Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

giovedì 23 aprile 2015

Cosa s’intende con il termine sākṣi o ‘testimone’?

Michael James

21 Aprile 2015
What is meant by the term sākṣi or ‘witness’?

Quando ho partecipato a un incontro della ​Ramana Maharshi Foundation UK a Londra all’inizio di questo mese, una delle domande che mi sono state poste è stata riguardo il concetto o pratica di sākṣi-bhāva o ‘essere un testimone’. Non ricordo esattamente ciò che ho risposto in quel momento, ma dopo aver visto il ​video che è stato fatto in quel meeting, un amico mi ha scritto dicendo che era d’accordo che il termine sākṣi o ‘testimone’ come spesso è usato è un termine improprio, e ha ricordato che Bhagavan disse in determinati contesti che dovremmo prendere questo termine solo con il significato di ‘presenza’ (come nella presenza del nostro sé reale) piuttosto che ‘testimone’. Egli ha anche aggiunto le sue riflessioni su questo soggetto dicendo:
Molti guru chiedono ai loro discepoli di mantenere sakshi-bhava verso gli eventi o gli avvenimenti del mondo. Essi sentono che se non reagiamo agli accadimenti esterni diverremo più equanimi, e quindi le nostre vishaya-vasanas saranno distrutte. Credo che J. Krishnamurti, Nisargadatta e molti altri raccomandavano in molti modi l’attenzione a seconde e terze persone, [affermando che è la pratica di] sakshi-bhava . Ma come è possibile? Come può l’ego dare attenzione a seconde e terze persone, ma astenersi dal reagire ad esse o agli eventi esterni? Finché il nostro ego è attivo reagirà agli accadimenti esterni in un modo o in un altro.

Tuttavia seguendo gli insegnamenti di Bhagavan possiamo conseguire il fine voluto di sakshi-bhava . Cioè, per quanto siamo sempre più profondamente e attentivamente auto-consapevoli, tenderemo a reagire sempre meno agli accadimenti esterni. Quando la nostra attenzione è sempre più focalizzata su noi stessi, saremo naturalmente meno interessati agli eventi esterni o alle seconde e terze persone. Infine quando la prima persona o l’ego è distrutto, tutte le seconde e terze persone o questa intera apparenza del mondo sarà anche distrutta. Questa è atma-jnana .
In risposta a questo ho scritto:
Si, sono d’accordo. Il termine sākṣi è sfortunatamente la causa di molta confusione, perché non è molto chiaro ciò che significa, e quindi è soggetto ad essere frainteso. Sembra significare qualcosa che è consapevole di cose diverse da se stesso, ma se questo fosse il suo significato inteso, allora sarebbe solo l’ego, perché secondo Bhagavan è solo l’ego che conosce qualsiasi cosa diversa da se stesso. Alcune persone suggeriscono che esso significhi qualcosa (o qualche stato) tra l’ego e noi stessi, ma questo suggerimento moltiplica inutilmente il numero delle entità di cui ci dovremmo interessare. Può esserci qualcosa tra il nostro ego e noi stessi? No, perché o sperimentiamo noi stessi come siamo realmente o come qualcos’altro, e quando ci sperimentiamo come qualcos’altro, quello è ciò che è chiamato ego.

Questo è il motivo per cui Bhagavan generalmente non usò il termine sākṣi di propria iniziativa, perché esso complica e confonde inutilmente i contenuti piuttosto che semplificarli e chiarificarli.
Poiché esiste così tanta confusione riguardo questo termine e la pratica di sākṣi-bhāva come raccomandata oggigiorno da molti ‘guru ’, può essere utile aggiungere qui alcune chiarificazioni ulteriori.
  1. In senso letterale, il solo sākṣin è il nostro ego
  2. Può sākṣi-bhāva essere una pratica spirituale efficace?
  3. Epilogo

1. In senso letterale, il solo sākṣin è il nostro ego

Il termine reale in Sanscrito è साक्षिन् (sākṣin ), che diviene साक्षि (sākṣi ) in parole composte come साक्षिभाव (sākṣi-bhāva ), ed è sia un gerundio dal significato di vedendo, osservando o testimoniando (in modo particolare nel senso letterale di vedendo con i propri occhi, ma anche nel senso più generale di percepire o sperimentare in qualsiasi modo), sia un sostantivo concreto o astratto dal significato di testimone, occhio-testimone o osservatore. La parola ‘testimone’ in Inglese, è spesso usata nel contesto legale per intendere un testimone legale (come testimone alla firma di un documento, o un testimone che fornisce testimonianza in tribunale), e quindi come un gerundio può anche significare attestando o testimoniando. Come la parola साक्षात् (sākṣāt ), che significa davanti agli occhi di, in presenza di, in persona, visibilmente, apertamente, evidentemente o direttamente, साक्षिन् (sākṣin ) è derivata da साक्ष (sākṣa ), che significa con occhi o avendo occhi.

Spesso le persone presumono che quando questo termine sākṣin è usato in un contesto spirituale o filosofico abbia un significato fisso, nel senso che si riferisca a un’entità o uno stato particolare. Tuttavia, questo presupposto non è corretto, perché il suo significato esatto dipende dall’effettivo contesto in cui è usato. Per esempio, in termini con sarva-sākṣin (il testimone di tutto) o lōka-sākṣin (il testimone del mondo) si riferisce a Dio, mentre in altri contesti si riferisce all’ego, e in qualche contesto è usato per riferirsi al nostro sé reale. Tuttavia Bhagavan ha chiarito che quando il nostro sé reale è descritto come il sākṣin , non dovremmo prenderlo letteralmente con il significato che il nostro sé reale sia un testimone, un osservatore o lo sperimentatore di qualsiasi cosa diversa da se stesso, ma dovremmo comprendere che è usato in modo più figurativo, per indicare che il nostro sé reale è la presenza in cui l’apparente esistenza di altre cose appare e scompare (sebbene non nella propria visione, ma solo nella visione illusa dell’ego).

Quando è usato in testi advaiti o vēdāntici l’esatto significato di sākṣin è ambiguo, e quindi ha fornito un terreno fertile per il generarsi di confusione e fraintendimento. Per esempio, i testi antichi danno spesso l’impressione che il nostro sé reale sia un testimone di ogni cosa, nel senso che sia consapevole dell’intero universo o di qualsiasi cosa si manifesta o sembra esistere all’interno di esso. Tuttavia, per mettere fine a tutta questa confusione e fraintendimento, Bhagavan rese chiaro che il nostro sé reale non è mai consapevole di alcuna cosa diversa da se stesso, perché esso solo esiste realmente, e che ciò che è consapevole di qualsiasi cosa diversa da se stesso è solo il nostro ego.

In altre parole, l’apparente esistenza di qualsiasi cosa diversa da noi stessi non sorge mai nella chiara visione di noi stessi come siamo realmente, ma solo nella visione auto-ignorante e illusa di noi stessi come questo ego. Cioè, quando sperimentiamo noi stessi come siamo realmente, non sperimentiamo mai l’esistenza sia pure apparente di qualsiasi altra cosa (come anche un’apparenza all’interno di noi stessi), così è solo quando sembriamo sperimentare noi stessi come questo ego che sperimentiamo anche l’apparente esistenza di qualsiasi altra cosa.

Per quanto ne so, nessuno prima di Bhagavan rese chiaro così pienamente che ciò che sperimenta o ‘testimonia’ l’esistenza apparente di qualsiasi cosa diversa da ciò che siamo realmente è solo il nostro ego, da cui possiamo dedurre che nel senso letterale del termine solo il sākṣin o ‘testimone’ è realmente il nostro ego. Ciò che siamo realmente non può essere descritto letteralmente come un sākṣin , perché esso solo esiste, e nella sua visione mai sembra essere qualcosa diversa da ciò che sempre è realmente, così non c’è nient’altro che se stesso che esso possa testimoniare.

Questo è affermato in modo esplicito da Bhagavan nel verso 98 di Guru Vācaka Kōvai, in cui spiega perché non è corretto dire che il nostro sé reale è effettivamente un கரி (kari ), che è una parola Tamil che significa sākṣin o ‘testimone’:
சரீரமே நானாச் சரித்தாலே யன்றிச்
சராசரமா மன்னியஞ்சா ராதேல் — பராபரமாத்
தோன்று மயல்விடய சூனியத்தா லான்மாதான்
ஏன்றகரி யென்ற லிழுக்கு.

śarīramē nāṉāc carittālē yaṉḏṟic
carācaramā maṉṉiyañcā rādēl — parāparamāt
tōṉḏṟu mayalviḍaya śūṉiyattā lāṉmādāṉ
ēṉḏṟagari yeṉḏṟa liṙukku
.

பதச்சேதம்: சரீரமே நானா சரித்தாலே அன்றி, சராசரமாம் அன்னியம் சாராதேல், பராபரமா தோன்றும் அயல் விடய சூனியத்தால் ஆன்மாதான் ஏன்ற கரி என்றல் இழுக்கு.

Padacchēdam (separazione delle parole): śarīram-ē nāṉ-ā sarittāl-ē aṉḏṟi, cara-acaram-ām aṉṉiyam sārādēl, para-aparam-ā tōṉḏṟum ayal viḍaya śūṉiyattāl āṉmā-tāṉ ēṉḏṟa kari eṉḏṟal iṙukku .

Traduzione: Poiché [ogni] altra cosa in movimento o immobile non appare se non si vive come ‘il corpo soltanto è io’, [e] a causa della non esistenza [nella chiara visione dell’ātman , il nostro sé reale] di [ogni] altra cosa che sembra essere para-apara [superiore o inferiore, lontana o vicina, iniziale o successiva, causa o effetto], non è corretto dire che ātman è l’effettivo testimone.
Tuttavia, come ho menzionato precedentemente, persone che non hanno studiato o compreso correttamente gli insegnamenti di Bhagavan, ma che sono consapevoli dell’uso del termine sākṣin nei testi antichi o negli insegnamenti di alcuni moderni ‘guru ’, spesso immaginano che questo termine indichi una particolare entità, e poiché molti di essi ritengono che quell’entità non sia il nostro ego né il nostro sé reale, suppongono che sia qualcosa che in qualche modo esista dietro il nostro ego o tra il nostro ego e noi stessi, e che per raggiungere il nostro sé reale dobbiamo attraversare uno stato in cui sperimentiamo noi stessi né come il nostro ego né come il nostro sé reale, ma solo come il sākṣin , che essi immaginano essere un qualche genere di distaccato testimone del nostro ego o mente e di tutto ciò che sperimenta. Essi suppongono anche che lo stato in cui sperimentiamo noi stessi come questo testimone distaccato o sākṣin sia lo stato chiamato sākṣi-bhāva , ‘essere un testimone’ o assumere l’atteggiamento di un testimone.

Tuttavia, gli insegnamenti di Bhagavan non danno spazio a nessuna di queste idee, perché secondo lui l’ego è qualsiasi cosa che sperimentiamo come noi stessi ogni volta che ci sperimentiamo come qualsiasi cosa diversa da ciò che siamo realmente. Quindi non c’è spazio tra il nostro ego e ciò che siamo realmente per l’esistenza di qualche altra entità o stato. Anche se fosse possibile sperimentare noi stessi come un testimone distaccato di qualunque cosa sperimentiamo, quel testimone sarebbe solo un’altra forma assunta dal nostro ego.

Inoltre, finché sperimentiamo o ‘testimoniamo’ qualcosa diversa da noi stessi, non ci stiamo sperimentando come siamo realmente ma solo come questo ego. Questo s'intende molto chiaramente da ciò che Bhagavan dice nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu :
அகந்தையுண் டாயி னனைத்துமுண் டாகு
மகந்தையின் றேலின் றனைத்து — மகந்தையே
யாவுமா மாதலால் யாதிதென்று நாடலே
யோவுதல் யாவுமென வோர்.

ahandaiyuṇ ḍāyi ṉaṉaittumuṇ ḍāhu
mahandaiyiṉ ḏṟēliṉ ḏṟaṉaittu — mahandaiyē
yāvumā mādalāl yādideṉḏṟu nādalē
yōvudal yāvumeṉa vōr
.

பதச்சேதம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr .

அன்வயம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், அனைத்தும் இன்று. யாவும் அகந்தையே ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே யாவும் ஓவுதல் என ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, aṉaittum iṉḏṟu. yāvum ahandai-y-ē ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē yāvum ōvudal eṉa ōr .

Traduzione: Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste. [Quindi] l’ego è ogni cosa. Perciò, sappi che soltanto investigare cos’è questo [ego] è rinunciare a ogni cosa.
L’idea che Bhagavan ha espresso nella seconda frase di questo verso, ‘அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும்’ (ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum ), che significa, ‘Se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste’, è stata da lui espressa anche nella prima frase del verso 7 di Śrī Aruṇācala Aṣṭakam :
இன்றக மெனுநினை வெனிற்பிற வொன்று மின்று [...].

iṉḏṟaha meṉuniṉai veṉiṟpiṟa voṉḏṟu miṉḏṟu [...]

பதச்சேதம்: இன்று அகம் எனும் நினைவு எனில், பிற ஒன்றும் இன்று. [...]

Padacchēdam (separazione delle parole): iṉḏṟu aham eṉum niṉaivu eṉil, piṟa oṉḏṟum iṉḏṟu . [...]

அன்வயம்: அகம் எனும் நினைவு இன்று எனில், பிற ஒன்றும் இன்று. [...]

Anvayam (parole ridisposte secondo l’ordine naturale di prosa): aham eṉum niṉaivu iṉḏṟu eṉil, piṟa oṉḏṟum iṉḏṟu . [...]

Traduzione: Se il pensiero chiamato ‘io’ non esiste, anche un altro [pensiero o cosa] non esisterà. […]
Mentre nel verso precedente Bhagavan si riferisce al nostro ego come அகந்தை (ahandai ), che è una forma Tamil della parola Sanscrita ahaṁtā , che letteralmente significa ‘ioità’ (‘I-ness’), nel secondo verso si riferisce ad esso come அகம் எனும் நினைவு (aham eṉum niṉaivu ), che letteralmente significa ‘il pensiero chiamato io’. Le parole பிற ஒன்றும் (piṟa oṉḏṟum ) significano ‘anche un altro’, così in questo contesto possono essere prese con il significato di ‘anche un altro pensiero’ o ‘anche un’altra cosa’, ma è essenzialmente lo stesso significato, perché secondo Bhagavan ogni cosa diversa da noi stessi (incluso il nostro ego) è solo un pensiero o un’idea. Così in entrambi questi versi egli afferma enfaticamente che se il nostro ego non esiste, niente altro (diverso da noi stessi) esisterà. Il nostro ego è quindi il seme, la radice, il fondamento, l’origine e la sostanza di ogni cosa.

Quindi ogni cosa diversa da noi stessi è solo un’espansione del nostro ego, e sembra esistere solo finché sperimentiamo noi stessi come questo ego. Quindi, se stiamo testimoniando, sperimentando o siamo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, qualsiasi cosa sperimentiamo come noi stessi è solo il nostro ego. Questa è una deduzione semplice, ovvia e indubitabile che possiamo trarre dagli espliciti insegnamenti di Bhagavan Sri Ramana in questi due versi e in molti dei suoi altri scritti originali e detti registrati in modo affidabile (in modo particolare in molti versi di Guru Vācaka Kōvai ).

2. Può sākṣi-bhāva essere una pratica spirituale efficace?

Alla luce dei suoi insegnamenti, qual è allora il significato del termine sākṣi-bhāva? Prima di tentare di rispondere a questa domanda, dovremmo ricordare che sākṣi-bhāva non è un termine che egli avrebbe usato normalmente di propria iniziativa, perché è ambiguo e può facilmente far sorgere malintesi ed equivoci. Tuttavia, se vogliamo dare ad esso un significato positivo, lo possiamo considerare almeno da due angolature. Innanzitutto, se prendiamo sākṣin nel senso figurativo che Bhagavan ha proposto in alcuni contesti, vale a dire nel senso di pura ‘presenza’, sākṣi-bhāva significherebbe solo essere la presenza in cui ogni cosa sembra sorgere e accadere, ma che è essa stessa non influenzata da e non consapevole di ognuna di quelle cose o accadimenti apparenti. In altre parole, sākṣi-bhāva significherebbe semplicemente auto-dimora o essere come siamo realmente — cioè, essere consapevoli di noi stessi soltanto e non di qualsiasi altra cosa.

In alternativa, se consideriamo il senso in cui il termine sākṣi-bhāva è generalmente compreso, vale a dire uno stato in cui si è distaccati da qualsiasi cosa può accadere, come testimoni indifferenti, avremmo bisogno di considerare come possiamo essere realmente distaccati. Poiché il distacco è lo stato in cui siamo liberi dall’attaccamento, per comprendere come possiamo essere distaccati abbiamo bisogno prima di tutto di considerare come o perché ci attacchiamo alle cose.

L’attaccamento o l’afferrare è la vera natura del nostro ego, perché questo ego ha origine e resiste solo afferrando o attaccando se stesso a qualsiasi cosa diversa da se stesso, come Bhagavan spiega nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu :
உருப்பற்றி யுண்டா முருப்பற்றி நிற்கு
முருப்பற்றி யுண்டுமிக வோங்கு — முருவிட்
டுருப்பற்றுந் தேடினா லோட்டம் பிடிக்கு
முருவற்ற பேயகந்தை யோர்.

uruppaṯṟi yuṇḍā muruppaṯṟi niṟku
muruppaṯṟi yuṇḍumiha vōṅgu — muruviṭ
ṭuruppaṯṟun tēḍiṉā lōṭṭam piḍikku
muruvaṯṟa pēyahandai yōr
.

பதச்சேதம்: உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும், உரு அற்ற பேய் அகந்தை. ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṯkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum, uru aṯṟa pēy ahandai. ōr .

அன்வயம்: உரு அற்ற பேய் அகந்தை உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும். ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte secondo l’ordine naturale di prosa): uru aṯṟa pēy ahandai uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṯkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum. ōr .

Traduzione: Afferrando la forma, l’ego-fantasma senza forma sorge in essere; afferrando la forma si regge; afferrando e nutrendosi di forma cresce con abbondanza; lasciando [una] forma, afferra [un’altra] forma. Se cercato [esaminato o investigato], esso fugge. Investiga [o conosci questo].
Come un verbo பற்று (paṯṟu ) significa afferrare, prendere, catturare, trattenere, abbracciare, attaccarsi o aderire a (e in qualche contesto può anche significare comprendere o divenire consapevoli di), e come un sostantivo significa attaccamento o l’atto della mente di afferrare qualsiasi oggetto della sua esperienza, sia interno che esterno, così in questo contesto உரு பற்றி (uru paṯṟi ) significa letteralmente ‘afferrando la forma’ e comporta aderire o attaccare noi stessi a (cioè, trattenere nella nostra consapevolezza o dare attenzione a) qualsiasi cosa diversa da noi stessi.

Senza afferrare o attaccarsi a qualcosa diversa da se stesso, l’ego non può avere origine né resistere, così non possiamo essere veramente distaccati finché ci sperimentiamo come questo ego. Naturalmente possiamo essere più o meno attaccati ad altre cose, e se siamo meno attaccati a qualcosa, in quella misura siamo distaccati, ma si tratta solo di un distacco parziale o relativo, ed essere distaccati parzialmente significa che siamo ancora attaccati, anche se un po’ meno.

Il distacco parziale è quindi solo un compromesso, e perciò non è il nostro fine, né può essere un mezzo diretto al nostro fine. Per sperimentare noi stessi come siamo realmente, abbiamo bisogno di essere completamente distaccati da ogni altra cosa, e non possiamo esserlo finché ci sperimentiamo come questo ego. Anche se cerchiamo di minimizzare i nostri attaccamenti, possiamo farlo sono in misura limitata. Quindi per liberarci da tutti i nostri attaccamenti, abbiamo bisogno di liberarci dalla loro radice, vale a dire il nostro ego, perché anche se siamo in grado di liberarci di qualche attaccamento, finché questo ego sopravvive continueranno a spuntarne di nuovi.

Immaginare di essere un testimone distaccato, consapevole di ciò che sta accadendo ma non attaccato ad alcuna cosa, non è il modo di distruggere il nostro ego, perché ciò che starebbe immaginando questo sarebbe solo il nostro ego, e poiché la vera natura di questo ego è quella di essere attaccato, immaginando di essere un testimone distaccato illuderemmo noi stessi. Se siamo consapevoli di qualcosa, dobbiamo dare ad essa attenzione, e dando attenzione ad essa la stiamo afferrando — cioè, ci stiamo attaccando ad essa.

Quando Bhagavan dice, ‘உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்’ (uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṯkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum ), ‘Afferrando la forma, esso sorge in essere; afferrando la forma si regge; afferrando e nutrendosi di forma cresce con abbondanza; lasciando [una] forma, afferra [un’altra] forma’, l’ ‘afferrare’ o பற்று (paṯṟu ) a cui si riferisce avviene nella nostra consapevolezza, ed è dando attenzione a (cioè, scegliendo di essere consapevoli di) qualsiasi cosa diversa da noi stessi che la afferriamo. Quindi non c’è una cosa come una consapevolezza distaccata, perché diveniamo consapevoli di qualcosa solo afferrandola nella nostra attenzione. L’attaccamento quindi si trova proprio alla radice della nostra consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da noi stessi.

Quando egli dice, ‘உரு பற்றி நிற்கும்’ (uru paṯṟi niṯkum ), ‘afferrando la forma esso si regge’, e ‘உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்’ (uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum ), ‘afferrando e nutrendosi di forma esso cresce con abbondanza’, ciò che intende chiaramente è che il nostro ego è nutrito e sostenuto dal dare attenzione a (e quindi essere consapevole di) qualsiasi cosa diversa da noi stessi. Quindi non possiamo annientare il nostro ego con ogni mezzo diverso dall’essere semplicemente auto-attentivi — cioè, cercare di essere consapevoli soltanto di noi stessi, in completo isolamento da ogni consapevolezza di qualsiasi altra cosa.

Poiché questo ego può reggersi o resistere solo ‘afferrando la forma’ (cioè, dando attenzione a qualsiasi cosa diversa da se stesso), e poiché esso stesso è senza forma (cioè, poiché non ha forma propria, ma sembra averla solo quando attacca se stesso a una forma, come un fantasma che possiede un cadavere), se cerca di dare attenzione solo a se stesso, non avrà supporto a cui aggrapparsi, e quindi sprofonderà e scomparirà. Questo è ciò che Bhagavan intende quando dice, ‘தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும்’ (tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum ), che significa letteralmente, ‘Se cercato [esaminato o investigato], esso fuggirà’.

Poiché il nostro ego sorge e si regge solo attaccandosi a qualcosa diversa da se stesso, è nato e sopravvive solo in uno stato di attaccamento, così non possiamo liberarci da tutti i nostri attaccamenti se non ci liberiamo dal nostro ego. Quindi, poiché il nostro ego si dissolverà e cesserà di esistere solo quando cercherà di dare attenzione soltanto a se stesso, essere auto-attentivi è il solo mezzo con cui possiamo rinunciare o liberarci da tutti i nostri attaccamenti. Questo è il motivo per cui Bhagavan concluse il verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu (che ho citato precedentemente in questo articolo) dicendo: ‘ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்’ (ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr ), che significa , ‘Quindi, sappi che solo investigare cos’è questo [ego] è rinunciare ad ogni cosa’.

Cioè, poiché il nostro ego è solamente un fantasma senza forma — un’apparenza illusoria, qualcosa che sembra esistere ma non esiste realmente — se lo investighiamo cercando di dare attenzione soltanto ad esso, scomparirà completamente, come un serpente illusorio quando lo riconosciamo come solo una corda, e poiché ogni altra cosa sembra esistere solo finché ci sperimentiamo come questo ego, investigando e sperimentando cos’è realmente questo ego non solo lasceremo questo ego ma anche ogni altra cosa, inclusi tutti i nostri attaccamenti.

In ultima analisi, siamo di fronte in ogni momento a due opzioni: o cerchiamo di investigare e sperimentare ciò che siamo realmente, o permettiamo alla nostra attenzione di continuare ad afferrare altre cose. Finché permettiamo alla nostra attenzione di afferrare qualsiasi cosa diversa da noi stessi, stiamo nutrendo e sostenendo non solo il nostro ego ma anche tutti i suoi attaccamenti, così scegliendo la seconda opzione non possiamo mai sperimentare un reale distacco. Quindi il solo mezzo efficace con cui possiamo sperimentare un reale distacco è l’auto-investigazione (ātma-vicāra ) — cioè, cercare di essere esclusivamente auto-attentivi.

Quindi, se interpretiamo il termine sākṣi-bhāva come un tentativo di essere distaccati anche mentre siamo consapevoli di qualsiasi cosa che sembra accadere, all’interno o all’esterno di noi, nel mondo in cui ora sembriamo vivere, fare questo sarebbe un tentativo inutile e auto-illusorio, e quindi non una giusta pratica spirituale. Quindi, se vogliamo interpretare questo termine sākṣi-bhāva con il significato di una pratica spirituale efficace, dobbiamo interpretarlo solo come auto-investigazione, la semplice pratica di cercare di essere consapevoli soltanto di noi stessi.

Finché siamo consapevoli di qualcosa diversa da noi stessi, la stiamo afferrando (trattenendola nella nostra consapevolezza) e quindi attaccandoci ad essa. Perciò non possiamo essere autenticamente distaccati da qualcosa finché ne siamo consapevoli, e quindi il solo modo in cui possiamo essere realmente distaccati da ogni cosa è essere auto-attentivi — cioè, afferrando nient’altro che noi stessi soltanto.

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Epilogo

All’inizio di questo articolo mi sono riferito al video di una discussione a cui ho partecipato all’inizio di questo mese con un gruppo di amici di Londra. All’inizio di quella discussione ho parlato per un po’ dell’importanza dei versi 25 e 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu , dicendo che essi possono essere usati per rispondere a molte domande che sorgono riguardo gli insegnamenti di Bhagavan Ramana e la pratica di auto-investigazione, e in particolare per spiegare l’efficacia unica di questa pratica e perché è il solo mezzo con cui possiamo sperimentare ciò che siamo realmente. Spero che questo articolo illustri questo punto, perché molte delle idee che ho discusso e degli argomenti che ho offerto qui sono ampiamente basati su ciò che Bhagavan ci ha insegnato in questi due versi cruciali.

Nel caso qualche lettore fosse interessato a vedere questo video e a sentire ciò che ho detto riguardo questi due versi o come ho risposto alla domanda che mi è stata posta su sākṣi-bhāva, è incluso di seguito:



Una copia audio di questo video può anche essere ascoltata o scaricata da ​11th April 2015: Discussion with Michael James on the ego and how to annihilate it.



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Due commenti di Michael James a questo articolo :

Michael James ha detto...

Scrivendo questo articolo ho notato un serio errore di stampa sia nel libro stampato sia nella copia PDF della nostra traduzione Inglese di Guru Vācaka Kōvai. Cioè, nella spiegazione di Sadhu Om del verso 674, in cui Bhagavan dice che qualsiasi cosa può accadere in qualunque modo, dovremmo separare noi stessi e rimanere come il testimone di esso, è stampata (nell’ultima frase a pagina 206), ‘Quindi, quando Sri Bhagavan dice in questo verso che dovremmo semplicemente essere un testimone a tutte le cose, non intende che dovremmo rimanere come il sole, non attaccati e non coinvolti con qualsiasi cosa accade o non accade in nostra presenza’, mentre ciò che ha realmente scritto fu:

‘Quindi, quando Sri Bhagavan dice in questo verso che dovremmo semplicemente essere un testimone di tutte le cose, non intende che dovremmo dare attenzione ad esse. Egli intende semplicemente che dovremmo rimanere come il sole, non attaccati e non coinvolti con qualsiasi cosa accade o non accade in nostra presenza.’

21 Aprile 2015 17:18

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Michael James ha detto...

Per inciso, la seguente è una traduzione esatta del verso 674 di Guru Vācaka Kōvai, a cui mi sono riferito nel mio precedente commento:
எவ்வெது வெவ்வா றியங்கினு நீபிரிந்
தவ்வதன் சான்றா யமர்.

evvedu vevvā ṟiyaṅgiṉu nīpirin
tavvadaṉ sāṉḏṟā yamar
.

பதச்சேதம்: எவ் எது எவ்வாறு இயங்கினும், நீ பிரிந்து அவ் அதன் சான்று ஆய் அமர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): e-vv-edu e-vv-āṟu iyaṅgiṉum, nī pirindu a-vv-adaṉ sāṉḏṟu āy amar .

Traduzione: Qualsiasi cosa accade in qualunque modo, separando te stesso rimani come il testimone di ogni cosa.

Le parole நீ பிரிந்து (nī pirindu ), che significano ‘separando te stesso’, sono cruciali in questo contesto, perché implicano che ritirando la nostra attenzione verso noi stessi soltanto, dovremmo isolare noi stessi da qualsiasi cosa può accadere.

21 Aprile 2015 17:47

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