Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

lunedì 7 agosto 2017

Ogni esperienza temporanea non è manōnāśa e quindi non è ‘auto-realizzazione’

Michael James

27 Luglio 2017
Any experience that is temporary is not manōnāśa and hence not ‘self-realisation’

Un recente post sulla pagina Facebook della Ramana Maharshi Foundation UK era una citazione parziale di un paragrafo di A Sadhu’s Reminiscences of Ramana Maharshi (terza edizione, 1976, pagine 52-3), in cui Alan Chadwick ha scritto:
Prima di andare in India avevo letto di persone come Edward Carpenter, Tennyson e molti altri che avevano avuto lampi di ciò che chiamavano “Coscienza Cosmica”. Ho chiesto a Bhagavan riguardo a questo. Una volta ottenuta l’Auto-realizzazione era possibile perderla nuovamente? Certamente era possibile. Per sostenere questa visione Bhagavan prese una copia del Kaivalya Navanita e disse all’interprete di leggermi una pagina di esso. Nei primi stadi della Sadhana era del tutto possibile ed anche probabile. Finché restava il minimo desiderio o legame, una persona sarebbe stata spinta di nuovo nel mondo fenomenico, egli spiegò. Dopo tutto sono solo le nostre Vasana ad impedirci di essere sempre nel nostro stato naturale, e le Vasana non erano tolte tutte di mezzo all’improvviso o con un lampo di Coscienza Cosmica. Uno può aver lavorato su di esse in una esistenza precedente lasciando qualcosa da essere fatto nella vita attuale, ma in ogni caso innanzi tutto esse devono essere distrutte.
In riferimento a questo, un’amica mi ha scritto: ‘Avendo realizzato c’è una possibilità di non realizzare di nuovo? Questa domanda mi ha confuso per molte settimane. Avevo la sensazione che una volta che l’ego è stato completamente annientato non sorgerà nuovamente. Tuttavia discussioni con devoti nella pagina Ramana Maharshi Foundation sembrano indicare anche che una volta che si è ottenuto ciò è possibile perdersi nuovamente se tutte le vasana non [sono] distrutte. Qual era la visione di Bhagavan su questo? Mi disturba immensamente il fatto che avendo realizzato si possa cadere di nuovo nell’illusione, se è così ciò sembra anche rendere la nostra pratica del tutto senza significato’. Ciò che segue è la risposta che le ho dato.

  1. L’auto-realizzazione (ātma-sākṣātkāra) non è ‘coscienza cosmica’ ma consapevolezza solo di sé stessi
  2. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 6: il cosmo non esiste indipendentemente dalla mente che lo percepisce
  3. Nāṉ Yār? paragrafo 3: a meno che non cessi la percezione di qualsiasi mondo o cosmo non ci può essere auto-realizzazione (svarūpa-darśana)
  4. Nāṉ Yār? paragrafo 4: quando vediamo ciò che siamo realmente, nessun mondo o cosmo sembrerà esistere
  5. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 26: se sembriamo essere questo ego, i fenomeni sembrano esistere, e se non sembriamo essere questo ego, nessun fenomeno esiste
  6. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 13: la consapevolezza dei fenomeni non è reale consapevolezza (jñāna), ma solo ignoranza (ajñāna)
  7. Poiché il sonno è privo di molteplicità o diversità (nānātva), è pura auto-consapevolezza, mentre la veglia e il sogno sono stati di densa ignoranza
  8. Upadēśa Undiyār verso 13: la sola differenza tra manōlaya e manōnāśa è che l’ego sorgerà da manōlaya ma mai da manōnāśa
  9. Per essere annientato il nostro ego deve rivolgere accuratamente la sua intera attenzione soltanto verso sé stesso per vedere ciò che è realmente
  10. Poiché le viṣaya-vāsanā sono gli impulsi dell’ego, nessuna di esse può sopravvivere quando l’ego è annientato da ātma-sākṣātkāra
  11. Upadēśa Undiyār verso 17: se lo investighiamo abbastanza accuratamente, scopriremo che non c’è una cosa come un ego o una mente
  12. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 38: se lo investighiamo abbastanza accuratamente, scopriremo che non c’è nessun ego o quindi nessuna schiavitù, così la liberazione è eterna


1. L’auto-realizzazione (ātma-sākṣātkāra) non è ‘coscienza cosmica’ ma consapevolezza solo di sé stessi

Ponendo a Bhagavan la domanda a cui egli si riferisce in questo brano Chadwick sembra identificare la ‘Coscienza Cosmica’ con l’’Auto-realizzazione’. Ciò che le persone intendono con il termine ‘coscienza cosmica’ non è chiaro, ma il termine non suggerisce qualche stato che potrebbe essere identificato con qualcuno dei vari significati del termine ‘auto-realizzazione’. ‘Cosmica’ è un aggettivo derivato da ‘cosmo’, che significa universo, la totalità di tutti i fenomeni fisici, così ‘coscienza cosmica’ indica chiaramente qualche stato in cui c’è consapevolezza di fenomeni fisici, che non è il nostro scopo se cerchiamo l’annientamento del nostro ego insieme con tutte le sue viṣaya-vāsanā (propensioni, inclinazioni, preferenze o desideri di essere consapevoli di fenomeni).

D’altra parte ‘Auto-realizzazione’ è un termine che non si riferisce alla consapevolezza del cosmo ma alla consapevolezza o a una condizione di sé stessi. In psicologia e nella maggior parte dei dizionari Inglesi ‘auto-realizzazione’ è definito come adempimento del proprio potenziale come una persona, ma dal tardo secolo diciannovesimo lo stesso termine è stato usato piuttosto frequentemente come una traduzione del termine Sanscrito ātma-sākṣātkāra, che in effetti ha un significato completamente differente dal significato usuale di auto-realizzazione. Nel termine ātma-sākṣātkāra, ātma significa sé stessi, sākṣāt significa letteralmente ‘avendo occhi’ (essendo l’ablativo di sākṣa, che significa ‘avendo occhi’ o ‘con occhi’) ma è usato generalmente nel significato di percepito direttamente, e kāra significa rendere o fare (o ciò che rende o fa), così sākṣātkāra significa ‘rendere percepito direttamente’ o ‘percepire direttamente’, e quindi ātma-sākṣātkāra significa ‘diretta percezione di sé stessi’ nel senso di essere direttamente consapevoli di ciò che si è realmente.

Ciò che è consapevole del cosmo o di ogni altro fenomeno è solo l’ego, ed esso è consapevole di fenomeni di qualunque tipo a causa delle proprie viṣaya-vāsanā. Comunque, l’ego e le sue viṣaya-vāsanā sono inseparabili, perché avere viṣaya-vāsanā è la sua vera natura, poiché esso sembra esistere solo quando è consapevole di fenomeni, e perciò il suo desiderio fondamentale per la propria sopravvivenza è un forte impulso (vāsanā) ad aggrapparsi fermamente alla consapevolezza dei fenomeni (viṣaya). Quindi non possiamo liberare noi stessi da tutte le viṣaya-vāsanā senza annientare la loro radice, l’ego.

L’ego non è nient’altro che una falsa consapevolezza di noi stessi – una consapevolezza di noi stessi come qualcosa diversa da ciò che siamo realmente – così possiamo annientarlo solo essendo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, che è lo stato chiamato ātma-sākṣātkāra. Quindi, poiché ātma-sākṣātkāra comporta l’annientamento dell’ego insieme con tutte le sue viṣaya-vāsanā, e poiché l’ego solo è ciò che è consapevole dell’apparenza illusoria dei fenomeni, non ci può essere consapevolezza dei fenomeni o ‘coscienza cosmica’ nello stato di ātma-sākṣātkāra, e perciò ātma-sākṣātkāra è uno stato in cui non siamo consapevoli di niente altro che noi stessi.

Presumibilmente quando Chadwick ha usato il termine ‘auto-realizzazione’ lo stava usando nel senso di ātma-sākṣātkāra, ma sembra che egli non abbia compreso molto chiaramente che in ātma-sākṣātkāra non ci può essere consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da sé stessi. Tuttavia, almeno ha compreso che l’auto-realizzazione non è esattamente uguale a ‘coscienza cosmica’ (qualunque cosa quel termine può significare), perché prima nello stesso libro (A Sadhu’s Reminiscences, 3° ed., pagine 25-6) ha scritto:
Nei libri Occidentali si legge di persone che hanno avuto lampi di illuminazione. Il Dr. Bucke ha raccolto e pubblicato registrazioni di molti casi simili. Ma mentre la Realizzazione di Bhagavan era permanente, non era così per quelle descritte da Bucke, che non erano mai niente più che lampi temporanei, che di solito duravano non più di mezz’ora. L’effetto di ciò può rimanere per alcuni giorni ma con il tempo immancabilmente passerà. Ho chiesto a Bhagavan riguardo a questo, come questo poteva essere ed egli mi ha spiegato che ciò che viene come un lampo scomparirà in un lampo. Effettivamente essi non sperimentano l’Auto-realizzazione ma la Coscienza Cosmica dove vedono tutto come uno, identificando loro stessi con la Natura e il Cuore Cosmico. Nell’Induismo questo è chiamato Mahat. Qui una traccia d’ego rimane anche durante l’esperienza e al visionario appartiene una consapevolezza del corpo. Questo falso senso di “io” deve andarsene completamente, perché esso è la limitazione che serve come schiavitù. La liberazione è libertà finale da questo.
Poiché in questo brano Chadwick distingue ‘coscienza cosmica’ da auto-realizzazione, non è chiaro perché più avanti è sembrato considerarli uguali, come nel brano che la Ramana Maharshi Foundation ha citato sulla loro pagina Facebook. Inoltre, poiché egli ha scritto (nel secondo brano) che in risposta alla sua domanda Bhagavan ha inteso che è certamente possibile perdere l’auto-realizzazione dopo averla ottenuta, dobbiamo dubitare di ciò che egli ha esattamente chiesto a Bhagavan, perché ogni esperienza che può essere ottenuta e poi perduta non è auto-realizzazione nel senso di ātma-sākṣātkāra. Se la ‘coscienza cosmica’ comporta la consapevolezza dell’universo o dei fenomeni fisici, come il termine sembra implicare, può certamente essere perduta, perché qualunque cosa è ottenuta in un momento sarà certamente perduta in un secondo momento, che è il motivo per cui Bhagavan ha spesso enfatizzato che la liberazione (che è un altro termine che si riferisce a ātma-sākṣātkāra) è eterna, essendo la nostra natura reale, come scopriremo se investighiamo il nostro ego abbastanza accuratamente.

2. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 6: il cosmo non esiste indipendentemente dalla mente che lo percepisce

Da ciò che Chadwick ha scritto nel primo di questi due brani (il secondo che ho citato sopra), sembra che ciò che egli intende con il termine ‘coscienza cosmica’ è uno stato in cui si identifica sé stessi con la natura e il ‘Cuore Cosmico’ (qualunque cosa egli immagina che sia) e sente che ogni cosa è uno, che significa che è solo uno stato della mente, perché ciò che è consapevole dell’esistenza apparente di ogni cosa e della natura (nel senso di tutti i fenomeni fisici collettivamente) è solo la mente o ego, come Bhagavan afferma inequivocabilmente nel verso 6 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உலகைம் புலன்க ளுருவேறன் றவ்வைம்
புலனைம் பொறிக்குப் புலனா — முலகைமன
மொன்றைம் பொறிவாயா லோர்ந்திடுத லான்மனத்தை
யன்றியுல குண்டோ வறை.

ulahaim pulaṉga ḷuruvēṟaṉ ḏṟavvaim
pulaṉaim poṟikkup pulaṉā — mulahaimaṉa
moṉḏṟaim poṟivāyā lōrndiḍuda lāṉmaṉattai
yaṉḏṟiyula kuṇḍō vaṟai
.

பதச்சேதம்: உலகு ஐம் புலன்கள் உரு; வேறு அன்று. அவ் ஐம் புலன் ஐம் பொறிக்கு புலன் ஆம். உலகை மனம் ஒன்று ஐம் பொறிவாயால் ஓர்ந்திடுதலால், மனத்தை அன்றி உலகு உண்டோ? அறை.

Padacchēdam (separazione delle parole): ulahu aim pulaṉgaḷ uru; vēṟu aṉḏṟu. a-vv-aim pulaṉ aim poṟikku pulaṉ ām. ulahai maṉam oṉḏṟu aim poṟi-vāyāl ōrndiḍudalāl, maṉattai aṉḏṟi ulahu uṇḍō? aṟai.

அன்வயம்: உலகு ஐம் புலன்கள் உரு; வேறு அன்று. அவ் ஐம் புலன் ஐம் பொறிக்கு புலன் ஆம். மனம் ஒன்று உலகை ஐம் பொறிவாயால் ஓர்ந்திடுதலால், மனத்தை அன்றி உலகு உண்டோ? அறை.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): ulahu aim pulaṉgaḷ uru; vēṟu aṉḏṟu. a-vv-aim pulaṉ aim poṟikku pulaṉ ām. maṉam oṉḏṟu ulahai aim poṟi-vāyāl ōrndiḍudalāl, maṉattai aṉḏṟi ulahu uṇḍō? aṟai.

Traduzione: Il mondo è una forma [composta] di cinque [tipi di] informazioni sensoriali, non qualsiasi altra cosa. Questi cinque [tipi di] informazioni sensoriali sono fenomeni sensori [percepibili] ai cinque organi di senso. Poiché solo la mente percepisce il mondo per mezzo dei cinque organi di senso, dimmi, c’è [qualche] mondo oltre a [ad esclusione di, se non per, a parte, diverso da o senza] la mente?
Ciò a cui egli si riferisce qui come ‘மனம்’ (maṉam), la mente, è l’ego, perché sebbene il termine ‘mente’ è spesso usato per riferirsi a tutti i pensieri o fenomeni mentali collettivamente, la radice di tutti i fenomeni mentali è solo l’ego, così ciò che la mente è essenzialmente è solo l’ego, il pensiero primario chiamato ‘io’, come egli spiega nel verso 18 di Upadēśa Undiyār:
எண்ணங்க ளேமனம் யாவினு நானெனு
மெண்ணமே மூலமா முந்தீபற
யானா மனமென லுந்தீபற.
eṇṇaṅga ḷēmaṉam yāviṉu nāṉeṉu
meṇṇamē mūlamā mundīpaṟa
yāṉā maṉameṉa lundīpaṟa
.
பதச்சேதம்: எண்ணங்களே மனம். யாவினும் நான் எனும் எண்ணமே மூலம் ஆம். யான் ஆம் மனம் எனல்.

Padacchēdam (separazione delle parole): eṇṇaṅgaḷ-ē maṉam. yāviṉ-um nāṉ eṉum eṇṇam-ē mūlam ām. yāṉ ām maṉam eṉal.

அன்வயம்: எண்ணங்களே மனம். யாவினும் நான் எனும் எண்ணமே மூலம் ஆம். மனம் எனல் யான் ஆம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): eṇṇaṅgaḷ-ē maṉam. yāviṉ-um nāṉ eṉum eṇṇam-ē mūlam ām. maṉam eṉal yāṉ ām.

Traduzione: I pensieri sono solo la mente. Di tutti, solo il pensiero chiamato ‘io’ è la radice. Ciò che è chiamata mente è ‘io’.

Traduzione elaborata: I pensieri sono solo la mente [o la mente è solo pensieri]. Di tutti [i pensieri], solo il pensiero chiamato ‘io’ è il mūla [la radice, la base, il fondamento, l’origine, la sorgente o la causa]. [Quindi] ciò che è chiamata mente è [essenzialmente solo] ‘io’ [l’ego o pensiero radice chiamato ‘io’].
In questo verso e altrove nei suoi insegnamenti Bhagavan usa il termine ‘pensiero’ (எண்ணம் (eṇṇam) o நினைவு (niṉaivu)) per riferirsi a fenomeni mentali di qualunque tipo, e secondo lui tutti i fenomeni sono mentali (‘pensieri’), perché nessun fenomeno esiste indipendentemente dalla mente che lo percepisce. Poiché tutti i pensieri o fenomeni mentali diversi dall’ego sono solo oggetti percepiti da esso, e poiché nessuno di essi è consapevole della propria esistenza o di qualsiasi altra cosa, l’esistenza apparente di tutti essi dipende dall’ego, che è il solo pensiero che è consapevole di qualsiasi cosa. Quindi l’elemento di percezione della mente è solo l’ego, e poiché esso è il centro della mente ed il suo solo elemento costante, ciò che la mente è essenzialmente è solo l’ego.

Quindi quando Bhagavan chiede retoricamente nel verso 6 di Uḷḷadu Nāṟpadu, ‘உலகை மனம் ஒன்று ஐம் பொறிவாயால் ஓர்ந்திடுதலால், மனத்தை அன்றி உலகு உண்டோ?’ (ulahai maṉam oṉḏṟu aim poṟi-vāyāl ōrndiḍudalāl, maṉattai aṉḏṟi ulahu uṇḍō?), che significa, ‘Poiché solo la mente percepisce il mondo per mezzo dei cinque organi di senso, c’è [qualche] mondo oltre a [ad esclusione di, se non per, a parte, diverso da o senza] la mente?’, ciò che egli intende è che il mondo o cosmo non esiste indipendentemente dalla mente o ego che lo percepisce. Egli spiega il motivo per questo nella prima frase di questo verso, ‘உலகு ஐம் புலன்கள் உரு; வேறு அன்று’ (ulahu aim pulaṉgaḷ uru; vēṟu aṉḏṟu), che significa, ‘Il mondo è una forma [composta] di cinque [tipi di] informazioni sensoriali, non qualsiasi altra cosa’.

Qui il termine ‘புலன்கள்’ (pulaṉgaḷ) significa informazioni sensoriali, le sensazioni di percezione (visioni, suoni, odori, gusti e sensazioni tattili) che sembriamo ricevere attraverso i cinque sensi. Sebbene generalmente supponiamo che queste sensazioni siano causate da un mondo esterno che esiste indipendentemente dalla nostra percezione di esso, sperimentiamo esattamente lo stesso tipo di sensazioni nel sogno, e mentre sogniamo nello stesso modo supponiamo che esse siano causate da un mondo esterno che esiste indipendentemente dalla nostra percezione di esso, ma appena lasciamo un sogno ed entriamo in un altro stato in cui sperimentiamo tali sensazioni, siamo in grado di riconoscere che le sensazioni di percezione che abbiamo sperimentato nello stato precedente erano solo nostre proiezioni mentali, e che il mondo costituito di quelle sensazioni di conseguenza non esisteva realmente indipendentemente dalla nostra percezione di esso.

In altre parole, il mondo che percepiamo in un sogno non è niente altro che un fenomeno costituito da cinque tipi di sensazioni di percezione, che sono tutte i nostri pensieri o fenomeni mentali, e secondo Bhagavan ogni mondo che sperimentiamo in qualsiasi stato è ugualmente solo una forma o fenomeno costituito di cinque tipi di sensazioni di percezione. Quindi egli dice che nessun mondo esiste indipendentemente dalla nostra percezione di esso, e poiché ciò che percepisce qualsiasi mondo è solo la nostra mente o ego, egli chiede retoricamente se qualche mondo esiste oltre alla mente.

3. Nāṉ Yār? paragrafo 3: a meno che non cessi la percezione di qualsiasi mondo o cosmo non ci può essere auto-realizzazione (svarūpa-darśana)

Poiché la mente o ego non è niente altro che una consapevolezza errata di noi stessi, sembra esistere solo quando non siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, e quindi cesserà di esistere appena vediamo ciò che siamo realmente. Poiché vedere ciò che siamo realmente è ciò che è chiamato ātma-sākṣātkāra, in ātma-sākṣātkāra non ci può essere mente o ego e quindi nessuna consapevolezza di qualsiasi mondo o cosmo, come Bhagavan spiega inequivocabilmente nel terzo paragrafo di Nāṉ Yār?:
சர்வ அறிவிற்கும் சர்வ தொழிற்குங் காரண மாகிய மன மடங்கினால் ஜகதிருஷ்டி நீங்கும். கற்பித ஸர்ப்ப ஞானம் போனா லொழிய அதிஷ்டான ரஜ்ஜு ஞானம் உண்டாகாதது போல, கற்பிதமான ஜகதிருஷ்டி நீங்கினா லொழிய அதிஷ்டான சொரூப தர்சன முண்டாகாது.

sarva aṟiviṟkum sarva toṙiṟkum kāraṇam-āhiya maṉam aḍaṅgiṉāl jaga-diruṣṭi nīṅgum. kaṟpita sarppa-ñāṉam pōṉāl oṙiya adhiṣṭhāṉa rajju-ñāṉam uṇḍāhādadu pōla, kaṟpitamāṉa jaga-diruṣṭi nīṅgiṉāl oṙiya adhiṣṭhāṉa sorūpa-darśaṉam uṇḍāhādu.

Se la mente, che è la causa di tutta la consapevolezza [di fenomeni] e di tutta l’attività, sprofonda, jagad-dṛṣṭi [la percezione del mondo] cesserà. Proprio come se non cessa la consapevolezza del serpente immaginario, la consapevolezza della corda, che è l’adhiṣṭhāna [base o fondamento], non sorgerà, così se la percezione del mondo, che è una kalpita [una costruzione o invenzione dell’immaginazione], non cessa, il vedere svarūpa [la forma propria o reale natura], che è l’adhiṣṭhāna, non sorgerà.
Il termine che ho tradotto qui come ‘il vedere svarūpa [la forma propria o reale natura]’ è ‘சொரூப தர்சனம்’ (sorūpa-darśaṉam), che è una forma Tamil del termine Sanscrito स्वरूप दर्शन (svarūpa-darśana), che ha lo stesso significato di ātma-sākṣātkāra, così in questo brano Bhagavan ci insegna molto chiaramente che non ci può essere ātma-sākṣātkāra o ‘auto-realizzazione’ se la percezione del mondo (jagad-dṛṣṭi) non cessa. Cioè, se percepiamo qualsiasi mondo, non siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, e se siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, non possiamo percepire qualsiasi mondo o cosmo. Quindi ‘coscienza cosmica’ non ha niente a che fare con l’auto-realizzazione (ātma-sākṣātkāra o svarūpa-darśana) ed è di fatto proprio la sua antitesi.

4. Nāṉ Yār? paragrafo 4: quando vedremo ciò che siamo realmente, nessun mondo o cosmo sembrerà esistere

La ragione per cui non è possibile per noi vedere ciò che siamo realmente finché percepiamo qualsiasi mondo è spiegato da Bhagavan in maggiore dettaglio nel seguente estratto del quarto paragrafo di Nāṉ Yār?:
நினைவுகளைத் தவிர்த்து ஜகமென்றோர் பொருள் அன்னியமா யில்லை. தூக்கத்தில் நினைவுகளில்லை, ஜகமுமில்லை; ஜாக்ர சொப்பனங்களில் நினைவுகளுள, ஜகமும் உண்டு. சிலந்திப்பூச்சி எப்படித் தன்னிடமிருந்து வெளியில் நூலை நூற்று மறுபடியும் தன்னுள் இழுத்துக் கொள்ளுகிறதோ, அப்படியே மனமும் தன்னிடத்திலிருந்து ஜகத்தைத் தோற்றுவித்து மறுபடியும் தன்னிடமே ஒடுக்கிக்கொள்ளுகிறது. மனம் ஆத்ம சொரூபத்தினின்று வெளிப்படும்போது ஜகம் தோன்றும். ஆகையால், ஜகம் தோன்றும்போது சொரூபம் தோன்றாது; சொரூபம் தோன்றும் (பிரகாசிக்கும்) போது ஜகம் தோன்றாது.

niṉaivugaḷai-t tavirttu jagam-eṉḏṟōr poruḷ aṉṉiyamāy illai. tūkkattil niṉaivugaḷ illai, jagam-um illai; jāgra-soppaṉaṅgaḷil niṉaivugaḷ uḷa, jagam-um uṇḍu. silandi-p-pūcci eppaḍi-t taṉṉiḍamirundu veḷiyil nūlai nūṯṟu maṟupaḍiyum taṉṉuḷ iṙuttu-k-koḷḷugiṟadō, appaḍiyē maṉam-um taṉṉiḍattilirundu jagattai-t tōṯṟuvittu maṟupaḍiyum taṉṉiḍamē oḍukki-k-koḷḷugiṟadu. maṉam ātma-sorūpattiṉiṉḏṟu veḷippaḍum-pōdu jagam tōṉḏṟum. āhaiyāl, jagam tōṉḏṟum-pōdu sorūpam tōṉḏṟādu; sorūpam tōṉḏṟum (pirakāśikkum) pōdu jagam tōṉḏṟādu.

Ad esclusione dei pensieri [o idee], non c’è separatamente qualcosa come il mondo. Nel sonno non ci sono pensieri, e [di conseguenza] anche non c’è mondo; nella veglia e nel sogno ci sono pensieri, e [di conseguenza] anche c’è un mondo. Proprio come un ragno allunga il filo da dentro sé stesso e di nuovo lo ritira in sé stesso, così la mente proietta il mondo da dentro sé stessa e di nuovo lo dissolve in sé stessa. Quando la mente esce da ātma-svarūpa, il mondo appare. Quindi quando il mondo appare, svarūpa [la forma propria o reale natura] non appare; quando svarūpa appare (risplende), il mondo non appare.
Ciò a cui Bhagavan si riferisce qui come ‘மனம் ஆத்ம சொரூபத்தினின்று வெளிப்படுவது’ (maṉam ātma-sorūpattiṉiṉḏṟu veḷippaḍuvadu), ‘l’uscire [o l’emergere] della mente da ātma-svarūpa [la ‘forma propria’ o reale natura di sé stessi]’, è il sorgere di noi stessi come l’ego o mente. Solo quando in questo modo sorgiamo e ci reggiamo come questo ego o mente qualche mondo sembra esistere, come egli intende chiaramente in questo contesto dicendo: ‘மனம் ஆத்ம சொரூபத்தினின்று வெளிப்படும்போது ஜகம் தோன்றும்’ (maṉam ātma-sorūpattiṉiṉḏṟu veḷippaḍum-pōdu jagam tōṉḏṟum), ‘Quando la mente esce [o emerge] da ātma-svarūpa [la ‘forma propria’ o reale natura di sé stessi], il mondo appare’.

Proprio come il mondo che percepiamo in un sogno è solo una proiezione della nostra mente e quindi non esiste indipendentemente dalla nostra percezione di esso, secondo Bhagavan questo mondo e ogni altro mondo che possiamo percepire è nello stesso modo solo una proiezione mentale e quindi non esiste indipendentemente dalla nostra percezione di esso. Poiché ciò che proietta e percepisce questo o ogni altro mondo è solo la nostra mente o ego, un mondo può sembrare esistere solo quando sperimentiamo noi stessi come questa mente o ego, e poiché questa mente o ego è solamente una consapevolezza errata di noi stessi, essa sembra esistere solo finché non siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente. Quindi quando vediamo ciò che siamo realmente, che è ciò a cui Bhagavan si riferisce qui come ‘சொரூபம் தோன்றும் (பிரகாசிக்கும்) போது’ (sorūpam tōṉḏṟum (pirakāśikkum) pōdu), ‘quando svarūpa [la ‘forma propria’ o reale natura] appare (risplende)’, nessuna mente o ego sembrerà esistere, e perciò nessun mondo o cosmo sembrerà esistere.

5. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 26: se sembriamo essere questo ego, i fenomeni sembrano esistere, e se non sembriamo essere questo ego, nessun fenomeno esiste

Tutte le esperienze o stati di consapevolezza possono essere classificati in solo due semplici categorie, vale a dire consapevolezza di fenomeni e consapevolezza priva di fenomeni. Veglia e sogno sono stati in cui siamo consapevoli di fenomeni, mentre il sonno è uno stato in cui siamo consapevoli senza essere consapevoli di fenomeni.

Poiché tutti i fenomeni sono proiettati e percepiti solo dalla nostra mente o ego, e poiché la nostra mente o ego non può reggersi da sola senza essere consapevole di fenomeni, ogni stato in cui siamo consapevoli di fenomeni è uno stato in cui siamo consapevoli di noi stessi come la mente o ego, e ogni stato in cui non siamo consapevoli di qualsiasi fenomeno è uno stato in cui non siamo consapevoli di noi stessi come la mente o ego. Quindi come Bhagavan dice nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
அகந்தையுண் டாயி னனைத்துமுண் டாகு
மகந்தையின் றேலின் றனைத்து — மகந்தையே
யாவுமா மாதலால் யாதிதென்று நாடலே
யோவுதல் யாவுமென வோர்.

ahandaiyuṇ ḍāyi ṉaṉaittumuṇ ḍāhu
mahandaiyiṉ ḏṟēliṉ ḏṟaṉaittu — mahandaiyē
yāvumā mādalāl yādideṉḏṟu nādalē
yōvudal yāvumeṉa vōr
.

பதச்சேதம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr.

அன்வயம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், அனைத்தும் இன்று. யாவும் அகந்தையே ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே யாவும் ஓவுதல் என ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, aṉaittum iṉḏṟu. yāvum ahandai-y-ē ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē yāvum ōvudal eṉa ōr.

Traduzione: Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste. [Perciò] l’ego è ogni cosa. Quindi, sappi che solo investigare ciò che è questo ego è rinunciare a ogni cosa.
In altre parole, quando sembriamo essere questo ego, i fenomeni sembrano esistere, e quando non sembriamo essere questo ego, nessun fenomeno sembra esistere – o esiste affatto – così tutti i fenomeni sono solo un’espansione o proiezione di noi stessi come questo ego. Quindi, poiché noi sembriamo essere questo ego solo perché non investighiamo o attendiamo a noi stessi abbastanza accuratamente, e poiché l’ego di conseguenza cesserà di esistere se lo investighiamo abbastanza accuratamente, Bhagavan conclude questo verso dicendo che investigare ciò che questo ego è darà come risultato il nostro rinunciare non solo all’ego ma anche ad ogni altra cosa, vale a dire a tutti i fenomeni percepiti da esso.

6. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 13: la consapevolezza dei fenomeni non è reale consapevolezza (jñāna), ma solo ignoranza (ajñāna)

Poiché l’ego è solo una falsa consapevolezza di noi stesi, e poiché i fenomeni sembrano esistere solo nella visione illusa di questo ego irreale, nel verso 13 di Uḷḷadu Nāṟpadu Bhagavan dice:
ஞானமாந் தானேமெய் நானாவா ஞானமஞ்
ஞானமாம் பொய்யாமஞ் ஞானமுமே — ஞானமாந்
தன்னையன்றி யின்றணிக டாம்பலவும் பொய்மெய்யாம்
பொன்னையன்றி யுண்டோ புகல்.

ñāṉamān tāṉēmey nāṉāvā ñāṉamañ
ñāṉamām poyyāmañ ñāṉamumē — ñāṉamān
taṉṉaiyaṉḏṟi yiṉḏṟaṇika ḍāmpalavum poymeyyām
poṉṉaiyaṉḏṟi yuṇḍō puhal
.

பதச்சேதம்: ஞானம் ஆம் தானே மெய். நானா ஆம் ஞானம் அஞ்ஞானம் ஆம். பொய் ஆம் அஞ்ஞானமுமே ஞானம் ஆம் தன்னை அன்றி இன்று. அணிகள் தாம் பலவும் பொய்; மெய் ஆம் பொன்னை அன்றி உண்டோ? புகல்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ñāṉam ām tāṉē mey. nāṉā ām ñāṉam aññāṉam ām. poy ām aññāṉamumē ñāṉam ām taṉṉai aṉḏṟi iṉḏṟu. aṇikaḷ tām palavum poy; mey ām poṉṉai aṉḏṟi uṇḍō? puhal.

Traduzione: Solo sé stesso, che è jñāna [consapevolezza], è reale. La consapevolezza che è molteplice è ignoranza. Anche l’ignoranza, che è irreale, non esiste oltre a sé stesso, che è [reale] consapevolezza. Tutti i molti ornamenti sono irreali; dimmi, essi esistono oltre all’oro, che è reale?
‘நானாவாம் ஞானம் அஞ்ஞானம் ஆம்’ (nāṉā-v-ām ñāṉam aññāṉam ām) significa letteralmente ‘jñāna [conoscenza o consapevolezza] che è molteplice è ajñāna [ignoranza]’, che implica che la consapevolezza di molte cose (o della molteplicità) è ignoranza. Questa ignoranza è irreale, come egli dice nella frase successiva, e ciò che è reale è solo noi stessi, come dice nella frase precedente: ‘ஞானம் ஆம் தானே மெய்’ (ñāṉam ām tāṉē mey), ‘Solo sé stesso, che è jñāna [consapevolezza], è reale’.

Ciò che egli intende dicendo che solo noi siamo reali e che noi solo siamo ciò che esiste realmente, è che qualunque altra cosa che può sembrare esistere non esiste realmente. Quindi la reale consapevolezza che siamo realmente è singola, infinita e indivisibile, perché niente altro che essa esiste realmente per limitarla o dividerla, ma quando noi sembriamo sorgere come questo ego, questa unica consapevolezza infinita sembra essere divisa come il soggetto (l’ego che percepisce) e numerosi oggetti (tutti i fenomeni percepiti da esso). Questa consapevolezza divisa è ciò che egli descrive qui come ‘நானாவாம் ஞானம்’ (nāṉā-v-ām ñāṉam), ‘consapevolezza che è nānā [molteplice, varia, diversa, separata, differente o distinta]’, ed egli dice che è ignoranza (ajñāna) e irreale (poy), intendendo che non ha esistenza sostanziale, poiché è solo una falsa apparenza.

Quindi dei due tipi di esperienza o stati di consapevolezza ai quali mi sono riferito all’inizio della sezione precedente, vale a dire consapevolezza di fenomeni e consapevolezza priva di fenomeni, la consapevolezza di fenomeni non è reale consapevolezza ma solo ignoranza, mentre solo la consapevolezza priva di fenomeni è reale consapevolezza, perché è ciò che siamo realmente, poiché niente altro che noi stessi esiste realmente. Cioè, la nostra reale natura è solo pura consapevolezza, che non è consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stessa, e poiché essa sola esiste realmente, è l’adhiṣṭhāna, la base o fondamento (come Bhagavan dice nel terzo paragrafo di Nāṉ Yār?), senza la quale la consapevolezza di fenomeni non potrebbe neppure sembrare esistere, come egli intende nella terza frase di questo verso: ‘பொய் ஆம் அஞ்ஞானமுமே ஞானம் ஆம் தன்னை அன்றி இன்று’ (poy ām aññāṉamumē ñāṉam ām taṉṉai aṉḏṟi iṉḏṟu), ‘Anche l’ignoranza [consapevolezza della molteplicità], che è irreale, non esiste a parte sé stessa, che è [reale] consapevolezza’.

Quindi la sola esperienza o consapevolezza di cui ci dovremmo interessare è la consapevolezza priva di fenomeni, perché è la sola consapevolezza che è reale, ed è ciò che siamo realmente, Quindi lo scopo e il fine di praticare auto-investigazione (ātma-vicāra) è per noi coltivare appassionato interesse (amore o bhakti) nell’essere consapevoli soltanto di noi stessi e di conseguenza nel distogliere la nostra mente lontano dal suo interesse ad essere consapevole di qualsiasi altra cosa.

7. Poiché il sonno è privo di molteplicità o diversità (nānātva), è pura auto-consapevolezza, mentre la veglia e il sogno sono stati di densa ignoranza

Sebbene noi generalmente prendiamo la veglia e il sogno come stati di consapevolezza reale e il sonno come uno stato di ignoranza o non-consapevolezza, Bhagavan ci insegna che è il contrario, perché la consapevolezza che sperimentiamo nella veglia e nel sogno, vale a dire consapevolezza di fenomeni diversi, dei quali noi sembriamo essere una parte, è ciò che egli chiama ‘நானாவாம் ஞானம்’ (nāṉā-v-ām ñāṉam), ‘consapevolezza che è molteplice [o diversa]’, che egli dice è அஞ்ஞானம் (aññāṉam), ignoranza (ajñāna), e பொய் (poy), irreale, mentre la consapevolezza che sperimentiamo nel sonno è priva sia dell’ego che di tutti i fenomeni, e quindi di ogni altra molteplicità o diversità (nānātva), così è la reale consapevolezza riguardo alla quale egli dice, , ‘ஞானம் ஆம் தானே மெய்’ (ñāṉam ām tāṉē mey), ‘Solo sé stesso, che è jñāna [consapevolezza], è reale’.

Questo è il motivo per cui egli ha detto (come registrato nel primo capitolo di Maharshi’s Gospel, edizione 2002, pagina 9):
Il sonno non è ignoranza, è il proprio stato puro; la veglia non è conoscenza, è ignoranza. Nel sonno c’è piena consapevolezza e totale ignoranza nella veglia.
Il sonno sembra uno stato di ignoranza solo dalla prospettiva illusa dell’ego, che nel sonno era assente. Noi stessi eravamo presenti nel sonno, sebbene non come l’ego ma solo come la pura auto-consapevolezza che siamo realmente, così siamo consapevoli di essere stati nel sonno (che significa che eravamo consapevoli di essere in un tale stato mentre eravamo in esso), ma poiché ora confondiamo noi stessi come questo ego, che nel sonno non era presente, non possiamo ricordare chiaramente cosa abbiamo sperimentato nel sonno, che era solo ātma-svarūpa, la reale natura di noi stessi.

Poiché nel sonno non c’era nessun ego né qualsiasi fenomeno a velare e oscurare la pura auto-consapevolezza che siamo realmente, Bhagavan dice che nel sonno c’è piena consapevolezza, e poiché nella veglia e nel sogno la presenza dell’ego e dei diversi fenomeni oscura la nostra pura auto-consapevolezza e la fa sembrare una consapevolezza di molteplicità (நானாவாம் ஞானம்: nāṉā-v-ām ñāṉam), egli dice che nella veglia e nel sogno c’è totale ignoranza.

8. Upadēśa Undiyār verso 13: la sola differenza tra manōlaya e manōnāśa è che l’ego sorgerà da manōlaya ma mai da manōnāśa

Differenze sembrano esistere solo nella veglia e nel sogno, nei quali noi siamo consapevoli di fenomeni, perché in assenza di ogni fenomeno non c’è molteplicità o diversità (nānātva) e perciò niente che potrebbe essere differente o distinto da qualsiasi altra cosa. Il termine Sanscrito नाना (nānā), che in Tamil è scritto come நானா (nāṉā ), è un avverbio che significa differentemente, variamente, distintamente o separatamente, ma è spesso usato come un aggettivo nel significato di differente, vario, molti, molteplice, separato o distinto da, ed è in questo senso di aggettivo che è usato in Tamil, così quando Bhagavan nel verso 13 di Uḷḷadu Nāṟpadu dice, ‘நானாவாம் ஞானம் அஞ்ஞானம் ஆம்’ (nāṉā-v-ām ñāṉam aññāṉam ām), ‘la consapevolezza che è nānā [differente, diversa o molteplice] è ignoranza’, intende chiaramente che la consapevolezza di ogni differenza o diversità è ignoranza (ajñāna) e quindi irreale (poy).

Comunque, poiché differenze sembrano esistere solo nella visione dell’ego (e perciò solo nella veglia e nel sogno), non ci sono assolutamente differenze in ogni stato in cui l’ego è assente. In altre parole, in stati come il sonno, in cui siamo consapevoli solo di noi stessi e non di qualunque altro fenomeno, non si cono assolutamente differenze.

Tuttavia, sebbene non ci sono differenze in assenza dell’ego, e quindi in assenza di ogni fenomeno, dalla prospettiva dell’ego nella veglia e nel sogno sembrano esserci due differenti tipi di stato in cui l’ego e tutti i fenomeni sono assenti, ma la sola differenza tra essi è che uno è temporaneo mentre l’altro è permanente. In altre parole, da un tale stato l’ego o mente prima o poi sorgerà di nuovo, mentre dall’altro non sorgerà più, come Bhagavan indica nel verso 13 di Upadēśa Undiyār:
இலயமு நாச மிரண்டா மொடுக்க
மிலயித் துளதெழு முந்தீபற
வெழாதுரு மாய்ந்ததே லுந்தீபற.

ilayamu nāśa miraṇḍā moḍukka
milayit tuḷadeṙu mundīpaṟa
veṙāduru māyndadē lundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: இலயமும் நாசம் இரண்டு ஆம் ஒடுக்கம். இலயித்து உளது எழும். எழாது உரு மாய்ந்ததேல்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ilayam-um nāśam iraṇḍu ām oḍukkam. ilayittu uḷadu eṙum. eṙādu uru māyndadēl.

அன்வயம்: ஒடுக்கம் இலயமும் நாசம் இரண்டு ஆம். இலயித்து உளது எழும். உரு மாய்ந்ததேல் எழாது.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): oḍukkam ilayam-um nāśam iraṇḍu ām. ilayittu uḷadu eṙum. uru māyndadēl eṙādu.

Traduzione: La cessazione [della mente] è [di] due [tipi]: laya e nāśa. Ciò che giace [o è dissolto in laya] sorgerà. Se [la sua] forma muore [in nāśa], non sorgerà.
In questo contesto laya significa dissolvimento o sospensione temporanea della mente o ego, mentre nāśa significa il suo annientamento o distruzione, che è permanente.

Tuttavia, questa differenza tra manōlaya e manōnāśa non è da noi sperimentata in manōlaya (come nel sonno) o in manōnāśa, perché essa sembra reale solo dalla prospettiva di noi stessi come questo ego nella veglia e nel sogno. Cioè, dopo che siamo usciti dal sonno o da ogni altro stato di manōlaya, come il coma, l’anestesia generale, la morte o il nirvikalpa samādhi, tali stati ci appaiono temporanei e perciò distinti da manōnāśa, ma tra la reale esperienza di manōnāśa e ogni tipo di manōlaya non c’è assolutamente differenza.

L’ego è presente o è assente. Cioè, esso sembra esistere o non sembra esistere. Se esso è presente, noi percepiamo fenomeni, molteplicità, diversità e differenze, mentre se è assente non siamo consapevoli di niente altro che noi stessi soltanto, non oscurati dall’apparenza di ogni molteplicità o diversità (nānātva) di qualunque tipo.

Quindi il problema che affrontiamo è solo l’esistenza apparente di noi stessi come l’ego. Sebbene in manōlaya l’ego è assente, nessun tipo di manōlaya è una soluzione al nostro problema fondamentale (vale a dire l’ego, che è la radice di tutti gli altri problemi), perché da ogni stato di manōlaya l’ego prima o poi sorgerà nuovamente con tutte le sue viṣaya-vāsanā intatte e rinvigorite da nuova energia derivata da noi stessi, la sua sorgente. Quindi ciò che dovremmo ambire di realizzare non è manōlaya ma solo manōnāśa.

9. Per essere annientato il nostro ego deve rivolgere accuratamente la sua intera attenzione soltanto verso sé stesso per vedere ciò che è realmente

Ci sono varie cause che possono far sprofondare l’ego in manōlaya, e secondo la causa che produce ciò manōlaya è chiamato con vari nomi. L’ego sprofonda nel sonno a causa di stanchezza o esaurimento, profonda in anestesia generale a causa di particolari narcotici, sprofonda nel coma o nella morte a causa di danno all’organismo fisico che esso prende come sé stesso, e sprofonda nel nirvikalpa samādhi a causa di particolari pratiche di yōga o meditazione.

Il motivo per cui l’ego prima o poi sorgerà da uno qualsiasi di questi stati di manōlaya con tutte le sue viṣaya-vāsanā intatte è che nessuna delle varie cause che producono manōlaya è sufficiente ad annientarlo. Poiché l’ego è solo una consapevolezza errata di noi stessi, può essere annientato solo rivolgendo accuratamente la sua intera attenzione all’interno (verso soltanto sé stesso) per vedere cosa è realmente. Cioè, essendo una consapevolezza errata di noi stessi, può essere distrutta solo dalla corretta consapevolezza di noi stessi.

Anche se in manōlaya sperimentiamo una corretta consapevolezza di noi stessi, il nostro ego non è con questo annientato, perché in manōlaya esso non è presente per essere annientato. Cioè, in manōlaya diveniamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente come risultato dello (e quindi conseguente allo) sprofondamento del nostro ego, ma per essere annientato il nostro ego deve sprofondare come risultato del (e quindi conseguente al) nostro essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente.

Metaforicamente parlando, possiamo dire che quando profondiamo in manōlaya il carro è messo davanti al cavallo. Il carro è lo sprofondamento dell’ego, e il cavallo è l’essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente. Per sradicare il nostro ego, dobbiamo mettere il cavallo davanti al carro. Cioè, la consapevolezza assolutamente chiara di noi stessi come siamo realmente deve precedere lo sprofondamento dell’ego.

Comunque, dire che esso deve precedere lo sprofondamento dell’ego non significa che ci sarà qualche intervallo tra il nostro vedere ciò che siamo realmente e l’annientamento del nostro ego. Appena guardiamo noi stessi abbastanza accuratamente da vedere ciò che siamo realmente, il nostro ego sarà istantaneamente annientato.

Vedere ciò che siamo realmente è ciò che è chiamato ātma-sākṣātkāra (diretta percezione di sé stessi) o svarūpa-darśana (vedere la ‘forma propria’ o reale natura), così poiché questo annienta istantaneamente la mente insieme con la sua radice, l’ego, ātma-sākṣātkāra è manōnāśa (annientamento della mente), e quindi è permanente ed irrevocabile, come Bhagavan indica nel verso 13 di Upadēśa Undiyār dicendo: ‘எழாது உரு மாய்ந்ததேல்’ (eṙādu uru māyndadēl), ‘Se la forma [della mente] muore [in nāśa], essa non sorgerà’.

10. Poiché le viṣaya-vāsanā sono gli impulsi dell’ego, nessuna di esse può sopravvivere quando l’ego è annientato da ātma-sākṣātkāra

Durante il processo di auto-investigazione (ātma-vicāra) le nostre viṣaya-vāsanā saranno gradualmente indebolite, perché ogni volta che scegliamo di essere auto-attentivi piuttosto che dare attenzione a qualche fenomeno (viṣaya) stiamo rinforzando la nostra sat-vāsanā (la nostra inclinazione, preferenza o impulso solo ad essere, non dando attenzione a niente altro che noi stessi) e in corrispondenza stiamo indebolendo la vāsanā (inclinazione, preferenza o impulso) a dare attenzione a quel fenomeno o a qualsiasi altro. Tuttavia, non possiamo sradicare tutte le nostre viṣaya-vāsanā fino a che non sradichiamo la loro radice, il nostro ego, perché il nostro ego non può sopravvivere senza aggrapparsi a fenomeni, così le viṣaya-vāsanā, che sono i nostri impulsi ad aggrapparci ad essi, sono il carburante che tiene vivo il nostro ego.

Poiché le viṣaya-vāsanā sono gli impulsi dell’ego, nessuna di esse può sopravvivere quando l’ego è annientato da ātma-sākṣātkāra. Quindi ciò che Chadwick ha registrato della sua domanda e della risposta di Bhagavan nel brano citato all’inizio di questo articolo è confuso e ingannevole, prima di tutto perché l’auto-realizzazione nel senso di ātma-sākṣātkāra o manōnāśa è permanente e non può mai essere perduta, poiché nessun ego o mente rimane in ātma-sākṣātkāra per averlo realizzato o per perderlo successivamente, e poi perché annientando l’ego ātma-sākṣātkāra distrugge tutte le sue viṣaya-vāsanā insieme con esso.

Comunque Chadwick ha scritto, ‘Nelle prime fasi della Sadhana questo era del tutto possibile e anche probabile’, in cui ‘questo’ si riferisce a ‘una volta aver ottenuto l’Auto-realizzazione perderla di nuovo’, ma qualunque cosa può essere ottenuta nelle prima fasi della sādhana (pratica spirituale) non è auto-realizzazione nel senso di ātma-sākṣātkāra, perché ātma-sākṣātkāra è il fine ultimo della sādhana, e quando ciò è ottenuto tutte la sādhana deve giungere a una fine, perché ciò sradica l’ego, di conseguenza non lasciando indietro nessuno a fare qualsiasi sādhana.

11 Upadēśa Undiyār verso 17: se lo investighiamo abbastanza accuratamente, scopriremo che non c’è una cosa come un ego o una mente

Dalla prospettiva di noi stessi come questo ego l’auto-realizzazione (ātma-sākṣātkāra), l’annientamento della mente (manōnāśa) o liberazione (mukti o mōkṣa) sembra uno stato che non è ora presente e che quindi deve essere ottenuto in qualche tempo nel futuro. Tuttavia, sebbene sembra così dalla prospettiva di questo ego, non è realmente così, perché secondo Bhagavan ciò che è chiamata con vari nomi come ātma-sākṣātkāra, manōnāśa e mukti è realmente il nostro stato reale (sahaja sthiti), così è eternoae immutabile, e non può quindi mai essere ottenuta o perduta.

Poiché è già nostra, non possiamo ottenerla, e poiché è la nostra vera natura, non possiamo mai perderla. Perché allora dovremmo praticare l’auto-investigazione (ātma-vicāra) per ottenere ciò che è eternamente nostro?

Sebbene ātma-sākṣātkāra (percezione diretta di noi stessi) è il nostro stato naturale ed eterno, dalla prospettiva di noi stessi come questo ego non sembra essere così. È uno stato di perfetta chiarezza di pura auto-consapevolezza, assoluta pace e calma e infinita felicità, ciò nonostante ciò che noi come questo ego ora sperimentiamo sembra del tutto opposto. Quindi se ciò che Bhagavan ci dice è la verità, c’è qualcosa di seriamente sbagliato nella nostra prospettiva attuale. Cioè, non stiamo vedendo noi stessi come siamo realmente.

Quindi abbiamo bisogno di liberare noi stessi da questa prospettiva sbagliata per vedere ciò che siamo realmente. Ma come possiamo farlo? Qual è la causa o radice di questa prospettiva sbagliata? È solo l’ego, perché è la prospettiva dell’ego. Ora sembriamo avere questa prospettiva sbagliata perché sembriamo essere questo ego, così per liberare noi stessi da questa prospettiva sbagliata dobbiamo liberare noi stessi da questo ego, che è una consapevolezza illusoria di noi stessi come qualcosa diversa da ciò che siamo realmente.

Quando nella veglia e nel sogno appariamo come questo ego, ogni altra cosa appare insieme con noi, e quando nel sonno questo ego scompare, ogni altra cosa scompare insieme con esso, lasciandoci pacificamente e felicemente tutti soli. Quindi questo ego è la sola causa per l’apparenza di ogni altra cosa, inclusa la nostra prospettiva sbagliata, la nostra insoddisfazione, le nostre mancanze, le nostre miserie e tutti i nostri altri problemi, così per correggere la nostra prospettiva sbagliata e liberarci di tutti gli altri problemi, e in questo modo ristabilire il nostro stato naturale di pura auto-consapevolezza ed infinita felicità, tutto ciò che abbiamo bisogno di fare è sradicare questo ego.

Quindi sebbene dalla prospettiva di noi stessi come questo ego ātma-sākṣātkāra, manōnāśa o mukti sembrano essere l’ottenimento finale, non è realmente un ottenimento di qualcosa ma la perdita di ogni cosa, incluso l’ego. Tuttavia, quando l’ego è consumato per sempre nella chiarezza infinita della pura auto-consapevolezza (ātma-jñāna), non ci sembrerà di aver perduto qualcosa, perché l’ego e tutti i fenomeni percepiti da esso non esistono realmente anche ora. Essi soltanto sembrano esistere, ma solo nella visione dell’ego, che esso stesso non esiste realmente.

Se l’esistenza dell’ego ora fosse reale, potrebbe riapparire in ogni momento, ma esso realmente non esiste affatto, anche ora, come scopriremo se investighiamo noi stessi abbastanza accuratamente da vedere ciò che siamo realmente. Questo è affermato chiaramente da Bhagavan nel verso 17 di Upadēśa Undiyār:
மனத்தி னுருவை மறவா துசாவ
மனமென வொன்றிலை யுந்தீபற
மார்க்கநே ரார்க்குமி துந்தீபற.

maṉatti ṉuruvai maṟavā dusāva
maṉameṉa voṉḏṟilai yundīpaṟa
mārgganē rārkkumi dundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: மனத்தின் உருவை மறவாது உசாவ, மனம் என ஒன்று இலை. மார்க்கம் நேர் ஆர்க்கும் இது.

Padacchēdam (separazione delle parole): maṉattiṉ uruvai maṟavādu usāva, maṉam eṉa oṉḏṟu ilai. mārggam nēr ārkkum idu.

அன்வயம்: மறவாது மனத்தின் உருவை உசாவ, மனம் என ஒன்று இலை. இது ஆர்க்கும் நேர் மார்க்கம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): maṟavādu maṉattiṉ uruvai usāva, maṉam eṉa oṉḏṟu ilai. idu ārkkum nēr mārggam.

Traduzione: Quando si investiga [esamina o scrutina] la forma della mente senza trascurare [dimenticare, abbandonare, rinunciare o cessare], non esisterà qualcosa chiamata ‘mente’. Questo è il sentiero diretto [diritto o appropriato] per tutti.
Ciò a cui egli si riferisce qui come ‘மனத்தின் உரு’ (maṉattiṉ uru), ‘la forma della mente’, è l’ego, perché come egli spiega nel verso successivo (verso 18, che ho citato nella seconda sezione di questo articolo) l’ego, a cui egli si riferisce con il pensiero primario chiamato ‘io’, è la radice e l’essenza della mente. Se investighiamo questo ego abbastanza accuratamente, scopriremo che una tale cosa non c’è affatto (neppure come un’apparenza illusoria, perché come potrebbe sembrare esistere ogni apparenza illusoria solo nella propria visione?), perché ciò che esiste realmente è solo noi stessi, l’eterna, infinita, immutabile ed indivisibile sat-cit-ānanda (essere-consapevolezza-felicità).

12. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 38: se lo investighiamo abbastanza accuratamente, scopriremo che non c’è nessun ego o quindi nessuna schiavitù, così la liberazione è eterna

Come Bhagavan ha spiegato spesso, la liberazione è il nostro stato sempre presente, non uno stato che possiamo ottenere nel futuro, perché se esso potesse essere ottenuto, prima o poi sarebbe perduto, poiché ogni cosa che viene prima o poi se ne va. Solo ciò che è eterno può rimanere per sempre. Questo è il motivo per cui egli ha frequentemente enfatizzato che la liberazione è eterna, perché è la nostra reale natura e il nostro stato naturale. Per esempio, nel verso 38 di Uḷḷadu Nāṟpadu dice:
வினைமுதனா மாயின் விளைபயன் றுய்ப்போம்
வினைமுதலா ரென்று வினவித் — தனையறியக்
கர்த்தத் துவம்போய்க் கருமமூன் றுங்கழலு
நித்தமா முத்தி நிலை.

viṉaimudaṉā māyiṉ viḷaipayaṉ ḏṟuyppōm
viṉaimudalā reṉḏṟu viṉavit — taṉaiyaṟiyak
karttat tuvampōyk karumamūṉ ḏṟuṅkaṙalu
nittamā mutti nilai
.

பதச்சேதம்: வினைமுதல் நாம் ஆயின், விளை பயன் துய்ப்போம். வினைமுதல் ஆர் என்று வினவி தனை அறிய, கர்த்தத்துவம் போய், கருமம் மூன்றும் கழலும். நித்தமாம் முத்தி நிலை.

Padacchēdam (separazione delle parole): viṉaimudal nām āyiṉ, viḷai payaṉ tuyppōm. viṉaimudal ār eṉḏṟu viṉavi taṉai aṟiya, karttattuvam pōy, karumam mūṉḏṟum kaṙalum. nittam-ām mutti nilai.

Traduzione: Se noi siamo l’agente dell’azione, sperimenteremo il frutto risultante. [Tuttavia] quando uno conosce sé stesso investigando chi è l’agente dell’azione, il senso di essere l’agente se ne andrà e tutti i tre karma scivoleranno via. [Questo è] lo stato di liberazione, che è eterno.
Ciò a cui egli si riferisce qui come ‘வினைமுதல்’ (viṉaimudal), ‘l’agente dell’azione’, è l’ego, e poiché il senso di essere l’agente e i karma esistono solo per l’ego, ciò che egli intende quando dice che il senso di essere l’agente e tutti i tre karma se ne andranno quando uno conosce sé stesso investigando chi è l’agente dell’azione è che essi cesseranno di esistere insieme con la loro radice, questo ego. Cioè, poiché l’ego non è reale ma solo ciò che noi sembriamo essere finché siamo consapevoli dell’esistenza apparente di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, se lo investighiamo guardandolo abbastanza accuratamente, vedremo che ciò che siamo realmente è solo pura auto-consapevolezza (proprio come se guardassimo abbastanza attentamente un serpente illusorio, vedremmo che ciò che è realmente è solo una corda), e perciò non sembreremo più l’agente di ogni azione o lo sperimentatore di ogni frutto delle azioni.

Poiché ciò che sembra essere legato è solo l’ego, quando lo investighiamo e scopriamo che non c’è una tale cosa ma solo pura ed infinita auto-consapevolezza, che è sempre libera, vedremo che la libertà eterna o liberazione (mukti) è la nostra reale natura, e che la schiavitù non è mai realmente avvenuta. Questo è il motivo per cui Bhagavan termina questo verso dicendo: ‘நித்தமாம் முத்தி நிலை’ (nittam-ām mutti nilai), che significa ‘lo stato di liberazione, che è eterno’, e che implica che lo stato di libertà assoluta che rimane quando l’ego è stato scoperto sempre non-esistente è eterno; cioè, senza alcun inizio, interruzione o fine.

Questo è anche da lui inteso chiaramente nel verso 28 di Upadēśa Undiyār:
தனாதியல் யாதெனத் தான்றெரி கிற்பின்
னனாதி யனந்தசத் துந்தீபற
வகண்ட சிதானந்த முந்தீபற.

taṉādiyal yādeṉat tāṉḏṟeri hiṟpiṉ
ṉaṉādi yaṉantasat tundīpaṟa
vakhaṇḍa cidāṉanda mundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: தனாது இயல் யாது என தான் தெரிகில், பின் அனாதி அனந்த சத்து அகண்ட சித் ஆனந்தம்.

Padacchēdam (separazione delle parole): taṉādu iyal yādu eṉa tāṉ terihil, piṉ aṉādi aṉanta sattu akhaṇḍa cit āṉandam.

அன்வயம்: தான் தனாது இயல் யாது என தெரிகில், பின் அனாதி அனந்த அகண்ட சத்து சித் ஆனந்தம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): tāṉ taṉādu iyal yādu eṉa terihil, piṉ aṉādi aṉanta akhaṇḍa sattu cit āṉandam.

Traduzione: Se uno conosce cosa è la natura di sé stesso, allora [ciò che esisterà e risplenderà è solo] anādi [senza inizio], ananta [senza fine, illimitata o infinita] e akhaṇḍa [ininterrotta, indivisa o integra] sat-cit-ānanda [essere-consapevolezza-beatitudine].
Qui gli aggettivi anādi (senza inizio), ananta (senza fine) e akhaṇḍa (ininterrotta) indicano chiaramente che sat-cit-ānanda (essere-consapevolezza-felicità), che è tutto ciò che sperimenteremo se siamo consapevoli della nostra reale natura, è eterna. E poiché ananta significa anche illimitata o infinita, ciò implica che essa sola è ciò che esiste realmente, perché se qualsiasi altra cosa esistesse o anche sembrasse esistere, questo la limiterebbe e la renderebbe finita. Quindi poiché è eterna e infinita, non può mai essere ottenuta né perduta.

Diversamente dall’esperienza di fenomeni e da stati di manōlaya, che vengono e vanno, la liberazione o manōnāśa non può essere ottenuta né perduta, perché è il nostro stato naturale ed eterno. Quindi ciò che qualche volta è chiamato l’ottenimento della liberazione, manōnāśa o ātma-sākṣātkāra non comporta realmente ottenere qualcosa, ma solo perdere ogni cosa insieme con la sua radice, l’ego. E ciò che soltanto rimane quando l’ego e ogni altra cosa è stata perduta è la nostra reale natura, che non può mai essere perduta, perché è la realtà eterna, la sola cosa che esiste realmente.

L’ottenere e il perdere o ogni altro tipo di cambiamento possono solo avvenire nel tempo, e il tempo sembra esistere solo nella visione dell’ego. Quindi, quando scopriamo l’ego come sempre non-esistente, vedremo chiaramente che non c’è mai stata una cosa come il tempo, e perciò che nessun cambiamento di qualunque tipo è mai avvenuto o mai potrebbe avvenire. Questa è la verità finale (pāramārthika satya), che è chiamata ajāta: la verità che non c’è mai stata alcuna nascita, sorgenza, origine, apparenza, evento o accadimento di qualunque tipo.


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