Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

lunedì 20 ottobre 2014

Non possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente finché sperimentiamo qualsiasi cosa diversa da 'io'





In uno dei miei primi articoli, Ātma-vicāra: stress and other related issues, ho scritto:
Tu chiedi anche: ‘Quando stai facendo auto-indagine la tua concentrazione dovrebbe essere così buona che non sei neppure consapevole di ciò che sta accadendo attorno a te, come il ventilatore acceso, un bambino che piange ecc. o è ok se sei consapevole dei rumori di sfondo?’. Sì, idealmente non dovresti essere consapevole  di qualsiasi cosa diversa da ‘io’. Per esempio, se tu sei assorbito nella lettura di un libro che ti interessa veramente, non dovresti notare il suono di un ventilatore o qualsiasi altro rumore di sfondo,  e se noti  qualche suono  come un bambino che piange, questo significa che la tua attenzione è stata distratta lontano dal libro.  In modo simile, se sei assorbito nello sperimentare solo ‘io’, non noterai nessun’altra cosa, e se noti qualcos’altro, questo significa che la tua attenzione è stata distratta lontano da ‘io’, così dovresti cercare di riportala indietro a ‘io’ solamente.

In riferimento a questo, un amico mi ha scritto in Giugno dicendo:
In un post recente, hai scritto che mentre facciamo Atma-vichara non dovremmo essere consapevoli  di alcun suono o altra sensazione se siamo pienamente immersi nell’ ‘io sono’. Comunque, credo di aver letto che mentre Ramana disse che non c’è ‘mondo’ come percepito dall’ego-mente, tutte le apparenze sono fondamentalmente manifestazioni del Sé. Mentre il Sé in un senso limitato non è una particolare ‘cosa’, il Sé non può essere ristretto a uno stato di niente di visto o percepito.
Sei d’accordo che il Sé manifesta se stesso quando non c’è dualità soggetto-oggetto? […] Se questo è vero, perché è detto che la pratica di Atma-vichara dovrebbe condurre a uno stato in cui niente è percepito?

Ciò che segue è adattato dalla risposta che gli ho scritto:
Quando dici, ‘tutte le apparenze sono fondamentalmente manifestazioni del Sé’, in quale senso stai usando il termine ‘manifestazione’? Quando una corda è confusa come un serpente, diresti che il serpente è una manifestazione della corda? Non sarebbe più corretto dire che è una manifestazione della nostra ignoranza – il nostro insuccesso nel riconoscere la corda come è realmente? In modo simile, piuttosto che descrivere tutte le apparenze come manifestazioni del nostro sé reale, non sarebbe più preciso descriverle come manifestazioni della nostra auto-ignoranza – il nostro insuccesso nel riconoscere noi stessi come siamo realmente?
E’ vero che la sostanza che appare come tutta questa diversa molteplicità è noi stessi, proprio come la sostanza che appare come un serpente è la corda, ma proprio come la corda non può sembrare un serpente a meno che è vista da un osservatore ignorante, ciò che siamo realmente non può sembrare qualcos’altro a meno che lo sperimentiamo attraverso la lente della nostra mente macchiata di ignoranza.
La nostra mente è macchiata dall’ignoranza perché è un’esperienza confusa di ciò che siamo realmente, così per vedere chiaramente ciò che esiste realmente (cioè, ciò che realmente è ogni cosa che sembra esistere), dobbiamo investigare chi sono io e quindi sperimentare noi stessi come siamo realmente.

Poiché l’apparenza dell’alterità e della molteplicità esiste solo nella visione di questa mente (e non nella visione nel nostro Sé reale), fino a che sperimentiamo qualsiasi cosa diversa da ‘io’ stiamo sperimentano noi stessi come questa mente e non come ciò che siamo realmente. Quindi, per sperimentare noi stessi come siamo realmente, dobbiamo sperimentare noi stessi in completo isolamento da qualsiasi altra cosa – cioè, dobbiamo sperimentare niente altro che ‘io’ solamente – e al fine di sperimentare noi stessi in questo modo, dobbiamo dare attenzione solo a ‘io’ e ignorare completamente e rimanere inconsapevoli dell’apparente esistenza di ogni altra cosa. Questo è tutto ciò che richiede  la semplice pratica di auto-investigazione (ātma-vicāra).

Poiché non possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente fino a che stiamo sperimentando qualsiasi altra cosa diversa da ‘io’, Sri Ramana scrisse nel terzo paragrafo di Nāṉ Yār?  (Chi sono io?): 

சர்வ அறிவிற்கும் சர்வ தொழிற்குங் காரண மாகிய மன மடங்கினால் ஜகதிருஷ்டி நீங்கும். கற்பித ஸர்ப்ப ஞானம் போனா லொழிய அதிஷ்டான ரஜ்ஜு ஞானம் உண்டாகாதது போல, கற்பிதமான ஜகதிருஷ்டி நீங்கினா லொழிய அதிஷ்டான சொரூப தர்சன முண்டாகாது.

sarva aṟiviṯkum sarva toṙiṯkuṅ kāraṇam āhiya maṉam aḍaṅgiṉāl jaga-diruṣṭi nīṅgum. kaṯpita sarppa-jñāṉam pōṉāl oṙiya adhiṣṭhāṉa rajju-jñāṉam uṇḍāhādadu pōla, kaṯpitamāṉa jaga-diruṣṭi nīṅgiṉāl oṙiya adhiṣṭhāṉa sorūpa darśaṉam uṇḍāhādu.

Se la mente, che è la causa di tutta la conoscenza [diversa dalla nostra fondamentale conoscenza ‘io sono’] e di tutta l’attività, si abbandona,  jagad-dṛṣṭi  [la percezione del mondo] cesserà. Proprio come la conoscenza della corda, che è la base [che costituisce il fondamento e sostiene l’apparenza illusoria di un serpente], non sorgerà a meno che cessi la conoscenza dell’immaginario serpente,  svarūpa-darśana [la vera conoscenza esperienziale del nostro sé essenziale], che è la base [che costituisce il fondamento e sostiene l’apparenza immaginaria di questo mondo], non sorgerà a meno che cessi la percezione del mondo, che è un’immaginazione [o invenzione].

Quando dici, ‘Mentre il Sé in un senso limitato non è una particolare ‘cosa’, il Sé non può essere ristretto a uno stato di niente di visto o percepito’, questo in un certo senso è vero, ma è come dire che la corda non può essere ristretta a uno stato in cui non è vista come un serpente. Anche quando è vista come un serpente, è realmente solo una corda, così l’apparenza del serpente non limita o non condiziona in nessun modo la corda in se stessa. Nello stesso modo, anche quando il nostro sé reale (cioè, ciò che siamo realmente) è sperimentato come tutta questa molteplicità che chiamiamo il mondo, è realmente solo il nostro sé reale, così l’apparenza di questa molteplicità non limita o condiziona  in nessun modo il nostro sé reale.

Comunque, proprio come l’apparenza del serpente crea in noi paura, sebbene è realmente solo un’innocua corda, così l’apparenza di questo mondo crea molti problemi per noi (come desiderio, paura, dolore e sofferenza), sebbene ciò che sembra essere questo mondo è realmente solo noi stessi. 
Questo è il motivo per cui Sri Ramana termina il quattordicesimo paragrafo di Nāṉ Yār? dicendo:

[…] ஜக மென்பது நினைவே. ஜகம் மறையும்போது அதாவது நினைவற்றபோது மனம் ஆனந்தத்தை யனுபவிக்கின்றது; ஜகம் தோன்றும்போது அது துக்கத்தை யனுபவிக்கின்றது.

 […] jagam eṉbadu niṉaivē. jagam maṟaiyum-pōdu adāvadu niṉaivaṯṟa-pōdu maṉam āṉandattai y-aṉubhavikkiṉḏṟadu; jagam tōṉḏṟum-pōdu adu duḥkhattai y-aṉubhavikkiṉḏṟadu.

[…] Ciò che è chiamato il mondo è solo pensiero. Quando il mondo scompare, cioè, quando il pensiero cessa, la mente sperimenta felicità; quando il mondo appare, essa sperimenta duḥkha [afflizione, dolore, dispiacere, angoscia, preoccupazione o difficoltà].

Come il ‘mondo’ che sperimentiamo in un sogno, tutto ciò che sperimentiamo come il ‘mondo’ in questo stato di veglia non è altro che una serie di fenomeni mentali (impressioni, immagini, idee o pensieri) che abbiamo formato o fabbricato nella nostra mente per il nostro potere di immaginazione, così qui egli dice, ‘Ciò che è chiamato il mondo è solo pensiero’, e nel quarto paragrafo dice: 

 […] நினைவுகளைத் தவிர்த்து ஜகமென்றோர் பொருள் அன்னியமா யில்லை. தூக்கத்தில் நினைவுகளில்லை, ஜகமுமில்லை; ஜாக்ர சொப்பனங்களில் நினைவுகளுள, ஜகமும் உண்டு. சிலந்திப்பூச்சி எப்படித் தன்னிடமிருந்து வெளியில் நூலை நூற்று மறுபடியும் தன்னுள் இழுத்துக் கொள்ளுகிறதோ, அப்படியே மனமும் தன்னிடத்திலிருந்து ஜகத்தைத் தோற்றுவித்து மறுபடியும் தன்னிடமே ஒடுக்கிக்கொள்ளுகிறது. மனம் ஆத்ம சொரூபத்தினின்று வெளிப்படும்போது ஜகம் தோன்றும். ஆகையால், ஜகம் தோன்றும்போது சொரூபம் தோன்றாது; சொரூபம் தோன்றும் (பிரகாசிக்கும்) போது ஜகம் தோன்றாது. […]

[…] niṉaivugaḷai-t tavirttu jagam-eṉḏṟōr poruḷ aṉṉiyamāy illai. tūkkattil niṉaivugaḷ illai, jagam-um illai; jāgra-soppaṉaṅgaḷil niṉaivugaḷ uḷa, jagam-um uṇḍu. silandi-p-pūcci eppaḍi-t taṉṉiḍamirundu veḷiyil nūlai nūṯṟu maṟupaḍiyum taṉṉuḷ iṙuttu-k-koḷḷugiṟadō, appaḍiyē maṉam-um taṉṉiḍattilirundu jagattai-t tōṯṟuvittu maṟupaḍiyum taṉṉiḍamē oḍukki-k-koḷḷugiṟadu. maṉam ātma sorūpattiṉiṉḏṟu veḷippaḍum-pōdu jagam tōṉḏṟum. āhaiyāl, jagam tōṉḏṟum-pōdu sorūpam tōṉḏṟādu; sorūpam tōṉḏṟum (pirakāśikkum) pōdu jagam tōṉḏṟādu. […]

[…] Ad esclusione dei pensieri [o delle idee], non c’è separatamente una cosa come il ‘mondo’. Nel sonno non ci sono pensieri, [e conseguentemente] anche non c’è alcun mondo; nella veglia e nel sogno ci sono pensieri, [e conseguentemente] anche c’è un mondo. Proprio come un ragno allunga il filo da dentro se stesso e anche lo ritrae in se stesso, così la mente proietta il mondo da dentro se stessa e anche lo dissolve in se stessa.
Quando la mente esce da ātma-svarūpa, il mondo appare. Quindi quando il mondo appare, svarūpa [la nostra ‘propria forma’ o sé essenziale] non appare [come è realmente]; quando svarūpa appare (risplende) [come è realmente], il mondo non appare. […] 

Il mondo che percepiamo consiste solo di visioni, suoni, odori, gusti e sensazioni tattili, di cui tutti sono impressioni formate all’interno della mente, e poiché esse sono quindi solo fenomeni mentali, Sri Ramana dice che il mondo non è niente altro che pensiero o idee. Quindi tutti i suoni, le sensazioni o qualsiasi altra cosa che possiamo sperimentare diversa da ‘io’ sono solo pensieri o idee, che sono proiettati dalla nostra mente, e quindi possiamo sperimentare il mondo (o qualsiasi cosa diversa da ‘io’) solo quando la nostra mente è sorta dal nostro sé reale (ātma-svarūpa).  E poiché la nostra mente sorge solo quando confondiamo noi stessi come un corpo, non possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente fino a che sperimentiamo il mondo e qualsiasi altra cosa diversa da ‘io’.

Ogni cosa diversa da ‘io’ è solo un pensiero o un fenomeno mentale, e poiché i pensieri sono solo un’espansione della nostra mente o ego, ogni cosa in definitiva è solo ego, come Sri Ramana dice nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu

அகந்தையுண் டாயி னனைத்துமுண் டாகு மகந்தையின் றேலின் றனைத்து மகந்தையே யாவுமா மாதலால் யாதிதென்று நாடலே யோவுதல் யாவுமென வோர். 


ahandaiyuṇ ḍāyi ṉaṉaittumuṇ ḍāhu
mahandaiyiṉ ḏṟēliṉ ḏṟaṉaittu — mahandaiyē
yāvumā mādalāl yādideṉḏṟu nādalē
yōvudal yāvumeṉa vōr.

பதச்சேதம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்.


Padacchēdam (separazione delle parole): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr.
 
Traduzione: Se l’ego nasce, ogni cosa nasce; se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste. [Perciò] l’ego stesso è ogni cosa.  Quindi, sappiate che investigare questo [ego] è solo rinunciare a ogni cosa.
Quando investighiamo cosa è questo ego, infine scopriremo che non è niente altro che il nostro infinito sé reale, e quindi esso cesserà di esistere come (o sembrare di essere) un ego. E poiché ogni altra cosa che sembra esistere, esiste solo nella visione illusa di questo ego (che non esiste realmente ma solo sembra esistere), quando cessa di esistere anche apparentemente anche ogni altra cosa cesserà di esistere, e solo il nostro sé reale rimarrà come sempre è, sperimentando niente altro che se stesso, ‘io sono’.

Riguardo la tua domanda, ‘Sei d’accordo che il Sé manifesta se stesso quando non c’è dualità soggetto-oggetto?', sì, sono d’accordo che (come Sri Ramana suggerisce chiaramente nel terzo paragrafo di Nāṉ Yār? citato sopra) ciò che siamo realmente non manifesterà se stesso (cioè, non sarà da noi sperimentato) fino a che sperimentiamo qualche dualità soggetto-oggetto. Comunque, poiché nel sonno non sperimentiamo alcuna dualità soggetto-oggetto, il non sperimentare tale dualità è (sebbene necessario) non sufficiente per renderci in grado di sperimentare noi stessi come siamo realmente. Per sperimentare noi stessi come siamo realmente, dobbiamo non solo non sperimentare dualità soggetto-oggetto  ma dobbiamo anche sperimentare chiaramente ciò che ‘io’ è realmente (chi sono io) focalizzando la nostra intera attenzione su noi stessi (‘io’) solamente.

Fino a che sperimentiamo qualsiasi cosa diversa da ‘io’, stiamo sperimentando dualità soggetto-oggetto, così il solo modo per distruggere la dualità soggetto-oggetto è sperimentare solo ‘io’, e il solo modo per sperimentare solo ‘io’ è  essere unicamente auto-attentivi.

Riguardo la tua domanda finale, ‘Se questo è vero [che il Sé manifesta se stesso quando non c’è dualità soggetto-oggetto], perché è detto che la pratica di Atma-vichara dovrebbe condurre a uno stato in cui niente è percepito?’, fino a che qualsiasi cosa diversa da ‘io’ è percepita,  stiamo sperimentando dualità soggetto-oggetto, che significa che stiamo sperimentano noi stessi come il soggetto percipiente, vale a dire l’ego o la mente. Quindi, se pratichiamo ātma-vicāra (cioè, se investighiamo chi sono io cercando di focalizzare la nostra intera attenzione solo su ‘io’), questo infine ci condurrà al nostro stato naturale, nel quale sperimentiamo noi stessi come siamo realmente, e quando sperimentiamo noi stessi in questo modo, l’illusione che siamo questo ego o mente sarà distrutta, e nell’assenza di questa illusione non rimarrà alcun soggetto percipiente a percepire o sperimentare qualsiasi cosa diversa da se stessi.

Quindi, poiché possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente solo quando sperimentiamo noi stessi solamente, in completo isolamento dall’apparenza di qualsiasi altra cosa, il solo mezzo con cui possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente è la pratica di ātma-vicāra, in cui cerchiamo di sperimentare noi stessi solamente dando attenzione in modo acuto e vigile a niente altro che a ‘io’.

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