. E proprio come la luce lunare non può illuminare qualcosa in pieno giorno, la nostra mente non può sperimentare qualcosa (o se stessa o ogni altra cosa) quando sperimentiamo l’accecante luce dell’auto-consapevolezza assolutamente pura. In altre parole, proprio come la luce lunare scompare quando appare la luce solare, la debole luce della nostra mente scomparirà quando sperimenteremo la chiara luce della pura auto-consapevolezza.

Proprio come la ‘luce’ è usata come una metafora per riferirsi alla consapevolezza o coscienza, ‘risplendere’ è usata come una metafora per riferirsi all’essere consapevole, e ‘risplendente’, ‘illuminante’ e ‘rischiarante’ sono usate come metafore per riferirsi all’essere sperimentato dalla consapevolezza. In questa connessone un termine che è stato usato spesso da Bhagavan è svayamprakāśa, che significa ‘auto-risplendente’ o ‘auto-luminoso’, e che quindi implica essere auto-consapevole. La sola cosa che è veramente auto-risplendente è la pura auto-consapevolezza che noi siamo realmente, perché sebbene la nostra mente sembri essere auto-risplendente, non lo è realmente, poiché la sua auto-consapevolezza è solo un riflesso impuro e limitato della nostra auto-consapevolezza originale, che è sia pura che infinita. In altre parole, la nostra mente non è auto-risplendente, perché essa risplende non con qualche luce che ha origine da essa, ma solo per mezzo della luce di pura auto-consapevolezza, di cui essa è solo un riflesso scarso e insufficiente.

Poiché la consapevolezza che noi siamo realmente è qualcosa di estremamente astratto, e poiché il mezzo con cui possiamo conoscere noi stessi come siamo realmente è ugualmente estremamente astratto, stiamo trattando un soggetto che non può mai essere adeguatamente espresso a parole, che sono strumenti che abbiamo sviluppato per esprimere le caratteristiche relativamente grossolane dei contenuti della nostra consapevolezza mentale – cioè, le cose che sperimentiamo per mezzo della nostra mente. Quindi termini metaforici e analogie, sebbene ancora relativamente grezzi, sono spesso i mezzi più facili e più efficaci con cui possiamo tentare di esprimere questo soggetto inesprimibile. Questo è il motivo per cui gli insegnamenti di Bhagavan e la letteratura spirituale in generale sono ricchi di metafore e analogie, e anche il motivo per cui, quando leggiamo i suoi insegnamenti, dobbiamo vedere oltre il significato letterale o superficiale delle sue parole per comprendere ciò che è inteso o implicito in esse.

7. Per mezzo dell’auto-investigazione il raggio riflesso si contrarrà all’indietro nella sua sorgente

Dopo aver considerato tutto ciò che abbiamo esaminato in questo articolo, dovremmo ora essere in una posizione migliore per comprendere l’idea espressa da Sri Sadhu Om nel verso 9 di Sādhanai Sāram:
Se qualcuno chiede qual è la ragione per cui esso [l’ego] viene distrutto quando si investiga cosa sono io, [è perché] l’aham-vṛtti [consapevolezza-ego] chiamato ‘io’ è un raggio [riflesso] di jñāṉa [pura auto-consapevolezza]. Quando insieme con il raggio chiamato ‘io’ l’investigazione [attenzione o sguardo investigante] va sempre più all’interno, essendo ridotta [ed alla fine distrutta] la misura [o la lunghezza] del raggio chiamato ‘io’, [ciò che allora rimane come] ‘io’ sarà davvero jñāṉa [pura auto-consapevolezza].
Quando investighiamo noi stessi rivolgendo la nostra attenzione all’interno e osservando accuratamente noi stessi, il nostro ego inizia a sprofondare, perché esso può sorgere e reggersi solo dando attenzione ad altre cose, così quando esso cerca di dare attenzione soltanto a se stesso sprofonderà, non avendo niente da impugnare per sopravvivere. Lo sprofondare del nostro ego come risultato del nostro sguardo vigile rivolto ad esso è come risalire un raggio di luce fino alla sua sorgente. Mentre ci muoviamo lungo il raggio per scoprire la sua origine, la sua lunghezza si contrare, e quando finalmente raggiungiamo la sua sorgente esso sarà stato ridotto a niente. Nello stesso modo, mentre guardiamo attentamente il nostro ego, esso si contrarrà, conducendoci sempre più in profondità dentro noi stessi finché raggiungeremo e ci fonderemo nella nostra sorgente, la pura auto-consapevolezza che sempre siamo realmente.

Quindi tutto quello che abbiamo bisogno di fare per sperimentare noi stessi come siamo realmente è di osservare in modo vigilante il nostro ego finché esso sprofonda completamente ed è quindi assorbito all’interno e interamente consumato dalla luce di pura auto-consapevolezza infinitamente brillante e che acceca la mente. Ciò che allora rimarrà sarà solo noi stessi, privi di tutte le aggiunte che, insieme a noi stessi, costituiscono il nostro ego.

In altre parole, se osserviamo attentamente l’ego che ora sperimentiamo come noi stessi, ci separeremo gradualmente da tutte le aggiunte con cui siamo ora mischiati, e quando questa separazione sarà completa, cesseremo di sperimentarci come questo ego illusorio e sperimenteremo invece noi stessi come siamo realmente, che è pura auto-consapevolezza, incontaminata anche dalla minima consapevolezza di qualsiasi altra cosa. Questa è l’esperienza di ātma-jñāṉa o vera auto-conoscenza, che è la nostra reale natura – ciò che sempre siamo realmente.

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