Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

martedì 16 maggio 2017

Come evitare di seguire o completare qualsiasi pensiero?

Michael James

13 Maggio 2017
How to avoid following or completing any thought whatsoever?

Un’amica mi ha scritto recentemente:
Comprendo chiaramente che non devo completare alcuno dei miei pensieri quando sorgono, ma, come tu spieghi nel tuo libro, devo, invece, usare i miei pensieri che sorgono per ricordare a me stessa della mia mente pensante, che è ‘io’, che a sua volta dovrebbe ricordarmi di ‘io sono’.

Ma ho un problema: quando sorge qualche pensiero utile (secondo me), perdo la mia forte intenzione di non completarlo e di usarlo solo come un ricordo di ogni cosa che deve ricordarmi. Quando sorge qualche pensiero che ritengo buono o utile, cerco di usarlo come un ricordo, ma senza successo e l’idea che quel pensiero mi ha dato continua a vivere nella mia mente. Cioè, abitualmente non tendo solo a fermare questi pensieri e non posso fare a meno di completarli.

Potresti dirmi per favore cosa fai tu in questi casi? Sri Bhagavan dice che non dovremmo completare nessuno dei nostri pensieri, e come io comprendo egli intende esattamente ciò che dice: nessuno dei nostri pensieri. Egli li chiama ‘nemici’ che devono essere distrutti. A cosa dovrebbe somigliare la situazione che descrivo? Come posso ignorare questi pensieri nel senso di trattarli come tutti gli altri pensieri? Ti prego di darmi una spiegazione basata sulla tua esperienza e comprensione.
Ciò che segue è adattato dalla risposta che le ho scritto:
  1. Nāṉ Yār? paragrafi 10 e 11: dovremmo aggrapparci all’auto-attentività così fermamente da annientare tutti gli altri pensieri come e quando appaiono
  2. Nāṉ Yār? paragrafi 4 e 14: ciò che Bhagavan intende con ‘pensieri’ è fenomeni di qualunque tipo
  3. Nāṉ Yār? paragrafo 5: i pensieri appaiono solo perché noi siamo apparsi come questo ego
  4. Possiamo arrenderci e sradicare il nostro ego solo non dando spazio all’apparenza di qualsiasi pensiero diverso dall’auto-attentività
  5. Dobbiamo disabituare gradualmente noi stessi dall’attaccamento ai pensieri o fenomeni
  6. Non c’è mai alcun bisogno di pensare o dare attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi
  7. Bhagavad Gītā Sāram versi 27 e 28: dobbiamo disabituare a pensare gentilmente e gradualmente il nostro ego cercando persistentemente di fissare la nostra attenzione su noi stessi
  8. Nāṉ Yār? paragrafo 6: non importa quanti pensieri appaiono finché perseveriamo a rivolgere la nostra attenzione a noi stessi, quello a cui tutti essi appaiono


1. Nāṉ Yār? paragrafi 10 e 11: dovremmo aggrapparci all’auto-attentività così fermamente da annientare tutti gli altri pensieri come e quando appaiono

Si, hai ragione nel dire che Bhagavan si riferiva ai pensieri come ‘nemici’ e diceva che dovremmo di conseguenza cercare di attendere a noi stessi così acutamente e fermamente da non completare nessuno di essi, perché questo è ciò che egli ci ha insegnato molto chiaramente nel decimo e undicesimo paragrafo di Nāṉ Yār?:
தொன்றுதொட்டு வருகின்ற விஷயவாசனைகள் அளவற்றனவாய்க் கடலலைகள் போற் றோன்றினும் அவையாவும் சொரூபத்யானம் கிளம்பக் கிளம்ப அழிந்துவிடும். அத்தனை வாசனைகளு மொடுங்கி, சொரூபமாத்திரமா யிருக்க முடியுமா வென்னும் சந்தேக நினைவுக்கு மிடங்கொடாமல், சொரூபத்யானத்தை விடாப்பிடியாய்ப் பிடிக்க வேண்டும். ஒருவன் எவ்வளவு பாபியாயிருந்தாலும், ‘நான் பாபியா யிருக்கிறேனே! எப்படிக் கடைத்தேறப் போகிறே’ னென்றேங்கி யழுதுகொண்டிராமல், தான் பாபி என்னு மெண்ணத்தையு மறவே யொழித்து சொரூபத்யானத்தி லூக்க முள்ளவனாக விருந்தால் அவன் நிச்சயமா யுருப்படுவான்.

toṉḏṟutoṭṭu varugiṉḏṟa viṣaya-vāsaṉaigaḷ aḷavaṯṟaṉavāy-k kaḍal-alaigaḷ pōl tōṉḏṟiṉum avai-yāvum sorūpa-dhyāṉam kiḷamba-k kiḷamba aṙindu-viḍum. attaṉai vāsaṉaigaḷum oḍuṅgi, sorūpa-māttiram-āy irukka muḍiyumā v-eṉṉum sandēha niṉaivukkum iḍam koḍāmal, sorūpa-dhyāṉattai viḍā-p-piḍiyāy-p piḍikka vēṇḍum. oruvaṉ evvaḷavu pāpiyāy irundālum, ‘nāṉ pāpiyāy irukkiṟēṉē; eppaḍi-k kaḍaittēṟa-p pōkiṟēṉ’ eṉḏṟēṅgi y-aṙudu-koṇḍirāmal, tāṉ pāpi eṉṉum eṇṇattaiyum aṟavē y-oṙittu sorūpa-dhyāṉattil ūkkam uḷḷavaṉāha v-irundāl avaṉ niścayamāy uru-p-paḍuvāṉ.

Anche se viṣaya-vāsanā [inclinazioni o desideri di essere consapevoli di cose diverse da sé stessi], che vengono da tempo immemorabile, sorgono [come pensieri] innumerevoli come onde dell'oceano, essi saranno tutti distrutti quando svarūpa-dhyāna [auto-attentività o contemplazione della propria forma] aumenterà ed aumenterà. Senza dare spazio anche al dubbio 'È possibile dissolvere così tante vāsanā e rimanere solo come svarūpa [la mia propria forma o reale natura]?' è necessario aggrapparsi tenacemente a svarūpa-dhyāna. Per quanto peccatore una persona possa essere, se invece di lamentarsi e strillare 'io sono un peccatore! Come posso essere salvato?' egli rifiuta completamente il pensiero di essere un peccatore ed è zelante [o risoluto] in svarūpa-dhyāna, egli sarà certamente rimesso sulla retta via [trasformato in ciò che si è realmente].


மனத்தின்கண் எதுவரையில் விஷயவாசனைக ளிருக்கின்றனவோ, அதுவரையில் நானா ரென்னும் விசாரணையும் வேண்டும். நினைவுகள் தோன்றத் தோன்ற அப்போதைக்கப்போதே அவைகளையெல்லாம் உற்பத்திஸ்தானத்திலேயே விசாரணையால் நசிப்பிக்க வேண்டும். அன்னியத்தை நாடாதிருத்தல் வைராக்கியம் அல்லது நிராசை; தன்னை விடாதிருத்தல் ஞானம். உண்மையி லிரண்டு மொன்றே. முத்துக்குளிப்போர் தம்மிடையிற் கல்லைக் கட்டிக்கொண்டு மூழ்கிக் கடலடியிற் கிடைக்கும் முத்தை எப்படி எடுக்கிறார்களோ, அப்படியே ஒவ்வொருவனும் வைராக்கியத்துடன் தன்னுள் ளாழ்ந்து மூழ்கி ஆத்மமுத்தை யடையலாம். ஒருவன் தான் சொரூபத்தை யடையும் வரையில் நிரந்தர சொரூப ஸ்மரணையைக் கைப்பற்றுவானாயின் அதுவொன்றே போதும். கோட்டைக்குள் எதிரிக ளுள்ளவரையில் அதிலிருந்து வெளியே வந்துகொண்டே யிருப்பார்கள். வர வர அவர்களையெல்லாம் வெட்டிக்கொண்டே யிருந்தால் கோட்டை கைவசப்படும்.

maṉattiṉgaṇ edu-varaiyil viṣaya-vāsaṉaigaḷ irukkiṉḏṟaṉavō, adu-varaiyil nāṉ-ār eṉṉum vicāraṇai-y-um vēṇḍum. niṉaivugaḷ tōṉḏṟa-t tōṉḏṟa appōdaikkappōdē avaigaḷai-y-ellām uṯpatti-sthāṉattilēyē vicāraṇaiyāl naśippikka vēṇḍum. aṉṉiyattai nāḍādiruttal vairāggiyam alladu nirāśai; taṉṉai viḍādiruttal ñāṉam. uṇmaiyil iraṇḍum oṉḏṟē. muttu-k-kuḷippōr tam-m-iḍaiyil kallai-k kaṭṭi-k-koṇḍu mūṙki-k kaḍal-aḍiyil kiḍaikkum muttai eppaḍi eḍukkiṟārgaḷō, appaḍiyē o-vv-oruvaṉum vairāggiyattuḍaṉ taṉṉuḷ ḷ-āṙndu mūṙki ātma-muttai y-aḍaiyalām. oruvaṉ tāṉ sorūpattai y-aḍaiyum varaiyil nirantara sorūpa-smaraṇaiyai-k kai-p-paṯṟuvāṉ-āyiṉ adu-v-oṉḏṟē pōdum. kōṭṭaikkuḷ edirigaḷ uḷḷa-varaiyil adilirundu veḷiyē vandu-koṇḍē y-iruppārgaḷ. vara vara avargaḷai-y-ellām veṭṭi-k-koṇḍē y-irundāl kōṭṭai kaivaśa-p-paḍum.

Fino a che viṣaya-vāsanā esistono nella mente, l'investigazione 'chi sono io' è necessaria. Come e quando i pensieri appaiono, in quel momento e lì è necessario annientarli tutti per mezzo di vicāraṇā [investigazione o vigilante attenzione di sé] proprio nel luogo dove essi sorgono. Non dare attenzione a qualsiasi cosa diversa [da sé stessi] è vairāgya [imparzialità o distacco] o nirāśā [essere senza desideri]; non abbandonare [o lasciare andare] sé stessi è jñāna [vera conoscenza o reale consapevolezza]. In verità [questi] due [vairāgya e jñāna] sono solo uno. Proprio come un pescatore di perle, legandosi una pietra alla vita e immergendosi, raccoglie una perla che si trova sul fondo dell'oceano, così ciascuno, immergendosi [sotto l'attività di superficie della propria mente] e affondando [in profondità] all'interno di sé stesso con vairāgya [libertà dal desiderio di sperimentare o di essere consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stessi], può ottenere la perla di sé stesso. Se ci si stringe fermamente all'ininterrotto svarūpa-smaraṇa [ricordo di sé] fino a che si ottiene svarūpa [la propria forma o reale natura], questo solo sarà sufficiente. Fino a che i nemici sono dentro il forte, essi continueranno ad uscire da esso. Se [si] continua ad abbatterli [o distruggerli] tutti come e quando appaiono, il forte [infine] sarà espugnato.
Viṣaya-vāsanā sono i semi che sorgono in noi come pensieri, e ogni volta che essi germogliano come pensieri richiedono l’acqua della nostra attenzione per sopravvivere o fiorire. Quindi se permettiamo alla nostra attenzione di essere trasportata lontano da qualunque pensiero sorge stiamo di conseguenza nutrendo e sostenendo le nostre viṣaya-vāsanā, proprio come semi germogliati sono nutriti e sostenuti dall’acqua, mentre se manteniamo la nostra attenzione fissata su noi stessi più fermamente possibile e la rivolgiamo verso noi stessi ogni volta che è distratta dalla comparsa di qualche pensiero, li stiamo con questo privando della nostra attenzione e quindi stiamo seccando e indebolendo le nostre viṣaya-vāsanā, proprio come semi germogliati sono seccati e indeboliti quando privati dell’acqua. Questo è il motivo per cui Bhagavan ci ha insegnato che dovremmo aggrapparci all’auto-attentività così fermamente e persistentemente da evitare di essere distratti o trasportati lontano da qualunque pensiero può sorgere, e questo è ciò che egli intendeva dicendo che dovremmo continuare ad abbattere tutti i nostri nemici come e quando emergono dalla fortezza del nostro cuore.

2. Nāṉ Yār? paragrafi 4 e 14: ciò che Bhagavan intende con ‘pensieri’ è fenomeni di qualunque tipo

Tuttavia, per comprendere esattamente ciò che egli intendeva con il sorgere o l’apparenza di pensieri, e quindi dicendo che dovremmo annientarli tutti come e quando appaiono, è necessario che comprendiamo prima di tutto molto chiaramente ciò che egli intendeva con il termine ‘pensiero’ (நினைவு (niṉaivu) o எண்ணம் (eṇṇam) in Tamil), perché secondo lui ogni cosa diversa da noi stessi è un pensiero, incluso l’ego, che è il primo pensiero e la radice di tutti gli altri pensieri. Anche il mondo non è niente altro che una serie di pensieri, come egli dice nel quarto e nel quattordicesimo paragrafo di Nāṉ Yār?:
நினைவுகளைத் தவிர்த்து ஜகமென்றோர் பொருள் அன்னியமா யில்லை. தூக்கத்தில் நினைவுகளில்லை, ஜகமுமில்லை; ஜாக்ர சொப்பனங்களில் நினைவுகளுள, ஜகமும் உண்டு. சிலந்திப்பூச்சி எப்படித் தன்னிடமிருந்து வெளியில் நூலை நூற்று மறுபடியும் தன்னுள் இழுத்துக் கொள்ளுகிறதோ, அப்படியே மனமும் தன்னிடத்திலிருந்து ஜகத்தைத் தோற்றுவித்து மறுபடியும் தன்னிடமே ஒடுக்கிக்கொள்ளுகிறது.

niṉaivugaḷai-t tavirttu jagam-eṉḏṟōr poruḷ aṉṉiyam-āy illai. tūkkattil niṉaivugaḷ illai, jagam-um illai; jāgra-soppaṉaṅgaḷil niṉaivugaḷ uḷa, jagam-um uṇḍu. silandi-p-pūcci eppaḍi-t taṉṉiḍamirundu veḷiyil nūlai nūṯṟu maṟupaḍiyum taṉṉuḷ iṙuttu-k-koḷḷugiṟadō, appaḍiyē maṉam-um taṉṉiḍattilirundu jagattai-t tōṯṟuvittu maṟupaḍiyum taṉṉiḍamē oḍukki-k-koḷḷugiṟadu.

Ad esclusione dei pensieri [o idee], non c’è separatamente qualcosa come il mondo. Nel sonno non ci sono pensieri, e [di conseguenza] anche non c’è mondo; nella veglia e nel sogno ci sono pensieri, e [di conseguenza] anche c’è un mondo. Proprio come un ragno allunga il filo da dentro sé stesso e di nuovo lo dissolve in sé stesso, così la mente proietta il mondo da dentro sé stessa e di nuovo lo dissolve in sé stessa.


ஜக மென்பது நினைவே. ஜகம் மறையும்போது அதாவது நினைவற்ற போது மனம் ஆனந்தத்தை யனுபவிக்கின்றது; ஜகம் தோன்றும் போது அது துக்கத்தை யனுபவிக்கின்றது.

jagam eṉbadu niṉaivē. jagam maṟaiyum-pōdu adāvadu niṉaivaṯṟa-pōdu maṉam āṉandattai y-aṉubhavikkiṉḏṟadu; jagam tōṉḏṟum-pōdu adu duḥkhattai y-aṉubhavikkiṉḏṟadu.

Ciò che è chiamato il mondo è solo pensiero. Quando il mondo scompare, cioè, quando il pensiero cessa, la mente sperimenta la felicità; quando il mondo appare, essa sperimenta duḥkha [afflizione, dolore, pena, sofferenza, disagio, inquietudine, preoccupazione o difficoltà].
Cioè, poiché l’intero mondo è solo una proiezione mentale, come ogni cosa che sperimentiamo in un sogno, tutti i fenomeni sono fenomeni mentali, e fenomeni mentali di tutti i generi sono ciò che egli intende con il termine ‘pensiero’. Quindi ciò che intende con il sorgere del pensiero è l’apparenza di qualsiasi cosa nella nostra consapevolezza.

3. Nāṉ Yār? paragrafo 5: i pensieri appaiono solo perché noi siamo apparsi come questo ego

Perché i pensieri sorgono o appaiono nella nostra consapevolezza? Solo perché siamo sorti come questo ego, il pensiero primario chiamato ‘io’, come egli indica nella frase finale del quinto paragrafo di Nāṉ Yār?:
மனதில் தோன்றும் நினைவுக ளெல்லாவற்றிற்கும் நானென்னும் நினைவே முதல் நினைவு. இது எழுந்த பிறகே ஏனைய நினைவுகள் எழுகின்றன. தன்மை தோன்றிய பிறகே முன்னிலை படர்க்கைகள் தோன்றுகின்றன; தன்மை யின்றி முன்னிலை படர்க்கைக ளிரா.

maṉadil tōṉḏṟum niṉaivugaḷ ellāvaṯṟiṟkum nāṉ-eṉṉum niṉaivē mudal niṉaivu. idu eṙunda piṟahē ēṉaiya niṉaivugaḷ eṙugiṉḏṟaṉa. taṉmai tōṉḏṟiya piṟahē muṉṉilai paḍarkkaigaḷ tōṉḏṟugiṉḏṟaṉa; taṉmai y-iṉḏṟi muṉṉilai paḍarkkaigaḷ irā.

Di tutti i pensieri che appaiono [o sorgono] nella mente, solo il pensiero chiamato ‘io’ è il primo [primario, basilare, originale o causale] pensiero. Solo dopo che questo sorge sorgono altri pensieri. Solo dopo che la prima persona [l’ego o pensiero primario chiamato ‘io’] appare la seconda e la terza persona [tutte le altre cose] appaiono; senza la prima persona la seconda e la terza persona non esistono.
I pensieri (o piuttosto i loro semi: le viṣaya-vāsanā) sono i nemici che hanno occupato la fortezza del nostro cuore, ma il nostro grande avversario è il loro progenitore e sovrano, l’ego, che li comanda e li controlla, e per il quale essi agiscono come una guardia pretoriana, pronte in ogni momento a sorgere a sua difesa, e se necessario a combattere fino alla morte per proteggerlo e sostenerlo. Tuttavia, come la guardia pretoriana dell’antica Roma, anche essi dominano il loro sovrano finché dipende da essi per la sua sopravvivenza, così essi possono ingannarlo e sviarlo e lo fanno. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di annientarli come e quando sorgono.

Tuttavia, essi non possono essere sradicati interamente fintanto che il loro genitore e radice, l’ego, non è sradicato, perché sebbene molti di essi siano abbattuti, sempre più continueranno a spuntare dall’ego, poiché esso non può sopravvivere senza di essi, così il nostro sforzo dovrebbe essere diretto a sradicare l’ego, cosa che possiamo fare solo essendo acutamente auto-attentivi. Più pratichiamo l’essere auto-attentivi, più le nostre viṣaya-vāsanā si indeboliranno, e mentre esse si indeboliscono, la loro radice, l’ego, anche si indebolirà, e in questo modo la nostra capacità di essere acutamente auto-attentivi aumenterà, finché l’ego e tutta la sua progenie (tutti i pensieri o fenomeni) saranno consumati nella chiarezza infinita della pura auto-consapevolezza.

Quindi i pensieri continueranno a sorgere finché noi continuiamo a sperimentare noi stessi come questo ego, perché non possiamo sorgere o reggerci come questo ego senza seguire o attaccarci ad altri pensieri, che in confronto ad esso sono relativamente grossolani, come Bhagavan indica verso la fine del quarto paragrafo di Nāṉ Yār?:
மனம் எப்போதும் ஒரு ஸ்தூலத்தை யனுசரித்தே நிற்கும்; தனியாய் நில்லாது.

maṉam eppōdum oru sthūlattai y-aṉusarittē niṟkum; taṉiyāy nillādu.

La mente [l’ego] si regge solo cercando sempre [conformandosi, attaccandosi o dando attenzione a] uno sthūlam [qualcosa di grossolano, vale a dire un corpo fisico, che è solo un pensiero]; da sola essa non si regge.
Quando l’ego sorge, fa questo proiettando ed attaccandosi a un corpo, che confonde come sé stesso, e insieme con quel corpo proietta e si attacca a numerosi altri pensieri. Questa è la natura dell’ego, ed esso non può reggersi senza proiettare ed afferrare costantemente pensieri.

4. Possiamo arrenderci e sradicare il nostro ego solo non dando spazio all’apparenza di qualsiasi pensiero diverso dall’auto-attentività

In altre parole, come egli dice nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu, l’ego sorge, si regge si nutre e prospera ‘afferrando la forma’, che significa dare attenzione ai pensieri (perché ogni pensiero è una forma, e ogni forma o fenomeno è solo un pensiero), così dando attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi stiamo nutrendo e sostenendo il nostro ego. Quindi il nostro fine dovrebbe essere attendere a noi stessi così acutamente e fermamente da non dare assolutamente spazio al sorgere di qualsiasi altro pensiero, come egli indica nella prima frase del tredicesimo paragrafo di Nāṉ Yār?:
ஆன்மசிந்தனையைத் தவிர வேறு சிந்தனை கிளம்புவதற்குச் சற்று மிடங்கொடாமல் ஆத்மநிஷ்டாபரனா யிருப்பதே தன்னை ஈசனுக் களிப்பதாம். [...]

āṉma-cintaṉaiyai-t tavira vēṟu cintaṉai kiḷambuvadaṟku-c caṯṟum iḍam-koḍāmal ātma-niṣṭhāparaṉ-āy iruppadē taṉṉai īśaṉukku aḷippadām. [...]

Solo essere ātma-niṣṭhāparaṉ [uno che è fermamente fissato in sé stesso], non dando anche il minimo spazio al sorgere di qualsiasi cintana [pensiero] diverso da ātma-cintana [pensiero di sé stessi o auto-attentività], è dare sé stessi a Dio.
5. Dobbiamo disabituare gradualmente noi stessi dall’attaccamento ai pensieri o fenomeni

Tuttavia, benché aggrapparci così fermamente all’auto-attentività da non dare assolutamente spazio al sorgere di qualsiasi altro pensiero sia il nostro fine ultimo, poiché è il solo mezzo con cui possiamo arrenderci e sradicare il nostro ego, la maggior parte di noi non è ancora disposta ad arrendere il nostro ego, così per la maggior parte del tempo continuiamo ad aggrapparci tenacemente ai pensieri. Quindi dobbiamo disabituare gradualmente il nostro ego lontano dai sui attaccamenti ai pensieri (forme o fenomeni di qualunque tipo), e questo può essere fatto solo per mezzo di una pratica gentile ma persistente di essere auto-attentivi.

Finché non siamo disposti a lasciare andare (arrendere) completamente il nostro ego, non saremo in grado di evitare completamente i pensieri, ma anche quando stiamo pensando ad altri pensieri, non cessiamo mai di essere consapevoli di noi stessi, così possiamo almeno essere parzialmente auto-attentivi anche quando diamo attenzione ad altre cose (che sono tutti pensieri nel senso in cui Bhagavan usa il termine). Cioè, di qualunque altra cosa possiamo essere consapevoli, ne siamo consapevoli sullo sfondo di una permanente auto-consapevolezza, ma sebbene siamo sempre auto-consapevoli, abitualmente siamo auto-consapevoli in modo negligente, perché siamo più interessati ad essere consapevoli di altre cose che alla fondamentale consapevolezza di noi stessi. Quindi ogni volta che siamo consapevoli di qualsiasi altra cosa, il nostro fine dovrebbe essere l’essere attentivamente auto-consapevoli invece di esserlo in modo negligente, come lo siamo abitualmente.

Più pratichiamo l’essere attentivamente auto-consapevoli nel mezzo di attività e altre preoccupazioni, più facile ci sarà focalizzare tutta la nostra attenzione su noi stessi, ritirandola quindi da ogni altra cosa, ogni volta che riconosciamo che non abbiamo bisogno immediato di pensare (o dare attenzione) a qualsiasi altra cosa. E nello stesso modo, più andiamo in profondità nell’essere auto-attentivi ogni volta che non sentiamo l’immediata necessità di pensare a qualsiasi altra cosa, più facile diventerà per noi sostenere saldamente l’essere auto-consapevoli anche mentre siamo consapevoli di altre cose.

6. Non c’è mai alcun bisogno di pensare o dare attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi

Sebbene la maggioranza di noi sente la necessità di pensare ad altre cose per la maggior parte del tempo, questa sensazione è realmente solo un’illusione, perché non abbiamo mai bisogno di dare attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi. Poiché ora sperimentiamo noi stessi come una persona (un corpo vivente con una mente funzionante), ci sembra che abbiamo bisogno di impegnarci in varie attività per sostenere il nostro corpo (e anche in molti casi di prenderci cura di altre persone delle quali ci sentiamo responsabili), e che per impegnarci in tali attività abbiamo bisogno di dare attenzione o pensare ad altre cose, ma secondo Bhagavan il nostro corpo, la parola e la mente saranno portare a compiere tutte le azioni che sono destinate a compiere, sia che ci interessiamo o diamo qualche attenzione ad esse o meno, e ogni altra azione che possiamo cercare di fare non cambierà in alcun modo ciò che è destinato a succedere, come egli ha detto chiaramente nella nota che ha scritto a sua madre quando voleva riportarlo a casa con lei nel Dicembre 1898:
அவரவர் பிராரப்தப் பிரகாரம் அதற்கானவன் ஆங்காங்கிருந் தாட்டுவிப்பன். என்றும் நடவாதது என் முயற்சிக்கினும் நடவாது; நடப்ப தென்றடை செய்யினும் நில்லாது. இதுவே திண்ணம். ஆகலின் மௌனமா யிருக்கை நன்று.

avar-avar prārabdha-p prakāram adaṟkāṉavaṉ āṅgāṅgu irundu āṭṭuvippaṉ. eṉḏṟum naḍavādadu eṉ muyaṟcikkiṉum naḍavādu; naḍappadu eṉ taḍai seyyiṉum nillādu. iduvē tiṇṇam. āhaliṉ mauṉamāy irukkai naṉḏṟu.

Secondo il loro-loro prārabdha, egli che è per quell’essere lì-lì causerà di danzare [cioè, secondo il destino (prārabdha) di ciascuna persona, egli che è per quello (vale a dire Dio o il guru, che ordina il loro destino) essendo nel cuore di ciascuno di essi li farà agire]. Ciò che non deve succedere non succederà qualunque sforzo uno fa [per farlo succedere]; ciò che deve succedere non si fermerà qualunque ostacolo [o resistenza] uno fa [per impedire che ciò succeda]. Questo è davvero certo. Quindi essere silenziosamente [o essere silenti] è buono.
Quindi contrariamente a ciò che generalmente crediamo, non abbiamo mai realmente alcun bisogno di pensare o di dare attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi, così se siamo seriamente intenti ad investigare noi stessi e quindi ad arrendere il nostro ego possiamo lasciare tutte le nostre altre ansietà ed affari alla cura del nostro destino, che è ciò che è stato ordinato che accada dalla dolce volontà di Dio o guru. Quindi dopo aver detto nella prima frase del tredicesimo paragrafo di Nāṉ Yār? (che ho ciato sopra nella sezione 4) che solo sorreggendosi saldamente all’auto-attentività (ātma-cintana) e quindi non dando assolutamente spazio al sorgere di alcun altro pensiero è arrendere sé stessi a Dio, nelle frasi successive di quel paragrafo egli enfatizza che invece di pensare a qualsiasi altra cosa dovremmo lasciare tutto il carico del pensare (dare attenzione a qualsiasi cosa diversa da noi stessi) a Dio, che sta già portando l’intero carico dell’universo:
ஈசன்பேரில் எவ்வளவு பாரத்தைப் போட்டாலும், அவ்வளவையும் அவர் வகித்துக்கொள்ளுகிறார். சகல காரியங்களையும் ஒரு பரமேச்வர சக்தி நடத்திக்கொண்டிருகிறபடியால், நாமு மதற் கடங்கியிராமல், ‘இப்படிச் செய்யவேண்டும்; அப்படிச் செய்யவேண்டு’ மென்று ஸதா சிந்திப்பதேன்? புகை வண்டி சகல பாரங்களையும் தாங்கிக்கொண்டு போவது தெரிந்திருந்தும், அதி லேறிக்கொண்டு போகும் நாம் நம்முடைய சிறிய மூட்டையையு மதிற் போட்டுவிட்டு சுகமா யிராமல், அதை நமது தலையிற் றாங்கிக்கொண்டு ஏன் கஷ்டப்படவேண்டும்?

īśaṉpēril e-vv-aḷavu bhārattai-p pōṭṭālum, a-vv-aḷavai-y-um avar vahittu-k-koḷḷugiṟār. sakala kāriyaṅgaḷai-y-um oru paramēśvara śakti naḍatti-k-koṇḍirugiṟapaḍiyāl, nāmum adaṟku aḍaṅgi-y-irāmal, ‘ippaḍi-c ceyya-vēṇḍum; appaḍi-c ceyya-vēṇḍum’ eṉḏṟu sadā cinti-p-padēṉ? puhai vaṇḍi sakala bhāraṅgaḷaiyum tāṅgi-k-koṇḍu pōvadu terindirundum, adil ēṟi-k-koṇḍu pōhum nām nammuḍaiya siṟiya mūṭṭaiyaiyum adil pōṭṭu-viṭṭu sukhamāy irāmal, adai namadu talaiyil tāṅgi-k-koṇḍu ēṉ kaṣṭa-p-paḍa-vēṇḍum?

Anche se uno pone qualsiasi quantità di peso su Dio, quell'intera quantità sarà sopportata. Dato che una paramēśvara śakti [supremo potere dominante o potere di Dio] guida tutte le attività [ogni cosa che accade in questo mondo], invece di cedere ad esso perché dovremmo sempre pensare, 'è [per me] necessario agire in questo modo; è [per me] necessario agire in quel modo'? Sebbene sappiamo che il treno sta portando tutti i carichi, perché viaggiando su di esso dovremmo patire portando il nostro modesto bagaglio sulla testa invece di restare felici lasciando il bagaglio posato sul [treno]?
È per noi naturale sentire che alcuni pensieri sono più importanti o utili di altri, come tu dici, e non possiamo rinunciare completamente a sentire questo finché tutti i nostri attaccamenti a qualsiasi cosa diversa da noi stessi siano indeboliti in modo considerevole dalla pratica persistente di auto-attentività. Tuttavia, ogni volta che troviamo difficile evitare di essere distratti e portati lontano da pensieri che consideriamo importanti o utili, dovremmo ricordare a noi stessi che Bhagavan ci ha chiesto di arrendere l’intero carico del pensare a Dio (che non è nessun altro che lo stesso Bhagavan), dicendo che egli tuttavia porterà molto più del carico che poniamo su di lui.

Qualunque cosa è destinata ad accadere accadrà sia che ci interessiamo ad essa, diamo ad essa attenzione o pensiamo ad essa o meno, così non c’è realmente niente altro che noi stessi a cui abbiamo realmente bisogno di attendere o di pensare, così non abbiamo bisogno di interessarci a tutto ciò che accadrà se focalizziamo tutta la nostra attenzione solo su noi stessi. Tuttavia rinunciare interamente a pensare a qualsiasi altra cosa richiede estremo distacco (vairāgya), e possiamo coltivare tale distacco solo praticando pazientemente e persistentemente l’essere auto-attentivi il più possibile.

7. Bhagavad Gītā Sāram versi 27 e 28: dobbiamo disabituare a pensare gentilmente e gradualmente il nostro ego cercando persistentemente di fissare la nostra attenzione su noi stessi

Cioè, sebbene il nostro ego con tutte le sue ansie e preoccupazioni è ovviamente per noi un carico enorme, molti di noi non sono ancora disposti ad arrenderlo completamente attendendo a niente altro che noi stessi. Quindi abbiamo bisogno di disabituare gradualmente il nostro ego lontano dai suoi attaccamenti, cosa che possiamo fare più efficacemente cercando di essere auto-attentivi quanto più possiamo, e questo comporta il rivolgere la nostra attenzione a noi stessi ogni volta che troviamo che esso è stato distratto lontano verso qualsiasi altra cosa, come spiegato da Bhagavan nei versi 27 e 28 della Bhagavad Gītā Sāram (che sono le sue traduzioni della Bhagavad Gītā 6.25 e 6.26):
தீரஞ்சேர் புத்தியினாற் சித்தத்தை மெல்லமெல்ல
நேரச் செயவேண்டு நிச்சலன — மாரதனே
சித்தத்தை யான்மாவிற் சேர்த்திடுக மற்றெதுவு
மித்தனையு மெண்ணிடா தே.

dhīrañcēr buddhiyiṉāṯ cittattai mellamella
nērac ceyavēṇḍu niścalaṉa — mārathaṉē
cittattai yāṉmāviṟ cērttiḍuka maṯṟeduvu
mittaṉaiyu meṇṇiḍā dē
.

பதச்சேதம்: தீரம் சேர் புத்தியினால் சித்தத்தை மெல்ல மெல்ல நேர செய வேண்டும் நிச்சலன. மா ரதனே, சித்தத்தை ஆன்மாவில் சேர்த்திடுக; மற்று எதுவும் இத்தனையும் எண்ணிடாதே.

Padacchēdam (separazione delle parole): dhīram sēr buddhiyiṉāl cittattai mella mella nēra seya vēṇḍum niścalaṉa. mā rathaṉē, cittattai āṉmāvil sērttiḍuka; maṯṟu eduvum ittaṉaiyum eṇṇiḍādē.

அன்வயம்: தீரம் சேர் புத்தியினால் சித்தத்தை மெல்ல மெல்ல நிச்சலன நேர செய வேண்டும். மா ரதனே, சித்தத்தை ஆன்மாவில் சேர்த்திடுக; மற்று எதுவும் இத்தனையும் எண்ணிடாதே.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): dhīram sēr buddhiyiṉāl cittattai mella mella niścalaṉa nēra seya vēṇḍum. mā rathaṉē, cittattai āṉmāvil sērttiḍuka; maṯṟu eduvum ittaṉaiyum eṇṇiḍādē.

Traduzione: È necessario con un intelletto impregnato di coraggio far raggiungere l’immobilità alla mente gentilmente gentilmente [tranquillamente e gradualmente]. Grande cocchiere, fissa la mente [la tua attenzione] in [o su] ātman [tu stesso]; non pensare anche minimamente a qualsiasi altra cosa.


எதுவுந் திரமின்றி யென்றுமலை சித்த
மெதெதனைப் பற்றியே யேகு — மததினின்
றீர்த்தந்தச் சித்தத்தை யெப்போது மான்மாவிற்
சேர்த்துத் திரமுறவே செய்.

eduvun thiramiṉḏṟi yeṉḏṟumalai citta
mededaṉaip paṯṟiyē yēhu — madadiṉiṉ
ḏṟīrttandac cittattai yeppōdu māṉmāviṟ
cērttut thiramuṟavē sey
.

பதச்சேதம்: எதுவும் திரம் இன்றி என்றும் அலை சித்தம் எது எதனை பற்றியே ஏகும், அது அதினின்று ஈர்த்து அந்த சித்தத்தை எப்போதும் ஆன்மாவில் சேர்த்து திரம் உறவே செய்.

Padacchēdam (separazione delle parole): eduvum thiram iṉḏṟi eṉḏṟum alai cittam edu edaṉai paṯṟiyē ēhum, adu adiṉiṉḏṟu īrttu anda cittattai eppōdum āṉmāvil cērttu thiram uṟavē sey.

அன்வயம்: எதுவும் திரம் இன்றி என்றும் அலை சித்தம் எது எதனை பற்றியே ஏகும், அது அதினின்று அந்த சித்தத்தை ஈர்த்து ஆன்மாவில் சேர்த்து எப்போதும் திரம் உறவே செய்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): eduvum thiram iṉḏṟi eṉḏṟum alai cittam edu edaṉai paṯṟiyē ēhum, adu adiṉiṉḏṟu anda cittattai īrttu āṉmāvil cērttu eppōdum thiram uṟavē sey.

Traduzione: Ogni volta che la mente, che vacilla sempre senza alcun fermezza, afferra e [dovunque di conseguenza] va, attirare quella mente indietro da quello e fissarla in [o su] ātman [tu stesso], la rende sempre ferma.
Questa è la pratica che abbiamo bisogno di fare con pazienza e persistenza finché noi (questo ego) ci disabituiamo dal nostro attaccamento a pensare o essere consapevoli di altre cose al punto tale che infine diveniamo disposti ad arrendere interamente noi stessi fissando la nostra intera attenzione su noi stessi così acutamente e fermamente da vedere ciò che siamo realmente e quindi dissolverci per sempre nella perfetta chiarezza della pura auto-consapevolezza.

Non permettere alla nostra mente di essere distratta lontano da noi stessi da qualsiasi altra cosa è ciò che Bhagavan intende dicendo che non dovremmo seguire o completare qualunque pensiero può sorgere, e anche dicendo che come e quando essi appaiono dovremmo annientarli tutti proprio nel luogo da cui sorgono (vale a dire noi stessi). Per sviluppare la capacità di fare questo così efficacemente e completamente dobbiamo solo perseverare pazientemente nella nostra pratica di essere più possibile auto-attentivi.

8. Nāṉ Yār? paragrafo 6: non importa quanti pensieri appaiono finché perseveriamo a rivolgere la nostra attenzione a noi stessi, quello a cui tutti essi appaiono

In definitiva il seguire i pensieri cesserà interamente solo quando cesserà colui che li segue, e colui che li segue (l’ego) cesserà solo quando guarderemo noi stessi abbastanza acutamente da vedere ciò che siamo realmente. Nel frattempo, tuttavia, pensieri continueranno ad apparire, e ogni volta che non ci aggrappiamo abbastanza fermamente all’essere acutamente auto-attentivi, essi continueranno a distrarre la nostra attenzione lontano da noi stessi. Tuttavia, questo non importa finché perseveriamo nel cercare di rivolgere la nostra attenzione a noi stessi ogni volta che notiamo che è stata distratta dall’apparenza di qualche pensiero (qualsiasi cosa diversa da noi stessi), come egli ci insegna nel sesto paragrafo di Nāṉ Yār?:
நானார் என்னும் விசாரணையினாலேயே மன மடங்கும். நானார் என்னும் நினைவு மற்ற நினைவுகளை யெல்லா மழித்துப் பிணஞ்சுடு தடிபோல் முடிவில் தானு மழியும். பிற வெண்ணங்க ளெழுந்தா லவற்றைப் பூர்த்தி பண்ணுவதற்கு எத்தனியாமல் அவை யாருக் குண்டாயின என்று விசாரிக்க வேண்டும். எத்தனை எண்ணங்க ளெழினு மென்ன? ஜாக்கிரதையாய் ஒவ்வோ ரெண்ணமும் கிளம்பும்போதே இது யாருக்குண்டாயிற்று என்று விசாரித்தால் எனக்கென்று தோன்றும். நானார் என்று விசாரித்தால் மனம் தன் பிறப்பிடத்திற்குத் திரும்பிவிடும்; எழுந்த வெண்ணமு மடங்கிவிடும். இப்படிப் பழகப் பழக மனத்திற்குத் தன் பிறப்பிடத்திற் றங்கி நிற்கும் சக்தி யதிகரிக்கின்றது. [...]

nāṉ-ār eṉṉum vicāraṇaiyiṉāl-ē-y-ē maṉam aḍaṅgum. nāṉ-ār eṉṉum niṉaivu maṯṟa niṉaivugaḷai y-ellām aṙittu-p piṇañ-cuḍu taḍi-pōl muḍivil tāṉ-um aṙiyum. piṟa v-eṇṇaṅgaḷ eṙundāl avaṯṟai-p pūrtti paṇṇuvadaṟku ettaṉiyāmal avai yārukku uṇḍāyiṉa eṉḏṟu vicārikka vēṇḍum. ettaṉai eṇṇaṅgaḷ eṙiṉum eṉṉa? jāggiratai-y-āy ovvōr eṇṇamum kiḷambum-pōdē idu yārukkuṇḍāyiṯṟu eṉḏṟu vicārittāl eṉakkeṉḏṟu tōṉḏṟum. nāṉ-ār eṉḏṟu vicārittāl maṉam taṉ piṟappiḍattiṟku-t tirumbi-viḍum; eṙunda v-eṇṇamum aḍaṅgi-viḍum. ippaḍi-p paṙaga-p paṙaga maṉattiṟku-t taṉ piṟappiḍattil taṅgi niṟgum śakti y-adhikarikkiṉḏṟadu. [...]

Solo per mezzo dell'investigazione ‘chi sono io’ la mente [la cui radice ed essenza è l’ego] cesserà. Il pensiero ‘chi sono io’ [cioè, l’attentività con cui uno investiga ciò che è], avendo distrutto tutti gli altri pensieri, esso stesso alla fine sarà distrutto come il bastone usato per bruciare un cadavere [un bastone che è usato per smuovere una pira funeraria e per garantire che il cadavere bruci completamente]. Se altri pensieri sorgono, senza cercare di completarli, è necessario investigare a chi sono venuti in mente. Per quanti pensieri sorgono, cosa [importa]? Non appena si presenta ogni pensiero, se si investiga in modo vigilante a chi esso viene in mente, sarà chiaro: a me. Se si investiga ‘chi sono io?’ in questo modo, la mente ritornerà al proprio luogo di nascita [sé stessi, la sorgente dalla quale essa è sorta]; il pensiero che è sorto anche cesserà. Quando si pratica e pratica in questo modo, il potere della mente di rimanere fermamente stabilita nel proprio luogo di nascita aumenterà. […]
Quindi non importa quanto spesso non riusciamo ad evitare di essere distratti dai pensieri finché perseveriamo nel rivolgere ripetutamente la nostra attenzione a noi stessi, quello a cui tutti i pensieri appaiono, e nel cercare di aggrapparsi più fermamente, saldamente e acutamente possibile all’essere auto-attentivi, perché l’auto-attentività infine ci metterà in grado di essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente e quindi di sradicare l’ego, la radice dalla quale germogliano tutti gli altri pensieri.


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