Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

domenica 10 aprile 2016

L’auto-investigazione (ātma-vicāra) non comporta niente altro che essere solo persistentemente e tenacemente auto-attentivi

Michael James

8 Aprile 2016
Self-investigation (ātma-vicāra) entails nothing more than just being persistently and tenaciously self-attentive

In un commento al mio articolo precedente, Perché è necessario fare sforzo per praticare auto-investigazione (ātma-vicāra)?, un amico di nome Pachaiamman si è riferito alla prima sezione di esso, Dobbiamo praticare ātma-vicāra per tutto il tempo che ci vuole per distruggere tutte le nostre viṣaya-vāsanā (in cui avevo citato estratti dal sesto, decimo ed undicesimo paragrafo di Nāṉ Yār?), e ha chiesto:
Posso dare una breve descrizione di ciò che accade nella mia povera esperienza di praticare auto-investigazione nel seguente brano: L’attentività con cui uno investiga cosa uno è deve essere compiuta dall’ego. L’ego è un mucchio di pensieri. Così l’attentività è anche un pensiero. Il pensiero attentivo ‘chi sono io’ è affidato a cercare di estinguere/cancellare altri pensieri sorgenti e simultaneamente o dopo questo investigare a chi essi sono venuto. È chiaro che è a me. Con ulteriore investigazione ‘chi sono io’, non riconosco chiaramente se la mente è sprofondata o ritornata al suo luogo di nascita, cioè me stesso. Perché la stessa (mia) attentività deve riuscire a respingere la diffusione/sviluppo di altri pensieri (senza dare spazio ad altri pensieri) e preferibilmente eliminarli, altri pensieri sono nella mia mente bene attendendo il rifiuto del loro completamento. Così sono lontano dall’afferrare la possibilità che lo stesso pensiero ‘chi sono io’ sia alla fine distrutto (come il bastone che smuove il fuoco). Cos’è sbagliato nella mia strategia o dove sono fuori pista?
Ciò che segue è la mia risposta a questo:
  1. Upadēśa Undiyār verso 18: l’ego è il nostro primo pensiero, la radice della nostra mente
  2. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 25: l’ego sembra esistere solo dando attenzione ad altre cose
  3. L’auto-attentività è un pensiero solo in senso metaforico
  4. L’auto-attentività è il solo mezzo efficace per essere liberi dai pensieri
  5. Se ci aggrappiamo fermamente all’auto-attentività, nessun pensiero può sorgere, così non ci sarà nessun bisogno di investigare a chi essi appaiono
  6. Nāṉ Yār? paragrafi 10 e 11: tutto ciò che abbiamo bisogno di fare è cercare di aggrapparci tenacemente all’auto-attentività
  7. Nāṉ Yār? verso 16: ātma-vicāra è solo mantenere la nostra attenzione su noi stessi
  8. Bhagavad Gītā Sāram verso 27: fissando la nostra attenzione su noi stessi, non dovremmo pensare a qualunque altra cosa


1. Upadēśa Undiyār verso 18: l’ego è il nostro primo pensiero, la radice della nostra mente

Pachaiamman, tu dici ‘L’ego è un mucchio di pensieri’, ma questo non è del tutto esatto, perché il nostro ego è solo un singolo pensiero, il nostro pensiero primario chiamato ‘io’. Il mucchio o la totalità di tutti i pensieri è ciò che è chiamata ‘mente’, e di tutti questi pensieri la radice è solo il nostro ego, questo pensiero chiamato ‘io’, così ciò che la nostra mente è essenzialmente è solo questo ego, come Bhagavan spiega nel verso 18 di Upadēśa Undiyār:
எண்ணங்க ளேமனம் யாவினு நானெனு
மெண்ணமே மூலமா முந்தீபற
யானா மனமென லுந்தீபற.

eṇṇaṅga ḷēmaṉam yāviṉu nāṉeṉu
meṇṇamē mūlamā mundīpaṟa
yāṉā maṉameṉa lundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: எண்ணங்களே மனம். யாவினும் நான் எனும் எண்ணமே மூலம் ஆம். யான் ஆம் மனம் எனல்.

Padacchēdam (separazione delle parole): eṇṇaṅgaḷ-ē maṉam. yāviṉ-um nāṉ eṉum eṇṇam-ē mūlam ām. yāṉ ām maṉam eṉal.

அன்வயம்: எண்ணங்களே மனம். யாவினும் நான் எனும் எண்ணமே மூலம் ஆம். மனம் எனல் யான் ஆம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): eṇṇaṅgaḷ-ē maṉam. yāviṉ-um nāṉ eṉum eṇṇam-ē mūlam ām. maṉam eṉal yāṉ ām.

Traduzione: Solo i pensieri sono la mente. Di tutti, solo il pensiero chiamato ‘io’ è la radice. Ciò che è chiamata mente è ‘io’.

Traduzione elaborata: Solo i pensieri solo la mente [o la mente è solo pensieri]. Di tutti [i pensieri], solo il pensiero chiamato ‘io’ è il mūla [la radice, base, fondamento, origine, sorgente o causa]. [Quindi] ciò che è chiamata mente è [essenzialmente solo] ‘io’ [l’ego o pensiero-radice chiamato ‘io’].
In questo contesto è importante comprendere che ciò che Bhagavan intende con ‘எண்ணம்’ (eṇṇam), ‘pensiero’ o ‘idea’, è ogni tipo di fenomeno mentale, e poiché tutte le percezioni sensoriali (visioni, suoni, gusti, odori e sensazioni tattili) sono fenomeni mentali, tutte le cose che ci sembrano fenomeni fisici (nella veglia o nel sogno) sono realmente solo fenomeni mentali, così secondo lui tutti i fenomeni (cioè, ogni cosa che sperimentiamo diversa dal nostro sé reale, che è solo pura auto-consapevolezza) è un pensiero o idea. Quindi ciò che egli intende in questo verso è che ogni cosa è la nostra mente, e la radice di essa è solo il nostro ego, questo pensiero primario chiamato ‘io’.

Poiché l’attenzione o attentività è una funzione del nostro ego, in un certo senso è un pensiero, come dici, ma è del tutto diverso da tutti gli altri pensieri, perché è una caratteristica fondamentale ed essenziale del nostro ego, e perché nessun altro pensiero sarebbe possibile se noi (questo ego) non dessimo ad esso almeno una parziale attenzione. Di fatto gli altri pensieri sono formati solo dall’attenzione che prestiamo a qualsiasi cosa diversa da noi stessi, e tutte queste altre cose sono esse stesse solo pensieri, così sono formate e hanno origine solo come un risultato dell’attenzione che diamo all’idea di essi. Quindi l’attenzione è sia la sorgente che la sostanza di ogni cosa diversa dal nostro sé reale (ātma-svarūpa).

2. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 25: l’ego sembra esistere solo dando attenzione ad altre cose

La nostra auto-dimenticanza (pramāda), che è il nostro insuccesso nell’essere esclusivamente auto-attentivi, è ciò che fa sorgere il nostro ego, così essere auto-attentivi è il solo modo efficace per far sprofondare questo ego. Poiché esso non potrebbe sorgere, reggersi e nutrirsi senza dare attenzione a cose diverse da sé stesso, la vera natura del nostro ego è quella di dare attenzione ad altre cose, come Bhagavan intende nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உருப்பற்றி யுண்டா முருப்பற்றி நிற்கு
முருப்பற்றி யுண்டுமிக வோங்கு — முருவிட்
டுருப்பற்றுந் தேடினா லோட்டம் பிடிக்கு
முருவற்ற பேயகந்தை யோர்.

uruppaṯṟi yuṇḍā muruppaṯṟi niṟku
muruppaṯṟi yuṇḍumiha vōṅgu — muruviṭ
ṭuruppaṯṟun tēḍiṉā lōṭṭam piḍikku
muruvaṯṟa pēyahandai yōr
.

பதச்சேதம்: உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும், உரு அற்ற பேய் அகந்தை. ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṟkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum, uru aṯṟa pēy ahandai. ōr.

அன்வயம்: உரு அற்ற பேய் அகந்தை உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும். ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): uru aṯṟa pēy ahandai uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṟkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum. ōr.

Traduzione: Afferrando una forma, l’ego-fantasma senza forma ha origine; afferrando una forma si regge; afferrando e nutrendosi di forma cresce [si diffonde, si espande, aumenta, s’innalza o prospera] abbondantemente; lasciando [una] forma, afferra [un’altra] forma. Se cercato [esaminato o investigato], esso prenderà il volo. Investiga [o conosci di conseguenza].
Poiché il nostro ego è essenzialmente senza forma, ‘உரு பற்றி’ (uru paṯṟi) o ‘afferrare una forma’ significa afferrare qualcosa diversa da sé stesso, e poiché come un’entità senza forma questo ego è qualcosa che è soltanto consapevole, esso può afferrare altre cose solo dando ad esse attenzione, così in questo contesto பற்றி (paṯṟi), che significa afferrare, tenere, stringersi a, aderire o attaccare sé stessi a, implica dare attenzione a o essere consapevole di, e quindi ‘உரு பற்றி’ (uru paṯṟi) implica dare attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi. Quindi in questo verso Bhagavan intende chiaramente che dando attenzione a ogni pensiero (cioè, a qualsiasi cosa diversa da noi stessi), non stiamo solo facendo sorgere e sostenendo quel pensiero, ma stiamo anche nutrendo e sostenendo il nostro ego.

Poiché il nostro ego è nutrito e sostenuto dando attenzione a qualsiasi cosa diversa da sé stesso, e poiché non può reggersi da solo senza dare attenzione ad altre cose, esso sprofonderà e sarà distrutto solo attendendo a sé stesso, come Bhagavan intende dicendo ‘தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும்’ (tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum), che significa ‘Se cercato [esaminato o investigato], esso prenderà il volo’.

3. L’auto-attentività è un pensiero solo in senso metaforico

Quindi sebbene Bhagavan qualche volta descrive metaforicamente l’auto-attentività come ‘ஆன்மசிந்தனை’ (āṉma-cintaṉai), che è una forma Tamil del termine Sanscrito आत्मचिन्तन (ātma-cintana) e che quindi significa ‘auto-pensiero’ o ‘pensiero di sé stesso’, o come நானார் என்னும் நினைவு’ (nāṉ-ār eṉṉum niṉaivu), che significa ‘il pensiero chi sono io’, è fondamentalmente dissimile da tutti gli altri pensieri, perché mentre tutti gli altri pensieri nutrono e sostengono il nostro ego, solo quest’unico pensiero lo distruggerà (come ho spiegato in maggiore dettaglio in un articolo di qualche mese fa, Il pensiero di sé stessi distruggerà tutti gli altri pensieri, in modo particolare nella terza e quarta sezione di esso).

Tutti gli altri pensieri sono diretti o ‘puntano’ verso qualcosa diversa da noi stessi, così ciascuno di essi è una forma di ciò che Bhagavan chiamava சுட்டறிவு (suṭṭaṟivu), che significa letteralmente ‘consapevolezza che punta’ e che implica una consapevolezza transitiva (o conoscitrice di oggetti). L’auto-attentività, d’altra parte, non è diretta verso qualcosa diversa da noi stessi, e poiché non siamo un oggetto ma solo la consapevolezza con cui sia il soggetto che l’oggetto sono conosciuti, l’auto-attentività non è una consapevolezza transitiva ma solo intransitiva.

Cioè, sebbene a causa delle limitazioni del pensiero e del linguaggio dobbiamo concepire e dire che l’auto-attentività è consapevolezza diretta verso noi stessi, essa non è diretta nello stesso modo in cui i pensieri sono diretti verso altre cose, perché nell’auto-attentività ciò cui si deve attendere è solo noi stessi, che siamo chi sta attendendo a noi stessi, così non c’è assolutamente distinzione o distanza tra ciò che sta dando attenzione e ciò che riceve tale attenzione. Quindi l’auto-attentività non è realmente attenzione diretta a noi stessi ma solo attenzione mantenuta in noi stessi, come noi stessi.

Poiché ogni altro pensiero è diretto o puntato a qualcosa diversa da noi stessi, esso spinge la nostra attenzione lontano da noi stessi e quindi nutre e sostiene il sorgere e l’esistenza apparente di noi stessi come questo ego, così non possiamo sprofondare nel nostro sé reale, la sorgente da cui siamo sorti come questo ego, finché pensiamo o ci occupiamo di qualsiasi cosa diversa da noi stessi. Quindi per sprofondare in noi stessi, dobbiamo pensare o attendere solo a noi stessi. Di conseguenza pensare a qualsiasi altra cosa fa sorgere e sostiene l’illusione di essere questo ego limitato, mentre attendere solo a noi stessi causa lo sprofondare e il dissolversi di questo ego illusorio in noi stessi.

Quindi, sebbene l’auto-consapevolezza può essere descritta metaforicamente come ‘pensare a sé stessi’, non è un’attività mentale ma la sospensione o dissoluzione di tutta l’attività mentale, così non è un pensiero o un pensare nel senso usuale di questa parola. Poiché non comporta movimento della nostra attenzione lontano da noi stessi, non è un’azione (karma) o un’attività (vṛtti) ma semplicemente uno stato di solo essere (summā iruppadu).

4. L’auto-attentività è il solo mezzo efficace per essere liberi dai pensieri

Tu dici che ‘il pensiero attentivo ‘chi sono io’ è affidato a cercare di estinguere/cancellare altri pensiero sorgenti e simultaneamente o dopo questo investigare a chi essi sono venuti’, ma questo è un modo confuso e impreciso di descrivere la semplice pratica ed il fine dell’auto-investigazione (ātma-vicāra). Il ‘pensiero chi sono io’ significa solo auto-attentività, e quando pratichiamo l’auto-investigazione non dovremmo cercare di fare qualcosa diversa da solo essere auto-attentivi, perché quello solo distruggerà il nostro ego insieme con tutti i suoi pensieri.

L’auto-attentività è il solo mezzo efficace con cui possiamo liberare noi stessi completamente e per sempre da tutti i pensieri, perché se cerchiamo di estinguere o di cancellare i pensieri deliberatamente, staremo dando ad essi attenzione e quindi li staremo sostenendo, e se cerchiamo di estinguerli o cancellarli con qualche altro mezzo come il prāṇāyāma o qualche altra pratica yōgica, nella migliore delle ipotesi saremo in grado di realizzare manōlaya, uno stato come il sonno in cui tutti i pensieri, incluso l’ego, sono sprofondati temporaneamente, ma dal quale essi prima o poi ritorneranno illesi. Per realizzare manōnāśa, che è il completo annientamento della nostra intera mente (la totalità di tutti i nostri pensieri), abbiamo bisogno di sradicare la sua radice, che è il nostro ego, e poiché il nostro ego è una conoscenza errata di noi stessi (una consapevolezza di noi stessi come qualcosa diversa da ciò che siamo realmente), possiamo distruggerlo solo essendo consapevoli di noi stessi come siamo realmente. Quindi, poiché non possiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente finché siamo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi (perché ciò che è consapevole di qualsiasi altra cosa è solo il nostro ego e non il nostro sé reale), possiamo sradicare il nostro ego e tutti i suoi pensieri solo essendo attentivamente consapevoli solo di noi stessi, in completo isolamento dall’apparenza illusoria di qualsiasi altra cosa.

Poiché tutte le pratiche diverse dall’auto-attentività comportano il dare attenzione a qualcosa diversa da noi stessi, esse non possono permetterci di realizzare manōnāśa, così ātma-vicāra, che è la semplice pratica di essere attentivamente consapevoli soltanto di noi stessi, è il solo mezzo con cui possiamo estinguere o cancellare permanentemente tutti i pensieri. Quindi praticando ātma-vicāra non dovremmo cercare di fare qualcosa diversa da solo aggrapparci con tenacia e vigilanza all’essere auto-attentivi, perché se diamo attenzione o pensiamo a qualsiasi altra cosa, staremo con ciò nutrendo il nostro ego facendolo sorgere di nuovo, mentre se rimaniamo accuratamente auto-attentivi esso sprofonderà naturalmente e pacificamente in noi stessi, la sorgente da cui è sorto.

5. Se ci aggrappiamo fermamente all’auto-attentività, nessun pensiero può sorgere, così non ci sarà nessun bisogno di investigare a chi essi appaiono

Se ci aggrappiamo fermamente all’essere auto-attentivi, non avremo bisogno di investigare a chi altri pensieri sono venuti, perché altri pensieri possono venire solo quando permettiamo alla nostra attenzione di scivolare lontano da noi stessi verso qualsiasi altra cosa. Se permettiamo alla nostra attenzione di scivolare via, altri pensieri sorgeranno immediatamente, così poi dovremmo cercare di riportare la nostra attenzione a noi stessi, che siamo quello a cui essi vengono.

Quindi quando Bhagavan ha detto nel sesto paragrafo di Nāṉ Yār?, ‘பிற வெண்ணங்க ளெழுந்தா லவற்றைப் பூர்த்தி பண்ணுவதற்கு எத்தனியாமல் அவை யாருக் குண்டாயின என்று விசாரிக்க வேண்டும்’ (piṟa v-eṇṇaṅgaḷ eṙundāl avaṯṟai-p pūrtti paṇṇuvadaṟku ettaṉiyāmal avai yārukku uṇḍāyiṉa eṉḏṟu vicārikka vēṇḍum), che significa ‘Se altri pensieri sorgono, senza cercare di completarli è necessario investigare a chi essi sono venuti’, egli ci stava solo dando una semplice indicazione di come possiamo rivolgere immediatamente la nostra attenzione lontano da ogni pensiero e verso noi stessi. Qualunque pensiero possa sorgere, lo fa solo perché siamo consapevoli di esso, così dovrebbe ricordarci di noi stessi, a chi esso è venuto. Quindi investigare a chi ogni pensiero è venuto è un mezzo semplice per rivolgere la nostra attenzione verso noi stessi ogni volta che è distratta da qualsiasi altra cosa, così è necessario e utile solo quando siamo distratti e non quando ci stiamo già aggrappando fermamente all’essere auto-attentivi.

Da ciò che scrivi, in modo particolare la frase che termina ‘altri pensieri sono nella mia mente bene [o forse intendevi mentre (well – while)] attendendo il rifiuto del loro completamento’, sembra che stai aspettando i pensieri così puoi investigare a chi essi vengono o rifiutarli completamente, ma se questo è ciò che stai facendo, stai pensando ai pensieri invece di attendere solo a te stesso. Pensare ai pensieri o anticipare la loro apparizione deluderebbe il vero scopo di ciò che dovresti star facendo, che è solo attendere soltanto a te stesso.

6. Nāṉ Yār? paragrafi 10 e 11: tutto ciò che abbiamo bisogno di fare è cercare di aggrapparci tenacemente all’auto-attentività

Il nostro solo scopo mentre pratichiamo ātma-vicāra dovrebbe essere quello di aggrapparci fermamente e irremovibilmente all’auto-attentività e quindi di evitare di essere distratti da ogni altro pensiero. Quindi non dovremmo occuparci di pensieri come pensare se la nostra mente è sprofondata o ritornata al suo luogo di origine o meno. Più accuratamente e vigilantemente riusciamo ad essere auto-attentivi, più la nostra mente sprofonderà automaticamente in noi stessi, che siamo la sorgente o luogo di nascita da cui essa è sorta, così se vuoi rimanere sulla pista giusta, tutto ciò che hai bisogno di fare è cercare di aggrapparti persistentemente all’essere auto-attentivo, come consigliato da Bhagavan nelle due frasi seguenti del decimo e undicesimo paragrafo di Nāṉ Yār?:
அத்தனை வாசனைகளு மொடுங்கி, சொரூபமாத்திரமா யிருக்க முடியுமா வென்னும் சந்தேக நினைவுக்கு மிடங்கொடாமல், சொரூபத்யானத்தை விடாப்பிடியாய்ப் பிடிக்க வேண்டும்.

attaṉai vāsaṉaigaḷum oḍuṅgi, sorūpa-māttiram-āy irukka muḍiyumā v-eṉṉum sandēha niṉaivukkum iḍam koḍāmal, sorūpa-dhyāṉattai viḍā-p-piḍiyāy-p piḍikka vēṇḍum.

Senza dare spazio anche al pensiero dubitante ‘E’ possibile dissolvere così tante vāsanās [propensioni o inclinazioni a pensare riguardo a cose diverse da sé stessi] e rimanere solo come svarūpa [il mio sé reale]?’ è necessario aggrapparsi tenacemente a svarūpa-dhyāna [auto-attentività].

ஒருவன் தான் சொரூபத்தை யடையும் வரையில் நிரந்தர சொரூப ஸ்மரணையைக் கைப்பற்றுவானாயின் அதுவொன்றே போதும்.

oruvaṉ tāṉ sorūpattai y-aḍaiyum varaiyil nirantara sorūpa-smaraṇaiyai-k kai-p-paṯṟuvāṉ-āyiṉ adu-v-oṉḏṟē pōdum.

Se ci si aggrappa fermamente all’ininterrotto svarūpa-smaraṇa [auto-ricordo] finché si ottiene svarūpa [il proprio sé reale], quello solo sarà sufficiente.
7. Nāṉ Yār? paragrafo 16: ātma-vicāra è solo mantenere la nostra attenzione su noi stessi

Mantenersi persistentemente saldi all’auto-attentività è l’inizio, la fine e l’intero processo di auto-investigazione (ātma-vicāra), come è indicato chiaramente da Bhagavan nella seguente frase del sedicesimo paragrafo di Nāṉ Yār?:
சதாகாலமும் மனத்தை ஆத்மாவில் வைத்திருப்பதற்குத் தான் ‘ஆத்மவிசார’ மென்று பெயர்.

sadā-kālam-um maṉattai ātmāvil vaittiruppadaṟku-t tāṉ ‘ātma-vicāram’ eṉḏṟu peyar.

Il nome ‘ātma-vicāra’ [si riferisce] solo a mantenere sempre la mente in [o su] ātmā [sé stessi].

‘சதாகாலமும் மனத்தை ஆத்மாவில் வைத்திருப்பது’ (sadākālamum maṉattai ātmāvil vaittiruppadu) significa ‘mantenere sempre la mente in [o su] sé stessi’, che implica mantenere la propria attenzione fissata fermamente in noi stessi senza permettere che si muova lontano verso qualsiasi altra cosa, così in questa frase Bhagavan ci assicura che questo è tutto ciò che ātma-vicāra comporta. Quindi non c’è niente altro che abbiamo bisogno di fare.
8. Bhagavad Gītā Sāram verso 27: fissando la nostra attenzione su noi stessi, non dovremmo pensare a qualunque altra cosa

Tutto ciò che abbiamo bisogno di fare, quindi, è solo perseverare pazientemente nell’aggrapparci tenacemente all’auto-attentività (svarūpa-dhyāna or svarūpa-smaraṇa) senza pensare o occuparci di qualsiasi altra cosa, come Bhagavan dice enfaticamente nelle ultime due righe del verso 27 di Bhagavad Gītā Sāram (che è una traduzione di Bhagavad Gītā 6.25):
சித்தத்தை யான்மாவிற் சேர்த்திடுக மற்றெதுவு
மித்தனையு மெண்ணிடா தே.

cittattai yāṉmāviṟ cērttiḍuka maṯṟeduvu
mittaṉaiyu meṇṇiḍā dē
.

பதச்சேதம்: சித்தத்தை ஆன்மாவில் சேர்த்திடுக; மற்று எதுவும் இத்தனையும் எண்ணிடாதே.

Padacchēdam (separazione delle parole): cittattai āṉmāvil sērttiḍuka; maṯṟu eduvum ittaṉaiyum eṇṇiḍādē.

Traduzione : Fissa la mente [la tua attenzione] in [o su] ātman [tu stesso]; non pensare anche minimamente a qualsiasi altra cosa.


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