Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

mercoledì 31 dicembre 2014

La Pratica dell’Arte di Essere


tratto da La Felicità e l'Arte di Essere  
di Michael James

L’arte di essere è la capacità di rimanere saldamente stabiliti nello stato senza azione e quindi senza pensieri dell’essere auto-cosciente e perfettamente limpido, che è lo stato di assoluto auto-abbandono e di vera auto-conoscenza.

Come ogni altra abilità, l’arte di essere è coltivata e perfezionata con la pratica. Quanto più la pratichiamo, tanto più svilupperemo la forza di cui abbiamo bisogno per rimanere fermamente bilanciati nella naturale consapevolezza senza pensiero del nostro essere essenziale. 
Quanta pratica ognuno di noi avrà effettivamente bisogno per perfezionare la propria abilità in quest’arte di essere, dipenderà dal relativo grado della propria attuale maturità o maturazione mentale.

Nel caso di Sri Ramana, fu necessario solo un momento di pratica, perché a quel tempo la sua mente era già perfettamente matura e quindi pronta ad arrendersi e a essere consumata nella luce fulgente dell’auto-consapevolezza infinitamente limpida. 

Tuttavia, la maggior parte di noi non possiede neppure un frammento di tale maturità, quindi per sviluppare quest’arte di essere, abbiamo bisogno di pratica lunga e persistente.

Che cosa intendiamo quando parliamo di maturità o maturazione mentale? La nostra mente sarà spiritualmente matura quando sarà stata purificata o ripulita di tutti i suoi desideri - tutte le sue simpatie e antipatie, i suoi attaccamenti, le sue avversioni, le sue paure e così via - e quando avrà perciò sviluppato la buona volontà e il vero amore per abbandonarsi interamente e quindi lasciarsi andare pacificamente nel proprio essere essenziale auto-cosciente o ‘sono’-ità (‘am’-ness).   
I nostri desideri sono gli ostacoli che ci rendono riluttanti ad arrenderci al nostro essere infinito, e sono quindi la causa e la forma della nostra immaturità per l’auto-conoscenza. 

 Come possiamo sviluppare la maturità spirituale di cui abbiamo bisogno per essere in grado di abbandonare interamente noi stessi allo stato di essere assoluto? Anche se ci sono molti mezzi con cui possiamo indirettamente e gradualmente cominciare a coltivare tale maturità, in definitiva possiamo completarla solo praticando l’arte di essere.

Tutte le altre innumerevoli forme di pratica spirituale - come il servizio disinteressato, la devozione dualistica, l’adorazione rituale, la ripetizione di un nome di Dio, la preghiera, la meditazione, le varie forme di auto-contenimento interno ed esterno (compresa l’importante virtù di ahimsa o ‘non nuocere’, cioè il compassionevole evitare di arrecare ogni tipo di danno o di sofferenza a ogni essere vivente), le ‘otto membra’ dello yoga e così via - sono mezzi indiretti che ci possono consentire gradualmente di purificare la nostra mente, pulendola dalle forme più grossolane dei suoi desideri e in tal modo maturandola, ma solo in una certa misura.

Cioè, dato che tutte le pratiche spirituali diverse dall’arte di essere comportano un’estroversione della nostra mente, un volgersi della nostra attenzione lontano da noi stessi verso qualcos’altro, possono metterci in grado di liberare effettivamente noi stessi solo dalle forme più grossolane dei nostri desideri e attaccamenti, ma non dalle forme più sottili.

Fino a quando e se non cominciamo a praticare l’arte di essere, mantenendo l’attenzione saldamente ed esclusivamente fissa sul nostro essere essenziale, come il nostro essere essenziale stesso, non possiamo ottenere la chiarezza interiore e la concentrazione necessaria per scoprire e prevenire il sorgere della nostra mente e dei suoi desideri proprio al loro punto iniziale.
Come siamo quindi in grado di scoprire e prevenire il sorgere della nostra mente praticando l’arte di essere?

Quando si pratica quest’arte, la nostra attenzione è fissa al nostro essere essenziale auto-cosciente, che è la fonte da cui la nostra mente sorge insieme a tutti i suoi desideri più sottili, e fintanto che la nostra attenzione rimane attentamente e saldamente fissata sulla, nella e come la sua sorgente, la nostra mente non sarà in grado di sorgere. Tuttavia, ogni volta che a causa anche del minimo allentamento della nostra vigile auto-attentività, permettiamo alla nostra attenzione di vacillare ed essere sviata da qualsiasi pensiero, a causa di ciò sorgeremo nella forma della nostra mente pensante.

Ma praticando ripetutamente quest’arte di essere auto-attentivi, acquisiremo la capacità di notare ogni allentamento nella nostra vigile auto-attenzione proprio nel momento in cui si verifica, e quindi saremo in grado di riguadagnare immediatamente la nostra auto-attentività impedendo il sorgere della nostra mente proprio nel momento in cui si verifica.

Quanto più si pratica quest’arte di essere, tanto più acuta, affilata e limpida diverrà la nostra auto-attenzione, e a causa di ciò aumenterà costantemente la nostra abilità nell’arte di schiacciare il sorgere della mente proprio alla sua fonte. Ogni volta che riusciamo a prevenire in modo vigile anche il minimo sorgere della nostra mente, i desideri che la spingono a sorgere saranno costantemente indeboliti, e il nostro amore per rimanere pacificamente nel nostro stato naturale di essere sarà proporzionalmente rafforzato, fino a che schiaccerà totalmente tutti i nostri desideri rimanenti e molto indeboliti, permettendoci in tal modo di arrendere interamente noi stessi nell’infinita chiarezza della vera auto-conoscenza.

Tranne  questa pratica di essere auto-attentivo accuratamente vigile, non c’è altro mezzo adeguato con cui possiamo indebolire e distruggere tutti i nostri desideri, inclusi quelli più sottili e quindi più potenti. Tutte le altre pratiche spirituali comportano una qualche attività della nostra mente, e fintantoché la nostra mente è attiva, sarà efficacemente a guardia e a protezione di tutti i suoi desideri più intimi, tra cui il suo fondamentale desiderio di esistere come coscienza individuale separata.   

Impegnando la nostra mente in qualsiasi attività, non possiamo distruggere il suo desiderio basilare di auto-conservazione, e finché mantiene questo desiderio di base, continuerà a sostenerlo e nutrirlo coltivando altri desideri. Cioè, il desiderio della nostra mente di auto-conservazione, che è soddisfatto e sostenuto da tutte le forme di pratica spirituale diverse dall’arte totalmente auto-negante di essere vigilantemente auto-attentivi, non può reggersi da solo, ma deve essere accompagnato da qualche desiderio, o altro, per qualcosa di diverso da se stesso.

Questa esigenza è soddisfatta da ogni altra forma di pratica spirituale, perché tutte queste pratiche forniscono alla nostra mente qualcosa di diverso da se stessa a cui dare attenzione – di fatto, costringono la nostra mente a dare attenzione a qualcosa di diverso da se stessa. Pertanto, tali pratiche non possono addestrare la nostra mente a rinunciare a tutti i suoi desideri, in particolare al suo desiderio di preservare la propria esistenza separata.

Alcune altre pratiche spirituali forzano la nostra mente a calmarsi, ma tale calma è solo temporanea, perché non è accompagnata da una limpida auto-attentività.

Di conseguenza  nell’ottavo paragrafo di Nan Yar? Sri Ramana dice:


Per far cessare la mente  [permanentemente], non ci sono mezzi adeguati tranne vichara [investigazione, cioè l’arte di essere auto-attentivo]. Se trattenuta con altri mezzi, la mente rimarrà come se fosse quietata, [ma] emergerà nuovamente. Anche per mezzo di prāāyāma [controllo del respiro], la mente si quieterà; tuttavia, [sebbene] la mente rimane controllata fino a che il respiro è controllato, quando il respiro emerge [o diviene manifesto] essa anche emerge e vaga sotto l'influenza delle [sue] vāsanās [inclinazioni, impulsi o desideri]. Il luogo di nascita sia della mente sia del prāa [il respiro e gli altri processi vitali] è uno.

Solo il pensiero è svarūpa [la 'forma propria '] della mente. Solo il pensiero 'io' è il primo [o basilare] pensiero della mente; esso solo è l'ego. Da dove l'ego sorge, da lì  ha origine anche il respiro. Quindi quando le mente si quieta anche il prā[si quieta], [e] quando il prāa si quieta anche la mente si quieta.

Tuttavia nel sonno, sebbene la mente si sia fermata, il respiro non si ferma. E' disposto così per ordine di Dio, allo scopo di proteggere il corpo, così che altre persone non si chiedano se il corpo è morto. Quando la mente si quieta nella veglia e nel samādhi [qualcuno dei vari tipi di assorbimento mentale che risulta dallo yoga o da altre forme di pratica spirituale], il  prāṇa si quieta.

Il prāa è detto essere la forma grossolana della mente. Fino al tempo della morte la mente mantiene il  prāa nel corpo, e nel momento in cui il corpo muore essa [la mente] lo afferra e lo porta [il prāa] via. Quindi prāāyāma è semplicemente un aiuto per trattenere la mente, ma non determinerà manō-nāśa [l'annientamento della mente].



Prima di passare a discutere l’efficacia di altre forme di pratica spirituale, Sri Ramana inizia questo paragrafo dichiarando l’importante verità che ‘Per far cessare la mente  [permanentemente], non ci sono mezzi adeguati tranne che vichara [investigazione].'

Perché è così? Poiché lo stato di vera auto-conoscenza, che è l’unico stato in cui la mente rimarrà permanentemente cessata, è uno stato di solo essere, non può essere determinato da qualsiasi azione o ‘fare’, ma solo dalla pratica di solo essere.

Poiché vichara o investigazione, che è semplicemente la pratica di auto-attentività non comporta alcuna azione, ma è solo uno stato di essere auto-consapevole, e poiché ogni altra forma di pratica spirituale è un‘azione di un tipo o di un altro, vichara è l’unica pratica che ci consentirà di dimorare nello stato di essere eterno, infinito e assoluto, che è lo stato della vera auto-conoscenza.

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