Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

mercoledì 8 ottobre 2014

Possiamo credere direttamente in vivarta vāda ma non in ajāta vāda



Michael James 

5 Ottobre 2014

In un commento al mio articolo precedente, ‘Il percettore e il percepito sono entrambi irreali’, un amico chiamato Sanjay ha chiesto se advaita vāda è un sinonimo di vivarta vāda, e alla sua domanda ho risposto in un altro commento:

Sanjay, advaita significa ‘non-due-ità’ (a-dvi-tā), così advaita-vāda è l’argomento o la teoria che non c’è assolutamente duplicità o dualità. L’espressione più completa e radicale di advaita-vāda è quindi ajāta-vāda, perché secondo l’ ajāta-vāda, non sono la dualità non esiste realmente ma neppure sembra esistere.
Comunque, vivarta vāda è anche compatibile con advaita-vāda, perché secondo vivarta vāda la dualità non esiste realmente sebbene sembra esistere. Cioè, vivarta vāda accetta che distinzioni (dualità o duplicità) come il percettore e il percepito (l’ego e il mondo) sembrano esistere, ma sostiene che la loro esistenza apparente è solo una falsa apparenza (vivarta) e quindi irreale.
Poiché ora sperimentiamo dualità, non possiamo applicare l’ ajāta-vāda nella pratica, così sebbene ajāta fu la sua vera esperienza, nei suoi insegnamenti Bhagavan (come Sankara e altri saggi advaiti) accantonò ajāta-vāda e insegnò che solo vivarta vāda è vera.

Nel suo secondo commento Sanjay si è riferito ad ajāta come ‘puro-advaita’ e ha scritto che ‘possiamo prendere vivarta-vada come vero relativamente alla nostra esperienza di ego, mente o corpo’ e che ‘se crediamo in vivarta stiamo automaticamente credendo in ajata (in piccola o grande misura), poiché, dopo tutto, tutte le dualità e le trinità illusorie possono solo essere sperimentate sul reale substrato di ajata, permanente, non nato e non creato’ a cui ho replicato in un altro commento:

Sì, Sanjay, ajāta vāda è puro advaita, e possiamo dire che vivarta vāda è una forma connessa o diluita di advaita, poiché è vera solo relativamente alla nostra esperienza di noi stessi come un ego che percepisce il mondo.
Comunque, non è del tutto vero dire, ‘se crediamo in vivarta stiamo automaticamente credendo in ajata’, perché strettamente parlando non possiamo credere sia in vivarta vāda sia in ajāta vāda, dato che vivarta vāda riconosce che l’ego e il mondo sembrano esistere (sebbene solo come false apparenze), mentre ajāta vāda nega persino che essi sembrano esistere. Fino a che sperimentiamo noi stessi come un ego e quindi percepiamo il mondo non possiamo che credere che essi almeno sembrano esistere, di conseguenza non possiamo realmente credere in ajāta.

Dato che ajāta è lo stato in cui l’ego e la mente neppure sembrano esistere, è oltre la portata della credenza o concezione mentale. Quindi quando diciamo che crediamo in ajāta vāda, ciò che realmente crediamo è solo l’idea che ajāta è la verità suprema, che è la vera esperienza di Bhagavan e che sarà la nostra esperienza quando sperimenteremo noi stessi come siamo realmente, mentre  ajāta vāda nega l’esistenza o anche l’apparente esistenza di colui che crede in queste idee.
Per inciso, quando ho scritto nel precedente commento che Bhagavan accantonò ajāta-vāda e insegnò che solamente vivarta vāda è vera, stavo parafrasando le parole di Sri Muruganar nel verso 83 di Guru Vācaka Kōvai, ‘விவர்த்த சித்தாந்தமே மெய் ஆக விண்டார்’ (vivartta siddhāntam-ē mey āha viṇḍār), ‘[egli] insegnò come vera solo vivarta siddhānta’, ma per esprimere l’idea più chiaramente ed evitare ambiguità avrei forse dovuto scrivere che egli accantonò ajāta-vāda e insegnò che solo vivarta vāda è vera per tutti gli scopi pratici.
In risposta a questo mio commento Sanjay ha scritto un terzo commento nel quale ha detto:

[…] c’è molta differenza tra la nostra credenza in vivarta-vada e la nostra credenza in ajata-vada? Penso che entrambi sono solo credenze mentali o idee o concetti fino a che trascendiamo la nostra mente. Come l’auto-conoscenza è anche un concetto fino a che la otteniamo.
Possiamo credere in vivarta-vada o che ogni cosa è un sogno illusorio, ma non possiamo mai sperimentare pienamente vivarta fino a che trascendiamo la nostra mente? Possiamo pensare momentaneamente mentre stiamo sognando che ciò che stiamo sperimentando in quel momento è un sogno illusorio, ma proprio il momento successivo possiamo prendere il nostro sogno come reale. In modo simile sento che ajata-vada è anche una credenza, sebbene è una credenza molto più sottile.
Fino a che il nostro ego è intatto non possiamo ma credere pienamente o essere convinti sia di vivarta-vada sia di ajata-vada. Naturalmente come il nostro ego viene sempre più indebolito possiamo iniziare ad avere una convinzione sempre più forte in vivarta-vada. In modo simile possiamo anche iniziare ad avere un assaggio di un ajata relativo mentre il nostro ego è vicino alla distruzione.
Non possiamo mai pienamente credere o sperimentare vivarta, possiamo solo trascenderlo o svegliarci dal sogno di auto-ignoranza sperimentando noi stessi come siamo realmente, mentre diventeremo stabilità in ajata.
Ti prego di chiarificare la mia comprensione. 

Ciò che segue è la mia risposta a questo commento:

Come Sanjay dice, è vero che vivarta vāda e ajāta vāda sono entrambi ‘solo credenze mentali o idee o concetti’ poiché vāda significa ‘argomento’ o ‘teoria’, così ogni vāda è solo un’idea.  Una teoria o vāda è un’idea o una serie di idee con cui tentiamo di spiegare ciò che sperimentiamo, così non è qualcosa che dobbiamo sperimentare ma qualcosa che dobbiamo comprendere nei termini di altre idee che crediamo e quindi giudichiamo se possiamo credere o meno a ciò. Generalmente crediamo in teorie che sembrano plausibili e non cozzano con qualcuno dei nostri altri credi, e non crediamo in quelle che sembrano implausibili o che cozzano che altri credi che sosteniamo. In altre parole, crediamo in una teoria solo se è compatibile con il nostro intero sistema di credenze.
Quindi non mi è molto chiaro cosa intende Sanjay quando chiede, ‘possiamo mai sperimentare pienamente vivarta fino a che trascendiamo la nostra mente?’ Se ciò che egli intende con vivarta  è vivarta vāda (l’argomento o la teoria che ogni cosa è una falsa apparenza), allora non è qualcosa da sperimentare ma solo un’idea che è intesa spiegare ciò che sperimentiamo. Ma se ciò che egli intende con vivarta è solo vivarta, che significa un’illusione o falsa apparenza, allora secondo vivarta vāda ciò che stiamo ora sperimentando (vale a dire l’ego e il mondo che esso percepisce) sono solo vivarta, un’illusione o una falsa apparenza. Se questo è il caso, allora continueremo a sperimentare solo vivarta fino a che trascendiamo la nostra mente (l’ego che sperimenta questa illusione), e cesseremo di sperimentarla solo quando sperimenteremo noi stessi come siamo realmente e quindi distruggeremo per sempre l’illusione di essere questa mente o ego.
Riguardo alla prima domanda di Sanjay, ‘c’è molta differenza tra il nostro credo in vivarta-vada e il nostro credo in ajata-vada?’ c’è un’enorme differenza tra il credere in vivarta vāda e il credere in ajāta vāda, perché vivarta vāda è un’idea concepibile e quindi molto facile da credere, mentre ajāta vāda è un’idea inconcepibile e quindi impossibile da credere direttamente.
Come possiamo credere che ciò che sembra esistere non sembra esistere? L’idea che X non è X è inconcepibile e incomprensibile, ma credere in questa idea inconcepibile e incomprensibile è ciò che comporta credere direttamente in ajāta vāda.  La nostra esperienza attuale è che ‘è vero che l’ego e il mondo sembrano esistere’, così se prendiamo questa esperienza essere ‘X’, ajāta vāda dice ‘non X’, che significa ‘non è vero che ego e il mondo sembrano esistere’, così per credere in ajāta vāda dobbiamo credere che ‘X’ = ’non X’, che è logicamente impossibile. Quando la nostra esperienza è che l’ego e il mondo sembrano esistere, come possiamo credere che essi non sembrano neppure esistere? Ovviamente non possiamo.
Di conseguenza, come vāda (un argomento o una teoria), ajāta sembra essere auto-contraddittoria e quindi assurda, che è forse il motivo per cui nel verso 100 di Guru Vācaka Kōvai (che ho citato e discusso in un altro articolo recente, Metaphysical solipsism, idealism and creation theories in the teachings of Sri Ramana) Sri Muruganar si riferiva ad esso come siddhānta (una conclusione) piuttosto che vāda, perché secondo Sri Ramana essa è la conclusione definitiva che possiamo raggiungere solo quando l’ego discutente e teorizzante si fonde nella sua sorgente, il nostro sé essenziale, che è la realtà non nata (ajāta) e che solo esiste realmente.
L’idea che l’ego e il mondo che sembrano esistere non sembrano esistere è inconcepibile, incomprensibile e quindi incredibile poiché ciò che cerca di concepire, comprendere e credere è solo l’ego, che secondo l’ajāta vāda non sembra neppure esistere. Quindi è futile per questo ego cercare di concepire, comprendere o credere in questa idea, ed è anche non necessario, perché per i nostri scopi (cioè, per cercare di sperimentare noi stessi come siamo realmente) ci è del tutto sufficiente credere che l’ego e il mondo sono solo un’illusione o una falsa apparenza (vivarta).

Dissimile da ajāta vāda, vivarta vāda è perfettamente concepibile, comprensibile e credibile, poiché non postula l’idea auto-contraddittoria che ciò che sembra esistere non sembra esistere (come invece fa l’ajāta vāda), ma solo l’idea perfettamente ragionevole che ciò che sembra esistere non esiste realmente. Abbiamo familiarità con così tanti esempi nella nostra vita quotidiana di cose che sembrano esistere ma non esistono realmente (poiché ciò che essi realmente sono è qualcosa di diverso da ciò che sembrano essere), come l’illusione di un serpente, che non è realmente un serpente ma solo una corda. Dunque  è concepibile e quindi facile da credere che sebbene l’ego e il mondo sembrano esistere, possono non esistere realmente, perché ciò che essi sono realmente può essere qualcosa di diverso da ciò che sembrano essere.
Poiché vivarta vāda è in questo modo un’idea concepibile, comprensibile e credibile, per lo scopo pratico di cercare di sperimentare ciò che è reale è la teoria più adatta ad essere creduta, e quindi Sri Ramana insegnò che è vera, sebbene sapeva per la sua esperienza che alla fine scopriremo che la verità finale è solo  ajāta.

Sebbene non possiamo credere direttamente che ajāta vāda è vera (cioè, che è vero che ciò che sembra esistere non sembra esistere), possiamo in un modo piuttosto indiretto comprendere come deve essere la verità definitiva, come ho cercato di spiegare quando ho scritto nell’articolo precedente, ‘Il percettore e il percepito sono entrambi irreali’:

Possiamo guardare attentamente un serpente illusorio e perciò riconoscere che è realmente solo una corda, possiamo almeno dire che prima di riconoscere ciò che è realmente, il serpente sembrava esistere, ma nel caso dell’ego e del mondo, non saremo in grado di dire neppure questo, poiché essi sembrano esistere solo nella visione dell’ego, che non esiste realmente. Cioè, poiché secondo Sri Ramana il nostro sé reale (il nostro puro ‘io’ senza attributi) mai sperimenta qualcosa diverso da se stesso, nella sua visione l’ego e il mondo non sembrano neppure esistere, così non sarebbe vero dire che quando sperimenteremo noi stessi come siamo realmente, riconosceremo che l’ego e il mondo solamente sembravano esistere ma erano realmente solo false apparenze.
Questo è il motivo per cui la verità suprema (paramārtha) non è che l’ego e il mondo sono solo false apparenze, ma solo che essi mai sembrarono neppure esistere. Questa verità definitiva è ciò che è chiamata  ajāta: [...]
Cioè, poiché l’ego e il mondo sembrano esistere solo nella visione dell’ego, se l’ego non esiste realmente, essi non sembrano affatto esistere, poiché non c’è niente nella cui esperienza essi potrebbero sembrare esistere. Così possiamo comprendere logicamente perché ajāta deve essere la verità definitiva sebbene noi (l’ego) non possiamo direttamente comprendere o credere l’idea che l’ego e il mondo neppure sembrano esistere. Quindi possiamo credere in  ajāta vāda solo in un modo piuttosto indiretto e tortuoso, mente possiamo credere in vivarta vāda in un mondo diretto e lineare.
Cioè, mentre vivarta vāda è compatibile con la nostra esperienza di noi stessi come un ego che percepisce il mondo, ajāta vāda è incompatibile con esso, perché nega la precisa esistenza di questa esperienza. Sebbene possiamo credere che ciò che stiamo sperimentando è solo l’illusione di una falsa apparenza, non possiamo realisticamente credere che non stiamo affatto sperimentando ciò, come sostiene ajāta vāda. Quindi fino a che sperimenteremo noi stessi come siamo realmente, dobbiamo accontentarci di credere solo in vivarta vāda e non in ajāta vāda, poiché ajāta vāda contraddice direttamente la nostra convinzione che stiamo ora sperimentando un ego e un mondo.
Come Sri Ramana dice nel verso 31 di Uḷḷadu Nāṟpadu riguardo a coloro il cui ego è stato distrutto:
‘[…]
தன்னை அலாது அன்னியம் ஒன்றும் அறியார்; அவர் நிலைமை இன்னது என்று உன்னல் எவன்?’ (taṉṉai alādu aṉṉiyam oṉḏṟum aṟiyār; avar nilaimai iṉṉadu eṉḏṟu uṉṉal evaṉ?), ‘Essi non conoscono niente altro che il sé, [così] chi può [o come può] concepire il loro stato come ‘è tale’?’ Fino a che sperimentiamo noi stessi come un ego, non possiamo in alcun modo concepire o comprendere lo stato di ajāta che conosceremo solo quando sperimenteremo niente altro che il sé, il nostro puro ‘io’ senza attributi.
In un commento che sembra aver scritto in risposto a un commento di Sanjay, un altro amico chiamato Steve ha scritto, ‘Il silenzio non è un’idea o un concetto. Non è un’illusione, non richiede il crederci. E’ qui, ora, sempre’, e ha aggiunto una citazione che è presumibilmente qualcosa che è stata annotata dalle parole Sri Ramana: ‘Ciò a cui si dovrebbe aderire è solo l’esperienza del silenzio’. L’assoluto silenzio è solo l’esperienza di ajāta, perché ajāta è lo stato di infinito ed eterno silenzio che non è mai stato disturbato da anche la minima apparenza di rumore nella forma di ego e di mondo.
Come Steve dice, tale silenzio non è un’idea o un concetto, né è un’illusione o qualcosa che richiede di essere creduto, perché le idee, i concetti, i credi e le illusioni esistono solo per l’ego, che non esiste nel silenzio. Quindi ajāta o assoluto silenzio non è qualcosa che possiamo concepire o a cui credere, ma solo qualcosa che possiamo sperimentare fondendoci in esso, quindi dissolvendo l’illusione che siamo questo ego.
Ma anche parlare di fondersi in esso e dissolvere l’illusione che siamo questo ego è senza significato fino a che non lo abbiamo ancora sperimentato. Una volta che lo sperimentiamo, nessun fondersi, dissolversi o qualsiasi altra cosa mai sembrerà essere successa. Questo solo è lo stato di ajāta: ‘non-nato’, ‘non-sorto’ o ‘non-accaduto’.

Fino a che sperimentiamo noi stessi come siamo realmente, ajāta è (dalla nostra prospettiva) solo un’idea che contraddice direttamente tutto ciò che ora sperimentiamo, così non è un’idea a cui possiamo realmente credere fino a che sperimentiamo noi stessi come un ego. Quindi ajāta non è un’idea a cui dovremmo cercare di credere, ma un’esperienza che possiamo raggiungere solo investigando l’ ‘io’ che sperimenta l’apparente esistenza di se stesso come un ego che percepisce un mondo in cui è vivente come una persona.  Se perseveriamo nell’investigare questo ‘io’ fino a che sperimentiamo ciò che realmente è, Sri Ramana ci assicura che allora sperimenteremo la verità suprema, che è solo ajāta. Fino ad allora, per spiegare l’apparente esistenza dell’ego e del mondo egli insegna che la teoria più adatta a essere da noi creduta è solo vivarta vāda.



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