Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

martedì 10 febbraio 2015

L’auto-attentività non è un’azione, perché noi non siamo due ma solo uno

Michael James

9 Febbraio 2015
Self-attentiveness is not an action, because we ourself are not two but only one

Nel paragrafo finale di uno dei miei articoli recenti, La connessione tra consapevolezza e corpo ho scritto:
Finché permettiamo a noi stessi di dare attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi, il nostro corpo e tutte le altre cose estranee, che in questo modo sperimentiamo, sembrano essere reali, così Sri Ramana ci consiglia di cercare di dare attenzione solo a noi stessi, l’ ‘io’ che è cosciente sia di se stesso sia di tutte quelle altre cose. Quindi se desideriamo seguire il suo sentiero e sperimentare cos’è realmente questo ‘io’, non dovremmo occuparci del nostro corpo e di ogni altra connessione che possiamo sembrare avere con esso, ma dovremmo focalizzare tutto il nostro interesse e l’attenzione solo su noi stessi, l’unica consapevolezza assoluta o pura auto-consapevolezza ‘io sono’.
Con riferimento a questo, un amico mi ha scritto chiedendo:
1) Se Sri Ramana ci consiglia, il consiglio è per la nostra mente o intelligenza – cioè, l’azione necessita di essere eseguita dalla mente o intelligenza, o dall’ego-io – attraverso l’attenzione.

2) Ma allora poiché tu hai spiegato molto spesso che l’attenzione sul sé non concerne l’azione, e che non comporta movimento della mente, l’azione che è eseguita attraverso l’attenzione sul sé (o sullo stesso ego-io) non nutrirà l’ego-io. Così l’azione è okay in quel senso.

3) Hai scritto, ‘noi stessi, l’ ‘io’ che è cosciente sia di noi stessi sia di tutte quelle altre cose’. Deduco che il primo noi stessi è l’ego-io e il secondo noi stessi è il sé. La domanda è perché Sri Ramana ci consiglierebbe di cercare di dare attenzione all’ ‘io’ che è cosciente sia di noi stessi sia di altre cose, invece di solo noi stessi (senza le altre cose). Questo è ciò che significa la seconda frase.

Ciò che segue è un adattamento della risposta che gli ho scritto:

Quello che ci consiglia Sri Ramana è solo di cercare di sperimentare solamente noi stessi, e sperimentare solamente noi stessi (cioè, essere esclusivamente auto-attentivi) non è un’azione.

Poiché la nostra attenzione è ora rivolta all’esterno (verso altre cose), per sperimentare solamente noi stessi dobbiamo rivolgerla all’interno (verso solamente noi stessi), così ci può sembrare che una tale inversione sia un’azione. Tuttavia, non è realmente un’azione, ma solo una cessazione o il quietarsi di tutta l’azione. Quindi nel sentiero di auto-investigazione (ātma-vicāra) l’azione in ogni senso (oltre quello puramente metaforico) non è OK.

Naturalmente śravaṇa (sentire, leggere o studiare gli insegnamenti di Sri Ramana su ātma-vicāra) e manana (riflettere su di essi) comporta l’attività della nostra mente, ma la pratica effettiva di ātma-vicāra comporta l’abbandonare tutta l’azione dando attenzione solamente a noi stessi. Dare attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi comporta un movimento della nostra attenzione lontano da noi stessi verso quell’altra cosa, di conseguenza è un’azione, mentre essere auto-attentivi non comporta movimento della nostra attenzione lontano da noi stessi ma solo il suo fermarsi con calma nella sua sorgente, noi stessi, di conseguenza non è un’azione ma solo una completa cessazione di tutta l’azione.

Quando ho scritto “noi stessi, l’ ‘io’ che è cosciente sia di noi stessi sia di tutte quelle altre cose”, mi stavo ovviamente riferendo a noi stessi come l’ego, perché sperimentiamo altre cose solo quando sperimentiamo noi stessi come l’ego. Quando sperimentiamo noi stessi come siamo realmente, siamo coscienti solamente di noi stessi (poiché niente altro esiste realmente), mentre quando sperimentiamo noi stessi come l’ego, siamo coscienti non solo di noi stessi ma anche di altre cose.

Tu dici ‘deduco che il primo noi stessi è l’ego-io e il secondo noi stessi è il sé’, ma c’è solo sempre un ‘noi stessi’, perché non siamo due ma solo uno. E’ il noi stessi che ora sperimenta noi stessi come questo ego (e conseguentemente sperimenta anche altre cose), ed è il noi stessi che deve quindi cercare di sperimentare solamente noi stessi per sperimentare noi stessi come siamo realmente.

Tu chiedi, “perché Sri Ramana ci consiglierebbe di cercare di dare attenzione all’ ‘io’ che è cosciente sia di noi stessi sia di altre cose, invece di solo noi stessi (senza altre cose)”, ma quando ho scritto che egli “ci consiglia di cercare di dare attenzione solo a noi stessi, l’ ‘io’ che è cosciente sia di noi stessi e di tutte quelle altre cose”, non intendevo che dovremmo essere coscienti di qualcosa diversa da noi stessi. Di fatto ho scritto ‘dare attenzione solo a noi stessi’, che comporta chiaramente che non dovremmo essere coscienti di alcuna altra cosa. Ora siamo coscienti di altre cose, ma questo ‘io’ che è ora cosciente di tutte queste altre cose dovrebbe cercare di essere cosciente solamente di se stesso, perché solo quando saremo coscienti di nient’altro che noi stessi ci sperimenteremo come siamo realmente.

Questo è il semplice ma fondamentale principio su cui Sri Ramana ha basato i suoi insegnamenti essenziali : finché siamo consapevoli di qualsiasi altra cosa diversa da noi stessi, ci stiamo sperimentando come un ego, così per sperimentarci come siamo realmente, dobbiamo cercare di essere consapevoli solamente di noi stessi.

Dare attenzione o sperimentare qualsiasi altra cosa diversa da noi stessi è il cibo che nutre e sostiene l’illusione di essere questo ego – proprio l’aria dalla quale esso dipende per sopravvivere – così dare attenzione o sperimentare solamente noi stessi è privare il nostro ego del cibo o l’aria che lo fa vivere, e quindi investigando noi stessi (cioè, cercando di essere esclusivamente auto-attentivi) stiamo minando il fondamento su cui è basata questa illusione.

Questo è il principio cruciale che Sri Ramana ci insegna nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உருப்பற்றி யுண்டா முருப்பற்றி நிற்கு
முருப்பற்றி யுண்டுமிக வோங்கு — முருவிட்
டுருப்பற்றுந் தேடினா லோட்டம் பிடிக்கு
முருவற்ற பேயகந்தை யோர்.

uruppaṯṟi yuṇḍā muruppaṯṟi niṟku
muruppaṯṟi yuṇḍumiha vōṅgu — muruviṭ
ṭuruppaṯṟun tēḍiṉā lōṭṭam piḍikku
muruvaṯṟa pēyahandai yōr.

பதச்சேதம்: உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும், உரு அற்ற பேய் அகந்தை. ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṯkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum, uru aṯṟa pēy ahandai. ōr.

அன்வயம்: உரு அற்ற பேய் அகந்தை உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும். ஓர்.

Anvayam (parole disposte secondo ordine naturale di prosa): uru aṯṟa pēy ahandai uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṯkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum. ōr.

Traduzione: Afferrando la forma, l’ego-fantasma senza forma ha origine; afferrando la forma si regge [o resiste]; afferrando e nutrendosi di forma cresce [o prospera] abbondantemente; lasciando [una] forma, esso afferra [un’altra] forma. Se cercato [esaminato o investigato], fuggirà. Investiga [o conosci questo].

Qui உரு (uru) o ‘forma’ significa qualsiasi cosa diversa da noi stessi – cioè, qualsiasi cosa che ha qualche caratteristica che la distingue da ciò che siamo realmente. Quindi dando attenzione o sperimentando qualsiasi cosa diversa da noi stessi stiamo sostenendo il nostro ego ad ‘afferrare la forma’ e a ‘nutrirsi di forma’. Quindi se cerchiamo di dare attenzione solamente a noi stessi, cesseremo di dare attenzione o di ‘afferrare’ qualsiasi altra cosa, e perciò il nostro ego ‘fuggirà’ – cioè, l’illusione che siamo questo ego si dissolverà e scomparirà – e ciò che allora rimarrà sarà solo l’essenziale consapevolezza di noi stessi come siamo realmente.



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