Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

lunedì 5 gennaio 2015

La legge fondamentale dell’esperienza o consapevolezza scoperta da Sri Ramana

Michael James

4 Gennaio 2015
The fundamental law of experience or consciousness discovered by Sri Ramana

Il mio articolo precedente, Il nostro fine dovrebbe essere sperimentare solamente noi stessi, in completo isolamento da qualsiasi altra cosa, è stato adattato da un’email che ho scritto a un amico in risposta ad alcune domande che egli mi ha chiesto riguardo la pratica di auto-investigazione (ātma-vicāra ), che ha condotto ad uno scambio di ulteriori emails sullo stesso soggetto. Quindi questo articolo è adattato dalle risposte successive che gli ho scritto:
  1. Auto-attentività è lo stato più semplice possibile
  2. Auto-attentività nel mezzo delle attività quotidiane
  3. L’amore per sperimentare solo noi stessi è essenziale
  4. Investigare noi stessi è investigare la nostra sorgente
  5. La legge fondamentale dell’esperienza
  6. L’importanza di afferrare questo principio fondamentale


1. Auto-attentività è lo stato più semplice possibile

Nella sua replica alla mia prima email il mio amico ha scritto, ‘La mia email riguardava la mia auto-indagine in meditazione formale […] Trovo che fare auto-indagine durante le proprie normali attività quotidiane è anche più complicato’, a cui ho risposto che ‘praticare vicāra anche nel mezzo delle nostre attività quotidiane è molto importante’ e ho commentato:

Dici che ‘è anche più complicato’, ma vicāra (auto-investigazione o auto-indagine) non è mai realmente complicata, perché se stesso che da attenzione a se stesso è il più semplice stato possibile. La complicazione può sorgere solo quando molti fattori sono coinvolti, ma nell’auto-attentività è coinvolto solo un fattore, vale a dire noi stessi. Non solo è appunto noi stessi che sia da attenzione, sia la riceve, ma anche l’attenzione a noi stessi o consapevolezza che abbiamo di noi stessi non è altro che noi stessi, perché l’auto-consapevolezza è la nostra reale natura.

2. Auto-attentività nel mezzo delle attività quotidiane

Il mio amico ha risposto:
La domanda è come esattamente uno fa questo nelle proprie attività quotidiane. Nella vita quotidiana, i pensieri sorgono, si sviluppano situazioni che richiedono risposta immediata, accadono discussioni, argomenti, circostanze impreviste. Non è sempre possibile in tali situazioni, tornare indietro a chiedersi a chi stanno accadendo queste cose, o essere solo un testimone o lasciare andare i pensieri.

E’ per questa ragione che ho detto che è difficile praticare auto-indagine nel mezzo della nostra vita quotidiana, quando spesso uno è sopraffatto da eventi esterni, che sono oltre il proprio controllo e richiedono risposta immediata.
A cui ho risposto:

In qualsiasi attività possiamo essere impegnati, e qualsiasi pensiero può occupare la nostra mente, siamo sempre presenti lì come l’ ‘io’ che sta sperimentando tali cose. Comunque, benché siamo sempre consapevoli che ‘io sono’, non sempre siamo attentivamente consapevoli di quello che ‘io sono’, perché la maggior parte della nostra attenzione è assorbita nello sperimentare cose diverse da noi stessi.

Diamo attenzione ad altre cose a causa della nostra propensione a sperimentare cose diverse da noi stessi, così abbiamo bisogno di coltivare una propensione a sperimentare solo noi stessi più di quanto siamo propensi a sperimentare qualsiasi altra cosa. Fino a che la nostra propensione a sperimentare solo noi stessi è ancora relativamente debole, sembra difficile dare attenzione a noi stessi quando altre cose stanno occupando il nostro interesse, ma se perseveriamo nella nostra pratica di cercare di dare attenzione a noi stessi più spesso possibile, la nostra propensione a sperimentare solo noi stessi aumenterà, e allora troveremo più facile dare attenzione a noi stessi anche nel mezzo di altre attività. In altre parole, la frequenza con cui ricordiamo di dare attenzione a noi stessi aumenterà.

Anche se ci sediamo con gli occhi chiusi intendendo dare attenzione solo a noi stessi, il nostro interesse in altre cose ci farà pensare a quelle cose, così è spesso non meno difficile dare attenzione a noi stessi durante i momenti della nostra ‘meditazione’ di quanto lo è durante altri momenti. Quindi dovremmo cercare di dare attenzione a noi stessi più frequentemente possibile, sia che siamo seduti in ‘meditazione’ sia che siamo impegnati in qualsiasi altra attività.

Tu dici, ‘Non è sempre possibile in tali situazioni, ritornare indietro chiedendosi a chi stanno accadendo queste cose, o essere solo un testimone o lasciare andare i pensieri’, ma di fatto trascorriamo la maggior parte del nostro tempo proprio lasciando andare i pensieri, e se li lasciamo andare, li stiamo testimoniando. Quindi né lasciare andare i pensieri né testimoniarli è il nostro fine. Ciò a cui dovremmo aspirare è solo sperimentare noi stessi (cioè, testimoniare noi stessi solamente e niente altro),e quando volgiamo la nostra intera attenzione solo verso noi stessi gli altri pensieri cesseranno automaticamente, perché essi non possono continuare se non diamo a essi attenzione (o li testimoniamo).

3. L’amore per sperimentare solo noi stessi è essenziale

Come risposta alla successiva email del mio amico ho scritto:

Il nocciolo della questione è amore (bhakti ). In questo momento il nostro amore per sperimentare solo noi stessi è ancora dolorosamente insufficiente, e il solo modo per coltivarlo affinché cresca sempre più forte è perseverare nella nostra pratica di persistente auto-attentività.

4. Investigare noi stessi è investigare la nostra sorgente

Il mio amico poi ha scritto una lunga email, in cui ha menzionato tra le altre cose che era confuso sulla differenza tra meditare solo su ‘io sono’, e su ‘chi sono io’ o ‘da dove vengo io’, e anche riguardo a ‘come deve essere intrapresa esattamente questa investigazione nella sorgente dell’io’, a cui ho risposto:

La pratica di investigare ‘da dove vengo io’ è esattamente la stessa della pratica di investigare ‘chi sono io’, come ho spiegato in uno dei miei articoli recenti: There is no difference between investigating ‘who am I’ and investigating ‘whence am I’. L’investigazione ‘da dove vengo io’ significa investigare la sorgente da cui l’ego sorge, e quella sorgente è ovviamente solo noi stessi – ciò che siamo realmente. Proprio come la sorgente da cui appare il serpente illusorio è solo la corda, che è ciò che il serpente è realmente, così la sorgente da cui l’ego illusorio appare è solo il nostro sé reale, che è ciò che l’ego è realmente. Quindi investigare cos’è la sorgente di questo ego è esattamente lo stesso di investigare cosa sono io realmente.

Per trovare la sorgente del serpente, dobbiamo osservarlo molto attentamente, e quando facciamo questo scopriremo che non è realmente un serpente ma solo una corda. Poiché era solo la corda che sembrava essere un serpente, solo la corda è la sorgente del serpente. Quindi solo osservando attentamente il serpente possiamo scoprire la sua sorgente, la corda. Nello stesso modo, per trovare la sorgente del nostro ego, dobbiamo osservarlo moto attentamente, e quando facciamo questo scopriremo che non è realmente un ego ma solo il nostro sé reale. Poiché era solo il nostro sé reale che sembrava essere un ego, solo il nostro sé reale è la sorgente dell’ego. Quindi solo osservando attentamente l’ego possiamo trovare la sua sorgente, il nostro sé reale.

Come spiego in molti articoli nel mio blog, incluso Stabilire che io sono e analizzare cosa io sono, non ci sono due separati ‘io’, un ego-‘io’ e un reale ‘io, ma solo un ‘io’, vale a dire noi stessi. Ora sperimentiamo questo unico ‘io’ come se fosse una persona costituita di un corpo e una mente, e quando lo sperimentiamo erroneamente in questo modo, è chiamato ‘ego’. Comunque, anche quando lo sperimentiamo in questo modo, ciò che è realmente è solo l’unico ‘io’ reale, proprio come il serpente illusorio è realmente solo una corda anche quando sembra essere un serpente.

L’ego è il nostro ‘io’ reale mischiato e confuso con aggiunte estranee come questo corpo e questa mente, così esso consiste di un elemento reale, vale a dire ‘io’ (noi stessi), e un elemento irreale, vale a dire qualsiasi aggiunta (upādhis ) che confondiamo come noi stessi. Poiché il nostro fine è solo sperimentare ciò che siamo realmente, quando investighiamo questo ego dovremmo investigare solo il suo elemento reale, vale a dire ‘io’, noi stessi. Quindi non c’è differenza tra investigare il nostro ‘io’ reale e investigare il nostro ego, poiché anche quando investighiamo questo ego stiamo investigando in esso solo il reale elemento-‘io’.

Quando investighiamo ‘io’ (noi stessi), stiamo cercando di sperimentare ciò che noi (questo ‘io’) siamo realmente, così possiamo descrivere questo come investigare ‘io’ o come investigare ‘cosa sono io’ (o chi sono io). Quindi investigare ‘cosa sono io’ o ‘chi sono io’ significa investigare solo ‘io’, noi stessi, e non qualsiasi altra cosa.

Quindi meditare su ‘io sono’ (cioè, meditare non sulle parole ‘io sono’ ma solo su noi stessi, che siamo ciò a cui si riferiscono queste parole) è lo stesso di investigare ‘cosa sono io’, ‘chi sono io’ o ‘da dove vengo io’, perché ciascuno di questi è solo un modo alternativo di descrivere la semplice pratica di auto-attentività, auto-osservazione o auto-investigazione.

5. La legge fondamentale dell’esperienza

Nella stessa lunga email il mio amico ha scritto anche che durante i passati quarant’anni ha praticato varie forme di meditazione, incluso il tipo insegnato da Nisargadatta, e che ha pensato che testimoniare i pensieri mentre sorgono avrebbe reso possibile non identificarsi con essi e quindi avrebbe permesso a essi di estinguersi, a cui ho risposto:

La pratica di ātma-vicāra insegnata da Sri Ramana è basata su un principio cruciale ma molto semplice [che ho anche discusso in ‘Gli insegnamenti di Sri Ramana e Nisargadatta sono significativamente diversi’ (la sesta sezione di ‘La necessità di manana e vivēka: riflessione, pensiero critico, discriminazione e giudizio’) e in diversi articoli precedenti come ‘Il segreto cruciale rivelato da Sri Ramana: il solo strumento per assoggettare la nostra mente in modo permanente’, ‘Tracing the ego back to its source’ e ‘Uḷḷadu Nāṟpadu — an explanatory paraphrase’, ed è importante che comprendiamo questo principio, perché solo così saremo in grado di comprendere chiaramente perché ātma-vicāra (investigare noi stessi dando attenzione solo a ‘io’) è il solo mezzo con cui possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente. Questo principio è che l’ego ha origine solo sperimentando cose diverse da se stesso, e la sua apparente esistenza è sostenuta dal suo continuo sperimentare altre cose, così se esso cerca di sperimentare solo se stesso, sprofonderà e si dissolverà nella sua sorgente. Senza qualche altra cosa a cui aggrapparsi come supporto, esso non può reggersi da solo, come Sri Ramana dice nel quarto paragrafo di Nāṉ Yār? (Chi sono io?):
[…] மனம் எப்போதும் ஒரு ஸ்தூலத்தை யனுசரித்தே நிற்கும்; தனியாய் நில்லாது. […]

[…] maṉam eppōdum oru sthūlattai y-aṉusarittē niṯkum; taṉiyāy nillādu . […]

[…] La mente si regge soltanto cercando sempre [dando attenzione e quindi attaccando se stessa a] qualcosa di grossolano [qualcosa diversa da ‘io’]; da sola essa non si regge. […]
Questo principio è da lui chiaramente stabilito nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu :
உருப்பற்றி யுண்டா முருப்பற்றி நிற்கு முருப்பற்றி யுண்டுமிக வோங்கு — முருவிட் டுருப்பற்றுந் தேடினா லோட்டம் பிடிக்கு முருவற்ற பேயகந்தை யோர்.

uruppaṯṟi yuṇḍā muruppaṯṟi niṟku muruppaṯṟi yuṇḍumiha vōṅgu — muruviṭ ṭuruppaṯṟun tēḍiṉā lōṭṭam piḍikku muruvaṯṟa pēyahandai yōr.

பதச்சேதம்: உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும், உரு அற்ற பேய் அகந்தை. ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṯkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum, uru aṯṟa pēy ahandai. ōr.

அன்வயம்: உரு அற்ற பேய் அகந்தை உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும். ஓர்.

Anvayam (parole disposte in ordine di prosa naturale): uru aṯṟa pēy ahandai uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṯkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum. ōr.

Traduzione: Afferrando la forma, l’ego-fantasma senza forma ha origine; afferrando la forma esso si regge [o resiste]; afferrando e nutrendosi di forma esso cresce [o prospera] abbondantemente; lasciando [una] forma, esso afferra [un’altra] forma. Se cercato [esaminato o investigato], esso fuggirà. Investiga [o conosci questo].
Qui உரு (uru ) o ‘forma’ significa qualsiasi cosa diversa da ‘io’ – cioè, qualsiasi cosa che ha caratteristiche che la distinguono da ciò che siamo realmente. Quindi dando attenzione o sperimentando qualsiasi cosa diversa da ‘io’ stiamo ‘afferrando la forma’ e ‘nutrendoci di forma’. Perciò se cerchiamo di dare attenzione solo all’ ‘io’ che da attenzione a cose diverse da se stesso, esso a causa di ciò cesserà di afferrare (dare attenzione a) qualsiasi altra cosa, e quindi ‘fuggirà’ – cioè, sprofonderà e scomparirà.

Poiché è senza forma, questo ego non può sorgere o reggersi da solo, ma può sorgere e reggersi solo ‘afferrando la forma’, così se esso cerca di afferrare se stesso, scomparirà. Questo è il principio essenziale su cui la pratica di ātma-vicāra è basata: se diamo attenzione a qualsiasi altra cosa diversa da ‘io’ solamente, stiamo nutrendo e sostenendo il nostro ego, mentre se diamo attenzione solo a ‘io’, lo stiamo deprivando del supporto di cui ha bisogno per apparire come se fosse noi stessi.

In altre parole, sperimentando (essendo consapevoli o consci di) qualsiasi cosa diversa da noi stessi, stiamo nutrendo e sostenendo l’illusione che noi siamo questo ego o mente, mentre sperimentando (essendo consapevoli o consci di) noi stessi solamente, staremo deprivando questa illusione del supporto di cui ha bisogno per resistere, e quindi la possiamo dissolvere interamente. Poiché questo principio governa tutto ciò che sperimentiamo o che potremo sperimentare, possiamo chiamarlo la legge fondamentale dell’esperienza, consapevolezza o coscienza.

Questo è il motivo per cui testimoniare, osservare o dare attenzione a ogni pensiero diverso da ‘io’ solamente è controproducente. Così fino a che siamo consapevoli di ogni pensiero – qualsiasi cosa diversa da ‘io’ (noi stessi) solamente – stiamo sostenendo l’esperienza illusoria che il nostro ego o mente è ‘io’, di conseguenza non possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente. Per sperimentare noi stessi come siamo realmente, dobbiamo dare attenzione solo a ‘io’.

Quindi secondo Sri Ramana la sola reale sadhana o pratica spirituale è ātma-vicāra – investigare noi stessi cercando di sperimentare nient’altro che ‘io’ solamente. Ogni altra sadhana comporta il dare attenzione a qualcosa diversa da ‘io’, così essa sosterrà l’illusione che questo ego è ciò che siamo realmente.

Questo principio essenziale o legge fondamentale dell’esperienza fu scoperta da Sri Ramana quando, all’età di sedici anni, investigò se stesso per scoprire se egli (il suo sé o ‘io’ essenziale) avrebbe cessato di esistere quando il suo corpo fosse morto, ed è la base del suo insegnamento che l’auto-investigazione (ātma-vicāra ) è il solo mezzo con cui possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente e quindi distruggere l’intera illusione dell’ego e dell’alterità.

6. L’importanza di afferrare questo principio fondamentale

Dopo aver inviato la risposta che ho riprodotto nelle due sezioni precedenti, ho scritto un’altra email dicendo:

In continuazione della risposta che ho appena inviato, voglio enfatizzare nuovamente quanto è importante che afferriamo chiaramente e fermamente il semplice principio che Sri Ramana ci insegna nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu , perché una volta che abbiamo compreso questo la nostra mente perderà interesse in tutte le altre sādhanas , e non saremo distratti o confusi se leggiamo o sentiamo qualcuno (non importa chi possa essere) che consiglia qualsiasi altra sādhana .

Quindi, fino a che è fermamente e solidamente stabilito nella nostra mente, dovremmo ricordare spesso e riflettere su questo principio, in modo da comprenderlo chiaramente e non dimenticarlo. E’ come una chiave per schiudere l’essenza dell’insegnamento di Sri Ramana, perché se lo comprendiamo e non lo dimentichiamo, saremo in grado di comprendere chiaramente e senza confusione o dubbio qualsiasi altra cosa che egli ci ha insegnato riguardo sia a ātma-vicāra sia a tutte le altre sādhanas .

Questo principio è realmente una legge di natura, ed è almeno tanto vera e inviolabile quanto ogni altra legge di natura, come la legge di gravità o la legge della termodinamica. Di fatto, è più vera e inviolabile di ogni altra legge, perché mentre queste leggi sono solo leggi di fisica, e perciò valide solo fino a che sperimentiamo noi stessi come parte di questo mondo fisico, questa è la legge fondamentale della consapevolezza o esperienza, così è valida se sperimentiamo qualsiasi cosa, noi stessi o ogni altra cosa.

Se sperimentiamo qualsiasi cosa diversa da noi stessi solamente, chi sperimenta è solo il nostro ego o mente, così non possiamo sperimentare qualsiasi cosa diversa da noi stessi se non sperimentiamo noi stessi come questo ego. Quindi, se sperimentiamo qualsiasi cosa diversa da noi stessi solamente, non possiamo sperimentare noi stessi come siamo realmente. Quindi, per sperimentare noi stessi come siamo realmente, dobbiamo sperimentare noi stessi solamente, in completo isolamento da ogni altra cosa.

Quindi cercare di essere esclusivamente auto-attentivi – cioè, consapevoli di niente altro che noi stessi solamente – è la sola sadhana o pratica spirituale che può permetterci di sperimentare noi stessi come siamo realmente.

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