tratto da La Felicità e l'Arte di Essere
di Michael James
L’arte di essere
è la capacità di rimanere saldamente stabiliti nello stato senza azione e
quindi senza pensieri dell’essere auto-cosciente e perfettamente limpido, che è
lo stato di assoluto auto-abbandono e di vera auto-conoscenza.
Come ogni
altra abilità, l’arte di essere è coltivata e perfezionata con la pratica.
Quanto più la pratichiamo, tanto più svilupperemo la forza di cui abbiamo bisogno per
rimanere fermamente bilanciati nella naturale consapevolezza senza pensiero
del nostro essere essenziale.
Quanta pratica ognuno di noi avrà effettivamente
bisogno per perfezionare la propria abilità in quest’arte di essere, dipenderà
dal relativo grado della propria attuale maturità o maturazione mentale.
Nel caso di
Sri Ramana, fu necessario solo un momento di pratica, perché a quel tempo la
sua mente era già perfettamente matura e quindi pronta ad arrendersi e a
essere consumata nella luce fulgente dell’auto-consapevolezza infinitamente
limpida.
Tuttavia, la maggior parte di noi non possiede neppure un frammento di
tale maturità, quindi per sviluppare quest’arte di essere, abbiamo bisogno di pratica
lunga e persistente.
Che cosa
intendiamo quando parliamo di maturità o maturazione mentale? La nostra mente
sarà spiritualmente matura quando sarà stata purificata o ripulita di tutti i
suoi desideri - tutte le sue simpatie e antipatie, i suoi attaccamenti, le sue
avversioni, le sue paure e così via - e quando avrà perciò sviluppato la buona volontà
e il vero amore per abbandonarsi interamente e quindi lasciarsi andare pacificamente
nel proprio essere essenziale auto-cosciente o ‘sono’-ità (‘am’-ness).
I nostri desideri sono gli ostacoli che ci
rendono riluttanti ad arrenderci al nostro essere infinito, e sono quindi
la causa e la forma della nostra immaturità per l’auto-conoscenza.
Come possiamo sviluppare la maturità spirituale
di cui abbiamo bisogno per essere in grado di abbandonare interamente noi
stessi allo stato di essere assoluto? Anche se ci sono molti mezzi con cui
possiamo indirettamente e gradualmente cominciare a coltivare tale maturità, in
definitiva possiamo completarla solo praticando l’arte di essere.
Tutte le
altre innumerevoli forme di pratica spirituale - come il servizio disinteressato,
la devozione dualistica, l’adorazione rituale, la ripetizione di un nome di
Dio, la preghiera, la meditazione, le varie forme di auto-contenimento
interno ed esterno (compresa l’importante virtù di ahimsa o ‘non
nuocere’, cioè il compassionevole evitare di arrecare ogni tipo di danno o di
sofferenza a ogni essere vivente), le ‘otto membra’ dello yoga e così via - sono
mezzi indiretti che ci possono consentire gradualmente di purificare la nostra
mente, pulendola dalle forme più grossolane dei suoi desideri e in tal modo
maturandola, ma solo in una certa misura.
Cioè, dato
che tutte le pratiche spirituali diverse dall’arte di essere comportano un’estroversione
della nostra mente, un volgersi della nostra attenzione lontano da noi stessi verso
qualcos’altro, possono metterci in grado di liberare effettivamente noi stessi solo
dalle forme più grossolane dei nostri desideri e attaccamenti, ma non dalle
forme più sottili.
Fino a quando
e se non cominciamo a praticare l’arte di essere, mantenendo l’attenzione saldamente
ed esclusivamente fissa sul nostro essere essenziale, come il nostro essere
essenziale stesso, non possiamo ottenere la chiarezza interiore e la concentrazione necessaria
per scoprire e prevenire il sorgere della nostra mente e dei suoi desideri proprio
al loro punto iniziale.
Come siamo quindi in grado di scoprire e prevenire il sorgere della nostra mente praticando l’arte di essere?
Come siamo quindi in grado di scoprire e prevenire il sorgere della nostra mente praticando l’arte di essere?
Quando si pratica quest’arte, la nostra attenzione è fissa al nostro essere essenziale
auto-cosciente, che è la fonte da cui la nostra mente sorge insieme a tutti i
suoi desideri più sottili, e fintanto che la nostra attenzione rimane
attentamente e saldamente fissata sulla, nella e come la sua sorgente, la
nostra mente non sarà in grado di sorgere. Tuttavia, ogni volta che a causa
anche del minimo allentamento della nostra vigile auto-attentività, permettiamo
alla nostra attenzione di vacillare ed essere sviata da qualsiasi pensiero, a
causa di ciò sorgeremo nella forma della nostra mente pensante.
Ma praticando ripetutamente quest’arte di essere auto-attentivi, acquisiremo la
capacità di notare ogni allentamento nella nostra vigile auto-attenzione proprio
nel momento in cui si verifica, e quindi saremo in grado di riguadagnare immediatamente
la nostra auto-attentività impedendo il sorgere della nostra mente proprio nel
momento in cui si verifica.
Quanto più si
pratica quest’arte di essere, tanto più acuta, affilata e limpida diverrà la
nostra auto-attenzione, e a causa di ciò aumenterà costantemente la nostra
abilità nell’arte di schiacciare il sorgere della mente proprio alla sua
fonte. Ogni volta che riusciamo a prevenire in modo vigile anche il minimo sorgere
della nostra mente, i desideri che la spingono a sorgere saranno costantemente
indeboliti, e il nostro amore per rimanere pacificamente nel nostro stato
naturale di essere sarà proporzionalmente rafforzato, fino a che schiaccerà totalmente tutti i nostri desideri rimanenti e molto indeboliti,
permettendoci in tal modo di arrendere interamente noi stessi nell’infinita chiarezza
della vera auto-conoscenza.
Tranne questa pratica di essere auto-attentivo accuratamente vigile, non c’è
altro mezzo adeguato con cui possiamo indebolire e distruggere tutti i nostri
desideri, inclusi quelli più sottili e quindi più potenti. Tutte le altre
pratiche spirituali comportano una qualche attività della nostra mente, e
fintantoché la nostra mente è attiva, sarà efficacemente a guardia e a
protezione di tutti i suoi desideri più intimi, tra cui il suo fondamentale
desiderio di esistere come coscienza individuale separata.
Impegnando la
nostra mente in qualsiasi attività, non possiamo distruggere il suo desiderio
basilare di auto-conservazione, e finché mantiene questo desiderio di base,
continuerà a sostenerlo e nutrirlo coltivando altri desideri. Cioè, il desiderio
della nostra mente di auto-conservazione, che è soddisfatto e sostenuto da
tutte le forme di pratica spirituale diverse dall’arte totalmente auto-negante
di essere vigilantemente auto-attentivi, non può reggersi da solo, ma deve
essere accompagnato da qualche desiderio, o altro, per qualcosa di diverso da se
stesso.
Questa
esigenza è soddisfatta da ogni altra forma di pratica spirituale, perché tutte
queste pratiche forniscono alla nostra mente qualcosa di diverso da se stessa a
cui dare attenzione – di fatto, costringono la nostra mente a dare attenzione a
qualcosa di diverso da se stessa. Pertanto, tali pratiche non possono addestrare
la nostra mente a rinunciare a tutti i suoi desideri, in particolare al suo
desiderio di preservare la propria esistenza separata.
Alcune altre
pratiche spirituali forzano la nostra mente a calmarsi, ma tale calma è solo
temporanea, perché non è accompagnata da una limpida auto-attentività.
Di
conseguenza nell’ottavo paragrafo di Nan
Yar? Sri Ramana dice:
Per far
cessare la mente [permanentemente], non ci sono mezzi adeguati tranne
vichara [investigazione, cioè l’arte di essere auto-attentivo]. Se
trattenuta con altri mezzi, la mente rimarrà come se fosse quietata, [ma]
emergerà nuovamente. Anche per mezzo di prāṇāyāma [controllo del respiro], la mente si
quieterà; tuttavia, [sebbene] la mente rimane controllata fino a che il respiro
è controllato, quando il respiro emerge [o diviene manifesto] essa anche emerge
e vaga sotto l'influenza delle [sue] vāsanās [inclinazioni, impulsi o
desideri]. Il luogo di nascita sia della mente sia del prāṇa [il respiro e gli altri processi vitali] è uno.
Solo il
pensiero è svarūpa [la 'forma propria '] della mente. Solo il
pensiero 'io' è il primo [o basilare] pensiero della mente; esso solo è l'ego.
Da dove l'ego sorge, da lì ha origine anche il respiro. Quindi quando le
mente si quieta anche il prāṇa [si quieta], [e] quando il prāṇa si quieta anche la mente si quieta.
Tuttavia nel
sonno, sebbene la mente si sia fermata, il respiro non si ferma. E' disposto
così per ordine di Dio, allo scopo di proteggere il corpo, così che altre
persone non si chiedano se il corpo è morto. Quando la mente si quieta nella
veglia e nel samādhi [qualcuno dei vari tipi di assorbimento mentale che
risulta dallo yoga o da altre forme di pratica spirituale], il prāṇa si quieta.
Il prāṇa è detto essere la forma grossolana della mente. Fino al
tempo della morte la mente mantiene il prāṇa nel corpo, e nel momento in cui il corpo muore essa [la
mente] lo afferra e lo porta [il prāṇa] via. Quindi prāṇāyāma è semplicemente un aiuto per
trattenere la mente, ma non determinerà manō-nāśa [l'annientamento della
mente].
Prima di
passare a discutere l’efficacia di altre forme di pratica spirituale, Sri
Ramana inizia questo paragrafo dichiarando l’importante verità che ‘Per far
cessare la mente [permanentemente], non ci sono mezzi adeguati tranne
che vichara [investigazione].'
Perché è così? Poiché lo stato di vera
auto-conoscenza, che è l’unico stato in cui la mente rimarrà permanentemente
cessata, è uno stato di solo essere, non può essere determinato da qualsiasi
azione o ‘fare’, ma solo dalla pratica di solo essere.
Poiché vichara
o investigazione, che è semplicemente la pratica di auto-attentività non
comporta alcuna azione, ma è solo uno stato di essere auto-consapevole, e
poiché ogni altra forma di pratica spirituale è un‘azione di un tipo o di un
altro, vichara è l’unica pratica che
ci consentirà di dimorare nello stato di essere eterno, infinito e assoluto,
che è lo stato della vera auto-conoscenza.
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