Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

venerdì 6 febbraio 2015

I termini ‘io’ o ‘noi’ si riferiscono solo a noi stessi, sia che ci sperimentiamo come siamo realmente sia come l’ego che ora sembriamo essere

Michael James

4 Febbraio 2015
The terms ‘I’ or ‘we’ refer only to ourself, whether we experience ourself as we actually are or as the ego that we now seem to be

In un commento a uno dei miei articoli recenti La legge fondamentale dell’esperienza o consapevolezza scoperta da Sri Ramana, Palaniappan Chidambaram ha chiesto, ‘Se l’intera sadhana [pratica spirituale] è nel solo essere se stessi […] allora perché usiamo il termine vichara o investigazione? Quando i pensieri vengono non investighiamo ma solo li ignoriamo e rivolgiamo l’attenzione a noi stessi. Così idealmente non c’è investigazione o indagine?’, a cui ho risposto:

Poiché la pura auto-consapevolezza è la nostra natura essenziale, essere noi stessi comporta l’essere chiaramente consapevoli di noi stessi solamente. Quindi cercare di essere consapevoli solamente di noi stessi è il solo mezzo con cui possiamo riuscire a essere ciò che siamo realmente.

Poiché noi (l’ego) siamo abituati da lungo tempo a essere consapevoli di cose diverse da noi stessi, essere consapevoli solamente di noi stessi sembra (dalla prospettiva del nostro ego) essere un’abilità che possiamo sviluppare solo con la pratica, e la pratica di cercare di essere consapevoli solamente di noi stessi richiede la prova e l’errore. Cioè, poiché ora sembriamo essere inesperti nell’essere chiaramente consapevoli solamente di noi stessi, dobbiamo provare e fallire molte volte prima di riuscire, dopo di che sperimenteremo noi stessi come siamo realmente e distruggeremo per sempre l’illusione di essere questo ego.

Poiché questa pratica comporta la sperimentazione o la prova e l’errore, è chiamata in modo appropriato auto-investigazione (ātma-vicāra ). Cioè, stiamo investigando ciò che siamo realmente, o in altre parole, cos’è essere ciò che siamo realmente – o cos’è essere chiaramente consapevoli solamente di noi stessi.

Palaniappan poi ha scritto una risposta in cui ha commentato, ‘Dare attenzione a noi stessi non come dare attenzione a qualche oggetto ma essere ‘solo’ noi stessi è la pratica’, a cui ho risposto in un altro commento:

Sì, non siamo un oggetto ma solo il soggetto, che è ciò che sperimenta tutti gli oggetti, così dare attenzione a qualsiasi oggetto è dare attenzione a qualcosa diversa da noi stessi. Quindi dovremmo dare attenzione solo a noi stessi, il soggetto o sperimentatore, la prima persona, ‘io’.

Quando facciamo in questo modo, anche il soggetto (l’ego) sprofonderà e scomparirà in noi stessi (perché è un soggetto solo in relazione agli oggetti che sperimenta), e ciò che allora rimarrà è ciò che siamo realmente, che è oltre la distinzione dualistica di soggetto e oggetto.

Come Bhagavan dice nel verso 26 di Upadēśa Undiyār , ‘தானாய் இருத்தலே தன்னை அறிதல் ஆம்’ (tāṉ-āy iruttal-ē taṉṉai aṟidal ām ), che significa ‘Essere solamente noi stessi è conoscere noi stessi’, così il solo modo per essere ciò che siamo realmente è sperimentare ciò che siamo realmente, cosa che possiamo fare solo dando attenzione solamente a noi stessi.

Con riferimento a questa risposta un altro amico ha scritto un'email in cui ha cercato di spiegare quello che aveva capito di ciò, nel corso della quale ha osservato, ‘Questo termine ‘noi’ è spesso suscettibile di confusione poiché è usato per indicare l’ego come anche il sé’. Ciò che segue è adattato dalla risposta che gli ho scritto:

  1. L'ego è essenzialmente solo ciò che siamo realmente
  2. L'attenzione è cit-śakti, il supremo potere che crea, sostiene e distrugge l'intero universo
  3. Cercare con insistenza di essere auto-attentivi è il solo modo per riuscire a esserlo


1. L’ego è essenzialmente solo ciò che siamo realmente

La confusione che citi sorge a causa del pensare in termini di due sé separati, un sé reale e un ego-sé, ma come tutti sappiamo, non siamo due ma solo uno, così non ci sono mai due sé separati. Noi stessi siamo sempre uno, così il termine ‘il nostro sé reale’ si riferisce a noi stessi come siamo realmente, mentre il termine ‘ego’ si riferisci a noi stessi come sembriamo essere quando confondiamo noi stessi come qualsiasi cosa diversa da ciò che siamo realmente.

L’ego è quindi inseparabile da ciò che siamo realmente, perché è solo ciò che siamo realmente che appare come qualcosa che non siamo, proprio come il serpente illusorio è inseparabile dalla corda, perché è solo la corda che appare come qualcosa che non è. In altre parole, l’ego è essenzialmente solo ciò che siamo realmente, ma mischiato con aggiunte sovrapposte come la mente e il corpo, proprio come il serpente è essenzialmente solo una corda, ma mischiata con un’aggiunta sovrapposta, l’idea di un serpente.

Poiché il serpente illusorio è essenzialmente solo una corda, se lo esaminiamo attentamente, vedremo che non è realmente un serpente ma solo una corda. Nello stesso modo, poiché l’ego è essenzialmente solo ciò che siamo realmente, se lo esaminiamo attentamente, vedremo che non è realmente un ego ma solo ciò che siamo realmente. Questo è il motivo per cui esaminare o investigare cos’è questo ego ci rivelerà infine ciò che noi stessi siamo realmente. Questo è ciò che Sri Ramana spiegò in termini simili (come registrato nel capitolo finale di Maharshi’s Gospel , edizione 2002, pagina 89) quando gli fu chiesto, ‘Mentre l’unico fine è realizzare l’incondizionato, puro Essere del Sé, che non è un nessun modo dipendente dall’ego, come può l’indagine riguardante l’ego nella forma di aham-vritti [l’ ‘io’-formazione o ‘io’-pensiero] essere di qualche utilità?’:

Dal punto di vista funzionale […] l’ego ha una e solo una caratteristica. L’ego funziona come il nodo tra il Sé, che è Pura Consapevolezza, e il corpo fisico, che è inerte e insenziente. L’ego è quindi chiamato il chit-jada granthi [il nodo (granthi ) che lega insieme ciò che è cosciente (cit ) con ciò che è non-cosciente (jaḍa ) come se fossero uno]. Nella tua investigazione nella sorgente di aham-vritti [l’ego], prendi l’aspetto essenziale chit [consapevolezza] dell’ego; e per questa ragione l’indagine deve condurre alla realizzazione della pura consapevolezza del Sé.

L’essenza dell’ego è solo consapevolezza (cit ), che è ciò che siamo realmente, perché il suo elemento non-cosciente (jaḍa ) è solo una serie di aggiunte estranee e illusorie sovrapposte sulla sua essenza cosciente, così per investigare ciò che questo ego è realmente dobbiamo investigare solo la sua essenza coscienza, che è noi stessi. In altre parole, ciò che stiamo realmente investigando quando investighiamo il nostro ego è solo noi stessi – la pura coscienza o auto-consapevolezza che essenzialmente siamo.

Finché sperimentiamo noi stessi come qualcosa diversa da ciò che siamo realmente, quando usiamo i termini ‘io’ o ‘noi’ (nel senso in cui Sri Ramana spesso usava ‘noi’, che non è come un pronome di prima persona plurale ma come una forma inclusiva di pronome di prima persona singolare, ‘io’) ciò a cui ci stiamo riferendo è il nostro ego, ma che è solo l’apparenza referente o significato superficiale di questi termini. Il loro referente reale è solo ciò che siamo realmente, come Sri Ramana spiega nel verso 21 di Upadēśa Undiyār :

நானெனுஞ் சொற்பொரு ளாமது நாளுமே
நானற்ற தூக்கத்து முந்தீபற
நமதின்மை நீக்கத்தா லுந்தீபற.

nāṉeṉuñ coṯporu ḷāmadu nāḷumē
nāṉaṯṟa tūkkattu mundīpaṟa
namadiṉmai nīkkattā lundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: நான் எனும் சொல் பொருள் ஆம் அது நாளுமே, நான் அற்ற தூக்கத்தும் நமது இன்மை நீக்கத்தால்.

Padacchēdam (separazione delle parole): nāṉ eṉum sol poruḷ ām adu nāḷ-um-ē, nāṉ aṯṟa tūkkattu- [u ]m namadu iṉmai nīkkattāl.

அன்வயம்: நான் அற்ற தூக்கத்தும் நமது இன்மை நீக்கத்தால், நான் எனும் சொல் பொருள் நாளுமே அது ஆம்.

Anvayam (parole ridisposte secondo ordine naturale di prosa): nāṉ aṯṟa tūkkattu- [u ]m namadu iṉmai nīkkattāl, nāṉ eṉum sol poruḷ nāḷ-um-ē adu ām .

Traduzione: Quello [l’unica infinita totalità che appare come ‘io sono io’ quando l’ego si fonde in noi stessi, la sua sorgente] è sempre il significato della parola chiamata ‘io’, a causa dell’assenza della nostra non-esistenza anche nel sonno, che è privo di ‘io’ [l’ego].

Quindi nel contesto degli insegnamenti di Sri Ramana ogni volta che usiamo le parole ‘io’ o ‘noi’ ci stiamo riferendo solo a noi stessi, che in modo predefinito significa ciò che siamo realmente, e che più specificatamente significa l’ego (che è ciò che ora sembriamo essere) solo quando il contesto richiede una tale interpretazione. Comunque, anche quando ci stiamo riferendo all’ego, dovremmo ricordare che ciò che è essenzialmente questo ego è solo pura auto-consapevolezza, che è ciò che siamo realmente.

Benché sia qualche volta necessario tracciare una distinzione tra il riferirsi a ciò che siamo realmente o all’ego che sembriamo essere, è spesso inutile farlo, e per quanto possibile dovremmo evitare di pensare in termini dualistici come se questo ego fosse qualcosa di completamente separato da ciò che siamo realmente, perché ciò che sembra essere questo ego è solo ciò che siamo realmente. Se non confondessimo ciò che siamo realmente come questo ego, esso non sembrerebbe esistere, proprio come se non confondessimo una corda come un serpente, esso non sembrerebbe esistere.

L’ego è solo un fantasma, un’apparenza illusoria e irreale sovrapposta su ciò che siamo realmente, proprio come il serpente è solo un’apparenza illusoria e irreale sovrapposta su una corda. Ciò che è reale non è l’illusione sovrapposta ma solo la sostanza sottostante, che è ciò che siamo realmente. Quindi il nostro solo fine dovrebbe essere sperimentare ciò che siamo realmente, dissolvendo quindi l’illusione di essere questo ego, una persona o entità limitata.


2. L'attenzione è cit-śakti , il potere supremo che crea, sostiene e distrugge l'intero universo

In relazione alla tua domanda riguardo cit-śakti , sì, l’attenzione è una funzione di cit-śakti (il potere della consapevolezza), perché è l’uso selettivo che facciamo di cit , la nostra consapevolezza o coscienza. Quando scegliamo di essere consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, stiamo dirigendo la nostra attenzione o consapevolezza (cit ) lontano da noi stessi, e questo è ciò che causa e sostiene il sorgere del nostro ego.

Finché siamo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, non ci stiamo sperimentando come siamo realmente, ma solo come un ego. Quindi l’ego sembra avere origine e resistere solo finché scegliamo di essere consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi solamente. Quindi il solo modo di far sprofondare e dissolvere questo ego in noi stessi è di scegliere di essere consapevoli di noi stessi solamente.

In altre parole (come ho spiegato in La legge fondamentale dell’esperienza o consapevolezza scoperta da Sri Ramana ), l’ego sorge e resiste solo dando attenzione a qualsiasi cosa diversa da se stesso, e sprofonda e si fonde in noi stessi solo dando attenzione solamente a se stesso. Quindi l’attenzione è un’arma estremamente potente. Usandola impropriamente, abbiamo creato e stiamo sostenendo l’intera apparenza di questo ego e del mondo, e usandola correttamente per sperimentare solamente noi stessi possiamo distruggere per sempre questa intera apparenza. Questo è il motivo per cui l’attenzione – l’uso selettivo che facciamo della nostra consapevolezza o coscienza – è chiamata cit-śakti ed è detta essere il potere supremo, il potere che crea, sostiene e distrugge l’intero universo.


3. Cercare con insistenza di essere auto-attentivi è il solo modo per riuscire ad esserlo

Tu dici, ‘Ma c’è potere all’interno di noi per modificare il senso dell’attenzione da verso l’esterno a verso l’interno. Questo potere è un’altra volta chit sakthi ? Procede in circolo’ ma non è effettivamente un circolo, perché l’attenzione e il potere che la modifica non sono due cose separate. Noi stessi siamo il potere che dirige la nostra attenzione (la nostra consapevolezza) o interiormente (verso noi stessi solamente) o esteriormente (verso qualsiasi altra cosa), e noi stessi siamo l’attenzione o consapevolezza che stiamo dirigendo in questo modo.

Quindi sta tutto a noi. Noi stessi scegliamo di rivolgere la nostra attenzione indietro verso noi stessi solamente, o di rivolgerla lontano da noi stessi verso qualsiasi altra cosa, e non c’è potere esterno a noi stessi che può costringerci a scegliere uno o l’altro.

Ci lamentiamo di non essere in gradi di rivolgere indietro la nostra attenzione per essere consapevoli solamente di noi stessi, ma la sola ragione per cui non siamo in grado di farlo è che scegliamo di non farlo. Non sperimentiamo noi stessi come siamo realmente solo perché non vogliamo (ancora) realmente sperimentare solamente noi stessi. Ancora abbiamo un’attrazione (in grado variabile) a sperimentare cose diverse da noi stessi, così non siamo disposti a lasciar andare la nostra abitudine di dare attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi.

Se la nostra attrazione a sperimentare noi stessi come siamo realmente non diventa più grande della nostra attrazione a sperimentare qualsiasi altra cosa, non saremo in grado di lasciar andare il nostro ego e le sue creazioni, così ci ostineremo a dare attenzione e a sperimentare altre cose. Tuttavia, cercare con insistenza di dare attenzione solamente a noi stessi è il solo modo in cui riusciremo a farlo, perché anche se falliamo ripetutamente nei nostri tentativi di farlo, cercando con insistenza indeboliremo gradualmente le nostre viṣaya-vāsanās (la nostra attrazione a sperimentare solamente noi stessi). Quindi se perseveriamo nei nostri sforzi di essere auto-attentivi, presto o tardi riusciremo a esserlo con certezza.


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