Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

mercoledì 4 novembre 2015

La logica che sottende la pratica di auto-investigazione (ātma-vicāra)

Michael James

31 Ottobre 2015
The logic underlying the practice of self-investigation (ātma-vicāra)

In un commento a un mio articolo precedente, L’auto-investigazione (ātma-vicāra) è solo la semplice pratica di cercare di essere attentivamente auto-consapevoli, un amico anonimo ha chiesto, ‘Questa pratica funziona?’ e ha continuato spiegando perché lui o lei ha fatto questa domanda, dicendo, ‘Ci sono molti Guru e ciascuno di loro offre un metodo unico – un metodo che può aver funzionato per loro. La vera domanda è, questo funziona con gli altri? Michael, dai tuoi scritti apprendo che stai praticando questa pratica per più di due decenni (?). Qual'è fino ad ora la tua realizzazione? Sei stato in grado di raggiungere ciò che descrive Bhagavan? Onestamente, se la risposta è no, allora sarò molto scettico su questo metodo’.
  1. Dovremmo fidarci di ciò che altri affermano essere la loro esperienza?
  2. Qual è il fine che dovremmo ambire di sperimentare o raggiungere?
  3. Conoscendo il fine che dovremmo cercare, possiamo logicamente dedurre quale deve essere il mezzo per realizzarlo
  4. Non importa quanto tempo possiamo impiegare a raggiungere la nostra destinazione, paziente perseveranza è richiesta

1. Dovremmo fidarci di ciò che altri affermano essere la loro esperienza?

Lo scorso anno ho risposto alla stessa domanda che ora chiede questo amico anonimo, vale a dire ‘Questa pratica funziona?’, in un articolo dal titolo ‘La pratica di ātma-vicāra funziona?’, ma ora risponderò ad essa in un modo un po’ differente, perché ciò che questo amico ha chiesto riguardo la mia esperienza mette in evidenza il nostro bisogno di rivolgerci una domanda più fondamentale, vale a dire se è saggio o realistico aspettarsi di essere in grado di valutare l’efficacia di qualche forma di pratica spirituale o di investigazione interiore sulla base di ciò che altri affermano essere la loro esperienza. Nel caso dell’auto-investigazione (ātma-vicāra), ciò che stiamo cercando di sperimentare è solo ciò che siamo realmente, così poiché la nostra esperienza di noi stessi è qualcosa che non può essere conosciuta da altri tranne noi stessi, non può essere mostrata, dimostrata o provata in qualunque modo da chiunque altro. Io non posso conoscere cos’è la tua esperienza di te stesso, e tu non puoi conoscere cos’è la mia esperienza di me stesso. Tuttavia, se io cerco di conoscere la tua esperienza e tu cerchi di conoscere la mia esperienza, questo non è ātma-vicāra (investigazione di se stessi) ma anātma-vicāra (investigazione di qualcosa che non è se stessi).

Se io affermo che praticando ātma-vicāra ho sperimentato me stesso come sono realmente, perché tu dovresti credermi? Potrei mentire, affermare questo per aumentare il mio potere, e sperare che tu e altri mi ammiriate, o potrei credere sinceramente in ciò che affermo, ma nondimeno illudere me stesso. Ci sono così tante persone che affermano di aver sperimentato o raggiunto questo o quello seguendo qualche genere particolare di pratica spirituale, ma perché dovremmo credere loro? Se crediamo ad uno di essi, perché non dovremmo credere a tutti? Ma non sarebbe molto ingenuo da parte nostra credere a qualunque cosa qualcun altro possa affermare riguardo la propria esperienza o la propria realizzazione spirituale, dato che non possiamo sapere con certezza se ciò che sta affermando è realmente il caso? Alcuni di essi possono star dicendo la verità e possono non essere auto-illusi, ma possiamo credere ragionevolmente che tutti lo sono? Dunque se credessimo a tutti, perché dovremmo credere a qualcuno in particolare? Anche se supponiamo che alcuni di essi stanno forse dicendo la verità, come possiamo sapere a chi dovremmo credere e a chi non dovremmo?

Tuttavia, poiché ciò che una persona afferma riguardo l’efficacia di una certa pratica spirituale o riguardo il mezzo per ottenere un particolare tipo di esperienza o fine spirituale spesso è in conflitto o contraddice ciò che altri affermano, non ci è possibile credere coerentemente a tutti, perché se credessimo a tutti, faremmo l’errore fondamentale e ovviamente assurdo di sostenere credi mutualmente contradditori e quindi incoerenti. Poiché ovviamente non possiamo credere a ciò che chiunque afferma, dobbiamo giudicare da noi stessi a chi dovremmo credere. Ma per mezzo di quale criterio possiamo decidere a chi credere? Poiché tutti affermano di aver sperimentato qualcosa che affermano essere la verità, credere a ciò che qualcuno afferma di aver sperimentato non è ovviamente un criterio affidabile con cui possiamo giudicare chi o cosa credere.

Il motivo per cui affrontiamo questo dilemma è che siamo spiritualmente ignoranti. Se avessimo sperimentato o realizzato qualunque cosa cerchiamo di sperimentare o realizzare, non dovremmo decidere chi o cosa credere, ma poiché non lo abbiamo ancora sperimentato o ottenuto, abbiamo bisogno di stabilire cosa dovremmo credere.

Così cosa dovremo decidere per primo: a chi credere o cosa credere? Poiché possiamo stabilire cosa credere sulla base della nostra esperienza e ragionare logicamente su ciò, mentre possiamo stabilire a chi credere solo sulla base dell’intuizione o della sensazione interiore, la risposta più razionale sembrerebbe essere che dovremmo prima stabilire cosa credere. Tuttavia, come esseri umani siamo creature complesse, così non sempre agiamo e viviamo la nostra vita in accordo alla nostra ragione, e non possiamo evitare di credere istintivamente ad alcune persone e non ad altre, così le nostre convinzioni – o almeno le nostre convinzioni iniziali – sono in grande misura influenzate dalla sensazione interiore. Nondimeno, benché non possiamo evitare di essere influenzati dalle nostre sensazioni interiori o intuizioni, non dovremmo fidarci del tutto di esse, perché come tutti noi dovremmo sapere per esperienza, non sempre si dimostrano corrette. Quindi, benché possiamo credere a qualcuno o a qualcosa intuitivamente, dovremmo sempre cercare di provare l’affidabilità di tali convinzioni, valutandole per mezzo del criterio della nostra esperienza e dei nostri poteri di ragionamento logico.

Molti di noi confidano intuitivamente in Bhagavan Ramana e siamo quindi inclini a credere a qualsiasi cosa ha scritto, detto o insegnato. Tuttavia, egli non si aspetta da noi o vuole da noi che crediamo ciecamente a qualunque cosa ha insegnato, perché il solo credere in qualcosa non risolverà i nostri problemi, in modo particolare il nostro problema fondamentale di auto-ignoranza, così egli ci ha chiesto di investigare noi stessi e di sperimentare personalmente la verità di ciò che ha insegnato, e per incoraggiarci e motivarci a fare questo, ha anche spiegato perché è ragionevole accettare ciò che egli ha insegnato sulla base di un’analisi logica della nostra attuale esperienza di noi stessi. Egli non ha affermato soltanto che ātma-vicāra nel suo caso aveva funzionato, e che noi dovremmo quindi credere che essa funzionerà nel nostro caso, ma invece ci ha spiegato logicamente perché è il solo mezzo diretto con cui possiamo sperimentare ciò che siamo realmente e quindi distruggere per sempre la nostra auto-ignoranza.

2. Qual è il fine che dovremmo ambire di sperimentare o raggiungere?

Tuttavia, i suoi insegnamenti non iniziano considerando logicamente qual'è il mezzo ma considerando invece quale dovrebbe essere il nostro fine, perché qualunque mezzo scegliamo dovrebbe essere ovviamente adeguato a qualunque fine stiamo ricercando. Tuttavia prima di decidere quale dovrebbe essere il nostro fine abbiamo bisogno di considerare perché in primo luogo abbiamo bisogno di ricercare un fine. Se la nostra situazione attuale fosse perfettamente soddisfacente, e se potessimo ragionevolmente aspettarci di continuare ad essere per sempre in una situazione perfettamente soddisfacente, non ci sarebbe bisogno di ricercare qualche altro fine. Se stiamo ricercando qualche fine o stiamo cercando di decidere quale fine dovremmo ricercare, ovviamente non siamo perfettamente soddisfatti con la nostra situazione attuale o le nostre prospettive future.

Dunque cosa c’è di sbagliato nella nostra situazione attuale o nelle nostre prospettive future? Anche se siamo abbastanza felici e soddisfatti della nostra situazione attuale, sappiamo che questa situazione non può durare per sempre, perché presto o tardi moriremo, e anche prima di morire la nostra situazione attuale è soggetta a mutamento. Ora possiamo avere una famiglia amorevole, amici leali, una buona salute, denaro a sufficienza, una carriera appagante o qualsiasi altra cosa desideriamo, ma qualcuna o tutte queste circostanze possono cambiare in ogni momento. La nostra famiglia o gli amici possono ammalarsi o morire, o possono mettersi contro di noi o tradirci; la nostra salute può deteriorarsi o possiamo avere un serio incidente che ci rende paralizzati o malati cronicamente; possiamo perdere il nostro denaro e la nostra ricchezza; o possiamo essere licenziati o la nostra reputazione professionale può in qualche modo rovinarsi, a causa di qualche errore che possiamo fare o per motivi non imputabili a noi. Quindi non importa quanto possiamo essere fortunati al momento, c’è qualcosa di profondamente insoddisfacente, fuggevole e insicuro nella nostra vita come una persona in questo mondo (o in ogni altro mondo in quanto a questo), così non merita considerare qual'è la causa radice di questa insoddisfazione e se in qualche modo può essere corretta?

Secondo Bhagavan, la causa radice di tutti i nostri problemi attuali e potenziali è il fatto che sperimentiamo noi stessi come un corpo. Ogni volta che sperimentiamo un mondo o qualsiasi cosa diversa da noi stessi, sia nel nostro stato attuale (che ora prendiamo come veglia) o in qualche sogno (che anche prendiamo come veglia finché lo stiamo sperimentando), sempre sperimentiamo noi stessi come un corpo, ma qualunque corpo sperimentiamo come noi stessi in uno stato non è lo stesso che sperimentiamo come noi stessi in un altro stato. Non solo sperimentiamo noi stessi come un corpo ogni volta che sperimentiamo qualche mondo, ma anche invariabilmente sperimentiamo un'altra coincidenza, vale a dire che non sperimentiamo noi stessi come un corpo ogni volta che non sperimentiamo qualche mondo, come nel sonno. Questa coppia di coincidenze, e il fatto che una o l’altra di esse accade sempre senza errore, suggerisce che c’è un collegamento causale tra lo sperimentare noi stessi come un corpo e lo sperimentare un mondo o qualsiasi cosa diversa da noi stessi, e poiché sperimentiamo problemi di ogni genere solo quando sperimentiamo noi stessi come un corpo e conseguentemente sperimentiamo un mondo, abbiamo buoni motivi per sospettare che Bhagavan ha forse ragione nel dire che sperimentare noi stessi come un corpo è la causa radice di qualunque problema possiamo affrontare.

Egli indica anche un altro fatto importante, e una volta che questo fatto ci è indicato, se riflettiamo su di esso è molto chiaro che deve essere logicamente corretto. Quel fatto è questo: poiché sperimentiamo noi stessi come un corpo in uno stato e qualche altro corpo in qualsiasi altro stato, non possiamo realmente essere alcuno di questi corpi, perché siamo sempre consapevoli di noi stessi (cioè, siamo sempre consapevoli che ‘io sono’), così non possiamo essere qualsiasi altra cosa di cui non siamo consapevoli in ogni momento. Per esempio, poiché in un sogno siamo consapevoli di noi stessi senza essere consapevoli di questo corpo che ora sperimentiamo come noi stessi, non possiamo essere realmente questo corpo. Nello stesso modo, poiché ora siamo consapevoli di noi stessi senza essere direttamente consapevoli di qualcuno dei corpi che abbiamo sperimentato come noi stessi nei nostri sogni, non possiamo realmente essere alcuno di questi corpi di sogno. La semplice logica pretende che questo sia il caso.

Cioè, se i termini ‘io’ e ‘questo corpo’ si riferiscono entrambi alla stessa cosa, qualunque cosa è vera per ‘io’ deve anche essere vera per questo corpo, così ogni volta che sono direttamente consapevole di ‘io’ (come lo sono in tutti i momenti) dovrei essere direttamente consapevole di questo corpo. Se in ogni momento sono consapevole di ‘io’ (me stesso) senza essere consapevole di questo corpo, qualcosa che è vera per ‘io’ (vale a dire che io sono consapevole di essa) è in quel momento non vera per questo corpo, così questo implica logicamente che questi termini ‘io’ e ‘questo corpo’ non si riferiscono effettivamente alla stessa cosa, anche se qualche volta sembrano riferirsi alla stessa cosa. Quindi non può essere il caso che questo corpo è ciò che io sono realmente. Io sono una cosa, e questo corpo è qualcos’altro, anche se questo corpo è ciò che ora sembro essere.

Quindi poiché questo corpo ora sembra essere me stesso, e poiché in qualsiasi sogno qualche altro corpo sembra essere me stesso, l’esperienza ‘io sono questo corpo’ deve essere un’illusione. Nondimeno è solo quando sperimento me stesso come un corpo, sia nella veglia che nel sogno, che sperimento qualsiasi cosa diversa da me stesso, così come Bhagavan indica, questa illusione ‘io sono questo corpo’ è il fondamento su cui è basata la mia esperienza di ogni altra cosa. Quindi poiché il fondamento della mia esperienza di ogni altra cosa è un’illusione, sembra ragionevole dedurre che la mia esperienza di ogni altra cosa è tanto illusoria quanto il suo fondamento, vale a dire la mia esperienza ‘io sono questo corpo’.

Perciò Bhagavan prima di tutto diagnostica che la causa radice di tutti i nostri problemi e della mancanza di una soddisfazione durevole è questa esperienza illusoria ‘io sono questo corpo’, e sulla base di questa diagnosi poi ci chiede di dedurre quale dovrebbe essere il nostro fine. Ovviamente dovrebbe essere liberare noi stessi da questa esperienza illusoria, e poiché questa esperienza illusoria è un’esperienza erronea di noi stessi, per liberarci di essa abbiamo bisogno di sperimentare noi stessi come siamo realmente.

Se avessimo sperimentato noi stessi come siamo realmente, non ci sperimenteremmo come un corpo o come qualcos’altro che è diverso da noi stessi, così la nostra esperienza illusoria di noi stessi come ‘io sono questo corpo’ è causata solo dall’auto-ignoranza – cioè, da una mancanza di chiara conoscenza esperienziale di ciò che siamo realmente. Quindi, poiché la nostra esperienza illusoria ‘io sono questo corpo’ è causata solo dall’auto-ignoranza, essa può essere distrutta solo dalla corretta conoscenza di noi stessi – cioè, dal nostro essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente piuttosto che solo come sembriamo essere.

Dunque sulla base di una semplice analisi logica della nostra esperienza Bhagavan ci mostra che il fine che dovremmo stabilire per noi stessi è semplicemente sperimentarci come siamo realmente. Poiché ogni cosa che sperimentiamo diversa dalla nostra esperienza più fondamentale (vale a dire la nostra essenziale auto-esperienza o auto-consapevolezza,‘io sono’) è un’illusione basata sulla nostra illusione primaria, ‘io sono questo corpo’, sperimentare qualsiasi cosa diversa da ciò che siamo realmente non può essere un fine realmente degno. Quindi il solo fine che in definitiva è degno di essere ricercato è sperimentare ciò che siamo realmente e quindi distruggere per sempre la nostra auto-ignoranza.

3. Conoscendo il fine che dovremmo ricercare, possiamo logicamente dedurre quale deve essere il mezzo per realizzarlo

Avendo stabilito qual è il nostro fine, o almeno quale dovrebbe essere, siamo ora in una posizione migliore per giudicare quale deve essere il mezzo per raggiungerlo o ottenerlo. Poiché ciò che stiamo cercando è sperimentare noi stessi come siamo realmente, è logico dedurre che il solo mezzo diretto con cui fare questo è investigare noi stessi cercando di osservare o di essere consapevoli soltanto di noi stessi. Ora confondiamo noi stessi come certe altre cose di cui siamo attualmente consapevoli. Come un corpo e una mente, ma nessuna di queste altre cose può essere ciò che siamo realmente, perché siamo sempre consapevoli di noi stessi, mentre non c’è altra cosa (nessun fenomeno) di cui siamo consapevoli in ogni momento, così per sperimentare noi stessi come siamo realmente, dobbiamo sperimentare o essere consapevoli soltanto di noi stessi, in completo isolamento anche dalla minima consapevolezza di qualsiasi altra cosa.

Se vogliamo conoscere, sperimentare o essere consapevoli di qualsiasi cosa in questo mondo, dobbiamo fare attenzione a essa. Qualsiasi cosa vogliamo conoscere, sia essa un fenomeno distante nello spazio, un sottile fenomeno sub-atomico, un fenomeno storico, un fenomeno sociale, un fenomeno psicologico o qualsiasi altro, lo strumento di base che dobbiamo usare per conoscerlo è la nostra attenzione. Per apprendere qualsiasi fenomeno fisico abbiamo bisogno di usare uno o più dei nostri cinque sensi, e per apprendere riguardo certe cose abbiamo anche bisogno di strumenti specialistici, come radiotelescopi, microscopi elettronici, attrezzature per raggi x, decodificatori ad ultrasuoni o acceleratori di particelle, ma anche per usare i nostri sensi o qualche strumento specialistico abbiamo bisogno di usare il nostro potere di attenzione, così l’attenzione è lo strumento più basilare ed essenziale che dobbiamo usare per conoscere, sperimentare o essere consapevoli di qualsiasi cosa. Mentre per conoscere qualsiasi cosa diversa da noi stessi possiamo aver bisogno dei nostri sensi e in alcuni casi di altri strumenti, per essere consapevoli di ciò che siamo realmente non possiamo usare alcun strumento tranne che il nostro potere di attenzione.

Quindi per conoscere noi stessi come siamo realmente dobbiamo solo attendere a, osservare o essere consapevoli soltanto di noi stessi. Attendere a qualsiasi cosa diversa da noi stessi ci può permettere di conoscere altre cose, ma non può permetterci di sperimentare noi stessi come siamo realmente. Per sperimentare noi stessi come siamo realmente, quindi, dobbiamo solo attendere a noi stessi e a niente altro.

Come abbiamo osservato precedentemente, ogni volta che siamo consapevoli di qualcosa diversa da noi stessi – sia nella veglia che nel sogno, e sia che quell'altra cosa sia qualcosa che sembra essere un fenomeno fisico o solo un fenomeno puramente mentale – siamo consapevoli di noi stessi come un corpo. Solo quando non siamo consapevoli di qualsiasi altra cosa, come nel sonno profondo, non siamo consapevoli di noi stessi come un corpo. Poiché questa è la nostra esperienza costante, è ragionevole dedurre che non possiamo sperimentare o essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente finché siamo consapevoli di qualcosa diversa da noi stessi.

Questa è una deduzione che possiamo trarre logicamente dalla nostra esperienza, ed è anche confermata da Bhagavan dalla sua esperienza. Quindi uno dei principi più fondamentali dei suoi insegnamenti è che (come ha spesso affermato, e come ha inteso in modo particolarmente chiaro nei versi 25 e 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu) ogni volta che sperimentiamo qualcosa diversa da noi stessi, sperimentiamo noi stessi come un corpo, e ogni volta che sperimentiamo noi stessi come un corpo sperimentiamo anche altre cose, e dunque il solo mezzo con cui possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente è essere consapevoli soltanto di noi stessi, in completo isolamento anche dalla minima consapevolezza di ogni altra cosa.

Questo stato di completo isolamento, in cui sperimentiamo niente altro che noi stessi, è ciò che in Sanscrito è chiamato kaivalya, che significa solitudine, essere soli o isolamento (essendo un sostantivo astratto derivato da kēvala, che significa solitario, solo o isolato), e che è quindi usato per descrivere il nostro fine ultimo, lo stato di assoluta liberazione (mōkṣa) o nirvāṇa. Solo quando sperimentiamo noi stessi in un tale di stato di perfetto isolamento, essendo chiaramente consapevoli solo di noi stessi e di niente altro, stiamo sperimentando noi stessi come siamo realmente, perché secondo Bhagavan ciò che esiste realmente è solo noi stessi (come dichiara inequivocabilmente nella prima frase del settimo paragrafo di Nāṉ Yār?), e qualunque altra cosa sembra esistere è solo un’illusione e sembra esistere solo finché sperimentiamo noi stessi come se fossimo un corpo.

Poiché possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente solo quando sperimentiamo soltanto noi stessi, in completo isolamento anche dalla minima consapevolezza di ogni altra cosa, il nostro fine è sperimentare o essere chiaramente consapevoli soltanto di noi stessi, così il solo mezzo per raggiungere questo fine è attendere soltanto a noi stessi. Questo è il motivo per cui Bhagavan spesso insisteva che la natura del mezzo deve essere essenzialmente la stessa natura del nostro fine, come ha affermato, per esempio, nel verso 579 di Guru Vācaka Kōvai:
மன்னுசொரூ பாத்துவித மாட்சியால் வேறுகதி
தன்னைத் தவிர்த்தில்லாத் தன்மையால் — துன்னு
முபேயமுந் தானே யுபாயமுந் தானே
யபேதமாக் காண்க வவை.

maṉṉusorū pādduvita māṭciyāl vēṟugati
taṉṉait tavirttillāt taṉmaiyāl — tuṉṉu
mupēyamun dāṉē yupāyamun dāṉē
yabhēdamāk kāṇka vavai
.

பதச்சேதம்: மன்னு சொரூப அத்துவித மாட்சியால், வேறு கதி தன்னை தவிர்த்து இல்லா தன்மையால், துன்னும் உபேயமும் தானே, உபாயமும் தானே. அபேதமா காண்க அவை.

Padacchēdam (separazione delle parole): maṉṉu sorūpa adduvita māṭciyāl, vēṟu gati taṉṉai tavirttu illā taṉmaiyāl, tuṉṉum upēyam-um tāṉē, upāyam-um tāṉē. abhēdam-ā kāṇga avai.

அன்வயம்: மன்னு சொரூப அத்துவித மாட்சியால், தன்னை தவிர்த்து வேறு கதி இல்லா தன்மையால், துன்னும் உபேயமும் தானே உபாயமும் தானே. அவை அபேதமா காண்க.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): maṉṉu sorūpa adduvita māṭciyāl, taṉṉai tavirttu vēṟu gati illā taṉmaiyāl, tuṉṉum upēyamum tāṉē, upāyamum tāṉē. avai abhēdam-ā kāṇga.

Traduzione: A causa della natura non-duale del proprio sé durevole, e a causa del fatto che escludendo se stessi non c’è altro gati [rifugio, mezzo o fine], l’upēya [scopo o fine] che deve essere raggiunto è solo noi stessi e l’upāya [mezzo o sentiero] è solo noi stessi. Conoscili come non-differenti (abhēda).
Cioè, poiché il nostro fine è solo essere consapevoli soltanto di noi stessi, il mezzo per raggiungere questo fine deve ugualmente essere il cercare di essere consapevoli soltanto di noi stessi. Questo è il motivo per cui per essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente dobbiamo cercare di essere consapevoli soltanto di noi stessi. In altre parole, dobbiamo cercare di focalizzare la nostra intera attenzione solo su noi stessi.

Quindi, tranne che solo cercare di essere più possibile attentivamente auto-consapevoli, non ci può essere alcun mezzo con cui possiamo sperimentare direttamente ciò che siamo realmente. Altri mezzi possono aiutare a purificare la nostra mente e quindi a prepararci ad essere attentivamente auto-consapevoli, e possiamo adottare inizialmente qualunque altro mezzo, ma prima o poi dobbiamo ricorrere a questo mezzo, perché non saremo mai in grado di sperimentare noi stessi come siamo realmente a meno che non rivolgiamo la nostra intera attenzione all’interno e diveniamo quindi consapevoli soltanto di noi stessi.

Questa semplice pratica di cercare di essere attentivamente auto-consapevoli – cioè, cercare di rivolgere la nostra intera attenzione all’indietro verso solo noi stessi – è ciò che è chiamata auto-investigazione (ātma-vicāra), e il fatto che questo è il solo mezzo diretto con cui possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente può essere compreso per mezzo della semplice logica, come insegnato da Bhagavan Ramana e come sottolineato sopra. Tuttavia, l’analisi logica della nostra esperienza di noi stessi in ciascuno dei tre stati, vale a dire veglia, sogno e sonno profondo, può condurci solo fino a comprendere ciò che dovremmo cercare di raggiungere (vale a dire sperimentare noi stessi come siamo realmente) e come dovremmo cercare di raggiungerlo (vale a dire cercando di essere attentivamente consapevoli soltanto di noi stessi). Una volta che abbiamo compreso questo, dovremmo mettere in pratica la nostra comprensione cercando più possibile di essere attentivamente consapevoli soltanto di noi stessi, perché finché e a meno che non facciamo questo non saremo mai in grado di sperimentare ciò che siamo realmente.

4. Non importa quanto tempo possiamo impiegare a raggiungere la nostra destinazione, paziente perseveranza è richiesta

Quanto tempo ci servirà per sperimentare ciò che siamo realmente praticando l’auto-investigazione in questo modo dipende dalla misura in cui la pratichiamo seriamente, e la misura in cui la pratichiamo seriamente dipende dall’intensità del nostro amore (bhakti) di essere consapevoli soltanto di noi stessi e il grado corrispondente della nostra assenza di desiderio (vairāgya) – cioè, la nostra libertà dal desiderio di essere consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi. Solo perché ho cercato di praticare l’essere attentivamente auto-consapevole per i passati quarant’anni ma non sono ancora riuscito a sperimentare me stesso come sono realmente non significa che io o chiunque altro debba concludere che questa pratica di auto-investigazione non funziona.

Tutto ciò che questo indica è che quando ho iniziato a percorrere questo sentiero avevo ancora desideri molto forti di sperimentare cose diverse da me stesso e che il mio amore di sperimentare soltanto me stesso era quindi in corrispondenza estremamente debole, e dunque i miei tentativi di essere attentivamente auto-consapevole sono stati molto deboli e così i miei progressi sono stati in corrispondenza lenti e incerti.

I miei desideri possono essere ancora molto forti e il mio amore di sperimentare ciò che sono realmente può essere ancora molto debole, ma questo non significa che io debba cedere (o che qualcun altro debba essere scoraggiato nel vedere la mia misera condizione), perché come Bhagavan spesso era solito dire, nessuno è mai riuscito in questo sentiero senza paziente perseveranza, e perché non c’è altro mezzo con cui ognuno di noi può raggiungere il fine ultimo di sperimentare noi stessi come siamo realmente. Se iniziamo il nostro viaggio vicino al nostro fine, lo raggiungeremo velocemente, e se iniziamo più lontano ci servirà molto più tempo, ma per quanto lontano possiamo essere, più perseveriamo nei nostri tentativi di essere attentivamente auto-consapevoli più vicino sicuramente giungeremo alla nostra destinazione e più rapidamente alla fine la raggiungeremo.

Ciò che abbiamo stabilito di raggiungere non è qualcosa di superficiale o transitorio, ma è sperimentare noi stessi come l’unica realtà infinita ed eterna, oltre alla quale niente esiste, e il prezzo che deve essere pagato per questo è il sacrificio del proprio ego (che è la nostra esperienza illusoria ‘io sono questo corpo’) e di ogni cosa che avviene insieme con esso, inclusa l’illusione del tempo. Quindi se non siamo disposti a dedicarci, per quanto tempo possa essere necessario, a cercare di essere attentivamente auto-consapevoli, ovviamente non siamo sinceri riguardo al raggiungere ciò che diciamo di voler raggiungere.

Questo non è un sentiero o un fine per pusillanimi o per coloro che non sono pronti a fare ciò che bisogna che sia fatto, non importa quanto tempo può richiedere. Per riuscire nei nostri sforzi di raggiungere il fine che abbiamo stabilito per noi stessi, dobbiamo solo perseverare pazientemente nel cercare di essere consapevoli soltanto di noi stessi finché infine riusciamo. Non c’è altro modo.

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