Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

mercoledì 5 ottobre 2016

Perché il termine ‘io sono’ si riferisce non proprio al nostro ego ma a ciò che siamo realmente?

Michael James

4 Ottobre 2016
Why does the term ‘I am’ refer not just to our ego but to what we actually are?


In un commento al mio articolo precedente, ‘Io sono’ è la realtà, ‘io sono questo’ o ‘io sono quello’ è l’ego, un amico di nome Mouna ha sollevato diverse obiezioni a ciò che ho scritto, così in questo articolo cercherò di rispondere alle sue obiezioni.

Mouna, ovviamente sei nel giusto dicendo che non diciamo ‘io sono’ mentre siamo addormentati, ma la questione che abbiamo bisogno di considerare non è l’affermazione ‘io sono’ né chi pensa e dice queste parole, ma è solo ciò a cui queste parole si riferiscono, vale a dire la nostra consapevolezza ‘io sono’. Solo l’ego può pensare o dire ‘io sono’, perché come siamo realmente non pensiamo, diciamo o facciamo alcuna cosa, ma nondimeno siamo sempre consapevoli della nostra esistenza come ‘io sono’ sia che sembriamo essere questo ego (come nella veglia e nel sogno) o no (come nel sonno).

Tu dici, ‘il solo riferimento che abbiamo riguardo il sonno profondo è la descrizione dell’ego di esso’, ma questo non è del tutto corretto. Sicuramente, ora sperimentiamo noi stessi come questo ego, così è come questo ego che noi ci ricordiamo di ciò che abbiamo sperimentato nel sonno, ma poiché come questo ego nel sonno non eravamo presenti, il nostro ricordo del sonno non può derivare da questo ego, così dobbiamo derivarlo da qualcosa più profondo all’interno di noi stessi che era consapevole nel sonno. Questa cosa più profonda è la nostra auto-consapevolezza fondamentale, che è ciò che siamo realmente, perché è la sola cosa di cui siamo sempre consapevoli.

Tuttavia, anche dire che siamo consapevoli di esso non è del tutto corretto, perché non è un oggetto di cui potremmo essere consapevoli, ma la fondamentale luce di consapevolezza che illumina l’apparenza sia del soggetto (il nostro ego) sia di tutti gli oggetti (ogni fenomeno conosciuto da questo ego). Siamo quindi consapevoli di esso non come un oggetto, neppure come il soggetto, ma come noi stessi, l’unica auto-consapevolezza permanente che sottende l’apparenza sia del soggetto che dell’oggetto.

Quando il nostro ego dice, ‘Nel sonno io sono consapevole di me stesso’, sta avanzando pretese sulla nostra auto-consapevolezza fondamentale come se fosse sé stesso, ma non è la nostra auto-consapevolezza fondamentale, perche essa rimane nel sonno anche se il nostro ego in quel momento è assente. Come Bhagavan indica nel verso 24 di Uḷḷadu Nāṟpadu, il nostro ego non è né la nostra auto-consapevolezza fondamentale né questa persona che ora sembriamo essere, ma è una falsa entità che sorge tra i due e avanza pretese su entrambi come se fossero sé stesso, essendo consapevole di sé stesso come ‘io sono questa persona’. Questa consapevolezza mischiata ‘io sono questa persona’ è esso stesso il nostro ego, e in esso ‘io sono’ è la nostra auto-consapevolezza fondamentale, che sola è reale, e ‘questa persona’ è solo un’aggiunta illusoria.

Tu dici, ‘non ha realmente importanza se intendiamo che ‘io sono’ è l’ego o il sé’, ma effettivamente ha molta importanza, perché il termine ‘io sono’ esprime il fatto che noi esistiamo, così ciò a cui si riferisce è la nostra esistenza, che significa ciò che siamo realmente. Come Bhagavan spiega nel verso 21 di Upadēśa Undiyār (che ho citato e discusso nella sezione 9 del mio articolo precedente), poiché nel sonno non cessiamo di esistere, anche se il nostro ego in quel momento ha cessato di esistere, il verso significato della parola ‘io’ è solo la nostra unica auto-consapevolezza infinita, che sempre risplende senza alcuna aggiunta come ‘io sono io’.

Mentre il termine ‘io sono’ esprime la nostra reale esistenza (e anche implica la nostra consapevolezza della nostra esistenza), termini come ‘io sono questo’ o ‘io sono quello’ esprimono il nostro sorgere – cioè, ciò che siamo apparentemente diventati. Questo è il motivo per cui Bhagavan spesso usava dire che ‘io sono’ è il nostro இருப்பு (iruppu) o essere mentre ‘io sono questo’ è il nostro எழுச்சி (eṙucci) o sorgere (nel senso del nostro apparente divenire o apparire come). In altre parole, ‘io sono’ è ciò che siamo, mentre ‘io sono questo’ è ciò che sembriamo essere divenuti.

Sebbene come questo ego siamo consapevoli di noi stessi come ‘io sono’, non siamo consapevoli di noi stessi solo come ‘io sono’ ma come ‘io sono questo’. Ciò di cui, noi come questo ego, siamo consapevoli come ‘io sono’ è il nostro sé reale (la nostra auto-consapevolezza fondamentale, che è il centro, il fondamento e la reale essenza di questo ego), mentre ciò di cui siamo consapevoli come ‘io sono questo’ non è ciò che siamo realmente ma solo ciò che sembriamo essere.

Tu dici, ‘Brahman, ‘io sono’, sé (o Sé), guru, ecc. sono solo indicazioni concettuali a ciò che la mente (ego non può raggiungere, solo muoversi verso (auto-attentività)’, ma mentre altri termini come brahman possono essere solo indicazioni concettuali, ‘io sono’ è più che solo un concetto, perché è la nostra effettiva esperienza, e non solo un’esperienza temporanea ma ciò di cui siamo sempre consapevoli, vale a dire la nostra esistenza. Poiché ‘io sono’ è la nostra auto-consapevolezza permanente e fondamentale, è il nostro sé reale, ed è così intimo e immediato che non abbiano neppure bisogno di muoverci verso di esso – tutto quello che abbiamo bisogno di fare è solo rivolgere la nostra attenzione ad esso, perché è ciò che noi siamo sempre.

Indicando che ciò di cui siamo sempre consapevoli come ‘io sono’ non è proprio il nostro ego ma il nostro sé reale, Bhagavan stava cercando di farci comprendere la vicinanza, l’intimità e l’immediatezza di ciò che siamo realmente – cioè, che il nostro sé reale non è qualche cosa distante e sconosciuta, ma ciò di cui siamo sempre chiaramente consapevoli. Tuttavia, sebbene siamo sempre chiaramente consapevoli del nostro sé reale, non siamo chiaramente consapevoli di noi stessi come siamo realmente, perché invece di essere consapevoli di noi stessi semplicemente come ‘io sono’, ora sembriamo essere consapevoli di noi stessi come ‘io sono questo’. Quindi per vedere noi stessi come siamo realmente tutto ciò che abbiamo bisogno di fare è vedere noi stessi senza sovrapposizioni di qualsiasi aggiunta come ‘questo’ o ‘quello’ (come Bhagavan dice nel verso 25 di Upadēśa Undiyār, che ho citato e discusso nella sezione 13 del mio articolo precedente).

Tu dici che la tua comprensione è che quando Nisargadatta usava il termine ‘io sono’ ciò a cui si stava riferendo era il nostro ego e che ‘tutto il suo insegnamento indicava di trascendere questo falso senso di identità’, ma come può ‘io sono’ essere un falso senso di identità? ‘Io sono questo’ o ‘io sono quello’ è certamente un falso senso di identità, perché tali termini esprimono l’identità di noi stessi (‘io’) come qualcos’altro (‘questo’ o ‘quello’), ma ‘io sono’ non può essere un falso senso di identità, perché il termine ‘io sono’ non identifica noi stessi come qualcosa, ma semplicemente esprime il fatto che esistiamo.

Poiché il termine ‘io sono’ si riferisce molto chiaramente solo alla nostra esistenza e non a qualche genere di identità, vera o falsa, è ovviamente non appropriato usarlo per riferirsi a qualcosa diversa dal nostro sé reale, che è la nostra auto-consapevolezza fondamentale senza alcuna aggiunta come ‘questo’ o ‘quello’. Quindi se Nisargadatta usava il termine ‘io sono’ per riferirsi al nostro ego o a qualsiasi cosa diversa dal nostro sé reale, la sua scelta della terminologia è inevitabile che crei confusione.

Se avesse usato solo il pronome ‘io’ per riferirsi al nostro ego, come Bhagavan ha fatto spesso, questo non avrebbe creato alcuna confusione, perché ‘io’ è un pronome che si riferisce solo a noi stessi, e poiché questo ego è ciò che ora sembriamo essere, possiamo legittimamente usare ‘io’ per riferirsi al nostro sé reale o al nostro ego, secondo il contesto in cui lo stiamo usando. Tuttavia, ‘io sono’ preso da solo (non in un’affermazione come ‘io sono questo’) significa che noi esistiamo realmente, e noi esistiamo realmente non come questo ego ma solo come il nostro sé reale, che è l’auto-consapevolezza fondamentale che sperimentiamo sempre, quando sperimentiamo noi stessi come ‘io sono questo’ (come nella veglia e nel sogno) o solo come ‘io sono’ (come nel sonno).

Se questo ego fosse ciò a cui si riferisce il termine ‘io sono’, questo significherebbe o che questo ego esiste e risplende nel sonno, perché in quel momento la nostra consapevolezza ‘io sono’ persiste, o che nel sonno la nostra consapevolezza ‘io sono’ cessa, perché in quel momento non siamo consapevoli di questo ego. Poiché entrambi questi due significati alternativi sono chiaramente falsi, e poiché mentre siamo nel sonno siamo chiaramente consapevoli della nostra esistenza come ‘io sono’, anche se in quel momento non siamo consapevoli del nostro ego, ci dovrebbe risultare ovvio che il termine ‘io sono’ non si riferisce al nostro ego ma a ciò che siamo sempre, vale a dire l’auto-consapevolezza fondamentale che sperimentiamo come ‘io sono’ durante la veglia, il sogno e il sonno.

Usando il termine ‘io sono’ per riferirsi al nostro ego e dicendo che abbiamo bisogno di oltrepassarlo, trascenderlo o scoprire qualche realtà dietro di esso, Nisargadatta stava dando l’impressione che la realtà è qualcosa diversa dalla nostra semplice consapevolezza della nostra esistenza, ‘io sono’. Mentre Bhagavan insisteva che ciò che è reale non è niente altro che la nostra auto-consapevolezza, semplice e sempre presente, ‘io sono’, Nisargadatta intende ripetutamente che c’è qualche realtà oltre questo di cui generalmente siamo inconsapevoli. Questa è una delle ragioni per cui trovo così difficile comprendere perché molte persone che hanno studiato e cecato di praticare ciò che Bhagavan ci ha insegnato, credono che ciò che Nisargadatta insegnava è lo stesso.

Riguardo a ciò che scrivi nel paragrafo finale del tuo commento, sono d’accordo che usiamo metaforicamente il termine ‘dietro’ quando diciamo che una corda è ‘dietro’ il serpente o che il nostro sé reale è ‘dietro’ il nostro ego, e ovviamente siamo giustificato nell’usare metaforicamente il linguaggio in questo modo. Tuttavia, c’è una differenza tra dire che il nostro sé reale è dietro il nostro ego e dire che esso e dietro ‘io sono’, perché il nostro ego è ciò che sembriamo essere (proprio come il serpente è ciò che la corda sembra essere), mentre ‘io sono’ è ciò che siamo realmente. Poiché il termine ‘io sono’ si riferisce alla nostra auto-consapevolezza fondamentale (la nostra semplice consapevolezza della nostra esistenza), se diciamo che c’è qualche realtà dietro ‘io sono’, vorremmo dire che la realtà è qualcosa diversa dalla nostra auto-consapevolezza fondamentale, cosa che sarebbe completamente contraria a ciò che Bhagavan ci ha insegnato.

Nella tuo fra finale hai scritto, ‘Noi sappiamo che non c’è qualche “realtà alla base”, altrimenti ci sarebbero due cose una sovrapposta a un’altra e la realtà non può essere che non-duale’, ma finché vediamo qualunque falsa apparenza, come un serpente illusorio, ci deve essere qualcosa di reale che sta alla base e sostiene la sua apparenza. Dire che c’è una cosa reale che sta alla base di un’apparenza illusoria non è dire che ci sono due cose ma solo che c’è solo una cosa che sembra essere qualcosa diversa da ciò che è realmente.

Non c’è serpente ma solo una corda, così solo la corda è reale e il serpente è solo un’apparenza illusoria e dunque non esiste realmente. Nello stesso modo, non c’è ego o mondo ma solo il nostro sé reale, così solo il nostro vero sé è reale e il nostro ego e questo mondo sono solo un’apparenza illusoria e quindi non esistono realmente.

Se applichiamo questo all’affermazione di Nisargadatta che la realtà è proprio dietro ‘io sono’, che è ciò che tu stavi cercando di giustificare nel tuo paragrafo finale, questo significherebbe che non c’è ‘io sono’ ma solo qualche altra realtà dietro di esso, che chiaramente non è il caso. La sola cosa che è certamente reale è ‘io sono’, perché ogni altra cosa che sperimentiamo potrebbe essere solo un’illusione (come Bhagavan ci insegna che di fatto è), mentre ‘io sono’ non può essere un’illusione, perché la frase ‘io sono’ esprime il fatto che esistiamo, e se non esistessimo non potremmo essere consapevoli di qualunque cosa, sia reale che illusoria. ‘Io sono’ è la sola cosa che è assolutamente certa, ma Nisargadatta intende ripetutamente che è qualcosa di irreale, dunque a chi dovremmo credere: a Bhagavan, che dice solo ‘io sono’ è reale, o a Nisargadatta che intende che esso non è reale? La semplice logica ci impone sicuramente di accettare ciò che Bhagavan ci ha insegnato piuttosto che ciò che Nisargadatta sembra affermare.

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