28 Dicembre 2014
http://happinessofbeing.blogspot.it/2014/12/our-aim-should-be-to-experience-ourself.html
Alcuni mesi fa un amico mi ha scritto chiedendo riguardo alla
pratica di ātma-vicāra (auto-investigazione o auto-indagine) e se la
descrizione della sua pratica indicava che la stava praticando correttamente, e
ha terminato la sua email dicendo:
Ho provato la tecnica di immergersi nel cuore esalando il
respiro, spiegata nel piccolo libro The Technique of Maha Yoga pubblicato
da Ramanashramam, […] ma non sembra funzionare nel mio caso.
Ciò che segue è adattato dalla risposta che gli ho scritto:
Innanzitutto The Technique of Maha Yoga [che non fu
scritto da K. Lakshmana Sarma, l’autore di Maha Yoga, ma da un altro devoto
chiamato N.R. Narayana Aiyar] è un libro molto ingannevole, perché la
spiegazione che fornisce riguardo alla pratica di ātma-vicāra è
completamente sbagliata, così è buono che
hai trovato che essa non sembra funzionare.
In secondo luogo, ‘il cuore’ è un termine che Sri Ramana usò
metaforicamente per indicare ciò che siamo realmente, perché è il nucleo, il
centro o l’essenza di tutto ciò che ora sembriamo essere, e ‘immergersi nel
cuore’ è una descrizione metaforica dello sprofondare o l’immergersi della
mente in profondità all’interno di noi stessi come risultato
dall’auto-attentività, così non dovrebbe essere interpretato letteralmente
(come alcuni devoti sembrano fare), e non dovrebbe essere confuso come una
tecnica che comporta qualsiasi altra cosa diversa dalla semplice
auto-attentività.
Poiché hai chiesto i miei commenti alla descrizione della
tua pratica, citerò ciascuno dei tuoi punti e li commenterò singolarmente:
- · Inizio osservando il movimento del mio respiro, inspirando ed espirando a ritmo normale.
Alcune persone dicono di trovare l’osservazione del
movimento del loro respiro un mezzo effettivo per calmare la mente prima di
praticare auto-investigazione, ma questo non è necessario, e alla lunga può
realmente essere dannoso. Il modo più efficace per calmare la mente è
semplicemente cercare direttamente di essere auto-attentivi, e alla lunga
questo produrrà il più grande beneficio.
Supponi di dover andare in bicicletta da Londra a Brighton
[che è a sud di Londra], e non sei mai andato in bicicletta prima d’ora. Quindi
devi iniziare a fare pratica, e poiché il tuo fine è raggiungere Brighton è
ovviamente meglio iniziare a fare pratica sulla strada per Brighton, perché
mentre fai pratica ti avvicinerai sempre più vicino alla tua destinazione. Se
invece iniziassi a fare pratica sulla strada per York [che è a nord di Londra],
questo sarebbe sciocco, perché ti porterebbe ancora più lontano dalla tua
destinazione.
Sul sentiero dell’auto-investigazione (ātma-vicāra) la nostra destinazione è
solo noi stessi, ‘io’, e il solo modo per raggiungere quella destinazione è
dare attenzione solo a noi stessi. Quindi per raggiungere la nostra
destinazione più velocemente possibile, fin dall’inizio non dovremmo praticare
alcuna cosa tranne l’auto-attentività. Se fin dall’inizio pratichiamo solo
l’auto-attentività, è come se facessimo pratica di bicicletta sulla strada per
Brighton.
Se pratichiamo dando attenzione alla respirazione o a
qualsiasi altra cosa diversa da ‘io’ solamente, questo ci porta lontano da noi
stessi, che è la nostra destinazione, così è come fare pratica di bicicletta
sulla strada per York. Non è sciocco iniziare andando nella direzione opposta a
quella della nostra destinazione? Non sarebbe più saggio avanzare verso la
nostra destinazione fin dall’inizio?
Se coltiviamo l’abitudine di osservare la respirazione o di dare attenzione a
qualsiasi altra cosa diversa da ‘io’, questa abitudine sarà solo un altro
ostacolo che ci distrarrà quando cercheremo di dare attenzione solo a ‘io’.
Quindi è meglio coltivare l’abitudine di osservare solo ‘io’ fin dall’inizio,
ed evitare tutte le altre pratiche.
E’ sbagliato pensare che la nostra mente deve essere calma
prima di poter iniziare a dare attenzione a ‘io’. Sebbene ci può essere più
facile dare attenzione a ‘io’ quando la nostra mente è calma, la calma di mente
non è un prerequisito necessario, perché sia che la nostra mente sia calma o agitata, noi siamo sempre lì a sperimentarla, così
qualsiasi cosa possiamo sperimentare possiamo sempre volgere la nostra
attenzione indietro verso noi stessi, l’
‘io’ che sta sperimentando ciò.
Quindi la cosa migliore è evitare tutte le altre pratiche e
iniziare a investigare solo noi stessi fin dall’inizio.
- Dopo pochi minuti, chiedo a me stesso chi sono io e focalizzo la mia attenzione sull’ ‘io’.
Chiedere a noi stessi ‘chi
sono io?’ può aiutare a rivolgere la nostra attenzione indietro verso ‘io’, ma
non è necessario farsi questa domanda ogni volta. Per mezzo della pratica persistente di
auto-attentività, possiamo coltivare l’abitudine di rivolgere la nostra
attenzione indietro verso ‘io’ ogni volta che notiamo che essa si è allontanata
verso qualche altra cosa, e più forte diviene questa abitudine, meno troveremo
necessario farci qualche domanda per rivolgere la nostra attenzione indietro
verso ‘io’.
Inoltre, dovremmo comprendere
chiaramente che chiederci qualche domanda per aiutarci a rivolgere la nostra
attenzione indietro verso noi stessi è solo un aiuto a ātma-vicāra, ma
non è ātma-vicāra. Ātma-vicāra è auto-investigazione, così essa
inizia realmente solo quando stiamo davvero dando attenzione a, e quindi
cercando di sperimentare, noi stessi solamente.
- Inizialmente, non posso rimanere sull’ ‘io’ per un lungo periodo.
Non è necessario dare attenzione a ‘io’ per prolungati
periodi di tempo. Solo un momento di perfetta auto-attentività è tutto ciò che
ci è richiesto per sperimentare noi stessi come siamo realmente, e quando
abbiamo sperimentato noi stessi in questo modo per una volta, l’illusione che
siamo qualsiasi cosa diversa da ciò che siamo realmente sarà distrutta per
sempre.
Quindi ciò a cui
dovremmo aspirare è l’intensità e la chiarezza di auto-attentività piuttosto
che solo una durata prolungata di auto-attentività meno intensa o meno chiara.
Ciò che intendo qui con ‘intensità e chiarezza di auto-attentività’ (e con
‘perfetta auto-attentività’ nel paragrafo precedente) è essere consapevoli solamente
di noi stessi, senza ogni mescolanza di qualche consapevolezza di qualsiasi
altra cosa. Cioè, la nostra attenzione dovrebbe essere così accuratamente
focalizzata solamente su ‘io’ (noi stessi) che non saremmo consapevoli anche
minimamente di qualsiasi altra cosa diversa da noi stessi.
Anche il tempo è qualcosa che sperimentiamo come diverso da
noi stessi, così l’idea che io devo essere auto-attentivo per un prolungato
periodo di tempo é solo un’altra distrazione che ci impedirà di sperimentare
‘io’ solamente, in completo isolamento da qualsiasi altra cosa, incluso il
tempo.
Inoltre, la nostra mente ha
naturalmente un forte impulso a dare attenzione e a sperimentare cose diverse
da ‘io’, così non ci è abitualmente possibile essere esclusivamente
auto-attentivi per un lungo tempo. Se cerchiamo di opporci a questo naturale
impulso della nostra mente per un periodo prolungato di tempo, finiremo per
creare un conflitto interno, che sarà controproducente, così generalmente molti
tentativi brevi di essere auto-attentivi sono più efficaci di un tentativo
lungo.
- Mentre continuo la mia pratica, noto che il periodo della mia focalizzazione sull’ ‘io’ aumenta.
Se siamo in grado di focalizzare la nostra attenzione solamente
su ‘io’ per lunghi periodi di tempo
senza creare qualche conflitto interno, questo è buono, ma dovremmo ricordare
che il nostro reale fine non dovrebbe essere solo una durata più lunga di
auto-attentività ma dovrebbe essere auto-attentività più profonda, intensa e
chiara – cioè, attentività che è più accuratamente ed esclusivamente
focalizzata solamente su ‘io’, senza la minima traccia di ogni consapevolezza
di qualsiasi altra cosa.
- Io lo chiamo l’intervallo tra due pensieri.
Poiché ogni consapevolezza che possiamo avere di qualsiasi
cosa diversa da ‘io’ (noi stessi) è un pensiero, l’intervallo tra due pensieri
è lo stato in cui siamo consapevoli di assolutamente niente altro che noi
stessi solamente. Questo è lo stato che dovremmo aspirare a sperimentare, ma se
lo sperimentiamo perfettamente una volta, sperimenteremo chiaramente noi stessi come siamo realmente, che è lo stato di ātma-jñāna (auto-conoscenza
o auto-consapevolezza perfettamente chiara), così essa distruggerà per sempre
la nostra mente.
Quindi fino a che sperimentiamo noi stessi come questa
mente, non dovremmo immaginare che abbiamo già sperimentato perfettamente
l’intervallo tra due pensieri. Ciò che esiste in quell’intervallo è solo ciò
che siamo realmente, così sperimentare questo è il nostro fine.
- Dopo qualche tempo noto che non devo focalizzare l’attenzione su ‘io’.
Fino a che sperimentiamo auto-consapevolezza assolutamente chiara
come naturale e inevitabile, abbiamo bisogno di continuare a cercare di
focalizzare la nostra intera attenzione solamente su ‘io’. Quindi se pensi di
non aver bisogno di focalizzare la tua attenzione su ‘io’, ti stai sbagliando.
L’auto-investigazione (ātma-vicāra) è semplicemente
il tentativo che facciamo di focalizzare la nostra intera attenzione solamente su
‘io’ e quindi di sperimentare noi stessi come siamo realmente, in completo
isolamento da ogni altra cosa. Quindi se
immaginiamo di non aver bisogno di focalizzare la nostra attenzione solamente
su ‘io’, stiamo immaginando che ātma-vicāra non è necessaria, che è
sbagliata. Come Sri Ramana dice nell’undicesimo paragrafo di Nāṉ Yār? (Chi
sono io?):
மனத்தின்கண்
எதுவரையில் விஷயவாசனைக ளிருக்கின்றனவோ, அதுவரையில் நானா ரென்னும் விசாரணையும் வேண்டும். நினைவுகள் தோன்றத் தோன்ற அப்போதைக்கப்போதே
அவைகளையெல்லாம் உற்பத்திஸ்தானத்திலேயே விசாரணையால் நசிப்பிக்க வேண்டும். […]
maṉattiṉgaṇ edu-varaiyil viṣaya-vāsaṉaigaḷ irukkiṉḏṟaṉavō, adu-varaiyil nāṉ-ār
eṉṉum vicāraṇai-y-um vēṇḍum. niṉaivugaḷ tōṉḏṟa-t tōṉḏṟa appōdaikkappōdē avaigaḷai-y-ellām
uṯpatti-sthāṉattilēyē vicāraṇaiyāl naśippikka vēṇḍum. […]
Fino a che viṣaya-vāsanās [inclinazioni o desideri a sperimentare
qualsiasi cosa diversa da noi stessi] esistono nella [nostra] mente,
l'investigazione 'chi sono io' [cioè, investigare attentivamente noi stessi] è
necessaria. Come e quando i pensieri sorgono, in quel momento e lì è
necessario annientarli tutti per mezzo di vicāraṇā [investigazione o
vigilante attenzione di sé] proprio nel luogo dove essi sorgono. […]
Sperimentare solamente noi stessi è il nostro fine, e il
solo modo per sperimentare solamente noi stessi è dare attenzione solamente a
noi stessi, così l’auto-attentività o auto-consapevolezza è sia il nostro
sentiero sia il nostro fine. Fino a che confondiamo noi stessi come qualsiasi
cosa diversa da ciò che siamo realmente, essere auto-attentivi sembra
richiedere sforzo, ma quando sperimentiamo noi stessi come siamo realmente,
scopriremo che l’auto-attentività è la nostra vera natura, perché siamo sempre
auto-consapevoli, e non c’è realmente niente altro che noi stessi di cui
potremmo essere consapevoli. Quindi non c’è mai un tempo in cui l’auto-attentività non è necessaria.
- Rimango senza alcun pensiero, incluso il pensiero ‘io’.
Ciò che siamo realmente (cioè, il nostro sé reale) non
direbbe ‘rimango senza alcun pensiero’, perché nella sua visione nessun
pensiero è mai esistito. Quindi quando dici ‘rimango senza alcun pensiero’, l’
‘io’ che dice questo è la tua mente o ego, che è il tuo pensiero primario
chiamato ‘io’.
Possiamo rimanere senza alcun pensiero, incluso questo
pensiero primario ‘io’, solo in stati di manōlaya (temporanea cessazione
della mente, come il sonno) o nello stato di manōnāśa (completa
distruzione o annientamento della mente). Manōnāśa è lo stato in cui
siamo eternamente consapevoli solamente
di noi stessi, così può essere raggiunto solo per mezzo di auto-investigazione accurata
e attentiva (ātma-vicāra), e una volta che esso è raggiunto non possiamo
più ritornare a uno stato in cui sperimentiamo qualsiasi cosa diversa da ‘io’
(noi stessi). Quindi manōnāśa è lo stato in cui né il pensiero primario
chiamato ‘io’ né ogni altro pensiero è mai esistito o potrebbe mai esistere.
Manōlaya, d’altra parte, è uno stato temporaneo in
cui il pensiero primario chiamato ‘io’ e tutti gli altri pensieri sono cessati
senza una chiara auto-consapevolezza, e poiché la nostra mente o ego (il
pensiero primario chiamato ‘io’) in quello stato è assente, non c’è nessuno lì a
sforzarsi per dare attenzione a ‘io’.
Quindi manōlaya non ci può aiutare a raggiungere il nostro fine, che è manōnāśa.
Quindi, ogni volta che non siamo in manōlaya o in manōnāśa
stiamo sperimentando noi stessi come l’ego, che è il pensiero primario chiamato
‘io’, e fino a che questo pensiero è presente, almeno qualche traccia di
qualche altro pensiero sarà presente, perché il pensiero primario chiamato ‘io’
non può reggersi da sé senza qualche altro pensiero a cui aggrapparsi. Come Sri
Ramana dice nel quarto paragrafo di Nāṉ Yār?:
[…] மனம் எப்போதும் ஒரு
ஸ்தூலத்தை யனுசரித்தே நிற்கும்; தனியாய் நில்லாது. […]
[…] maṉam eppōdum oru sthūlattai y-aṉusarittē niṯkum; taṉiyāy nillādu.
[…]
[…]La mente [il pensiero primario chiamato ‘io’] si regge soltanto cercando
sempre [dando attenzione e perciò attaccando se stessa a] qualcosa di grossolano
[qualche pensiero diverso da ‘io’]; da sola essa non si regge. […]
Ogni cosa che sperimentiamo diversa da ‘io’ solamente è un
pensiero, e ciò che sperimenta ogni pensiero è solo il nostro pensiero primario
chiamato ‘io’ (l’ego), che è il nostro puro ‘io’ mescolato con aggiunte. Se
siamo in grado di sperimentare chiaramente ‘io’ solamente senza sperimentare la
minima traccia di qualsiasi altra cosa, questo è lo stato di manōnāśa,
così fino a che otteniamo quello stato, il pensiero primario chiamato ‘io’ e
almeno qualche traccia di qualche altro pensiero sarà presente (a meno che
naturalmente siamo sprofondati nel sonno o in qualche altro stato di manōlaya).
- E’ uno stato piacevole e posso rimanere in questo stato per almeno qualche tempo. In questo momento, sperimento una sensazione di energia fluttuante e calore nel mio corpo. Una specie di tenue luce dorata si diffonde nel corpo e nell’ambiente circostante. Non so se tutto questo è la mia desiderosa immaginazione o se queste sensazioni sorgono realmente. Mi sento riluttante a uscire da questo stato.
Dalla descrizione che dai di questo stato, è chiaro che benché
in quel momento immagini di rimanere ‘senza alcun pensiero, incluso il pensiero
io’, stai effettivamente sperimentando molti pensieri, perché ogni cosa che
descrivi è solo un pensiero. L’ ‘io’ che ha avuto questa esperienza è un
pensiero (il pensiero primario chiamato ‘io’); lo stato di quel momento è un
pensiero; il tempo che hai trascorso in quello stato è un pensiero; la
piacevolezza che hai sperimentato è un pensiero; il corpo è un pensiero; la ‘sensazione
di energia fluttuante’ è un pensiero; il calore è un pensiero; la ‘tenue luce
dorata’ è un pensiero; l’ambiente circostante è un insieme di pensieri; e la
riluttanza che hai sentito a uscire da questo stato è un pensiero. Nessuna di
queste cose è ciò che sei realmente; così esse sono tutti pensieri, e hanno
origine solo dal tuo pensiero primario chiamato ‘io’, che le crea e le
sperimenta.
- Allora mi chiedo chi sta sperimentando queste sensazioni piacevoli. Le sensazioni allora diventano più deboli ma io continuo a rimanere senza alcun pensiero.
Sì, qualsiasi cosa possiamo sperimentare, dovremmo
investigare l’ ‘io’ che la sta sperimentando. Non è sufficiente chiedersi solo
chi la sta sperimentando, perché il chiedersi è solo un altro processo di
pensiero. Abbiamo bisogno di investigare realmente chi sta sperimentando
cercando di focalizzare la nostra intera attenzione su ‘io’. Quando
focalizziamo la nostra attenzione solo su noi stessi, le sensazioni o qualsiasi
altra cosa che possiamo sperimentare in quel momento scompariranno o almeno si
ritireranno dalla nostra consapevolezza, perché possiamo sperimentarle solo
quando diamo a esse attenzione, e quindi quando cerchiamo di dare attenzione
solo a ‘io’ staremo privando della nostra attenzione ogni altra cosa.
- Io sono, comunque, consapevole di me stesso per tutto il tempo, e non perdo la mia identità.
Siamo sempre consapevoli di noi stessi, ma abitualmente la
nostra consapevolezza di noi stessi è mescolata con la consapevolezza di altre
cose, così non sperimentiamo noi stessi come siamo realmente. Quindi il nostro
fine non è solo essere consapevoli di noi stessi, ma è essere consapevoli solamente
di noi stessi, in completo isolamento da tutte le altre cose.
Cosa intendi quando dici, ‘io […] non perdo la mia identità’?
Non possiamo mai perdere ‘io’, la nostra reale identità (cioè, ciò che siamo
realmente), così la sola identità che possiamo perdere è la nostra falsa
identità, che è l’ego o la mente, e possiamo perdere questa falsa identità
permanentemente solo sperimentando noi stessi come siamo realmente. Quando pratichiamo
ātma-vicāra stiamo cercando di sperimentare noi stessi come siamo
realmente, così quando ci riusciamo perderemo la nostra falsa identità (il
sentire ‘io sono Gurudas’ o ‘io sono Michael’). Fino a quel momento, non possiamo
sbarazzarci e non ci sbarazzeremo di questa identità (tranne che con la morte
del corpo, ma in quel momento sostituiremo solamente questa falsa identità con
un’altra).
- Durante questo periodo, sperimento anche una leggera pesantezza al lato destro del petto.
Qualsiasi cosa possiamo sperimentare non dovrebbe
riguardarci, perché il nostro solo interesse dovrebbe essere sperimentare
solamente noi stessi. Quindi, ogni volta che sperimenti una leggera pesantezza
al lato destro del petto o qualsiasi altra cosa diversa da ‘io’, dovresti
cercare di investigare solamente te stesso rivolgendo la tua attenzione
indietro verso l’ ‘io’ che sta
sperimentando ciò.
- Sono sul sentiero giusto o la mia mente mi illude facendomi credere di praticare auto-indagine nel modo corretto?
Siamo sul sentiero giusto – il sentiero di ātma-vicāra
o auto-investigazione – solo quando stiamo cercando di sperimentare niente
altro che ‘io’ solamente. Fino a che questo è ciò che stai cercando di fare,
stai praticando auto-indagine nel modo corretto, ma dovresti ricordare che
qualsiasi altra cosa tu possa sperimentare, dovresti volgere la tua attenzione
indietro verso te stesso, chi sta sperimentando ciò, per sperimentare solamente
te stesso.
- Mi sto anche chiedendo se l’auto-indagine o nan yar [chi sono io] conduce naturalmente e automaticamente al silenzio, summa iru [solo essere].
Sì, certamente. Fino a che sperimentiamo qualcosa diversa da
‘io’, la nostra attenzione si allontana da noi stessi verso altre cose, e tale
movimento della nostra attenzione è pensiero o attività mentale, che è l’esatta
antitesi del silenzio. Quindi quando pratichiamo auto-investigazione o
auto-indagine stiamo cercando di sperimentare niente altro che ‘io’ solamente,
e quando riusciamo in questo tentativo, la nostra attenzione non si allontana
da noi stessi ma rimane tranquillamente nella sua sorgente (vale a dire noi
stessi), così questa è la cessazione di tutta l’attività mentale, e quindi è lo
stato di perfetto silenzio, che è anche descritto come lo stato di ‘solo essere’
(summā iruppadu).
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