Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

sabato 4 giugno 2016

Qual è la logica per credere che la felicità è ciò che siamo realmente?

Michael James

31 Maggio 2016
What is the logic for believing that happiness is what we actually are?

In un commento al mio articolo precedente, Come attendere a noi stessi?, un amico di nome Sundar si è riferito alla mia risposta al suo commento precedente e ha scritto, ‘Non hai spiegato la logica con cui tu dici che possiamo ricevere pace e felicità infinite quando riusciamo ad essere attentivamente consapevoli soltanto di noi stessi’, e circa l’argomentazione di Bhagavan che possiamo comprendere che la felicità è la nostra reale natura perché nel sonno siamo perfettamente felici semplicemente essendo consapevoli di niente altro che noi stessi, egli ha obiettato, ‘Posso solo essere certo di aver avuto un sonno con sogni. Poiché posso ricordare alcuni di questi sogni al mattino. Ma, non posso essere sicuro di aver anche avuto un sonno senza sogni. Quindi, non posso parlare di un tempo 'perfettamente felice’ durante il sonno senza sogni’. Questo articolo è quindi indirizzato a lui in risposta a questo suo commento.
  1. Nāṉ Yār? paragrafo 1: un riassunto delle argomentazioni che la felicità è la nostra reale natura
  2. Poiché ci piace essere felici, la felicità è ciò che causa l’amore, così amiamo noi stessi perché noi stessi siamo felicità
  3. Ora siamo consapevoli di noi stessi come una persona costituita da un corpo e una mente, ma siamo realmente questa persona?
  4. Per riconoscere che siamo consapevoli mentre dormiamo, dobbiamo distinguere la consapevolezza intransitiva da quella transitiva
  5. Quando Bhagavan ha detto ‘Solo la consapevolezza è io’, la consapevolezza a cui si stava riferendo è solo la pura consapevolezza intransitiva
  6. சுட்டறிவு (suṭṭaṟivu) è consapevolezza transitiva, e ciò che è transitivamente consapevole è solo il nostro ego
  7. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 25: ‘afferrare la forma’ significa essere transitivamente consapevoli
  8. Nel sonno siamo intransitivamente consapevoli anche se non siamo consapevoli di nessun fenomeno
  9. La sorgente di tutta l’energia è solo noi stessi, che siamo pura consapevolezza intransitiva, così la nostra mente può recuperare la sua energia solo quando, nel sonno, rimaniamo soltanto intransitivamente consapevoli
  10. Noi stessi siamo felicità, perché nel sonno sperimentiamo felicità in assenza di ogni altra cosa, così per godere di quella felicità dobbiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente
1. Nāṉ Yār? paragrafo 1: un riassunto delle argomentazioni che la felicità è la nostra reale natura

Bhagavan non ha vuto alcun bisogno di logica per conoscere che la felicità infinita è la nostra reale natura, perché questa è stata la propria esperienza diretta di sé stesso. Tuttavia, poiché ora sembriamo sperimentare noi stessi come qualcosa diversa dalla anādi ananta akhaṇḍa sat-cit-ānanda (esistenza-consapevolezza-felicità senza inizio, senza limiti e indivisa) che siamo realmente, egli ci diede alcune argomentazioni logiche per permetterci di riconoscere, sulla base della nostra attuale esperienza, che la felicità è ciò che siamo realmente, e ha delineato questi argomenti nel primo paragrafo di Nāṉ Yār?:
சகல ஜீவர்களும் துக்கமென்ப தின்றி எப்போதும் சுகமாயிருக்க விரும்புவதாலும், யாவருக்கும் தன்னிடத்திலேயே பரம பிரிய மிருப்பதாலும், பிரியத்திற்கு சுகமே காரண மாதலாலும், மனமற்ற நித்திரையில் தின மனுபவிக்கும் தன் சுபாவமான அச் சுகத்தை யடையத் தன்னைத் தானறிதல் வேண்டும். அதற்கு நானார் என்னும் ஞான விசாரமே முக்கிய சாதனம்.

sakala jīvargaḷum duḥkham-eṉbadu iṉḏṟi eppōdum sukhamāy-irukka virumbuvadālum, yāvarukkum taṉ-ṉ-iḍattilēyē parama piriyam iruppadālum, piriyattiṟku sukhamē kāraṇam ādalālum, maṉam-aṯṟa niddiraiyil diṉam aṉubhavikkum taṉ subhāvam-āṉa a-c-sukhattai y-aḍaiya-t taṉṉai-t tāṉ aṟidal vēṇḍum. adaṟku nāṉār eṉṉum ñāṉa-vicāramē mukkhiya sādhaṉam.

Poiché a tutti gli esseri viventi piace essere sempre felici senza sofferenza, poiché il più grande amore per chiunque è solo per sé stessi, e poiché solo la felicità è la causa dell’amore, [per] realizzare quella felicità che è la propria natura, che uno sperimenta quotidianamente nel sonno [senza sogni], che è privo di mente, è necessario che sé stesso conosca sé stesso. Per questo, solo jñāna-vicāra [auto-investigazione o investigazione della propria consapevolezza] ‘chi sono io’ è il mezzo principale.
Diversamente dagli altri paragrafi di Nāṉ Yār?, questo primo paragrafo non ha avuto origine dalle risposte che Bhagavan ha dato alle domande poste da Sivaprakasam Pillai, ma è stato da lui aggiunto quando ha riscritto queste risposte nella forma di un saggio, e ciò che ha scritto nella prima frase di questo paragrafo è stato adattato dalla prima frase dell’introduzione (avatārikai) che egli aveva precedentemente scritto per la sua traduzione in Tamil del Vivēkacūḍāmaṇi.

La logica comporta il trarre una conclusione da certe premesse, così per comprendere la semplice logica che supporta la conclusione che la felicità è la nostra reale natura dobbiamo essere in grado di riconoscere la verità delle premesse dalle quali possiamo logicamente trarre questa conclusione. Nella prima frase di questo paragrafo Bhagavan ci fornisce due serie di premesse, da ciascuna delle quali egli trae la stessa conclusione per le ragioni che discuterò più ampiamente in questo articolo, in modo particolare nella sezione successiva e in quella finale.

2. Poiché ci piace essere felici, la felicità è ciò che causa l’amore, così amiamo noi stessi perché noi stessi siamo felicità

La prima serie di premesse è che a tutti noi piace essere sempre felici, che ciascuno di noi ha amore più grande per noi stessi che per qualsiasi altra cosa, e che l’amore è causato solo dalla felicità. Sei d’accordo con queste premesse? Presumo che la maggior parte di noi sarebbe d’accordo sul fatto che ci piace essere sempre felici e che abbiamo più amore per noi stessi che per qualsiasi altra cosa, ma alcuni di noi possono non aver considerato precedentemente il fatto che ciò che causa l’amore è solo la felicità. Ciò che Bhagavan intende farci comprendere con questa affermazione ‘பிரியத்திற்கு சுகமே காரணம்’ (piriyattiṟku sukhamē kāraṇam), che significa ‘solo la felicità è la causa dell’amore’, è che la felicità è ciò che ci motiva ad amare qualsiasi cosa. Cioè, se amiamo qualcosa (sia una persona, un luogo, un oggetto materiale, un’esperienza o qualunque cosa), l’amiamo solo perché crediamo o speriamo che essa può darci qualche forma di felicità.

Cosa deduciamo logicamente da queste premesse? Ciascuna di queste tre premesse è logicamente connessa con le altre due sia individualmente che collettivamente. Per esempio, la prima premessa è logicamente connessa con la terza perché la ragione per cui la felicità è la causa dell’amore è che ci piace essere felici, così amiamo qualunque cosa può essere in grado di contribuire in qualche modo alla nostra felicità. Ma chi ci piace che sia felice? Primariamente ci piace che noi stessi siamo felici, così è per noi stessi che vogliamo felicità. Possiamo anche volere che i nostri amici, la famiglia e altri siano felici, ma il nostro desiderio per la loro felicità è intimamente connesso con il nostro desiderio per la nostra felicità, perché sapendo che coloro che amiamo o che abbiamo a cuore sono felici ci fa sentire felici. Qualche volta può sembrare che sacrifichiamo la nostra felicità per rendere felici altri, ma facciamo questo perché crediamo che il renderli felici ci renderà più felici di quanto lo saremmo se non sacrificassimo qualsiasi cosa abbiamo scelto di sacrificare.

Da queste considerazioni ci dovrebbe essere chiaro che ciò che amiamo più di tutto è solo noi stessi. Poiché amiamo noi stessi, vogliamo essere felici. Ma perché amiamo così tanto noi stessi? Poiché ‘solo la felicità è la causa dell’amore’, possiamo dedurre logicamente che amiamo noi stessi perché noi stessi siamo felicità. Se la nostra vera natura fosse essere sempre infelici, non ameremmo noi stessi, ma poiché la nostra vera natura è la felicità eterna ed infinita, amiamo noi stessi sopra tutte le altre cose, e amiamo altre cose solo nella misura in cui esse sembrano in grado di contribuire in un modo o in un altro alla nostra felicità.

3. Ora siamo consapevoli di noi stessi come una persona costituita da un corpo e una mente, ma siamo realmente questa persona?

In ogni modo, se essere eternamente e infinitamente felici è la nostra vera natura, perché non sembriamo essere così perfettamente felici? Se la felicità è ciò che siamo realmente, la sola spiegazione logica per la nostra apparente mancanza di felicità deve essere che attualmente non siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente.

Siamo sempre consapevoli di noi stessi, ma attualmente siamo consapevoli di noi stessi come una persona limitata costituita di un corpo e una mente, e come tali non sembriamo essere perfettamente felici. Di fatto come questa persona a volte sembriamo molto infelici, e qualunque felicità sperimentiamo in qualsiasi momentoo è molto fragile, perché può facilmente essere disturbata da un cambiamento nelle nostre circostanze, siano esse circostante materiali o mentali ed emozionali. Ma siamo questa persona che ora sembriamo essere? Una delle caratteristiche chiave di questa persona è il suo corpo, ma sebbene nel nostro stato attuale, che prendiamo come il nostro stato di veglia, sembriamo essere questo corpo, ogni volta che sogniamo qualche altro sogno non siamo consapevoli di noi stessi come questo corpo ma come qualche altro corpo, così poiché nel sogno siamo consapevoli di noi stessi senza essere consapevoli di questo corpo, questo corpo non può essere ciò che siamo realmente.

Ora crediamo che qualunque corpo abbiamo sperimentato come noi stessi in un sogno era solo una proiezione mentale, un’invenzione della nostra immaginazione, così esso non esiste indipendentemente dalla nostra consapevolezza di esso. Tuttavia, quando stiamo realmente sognando, sembriamo essere svegli, e qualunque corpo che sembra essere noi stessi non sembra una proiezione mentale ma un reale corpo fisico. È solo dopo che ci svegliamo o passiamo ad un altro sogno che siamo in grado di riconoscere che il nostro stato precedente era un sogno, e che qualunque corpo sembravamo essere mentre sperimentavamo quel sogno non era realmente un corpo fisico ma solo una proiezione mentale.

Quindi, poiché ogni volta che stiamo sognando sembriamo essere svegli, e poiché qualunque corpo che in quel momento sperimentiamo come se fosse noi stessi sembra essere fisico, come possiamo essere sicuri che il nostro stato attuale non sia solo un altro sogno? Se questo è solo un altro sogno, l’apparente corpo fisico che ora sperimentiamo come se fosse noi stessi non è realmente fisico ma solo una proiezione mentale, e quindi non esiste indipendentemente dalla nostra consapevolezza di esso.

Che qualunque corpo che sperimentiamo come noi stessi in ognuno di questi stati sia realmente fisico o solo una creazione mentale, noi siamo consapevoli di noi stessi come ciascuno di questi corpi nel suo stato rispettivo e non in qualche altro stato, così poiché siamo consapevoli di noi stessi in tutti questi stati, nessuno dei corpi che sperimentiamo come noi stessi in ognuno di essi può essere ciò che siamo realmente. Se qualcuno di questi corpi fosse realmente noi stessi, non potremmo essere consapevoli di noi stessi senza essere consapevoli di esso, così poiché in ciascun stato non siamo consapevoli di noi stessi come qualcuno dei corpi che sembriamo essere in ogni altro stato, nessuno di questi corpi può essere noi stessi.

Quindi noi non siamo qualunque corpo possiamo sembrare essere. Tuttavia, sebbene sembriamo essere un corpo differente in ciascun stato di sogno o in ciascun stato che sembra essere il nostro stato di veglia, sembriamo essere la stessa mente in tutti questi stati, così questa mente potrebbe essere ciò che siamo realmente? Se avessimo sperimentato solo stati di veglia o di sogno, non avremmo prova che questa mente non è noi stessi, perché saremmo consapevoli di noi stessi come questa mente in tutti questi stati.

4. Per riconoscere che siamo consapevoli mentre dormiamo, dobbiamo distinguere la consapevolezza intransitiva da quella transitiva

Tuttavia la veglia e il sogno non sono i soli stati che sperimentiamo, perché sperimentiamo anche un altro stato chiamato sonno, in cui non siamo consapevoli di alcuna mente, corpo, mondo o ogni altro fenomeno di qualsiasi genere. Poiché nel sonno non siamo consapevoli di niente, le persone generalmente deducono che il sonno è uno stato di completa incoscienza, ma questa deduzione è il risultato di non considerare abbastanza attentamente e criticamente ciò che la consapevolezza o coscienza è realmente.

Per essere consapevoli di qualsiasi cosa abbiamo bisogno di essere consapevoli ma per essere consapevoli non abbiamo bisogno di essere consapevoli di qualcosa tranne che di noi stessi. Sia che siamo consapevoli di qualsiasi altra cosa o meno, siamo sempre consapevoli di noi stessi, perché essere consapevoli comporta essere consapevoli che siamo consapevoli, ed essere consapevoli che siamo consapevoli comporta essere consapevoli di noi stessi, quello che è consapevole. Ogni volta che siamo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, siamo consapevoli di noi stessi come il soggetto e di qualunque altra cosa di cui siamo consapevoli come l’oggetto, ma ogni volta che non siamo consapevoli di qualsiasi altra cosa, nondimeno siamo ancora consapevoli di noi stessi, sebbene non come il soggetto, perché sembriamo essere il soggetto (questo ego) solo quando siamo consapevoli di qualche oggetto, così quando non siamo consapevoli che di noi stessi, siamo consapevoli di noi stessi solo come pura auto-consapevolezza, che è ciò che siamo realmente (perché la sola cosa di cui siamo sempre consapevoli è noi stessi, e qualsiasi cosa di cui non siamo sempre consapevoli non può essere ciò che siamo realmente).

Proprio come nella grammatica un verbo è detto essere transitivo quando prende un oggetto diretto e intransitivo quando non prende un oggetto diretto, essere consapevoli di oggetti (cioè, di qualsiasi cosa diversa da sé stessi) è chiamata consapevolezza transitiva (o coscienza transitiva), mentre solo essere consapevoli (che si sia anche consapevoli di qualche oggetto o no) è chiamata consapevolezza intransitiva (o coscienza intransitiva). Poiché dobbiamo essere consapevoli per essere consapevoli di qualche oggetto, la consapevolezza transitiva non può esistere indipendentemente dalla consapevolezza intransitiva, ma poiché possiamo essere consapevoli senza essere consapevoli di qualche oggetto (come siamo nel sonno), la consapevolezza intransitiva può esistere ed esiste indipendentemente dalla consapevolezza transitiva, così la natura essenziale e la forma fondamentale della consapevolezza è solo la consapevolezza intransitiva.

Ogni volta che siamo transitivamente consapevoli (come siamo ogni volta che stiamo sognando o sembriamo essere svegli), siamo anche intransitivamente consapevoli, ma anche quando non siamo transitivamente consapevoli (come nel sonno), siamo ancora intransitivamente consapevoli. Quindi la consapevolezza intransitiva è permanente e quindi reale, mentre la consapevolezza transitiva è impermanente e quindi irreale, perché essa appare nella veglia e nel sogno e scompare nel sonno. Solo ciò che esiste e risplende in tutti questi tre stati può essere reale, e quella è solo la consapevolezza intransitiva, così solo essa è ciò che siamo realmente.

5. Quando Bhagavan ha detto ‘Solo la consapevolezza è io’, la consapevolezza a cui si stava riferendo è solo la pura consapevolezza intransitiva

Quindi quando Bhagavan ha risposto ‘அறிவே நான்’ (aṟivē nāṉ), che significa ‘Solo la consapevolezza è io’, nella risposta alla prima domanda che Sivaprakasam Pillai gli ha chiesto, vale a dire ‘நானார்?’ (nāṉ-ār?), che significa ‘Chi sono io?’ o ‘Io sono chi?’, ciò che egli intendeva con il termine அறிவே (aṟivē), che è una forma intensificata di அறிவு (aṟivu) e quindi significa ‘soltanto consapevolezza’ o ‘solo consapevolezza’, è solo consapevolezza intransitiva e non qualche forma di consapevolezza transitiva. La seconda domanda che Sivaprakasam Pillai poi gli ha chiesto era ‘அறிவின் சொரூப மென்ன?’ (aṟiviṉ sorūpam eṉṉa?), che significa ‘Qual è la natura della consapevolezza?’, a cui Bhagavan ha risposto ‘சச்சிதானந்தம்’ (saccidāṉandam), che significa ‘essere-consapevolezza-felicità’ (sat-cit-ānanda), e che quindi implica che la consapevolezza intransitiva, che sola è ‘io’, non è solo consapevolezza o coscienza (cit) ma anche esistenza (sat) o ciò che esiste realmente (uḷḷadu) e felicità (ānanda).

Questa semplice risposta che Bhagavan ha dato alla prima domanda che gli è stata chiesta da Sivaprakasam Pillai, vale a dire ‘அறிவே நான்’ (aṟivē nāṉ), ‘Solo la consapevolezza è io’, è la vera pietra angolare dei suoi insegnamenti, così comprendere chiaramente tutte le sue implicazioni ed essere fermamente convinti della sua verità è essenziale se desideriamo seguire il sentiero che egli ci ha mostrato. E per comprenderla chiaramente e correttamente, abbiamo bisogno di comprendere la distinzione tra la consapevolezza intransitiva, che sola è ciò che siamo realmente, e la consapevolezza transitiva, che è la natura del nostro ego o mente e non del nostro sé reale.

6. சுட்டறிவு (suṭṭaṟivu) è consapevolezza transitiva, e ciò che è transitivamente consapevole è solo il nostro ego

Per distinguere chiaramente la consapevolezza transitiva dalla pura consapevolezza intransitiva che siamo realmente, Bhagavan ha spesso usato il termine சுட்டறிவு (suṭṭaṟivu) o சுட்டுணர்வு (suṭṭuṇarvu) per riferirsi alla consapevolezza transitiva o a ciò che è transitivamente consapevole, vale a dire il nostro ego o mente (come registrato da Sri Muruganar in molti versi di Guru Vācaka Kōvai, come i versi 39, 115, 184, 185, 419, 420, 423, 550, 638, 644, 646, 691, 854, 899, 1000, 1023, 1074, 1113, 1224 and 1247), e qualche volta ha usato anche i verbi சுட்டறி (suṭṭaṟi) o சுட்டுணர் (suṭṭuṇar), che significa essere transitivamente consapevoli (cioè, consapevoli di cose diverse da sé stessi).

சுட்டறிவு (suṭṭaṟivu) e சுட்டுணர்வு (suṭṭuṇarvu) sono ciascuna un composto di due parole, சுட்டு (suṭṭu) e அறிவு (aṟivu) o உணர்வு (uṇarvu). In questo contesto அறிவு (aṟivu) e உணர்வு (uṇarvu) significano entrambi consapevolezza o coscienza, essendo sostantivi derivati rispettivamente dai verbi அறி (aṟi) e உணர் (uṇar), che significano sapere, percepire, conoscere, sperimentare o essere consapevoli, e சுட்டு (suṭṭu) che significa indicare, puntare, mostrare, far vedere o mirare a, così sia சுட்டறிவு (suṭṭaṟivu) che சுட்டுணர்வு (suṭṭuṇarvu) significano letteralmente ‘consapevolezza che indica’ o ‘consapevolezza che mostra’ (cioè, consapevolezza che indica, mostra, mira a conosce cose diverse da sé stessa), e quindi implicano consapevolezza transitiva o conoscitrice di oggetti.

Poiché siamo transitivamente consapevoli solo nella veglia e nel sogno e non nel sonno, la consapevolezza transitiva o சுட்டறிவு (suṭṭaṟivu) non è ciò che siamo realmente. È solo un’aggiunta estranea, perché è qualcosa che sembriamo essere solo quando sorgiamo come questo ego. Quindi ciò che è transitivamente consapevole è solo noi stessi come questo ego e non noi stessi come siamo realmente. Come siamo realmente, siamo solo pura consapevolezza intransitiva, perché siamo sempre intransitivamente consapevoli, sia che sembriamo anche essere transitivamente consapevoli o meno.

7. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 25: ‘afferrare la forma’ significa essere transitivamente consapevoli

Poiché ciò che è transitivamente consapevole è solo il nostro ego, சுட்டறிவு (suṭṭaṟivu) o consapevolezza transitiva è un altro nome per questo ego. Sembriamo essere questo ego solo quando siamo transitivamente consapevoli, come siamo nella veglia e nel sogno, e poiché essere transitivamente consapevoli significa essere consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi (cioè, qualunque oggetto o fenomeno), Bhagavan ci ha insegnato che sorgiamo e duriamo come questo ego (il soggetto) solo essendo transitivamente consapevoli, come ha inteso chiaramente nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உருப்பற்றி யுண்டா முருப்பற்றி நிற்கு
முருப்பற்றி யுண்டுமிக வோங்கு — முருவிட்
டுருப்பற்றுந் தேடினா லோட்டம் பிடிக்கு
முருவற்ற பேயகந்தை யோர்.

uruppaṯṟi yuṇḍā muruppaṯṟi niṟku
muruppaṯṟi yuṇḍumiha vōṅgu — muruviṭ
ṭuruppaṯṟun tēḍiṉā lōṭṭam piḍikku
muruvaṯṟa pēyahandai yōr
.

பதச்சேதம்: உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும், உரு அற்ற பேய் அகந்தை. ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṟkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum, uru aṯṟa pēy ahandai. ōr.

அன்வயம்: உரு அற்ற பேய் அகந்தை உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும். ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): uru aṯṟa pēy ahandai uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṟkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum. ōr.

Traduzione: Afferrando la forma, il fantasma-ego senza forma sorge in essere; afferrando la forma si regge; afferrando e nutrendosi di forma cresce [si diffonde, si espande, aumenta, si innalza o prospera] abbondantemente; lasciando [una] forma, afferra [un’altra] forma. Se cercato [esaminato o investigato], prenderà il volo. Investiga [o conosci di conseguenza].
Poiché l’ego è un ‘உருவற்ற பேய்’ (uru-v-aṯṟa pēy) o ‘fantasma senza forma’, tutte le forme che esso afferra sono cose diverse da sé stesso, e poiché esso non ha mani, braccia o altri arti, il solo mezzo con cui può afferrare tali cose è dando ad esse attenzione e quindi essendo consapevole di esse. Cioè, quando diamo attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi la stiamo con questo afferrando nella nostra consapevolezza, e afferrare tali cose in questo modo è ciò che Bhagavan intende qui con il termine ‘உரு பற்றி’ (uru paṯṟi) o ‘afferrare la forma’. Quindi in questo contesto ‘afferrare la forma’ significa dare attenzione e quindi essere consapevoli di cose diverse da noi stessi.

Poiché essere consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi è essere transitivamente consapevoli, quando Bhagavan dice che questo ego sorge in essere, si regge, si nutre e in questo modo prospera solo ‘afferrando la forma’, egli intende che è solo essendo transitivamente consapevoli che facciamo sorgere, nutriamo e sosteniamo l’illusione di essere questo ego. Se non fossimo transitivamente consapevoli, non sembreremmo essere questo ego, così சுட்டறிவு (suṭṭaṟivu) o consapevolezza transitiva è la vera natura di questo ego.

Essere transitivamente consapevoli è quindi la causa radice di tutti i nostri problemi, così per liberare completamente noi stessi dalla consapevolezza transitiva e da tutti i problemi che risultano da essa dobbiamo sforzarci di essere solo intransitivamente consapevoli – cioè, consapevoli senza essere consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi – cosa che possiamo realizzare solo cercando di attendere solo a noi stessi. Poiché sembriamo essere questo ego solo finché siamo transitivamente consapevoli, se dirigiamo la nostra attenzione soltanto verso noi stessi e quindi cessiamo di essere transitivamente consapevoli, questo ego sprofonderà e scomparirà. Questo è ciò che Bhagavan intende quando dice in questo verso, தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும்’ (tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum), che significa ‘Se cercato [esaminato o investigato], esso [questo ego] prenderà il volo’.

Così finché siamo transitivamente consapevoli (consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi), stiamo con questo ‘afferrando la forma’ e quindi sembriamo essere questo ego, così poiché non possiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente finché siamo consapevoli di noi stessi come questo ego, per essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente dobbiamo essere consapevoli di niente altro che noi stessi, e quindi dobbiamo dirigere la nostra intera attenzione verso noi stessi soltanto. Quando focalizziamo accuratamente la nostra intera attenzione su noi stessi, escluderemo ogni altra cosa dalla nostra consapevolezza, e rimarremo come la pura consapevolezza intransitiva che siamo realmente.

Quindi il solo mezzo per sradicare il nostro ego è di essere attentivamente consapevoli soltanto di noi stessi. Essere consapevoli soltanto di noi stessi è essere la pura consapevolezza intransitiva che siamo realmente, ma benché quando il nostro ego sprofonda nel sonno rimaniamo come tale consapevolezza, esso non è per questo sradicato, perché nel sonno rimaniamo come la pura consapevolezza intransitiva come risultato dello sprofondamento del nostro ego avvenuto a causa di sfinimento, mentre per annientarlo dobbiamo farlo sprofondare come risultato del nostro rimanere come pura consapevolezza intransitiva. In altre parole, per sradicare questo ego dobbiamo cercare di essere solo intransitivamente consapevoli (consapevoli di niente altro che noi stessi) nella veglia o nel sogno, come siamo nel sonno, e per essere solo intransitivamente consapevoli nella veglia o nel sogno (che sono i due stati in cui siamo normalmente transitivamente consapevoli) dobbiamo focalizzare la nostra intera attenzione solo su noi stessi, chi ora sembra essere questo ego ma che scopriremo essere solo pura consapevolezza intransitiva se rimaniamo attentivamente come tale.

8. Nel sonno siamo intransitivamente consapevoli anche se non siamo consapevoli di nessun fenomeno

Nel tuo commento hai scritto che puoi solo essere certo di aver avuto un sonno con sogni, perché al mattino puoi ricordare alcuni di questi sogni, ma che non puoi essere sicuro di aver avuto un sonno senza sogni (presumibilmente perché non puoi ricordare di aver sperimentato alcun fenomeno nel sonno come puoi invece ricordare di averlo sperimentato nel sogno), cosa che suggerisce che non hai considerato abbastanza attentamente la tua esperienza. Mentre sogniamo sperimentiamo fenomeni di diversi tipi, come facciamo anche mentre sembriamo essere svegli, ma mentre dormiamo non sperimentiamo fenomeni di qualunque tipo, così la nostra esperienza nella veglia e nel sogno è viśēṣa anubhava (l’esperienza di distinzione di caratteristiche), che è il risultato di essere transitivamente consapevoli, mentre la nostra esperienza nel sonno è nirviśēṣa anubhava (esperienza priva di distinzione di caratteristiche), che è il risultato di essere solo intransitivamente consapevoli.

Ogni fenomeno (cioè, ogni cosa diversa da noi stessi) ha certe caratteristiche che lo distinguono da ogni altro fenomeno, così tutti i fenomeni sono definiti e distinti dalle loro rispettive caratteristiche, e senza caratteristiche di qualunque tipo essi non avrebbero esistenza separata. Ciò che è consapevole di tutte le caratteristiche che definiscono e distinguono ogni fenomeno è noi stessi come questo ego, ma sembriamo essere questo ego solo quando siamo consapevoli di fenomeni, mentre rimaniamo consapevoli (intransitivamente consapevoli) sia che siamo consapevoli di fenomeni o meno, così questo ego (che è solamente una modalità transitiva della consapevolezza) non è la consapevolezza fondamentale che siamo realmente. La nostra consapevolezza fondamentale è solo pura consapevolezza intransitiva, che è priva di caratteristiche, perché è non è consapevole di altro che di sé stessa. Proprio come le caratteristiche mutevoli che costituiscono un’immagine cinematografica appaiono su uno schermo relativamente senza caratteristiche, le caratteristiche che costituiscono i fenomeni appaiono sullo schermo assolutamente senza caratteristiche della pura consapevolezza intransitiva, che è ciò che siamo realmente.

Poiché mentre sogniamo sperimentiamo vari fenomeni, dopo esserci svegliati possiamo spesso ricordare ciò che abbiamo sperimentato nei nostri sogni, ma mentre eravamo nel sonno non sperimentavamo alcun fenomeno, così se ora cerchiamo di ricordare ciò che abbiamo sperimentato nel sonno senza sogni, alla nostra mente rivolta all’esterno sembra uno spazio vuoto. Tuttavia ciò che sperimentiamo mentre siamo nel sonno è uno spazio vuoto solo nel senso che è privo di fenomeni, perché sebbene in quel momento non eravamo consapevoli di alcun fenomeno, eravamo nondimeno ancora intransitivamente consapevoli.

Poiché la consapevolezza intransitiva è senza caratteristiche, in confronto a tutte le caratteristiche sperimentate dalla nostra mente rivolta all’esterno la pura consapevolezza intransitiva che abbiamo sperimentato nel sonno sembra essere uno spazio vuoto, così le persone generalmente concludono che mentre erano nel sonno non erano affatto consapevoli. Tuttavia se consideriamo la nostra esperienza più attentamente, ci dovrebbe essere chiaro che mentre eravamo nel sonno eravamo consapevoli, malgrado il non essere consapevoli di alcun fenomeno, perché se nel sonno non fossimo consapevoli, non saremmo consapevoli di alcun intervallo tra gli stati successici di veglia o di sogno, mentre di fatto siamo consapevoli di ciascuno di questi intervalli, in cui non siamo assolutamente consapevoli di fenomeni.

9. La sorgente di tutta l’energia è solo noi stessi, che siamo pura consapevolezza intransitiva, così la nostra mente può recuperare la sua energia solo quando, nel sonno, rimaniamo soltanto intransitivamente consapevoli

Tu sembri intendere che non sei consapevole di alcun intervallo, e quindi dici, ‘Non posso essere sicuro di aver mai avuto un sonno senza sogni’, ma se è così la sola spiegazione può essere che non hai osservato e considerato la tua esperienza con sufficiente attenzione. Credi realmente che sperimenti una successione ininterrotta di stati alternanti di veglia o sogno assolutamente senza intervalli tra essi? Puoi onestamente affermare di non aver mai sperimentato uno stato in cui non sei stato consapevole di qualunque fenomeno? Se affermi che è così, avrei difficoltà a crederti, perché proprio come i nostri corpi hanno bisogno di aria, di acqua, di cibo e di riposare per continuare a funzionare, la nostra mente ha bisogno di periodi di completo riposo nel sonno per recuperare la sua energia e quindi riprendere le sue attività.

Il sogno è uno stato di attività mentale, come la veglia, così per la nostra mente non è più riposante della veglia, e quindi la nostra mente richiede intervalli periodici di assoluto riposo nel sonno. La ragione per cui la nostra mente è ri-energizzata dal sonno è che durante il sonno è completamente fusa in noi stessi – cioè, nella pura consapevolezza intransitiva che siamo realmente – che è la sorgente originale di tutto il potere e l’energia.

Ci è impossibile rimanere senza sonno per un prolungato periodo di tempo. Se dubiti questo, cerca di mantenerti sveglio per diversi giorni. Prima o poi sarai sopraffatto dal sonno, e la tua mente sarà così esausta da non poter neppure sognare, così ciò che allora sperimenterai non sarà qualche sogno ma solo un profondo sonno senza sogni – uno stato in cui la tua mente è completamente sprofondata insieme con la sua radice, l’ego, ed in cui non sei assolutamente consapevole di qualunque fenomeno.

Tuttavia, sebbene in quel momento non sarai consapevole di alcun fenomeno, rimarrai nondimeno intransitivamente consapevole, come sei sempre, perché la consapevolezza intransitiva è la tua vera natura, e quindi essere intransitivamente consapevoli non comporta dispendio di alcuna energia. Al contrario, poiché la consapevolezza intransitiva è la sorgente originale e la sostanza dell’energia mentale e di ogni altra cosa, rimanendo solo intransitivamente consapevoli stiamo ristabilendo la nostra energia, e questo è come la nostra mente è in grado di recuperare la sua energia dormendo, e perché ci svegliamo da un lungo sonno profondo sentendoci ristorati e rinvigoriti.

10. Noi stessi siamo felicità, perché nel sonno sperimentiamo felicità in assenza di ogni altra cosa, così per godere di quella felicità dobbiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente

La seconda serie di premesse che Bhagavan ci dà nella prima frase di Nāṉ Yār? (di cui ho fornito una traduzione nella sezione 1) consiste solo di una premessa esplicita e di una implicita. La premessa esplicita è che sperimentiamo la felicità quotidianamente nel sonno, e la premessa implicita è che nel sonno non sperimentiamo alcuna cosa diversa da noi stessi (che egli ha sottinteso dicendo che il sonno è privo di mente), così da queste due premesse possiamo dedurre la stessa conclusione che possiamo dedurre dalla prima serie di premesse (che abbiamo considerato nella sezione 2), vale a dire la conclusione che la felicità è la nostra vera natura. Cioè, poiché nel sonno non sperimentiamo qualcosa diversa da noi stessi, qualunque cosa sperimentiamo nel sonno deve essere ciò che siamo realmente, così poiché nel sonno sperimentiamo la felicità, la felicità deve essere ciò che siamo realmente.

Questa è la semplice argomentazione che Bhagavan ha inteso dicendo, ‘மனமற்ற நித்திரையில் தின மனுபவிக்கும் தன் சுபாவமான அச் சுகத்தை’ (maṉam-aṯṟa niddiraiyil diṉam aṉubhavikkum taṉ subhāvam-āṉa a-c-sukhattai), che significa ‘quella felicità che è la propria natura, che uno sperimenta quotidianamente nel sonno [senza sogni], che è privo di mente’. Poiché ciò che è consapevole di qualsiasi cosa diversa da noi stessi è solo la nostra mente, o più precisamente il nostro ego (che è la sua radice e l’essenza, essendo il suo solo elemento costante e il solo elemento di esso che è consapevole sia di sé stesso che di ogni altra cosa), e poiché il nostro ego insieme con il resto della nostra mente cessa di esistere nel sonno, indicando che il sonno è privo di mente, egli intendeva che è conseguentemente privo di ogni consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, come sappiamo dalla nostra esperienza (e come egli ha anche enfatizzato nella prima frase della sua introduzione a Vivēkacūḍāmaṇi usando la frase ‘ஒன்று மின்றியே’ (oṉḏṟum iṉḏṟiyē), che significa ‘senza qualsiasi cosa’, nella proposizione ‘நித்திரையில் ஒன்று மின்றியே சுகமாயிருக்கு மனுபவத்தாலும்’ (niddiraiyil oṉḏṟum iṉḏṟiyē sukhamāy-irukkum aṉubhavattālum), che significa ‘e per l’esperienza di essere felici senza qualsiasi cosa nel sonno’). Quindi poiché nel sonno sperimentiamo la felicità in assenza della nostra mente (e quindi in assenza di ogni consapevolezza transitiva – consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da noi stessi), la felicità deve essere la nostra svabhāva, la nostra reale natura.

Poiché nel sonno sperimentiamo la felicità in assenza di ogni altra cosa, nella profondità di noi stessi riconosciamo che la felicità è ciò che siamo realmente, così poiché ci piace essere felici e poiché la felicità è quindi la causa dell’amore, ciascuno di noi ama sé stesso più di quanto ama ogni altra cosa. Quindi le due serie di premesse che Bhagavan ci dà nella prima frase di Nāṉ Yār? sono complementari, perché ciascuna di esse indica la stessa conclusione, che siano considerate separatamente o insieme, vale a dire la conclusione che noi stessi siamo felicità.

Poiché questo è il caso, Bhagavan conclude questa prima frase di Nāṉ Yār? indicano la deduzione più importante che dovremmo trarre da questo, vale a dire தன் சுபாவமான அச் சுகத்தை யடையத் தன்னைத் தானறிதல் வேண்டும்’ (taṉ subhāvam-āṉa a-c-sukhattai y-aḍaiya-t taṉṉai-t tāṉ aṟidal vēṇḍum), che significa, ‘per ottenere [godere o sperimentare] quella felicità che è la propria natura, è necessario che sé stesso conosca sé stesso’. Cioè, poiché la felicità è ciò che siamo realmente, per godere di quella felicità dobbiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente.

E come egli dice nella seconda e finale frase di questo paragrafo, la mukhya sādhana o mezzo principale per essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente è solo ‘நானார் என்னும் ஞான விசாரம்’ (nāṉār eṉṉum ñāṉa-vicāram), che significa letteralmente ‘la jñāṉa-investigazione chi sono io’. Poiché jñāṉa significa conoscenza o consapevolezza, e poiché egli ha detto nella prima frase del verso 13 di Uḷḷadu Nāṟpadu, ‘ஞானமாம் தானே மெய்’ (ñāṉam-ām tāṉē mey), che significa ‘solo sé stesso, che è jñāṉa, è reale’, ciò che egli intende con il termine jñāna-vicāra è auto-investigazione o investigazione della consapevolezza fondamentale che siamo realmente. Poiché questa consapevolezza fondamentale è pura consapevolezza intransitiva, che è ciò che sempre risplende all’interno di noi come ‘io’, investigare la consapevolezza significa investigare ciò che questo ‘io’ è realmente, così egli si è anche riferito a questa investigazione come ‘chi sono io’, e quindi in questa frase egli la chiama ‘நானார் என்னும் ஞான விசாரம்’ (nāṉār eṉṉum ñāṉa-vicāram), la ‘consapevolezza-investigazione chi sono io’.

Considerando attentamente tutto ciò che Bhagavan ci ha insegnato, possiamo sviluppare una chiara e ferma convinzione intellettuale che la felicità è ciò che siamo realmente, ma per quanto forte può essere la nostra convinzione intellettuale, è inadeguata, perché da sola non può liberarci da nostro ego, che è la causa radice dell’esistenza apparente di tutta l’infelicità e la sofferenza, perché questo ego è una conoscenza sbagliata di noi stessi (cioè, una consapevolezza illusoria di noi stessi come qualcosa diversa da ciò che siamo realmente), così può essere annientata solo dalla chiara consapevolezza di noi stessi come siamo realmente, che possiamo sperimentare solo investigando accuratamente noi stessi – cioè, focalizzando accuratamente la nostra intera attenzione soltanto su noi stessi. Una chiara e ferma convinzione intellettuale è necessaria per motivarci ad investigare noi stessi accuratamente e persistentemente finché sperimentiamo ciò che siamo realmente, ma ci è utile solo nella misura in cui ci spinge a rivolgere la nostra intera attenzione verso noi stessi per essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente.

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