Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

martedì 15 marzo 2016

Il ruolo della logica nello sviluppo di una comprensione chiara, coerente e semplice degli insegnamenti di Bhagavan

Michael James

28 Febbraio 2016
The role of logic in developing a clear, coherent and uncomplicated understanding of Bhagavan’s teachings


Nel mio articolo precedente, Perché dovremmo credere a ciò che Bhagavan ci ha insegnato?, in modo particolare nelle prime nove sezioni, ho discusso la logica che egli ha usato per spiegarci perché dovremmo credere ai principi fondamentali dei suoi insegnamenti, cosa che ha spinto diversi amici a scrivere commenti chiedendo ulteriori chiarificazioni o esprimendo le loro visioni riguardo questo soggetto. Quindi in questo articolo inizierò nelle prime cinque sezioni riproducendo ed espandendo le risposte che ho scritto a questi commenti scritti da un amico di nome Wittgenstein, e poi nelle sette sezioni successive risponderò ai commenti scritti da un altro amico di nome Venkat.
  1. Il sorgere di noi stessi come questo ego causa l’apparenza di altre cose nella nostra consapevolezza
  2. Perché il nostro ego deve essere la causa e altre cose devono essere i suoi effetti?
  3. Uḷḷadu Nāṟpadu versi 23 e 28: abbiamo bisogno di una mente sottile e acuta per discernere ciò che siamo realmente
  4. Śrī Aruṇācala Aṣṭakam verso 5: dobbiamo purificare la nostra mente lucidandola su sé stessa
  5. Perché non dovremmo essere contrari a comprendere la logica degli insegnamenti di Bhagavan
  6. Le premesse della conclusione deduttiva che non siamo un corpo o una mente non sono dedotte induttivamente
  7. Possiamo concludere deduttivamente che il mondo appare nella nostra consapevolezza solo perché siamo sorti come questo ego
  8. Poiché tutti i pensieri e le percezioni appaiono solo nella consapevolezza del nostro ego, esso è la sola causa della loro apparenza
  9. Benché tutte le conclusioni deduttive siano tautologie, possono nondimeno essere estremamente significative e preziose
  10. Perché dobbiamo concludere che il nostro ego è la causa dell’apparenza del mondo?
  11. Esiste qualche mondo indipendentemente dal nostro ego o mente?
  12. Come possiamo riconoscere chiaramente che siamo consapevoli di noi stessi mentre dormiamo?

1. Il sorgere di noi stessi come questo ego causa l’apparenza di altre cose nella nostra consapevolezza

Nella settima sezione del mio articolo precedente, L’uso di Bhagavan della logica deduttiva e di quella induttiva, ho scritto:
Poiché ogni cosa che sperimentiamo diversa da noi stessi sembra esistere solo nella veglia e nel sogno, quando sperimentiamo noi stessi come un corpo, e poiché quando non sperimentiamo noi stessi come un corpo non sperimentiamo niente altro, come nel sonno, è ragionevole per noi supporre che ci sia una connessione causale tra la nostra esperienza ‘io sono questo corpo’ e l’apparenza di qualsiasi altra cosa nella nostra consapevolezza, così quando Bhagavan ci insegna che è così, sta confermando qualcosa che non è necessariamente vero ma altamente probabile, perché sebbene non possiamo dedurre questo con la logica deduttiva, possiamo dedurlo per mezzo della logica induttiva.
Nel suo primo commento Wittgenstein ha citato questo e ha chiesto, “Non sono in grado di vedere come possiamo ragionevolmente supporre (o dedurre per mezzo della logica induttiva) una connessione causale. L’esperienza ‘io sono questo corpo’ e ogni altra cosa appaiono simultaneamente [al risveglio dal sonno] nella nostra consapevolezza e quindi non possiamo supporre qui alcuna connessione causale. Una connessione causale comporterebbe un ‘prima’ [causa] e un ‘dopo’ [effetto]. La sola supposizione ragionevole che può essere fatta (secondo me) è che l’esperienza ‘io sono questo corpo’ e l’apparenza di ogni altra cosa nella nostra consapevolezza sono fortemente correlate”. In risposta a questo ho scritto un commento in cui ho spiegato:
Wittgenstein, una causa non ha bisogno necessariamente di precedere i suoi effetti, perché in alcuni casi una causa è i suoi effetti accadono simultaneamente. Per esempio, quando una palla da biliardo in movimento si scontra con una palla ferma, quest’ultima inizia immediatamente a muoversi. In questo caso lo scontro è la causa e il trasferimento di velocità dalla palla da biliardo in movimento a quella ferma è il suo effetto. Appena lo scontro avviene, è trasferita una certa quantità di moto.

Nello stesso modo, appena sorgiamo come questo ego (la nostra forma di auto-consapevolezza mischiata ad aggiunte, ‘io sono questo corpo’), diveniamo consapevoli di altre cose, e appena questo ego sprofonda cessiamo di essere consapevoli di qualsiasi altra cosa. Poiché questo accade ogni volta, e poiché non abbiamo mai sperimentato noi stessi come questo ego senza essere simultaneamente consapevoli di altre cose, né siamo mai stati consapevoli di qualsiasi altra cosa senza sperimentare noi stessi come questo ego, possiamo dedurre induttivamente una connessione causale tra questo ego (la nostra esperienza ‘io sono questo corpo’) e l’apparenza di qualsiasi altra cosa nella nostra consapevolezza.

Ogni volta che osserviamo che due cose accadono sempre simultaneamente, e che una non accade mai senza l’altra, deduciamo naturalmente una connessione causale tra esse. Poiché questa è una deduzione induttiva, può non essere corretta. Il fatto che abbiamo sempre osservato queste due cose accadere simultaneamente, e non abbiamo mai osservato una di esse accadere senza l’altra, potrebbe essere una semplice coincidenza, ma più frequentemente osserviamo questo, sempre meno probabile diviene il fatto che sia solo una coincidenza. Se una volta osserviamo una di esse accadere senza l’altra, dovremmo dedurre che una non causa l’altra, ma finché o se non osserviamo questo abbiamo forti motivi di credere che in qualche modo esse sono casualmente connesse.

Una connessione causale tra due cose può essere di due tipi. Cioè, o una causa l’altra, o entrambe sono effetti della stessa causa. Nel secondo caso, entrambi gli effetti possono sempre avvenire insieme, o possono qualche volta avvenire insieme o qualche volta avvenire separatamente. Se qualche volta possono avvenire separatamente, la connessione causale tra esse è relativamente debole, mentre se essi devono sempre avvenire insieme, è relativamente forte.

Nel caso del nostro ego e della consapevolezza di altre cose, essi devono sempre avvenire insieme, per la semplice ragione che ho spiegato nel terzo paragrafo della sezione 6 di questo articolo, vale a dire perché ciò che è chiamato ‘ego’ è la nostra consapevolezza di noi stessi come qualcosa separata e limitata, e per essere consapevoli di noi stessi come qualcosa separata e limitata, dobbiamo essere consapevoli di altre cose, e ugualmente, per essere consapevoli di altre cose, dobbiamo essere consapevoli di noi stessi come qualcosa separata e limitata. La connessione causale tra queste due cose è quindi molto ovvia e può essere effettivamente dedotta non solo dalla logica induttiva ma anche dalla logica deduttiva.

Sebbene alla fine del brano che hai citato ho scritto, ‘anche se non possiamo dedurre questo con la logica deduttiva, possiamo dedurlo con la logica induttiva’, l’ho fatto seguendo un ragionamento particolare, ma quando consideriamo l’argomento che ho appena riassunto, possiamo effettivamente vedere che la connessione causale tra il nostro ego e la nostra consapevolezza di altre cose può anche essere dedotta dalla logica deduttiva.

Cioè, come Bhagavan ha spiegato spesso, ciò che è consapevole di altre cose è solo noi stessi come questo ego, così possiamo dedurre logicamente che siamo consapevoli di altre cose solo perché siamo sorti come questo ego. Poiché non potremmo essere consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi se non fossimo sorti come questo ego, è necessariamente vero che il sorgere di noi stessi come questo ego è la causa radice della nostra consapevolezza di altre cose. Quindi questa è più di una forte correlazione, perché il fatto che è un caso di causa ed effetto è molto chiaro e ovvio.
2. Perché il nostro ego deve essere la causa e altre cose devono essere i suoi effetti?

In risposta a questo Wittgenstein ha scritto un altro commento, a cui ho risposto:
Riguardo ciò che scrivi nel tuo ultimo commento sulla causalità simultanea, in ogni caso di causalità fisica, come l’esempio che ho fornito delle palle da biliardo, la catena causale di eventi e le circostanze associate sono abitualmente complesse, così quando si decide cosa causa cosa, devono essere considerati molti fattori. Nel caso delle palle da biliardo, la causa immediata per il trasferimento di quantità di moto è lo scontro, e la velocità della palla da biliardo, il percorso in cui si muoveva e la posizione della palla ferma erano tutte circostante che hanno dato origine a quello scontro. Se qualcuna di queste circostanze fosse stata diversa, lo scontro non sarebbe accaduto, così le circostanze combinate sono state la causa di esso. Tuttavia, per quanto la causa immediata (lo scontro) e il suo effetto immediato (il trasferimento di quantità di moto) sono coinvolti, essi accadono simultaneamente.

Nello stesso modo, nel caso del sorgere di dualità, molteplicità e alterità, la causa immediata è il sorgere di noi stessi come questo ego, e i suoi effetti sono qualsiasi altra cosa di cui siamo ora consapevoli. Appena sorgiamo come questo ego, diveniamo consapevoli di altre cose, così questo è anche un caso di causalità simultanea.

Riguardo la domanda su quale di questi due eventi simultanei (il nostro sorgere come questo ego e il nostro divenire consapevoli di altre cose) è la causa e quale è l’effetto, a me sembra chiaro che il nostro sorgere come questo ego è la causa, perché il nostro ego soltanto è ciò che è consapevole di altre cose, così per essere consapevoli di altre cose dobbiamo sorgere come questo ego (proprio come, percheé sia trasferita una quantità di moto da una palla da biliardo in movimento a una palla ferma deve avvenire uno scontro). Sebbene questi due eventi accadono simultaneamente, il nostro sorgere come questo ego è un prerequisito per il nostro divenire consapevoli di altre cose (proprio come lo scontro è un prerequisito per il trasferimento di una quantità di moto).

Qui ‘prerequisito’ non significa anteriore nel tempo ma anteriore nella catena di causa ed effetto. Di fatto tutte le cause e gli effetti (anche proprio i concetti di tempo e di causa ed effetto) iniziano solo con il sorgere di noi stessi come questo ego, così l’ego è la causa primaria di ogni cosa, come Bhagavan spiega nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu.

Un’altra ragione per cui il nostro ego deve essere la causa e la nostra consapevolezza di altre cose l’effetto è che il nostro ego è lo sperimentatore mentre le altre cose sono fenomeni che esso sperimenta. Senza uno sperimentatore, non ci sarebbe esperienza, così causalmente (anche se non necessariamente nel tempo) il nostro ego deve precedere ciascuna delle sue esperienze (cioè, ciascuno dei fenomeni che esso sperimenta).

Un’altra ragione può essere compresa considerando questo: se investighiamo noi stessi e quindi sperimentiamo ciò che siamo realmente, l’illusione di essere questo ego sarà distrutta, e insieme con la sua distruzione la nostra consapevolezza di altre cose cesserà. In altre parole, annientando il nostro ego cesseremo di essere consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi. Tuttavia, non possiamo annientare il nostro ego solamente cessando di essere consapevoli di ogni altra cosa, perché cessiamo di essere consapevoli di ogni altra cosa ogni volta che ci addormentiamo, ma il nostro ego non è per questo annientato. Poiché il nostro ego è la causa della nostra consapevolezza di altre cose, quando esso è distrutto la nostra consapevolezza di altre cose è simultaneamente distrutta, mentre la cessazione della nostra consapevolezza di altre cose non può in sé stessa distruggere il nostro ego ma porterà solo al sonno o a qualche altro simile stato di manōlaya.

Riguardo a ciò che hai scritto nel tuo paragrafo finale rispetto al perché Bhagavan ha chiesto all’interrogante in Maharshi’s Gospel (edizione 2002, pagine 67-8) di usare la logica induttiva, quando ti ho risposto ieri l’ho fatto con un po’ di fretta, così non mi sono dato tempo sufficiente per pensare abbastanza attentamente a ciò che stavo scrivendo. Quindi ho bisogno di chiarificare ciò che ho scritto in quella risposta [che ho riprodotto sopra nella sezione uno], in modo particolare nel penultimo paragrafo.

Ciò che possiamo desumere deduttivamente (seguendo il ragionamento che ho spiegato nel terzo paragrafo della sezione 6 di questo articolo e che ho riassunto nel terz’ultimo paragrafo della mia risposta precedente) è che la nostra consapevolezza di altre cose è dipendente dal nostro essere consapevoli di noi stessi come questo ego (cioè, come qualcosa che è separata e limitata), ma ciò che non possiamo desumere deduttivamente è che l’esistenza di altre cose è dipendente dal nostro essere consapevoli di noi stessi come questo ego.

Secondo Bhagavan esistenza e consapevolezza sono una medesima cosa, così nessuna cosa esiste se non siamo consapevoli di essa. Tuttavia, il nostro essere consapevoli di qualcosa non significa che quella cosa esista realmente ma solo che essa sembra esistere (proprio come le cose di cui siamo consapevoli in un sogno non esistono realmente anche se sembrano esistere). La sola cosa che deve esistere realmente è noi stessi, perché per essere consapevoli di qualcosa, sia reale che illusoria, noi dobbiamo esistere. Quindi ogni volta che siamo consapevoli di qualcosa diversa da noi stessi, dovremmo considerare la questione se quelle altre cose esistono realmente o solamente sembrano esistere. Questo è il problema che affrontiamo quando consideriamo l’esistenza o la realtà del mondo. La sua esistenza dipende dalla nostra consapevolezza di esso, nel qual caso esso sembrerebbe solamente esistere, o non dipende dalla nostra consapevolezza di esso, nel quale caso esso esisterebbe realmente?

Non possiamo conoscere con certezza la risposta a questa domanda se non conosciamo ciò che noi stessi siamo realmente, ma secondo Bhagavan (come ha inteso, per esempio, nel verso 28 di Upadēśa Undiyār) quando conosciamo ciò che siamo realmente conosceremo che siamo auto-consapevolezza infinita e indivisibile, al di là della quale niente può esistere, così ogni altra cosa di cui siamo ora consapevoli non esiste realmente anche se sembra esistere nella visione auto-ignorante del nostro ego.

Tuttavia, finché sperimentiamo noi stessi come questo ego, possiamo solo dedurre con la logica induttiva che poiché siamo consapevoli di questo mondo solo quando sperimentiamo noi stessi come questo corpo particolare, e poiché siamo consapevoli di qualche altro mondo quando sperimentiamo noi stessi come qualche altro corpo nel sogno, e poiché non siamo consapevoli di nessun mondo quando non sperimentiamo noi stessi come qualche corpo, come nel sonno, l’esistenza apparente di ogni mondo è dipendente dalla nostra forma illusoria di auto-consapevolezza mischiata ad aggiunte, ‘io sono questo corpo’, che è il nostro ego. Per mezzo della logica deduttiva non possiamo dedurre che nessun mondo esiste realmente quando non sperimentiamo noi stessi come un corpo, ma possiamo dedurre questo con la logica induttiva, che è il punto che Bhagavan stava facendo in quel brano registrato in Maharshi’s Gospel.
3. Uḷḷadu Nāṟpadu versi 23 e 28: abbiamo bisogno di una mente sottile e acuta per discernere ciò che siamo realmente

Prima di rispondere alla mia prima risposta Wittgenstein aveva scritto due altri commenti, ai quali ho risposto:
Wittgenstein, sono d’accordo con quasi ogni cosa che hai scritto nei primi due degli ultimi tuoi tre commenti, in modo particolare riguardo il bisogno per noi di semplificare e perfezionare i nostri credi e concetti, cosa che comporta l’eliminare tutti quelli non necessari e superflui, guidati dall’’approccio minimalista’ che Bhagavan ci insegna in Uḷḷadu Nāṟpadu e in altre opere, e quindi sviluppare una mente sottile, purificata, assottigliata e acuta (che è ciò che egli descrive come ‘கூர்ந்த மதி’ (kūrnda mati), un intelletto sottile, rifinito affilato, acuto, preciso e discriminante, nel verso 23), perché questo è lo strumento che ci è richiesto per investigare e discernere effettivamente ciò che siamo realmente. Questo è il motivo per cui egli usava dire che in questo sentiero ciò che è richiesto non è imparare qualcosa di nuovo ma disimparare ogni cosa che abbiamo imparato nel passato.

Come tu dici, alcune persone possono essere già dotate di un tale chiaro ed acuto intelletto, anche se sono illetterati, nel qual caso essi sarebbero in grado di riconoscere intuitivamente la verità in tutti i punti sottili che Bhagavan ci insegna in opere come Nāṉ Yār?, Uḷḷadu Nāṟpadu and Upadēśa Undiyār, ma la maggior parte di noi ha bisogno di fare śravaṇa, manana e nididhyāsana ripetuti per purificare, assottigliare e affinare la nostra mente al grado richiesto per riuscire nella nostra auto-investigazione. E come tu anche intendi, più la nostra comprensione diviene sottile, purificata e quindi chiara, più chiaramente saremo in grado di riconoscere l’infallibilità dell’indicazione che lui ci ha dato, vale a dire la nostra auto-consapevolezza, ‘io sono’. Anche se non abbiamo ancora sperimentato noi stessi come siamo realmente, saremo sicuri, come un cane che segue l’odore del suo compagno umano, che attendendo alla nostra semplice auto-consapevolezza saremo infallibilmente condotti al nostro fine.
Ciò che Bhagavan ha scritto nel verso 23di Uḷḷadu Nāṟpadu riguardo il bisogno di ‘நுண் மதி’ (nuṇ mati), una mente o intelletto sottile e acuto, è:
நானென்றித் தேக நவிலா துறக்கத்து
நானின்றென் றாரு நவில்வதிலை — நானொன்
றெழுந்தபி னெல்லா மெழுமிந்த நானெங்
கெழுமென்று நுண்மதியா லெண்.

nāṉeṉḏṟid dēha navilā duṟakkattu
nāṉiṉḏṟeṉ ḏṟāru navilvadilai — nāṉoṉ
ḏṟeṙundapi ṉellā meṙuminda nāṉeṅ
geṙumeṉḏṟu nuṇmatiyā leṇ
.

பதச்சேதம்: ‘நான்’ என்று இத் தேகம் நவிலாது. ‘உறக்கத்தும் நான் இன்று’ என்று ஆரும் நவில்வது இலை. ‘நான்’ ஒன்று எழுந்த பின், எல்லாம் எழும். இந்த ‘நான்’ எங்கு எழும் என்று நுண் மதியால் எண்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ‘nāṉ’ eṉḏṟu id-dēham navilādu. ‘uṟakkattum nāṉ iṉḏṟu’ eṉḏṟu ārum navilvadu ilai. ‘nāṉ’ oṉḏṟu eṙunda piṉ, ellām eṙum. inda ‘nāṉ’ eṅgu eṙum eṉḏṟu nuṇ matiyāl eṇ.

அன்வயம்: இத் தேகம் ‘நான்’ என்று நவிலாது. ‘உறக்கத்தும் நான் இன்று’ என்று ஆரும் நவில்வது இலை. ‘நான்’ ஒன்று எழுந்த பின், எல்லாம் எழும். இந்த ‘நான்’ எங்கு எழும் என்று நுண் மதியால் எண்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): id-dēham ‘nāṉ’ eṉḏṟu navilādu. ‘uṟakkattum nāṉ iṉḏṟu’ eṉḏṟu ārum navilvadu ilai. ‘nāṉ’ oṉḏṟu eṙunda piṉ, ellām eṙum. inda ‘nāṉ’ eṅgu eṙum eṉḏṟu nuṇ matiyāl eṇ.

Traduzione: Questo corpo non dichiara [sé stesso come] ‘io’. Nessuno dichiara ‘Nel sonno non esistevo’. Dopo che un ‘io’ sorge, ogni cosa sorge. Investiga [considera, determina o scopri] con una mente sottile dove sorge questo ‘io’.
L’ultima parola di questo verso, எண் (eṇ), è una forma imperativa di un verbo che significa pensare, considerare, ponderare, meditare, determinare o constatare, e in questo contesto è usata nel senso di investigare, così questa frase finale è un’istruzione a investigare e a constatare dove sorge questo ‘io’. Tuttavia quando Bhagavan ha aggiunto alcune sillabe supplementari alla fine di ciascun verso di Uḷḷadu Nāṟpadu per collegarli tutti insieme come un singolo verso kaliveṇbā, ha cambiato எண் (eṇ) in எண்ண (eṇṇa), che è una forma infinita e che è usata per esprimere una condizione, intendendo in questo contesto ‘quando uno investiga’, e ha aggiunto la parola நழுவும் (naṙuvum), che significa ‘esso se la svignerà’, così questa frase finale di conseguenza diviene: ‘இந்த நான் எங்கு எழும் என்று நுண் மதியால் எண்ண, நழுவும்’ (inda nāṉ eṅgu eṙum eṉḏṟu nuṇ matiyāl eṇṇa, naṙuvum), che significa ‘Quando uno investiga con una mente sottile dove sorge questo ‘io’ , esso se la svignerà’.

Qui ‘questo io’ si riferisce al nostro ego, dopo il cui sorgere o apparire ogni altra cosa sorge o appare, e dove esso sorge è il nostro sé reale, che è la sorgente da cui esso appare. Quindi ‘இந்த நான் எங்கு எழும் என்று நுண் மதியால் எண்’ (inda nāṉ eṅgu eṙum eṉḏṟu nuṇ matiyāl eṇ) significa ‘Investigare con una mente sottile dove sorge questo ‘io’’ e implica che dovremmo osservare attentamente o meditare su noi stessi, la sorgente da cui siamo sorti come questo ego.

Lo strumento con cui di conseguenza dobbiamo investigare noi stessi è espresso dalla frase ‘நுண் மதியால்’ (nuṇ matiyāl), che è una forma strumentale di ‘நுண் மதி’ (nuṇ mati) e che quindi significa ‘per mezzo di una mente sottile’ o ‘con una mente sottile’. நுண் (nuṇ) significa sottile, purificato, minuto, snello, aguzzo, acuto, preciso e penetrante, e மதி (mati) è una parola di origine Sanscrita che in questo contesto significa mente, intelletto, comprensione, perspicacia o potere di discernimento.

Il significato di ‘நுண் மதி’ (nuṇ mati) è molto vicino a quello di ‘கூர்ந்த மதி’ (kūrnda mati), che è un termine che Bhagavan ha usato in un contesto simile nel verso 28 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
எழும்பு மகந்தை யெழுமிடத்தை நீரில்
விழுந்த பொருள்காண வேண்டி — முழுகுதல்போற்
கூர்ந்தமதி யாற்பேச்சு மூச்சடக்கிக் கொண்டுள்ளே
யாழ்ந்தறிய வேண்டு மறி.

eṙumbu mahandai yeṙumiḍattai nīril
viṙunda poruḷkāṇa vēṇḍi — muṙuhudalpōṯ
kūrndamati yāṯpēccu mūccaḍakkik koṇḍuḷḷē
yāṙndaṟiya vēṇḍu maṟi
.

பதச்சேதம்: எழும்பும் அகந்தை எழும் இடத்தை, நீரில் விழுந்த பொருள் காண வேண்டி முழுகுதல் போல், கூர்ந்த மதியால் பேச்சு மூச்சு அடக்கிக் கொண்டு உள்ளே ஆழ்ந்து அறிய வேண்டும். அறி.

Padacchēdam (separazione delle parole): eṙumbum ahandai eṙum iḍattai, nīril viṙunda poruḷ kāṇa vēṇḍi muṙuhudal pōl, kūrnda matiyāl pēccu mūccu aḍakki-k koṇḍu uḷḷē āṙndu aṟiya vēṇḍum. aṟi.

அன்வயம்: நீரில் விழுந்த பொருள் காண வேண்டி [பேச்சு மூச்சு அடக்கிக் கொண்டு] முழுகுதல் போல், எழும்பும் அகந்தை எழும் இடத்தை கூர்ந்த மதியால் பேச்சு மூச்சு அடக்கிக் கொண்டு உள்ளே ஆழ்ந்து அறிய வேண்டும். அறி.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): nīril viṙunda poruḷ kāṇa vēṇḍi [pēccu mūccu aḍakki-k koṇḍu] muṙuhudal pōl, eṙumbum ahandai eṙum iḍattai kūrnda matiyāl pēccu mūccu aḍakki-k koṇḍu uḷḷē āṙndu aṟiya vēṇḍum. aṟi.

Traduzione: Come tuffarsi per vedere un oggetto che è caduto nell’acqua, immergersi all’interno trattenendo parola e respiro con una mente acuta è necessario per conoscere il luogo dove sorge l’ego sorgente. Sappi.
‘எழும்பும் அகந்தை எழும் இடத்தை’ (eṙumbum ahandai eṙum iḍattai) significa letteralmente ‘il luogo dove sorge l’ego sorgente’ o ‘il luogo-sorgente dell’ego sorgente’, perché இடத்தை (iḍattai) è la forma accusativa di இடம் (iḍam), che significa luogo, spazio o posizione, ma che Bhagavan ha usato spesso come una metafora per riferirsi a noi stessi, la sorgente da cui siamo sorti come questo ego. Quindi ciò che egli intende in questo verso è che dovremmo affondare o penetrare profondamente all’interno di noi stessi per conoscere o sperimentare noi stessi come siamo realmente.

Lo strumento con cui dobbiamo di conseguenza conoscere noi stessi è espresso dalla frase ‘கூர்ந்த மதியால்’ (kūrnda matiyāl), che è una forma strumentale di ‘கூர்ந்த மதி’ (kūrnda mati) e che quindi significa ‘per mezzo di una mente acuta’ o ‘con una mente acuta’. கூர்ந்த (kūrnda) è il participio passato relativo del verbo கூர் (kūr), che significa essere acuto, affilato, aguzzo, appuntito, pungente o penetrante, così கூர்ந்த மதி (kūrnda mati) significa una mente, intelletto o potere di discernimento che è divenuto acuto, affilato, aguzzo e penetrante.

கூர்ந்த (kūrnda) è spesso usato come un aggettivo per descrivere un intelletto che è sottile, affilato, acuto e vivamente percettivo, ma ciò che è inteso con esso in questo contesto include più che solo l’abilità di usare il ragionamento logico in modo acuto, chiaro e percettivo, perché quello che ci è richiesto per discernere ciò che siamo realmente è una profonda chiarezza di percezione interiore che va molto oltre la semplice capacità di ragionare chiaramente e logicamente. Sebbene un ragionamento chiaro e sottile può aiutarci a riconoscere il mezzo con cui possiamo discernere ciò che siamo realmente, in sé stesso non può permetterci di discernere il nostro sé reale, perché per fare questo abbiamo bisogno di rivolgere la nostra intera attenzione soltanto verso noi stessi, quindi lasciando indietro tutto il ragionamento.

Se abbiamo sviluppato l’interiore chiarezza di auto-consapevolezza, profonda, sottile e acuta, che Bhagavan intende con i termini நுண் மதி (nuṇ mati) e கூர்ந்த மதி (kūrnda mati), saremo naturalmente in grado di ragionare in modo chiaro, coerente, logico e vivamente percettivo, ma essere in grado di ragionare chiaramente, coerentemente e logicamente non significa necessariamente avere la chiarezza di percezione affilata e sottile che è richiesta per focalizzare la propria intera attenzione soltanto su sé stessi e quindi sperimentare sé stessi come si è realmente. Molte persone che hanno un intelletto brillante, che possono applicare fruttuosamente nella filosofia, nella matematica, nella scienza e in altre attività intellettuali dirette esteriormente come queste, non sarebbero in grado di rivolgere la loro intera attenzione all’interno e quindi fondersi nella sorgente da cui essi sono sorti, e possono anche non essere in grado di comprendere la sottile filosofia insegnata da Bhagavan, in modo particolare se non sono in grado di riconoscere il fatto cruciale che siamo sempre consapevoli di noi stessi, anche quando non siamo consapevoli di niente altro, come nel sonno.

4. Śrī Aruṇācala Aṣṭakam verso 5: dobbiamo purificare la nostra mente lucidandola su sé stessa

Il mezzo più efficace per sviluppare la sottigliezza e l’acutezza mentale che Bhagavan descrive come ‘நுண் மதி’ (nuṇ mati) e ‘கூர்ந்த மதி’ (kūrnda mati), che intende essere per noi necessario per sperimentare noi stessi come siamo realmente, è cercare di praticare più possibile ātma-vicāra (auto-investigazione o auto-attentività). Come questa pratica di essere auto-attentivi purifica la nostra mente e la rende chiara, sottile ed acuta è meravigliosamente espresso da Bhagavan nel verso 5 di Śrī Aruṇācala Aṣṭakam:
மணிகளிற் சரடென வுயிர்தொறு நானா
      மதந்தொறு மொருவனா மருவினை நீதான்
மணிகடைந் தெனமன மனமெனுங் கல்லின்
      மறுவறக் கடையநின் னருளொளி மேவும்
மணியொளி யெனப்பிறி தொருபொருட் பற்று
      மருவுற லிலைநிழற் படிதகட் டின்விண்
மணியொளி படநிழல் பதியுமோ வுன்னின்
      மறுபொரு ளருணநல் லொளிமலை யுண்டோ.

maṇigaḷiṯ caraḍeṉa vuyirdoṟu nāṉā
      matandoṟu moruvaṉā maruviṉai nīdāṉ
maṇigaḍain deṉamaṉa maṉameṉuṅ galliṉ
      maṟuvaṟak kaḍaiyaniṉ ṉaruḷoḷi mēvum
maṇiyoḷi yeṉappiṟi doruporuṭ paṯṟu
      maruvuṟa lilainiṙaṟ paḍidakaṭ ṭiṉviṇ
maṇiyoḷi paḍaniṙal padiyumō vuṉṉiṉ
      maṟuporu ḷaruṇanal loḷimalai yuṇḍō
.

பதச்சேதம்: மணிகளில் சரடு என உயிர்தொறும் நானா மதந்தொறும் ஒருவனா மருவினை நீ தான். மணி கடைந்து என மனம் மனம் எனும் கல்லில் மறு அற கடைய நின் அருள் ஒளி மேவும். மணி ஒளி என பிறிது ஒரு பொருள் பற்றும் மரு உறல் இலை. நிழல் படி தகட்டின் விண்மணி ஒளி பட நிழல் பதியுமோ? உன்னின் மறு பொருள் அருண நல் ஒளி மலை உண்டோ?

Padacchēdam (separazione delle parole): maṇigaḷil caraḍu eṉa uyirdoṟum nāṉā matandoṟum oruvaṉā maruviṉai nī tāṉ. maṇi kaḍaindu eṉa maṉam maṉam eṉum kallil maṟu aṟa kaḍaiya niṉ aruḷ oḷi mēvum. maṇi oḷi eṉa piṟidu oru poruḷ paṯṟum maru uṟal ilai. niṙal paḍi takaṭṭiṉ viṇmaṇi oḷi paḍa niṙal padiyumō? uṉṉiṉ maṟu poruḷ aruṇa nal oḷi malai uṇḍō?

அன்வயம்: மணிகளில் சரடு என உயிர்தொறும் நானா மதந்தொறும் நீ தான் ஒருவனா மருவினை. மணி கடைந்து என மனம் மனம் எனும் கல்லில் மறு அற கடைய நின் அருள் ஒளி மேவும். மணி ஒளி என பிறிது ஒரு பொருள் பற்றும் மரு உறல் இலை. நிழல் படி தகட்டின் விண்மணி ஒளி பட நிழல் பதியுமோ? அருண நல் ஒளி மலை, உன்னின் மறு பொருள் உண்டோ?

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): maṇigaḷil caraḍu eṉa uyirdoṟum nāṉā matandoṟum nī tāṉ oruvaṉā maruviṉai. maṇi kaḍaindu eṉa maṉam maṉam eṉum kallil maṟu aṟa kaḍaiya niṉ aruḷ oḷi mēvum. maṇi oḷi eṉa piṟidu oru poruḷ paṯṟum maru uṟal ilai. niṙal paḍi takaṭṭiṉ viṇmaṇi oḷi paḍa niṙal padiyumō? aruṇa nal oḷi malai, uṉṉiṉ maṟu poruḷ uṇḍō?

Traduzione: Come la stringa in [un filo di] gemme, tu solo risplendi come l’unica [sostanza reale] in ogni anima e ogni mata [filosofia, religione o sistema di fede]. Come raffinando una gemma, quando la mente è lucidata sulla pietra chiamata mente per rimuovere [le sue] imperfezioni, la luce della tua grazia risplenderà al di fuori. Come la luce di una gemma [la cui lucentezza e colore sono inalterati dagli oggetti vicini], l’attaccamento a qualsiasi altra cosa non avverrà [in una mente che è stata raffinata in questo modo]. Dopo che la luce del sole ha toccato una pellicola fotografica, può qualsiasi ombra [o immagine] essere impressa in essa? Aruna, collina di luce intensa, c’è qualcosa altro che te?
Proprio come una gemma è lucidata sfregandola su un tipo speciale di mola per rimuovere tutte le sue imperfezioni e farla quindi risplendere con lucentezza, dobbiamo raffinare la nostra mente, e la mola su cui possiamo lucidarla più efficacemente è solo sé stessa, come Bhagavan intende dicendo ‘மனம் மனம் எனும் கல்லில் மறு அற கடைய’ (maṉam maṉam eṉum kallil maṟu aṟa kaḍaiya), che significa ‘quando la mente è lucidata sulla pietra chiamata mente per rimuovere [le sue] imperfezioni [o impurità]’. In altre parole, per rimuovere tutte le imperfezioni della nostra mente nella forma dei suoi desideri o attaccamenti a qualsiasi cosa diversa da noi stessi, dobbiamo lucidarla facendola attendere solo a sé stessa, la ‘மனம் எனும் கல்’ (maṉam eṉum kal) o ‘pietra chiamata mente’.

Ciò che in questo contesto si intende con ‘mente’ non è qualcuno degli altri pensieri che la costituiscono ma è solo il suo pensiero originale ed essenziale, vale a dire quello chiamato ‘io’ o ‘ego’. Dando attenzione ad ogni altro pensiero stiamo nutrendo e sostenendo il nostro attaccamento ad esso, mentre attendendo a questo ego stiamo recidendo il nostro attaccamento a qualsiasi cosa diversa da noi stessi, così non possiamo raffinare perfettamente la nostra mente dando attenzione a qualsiasi pensiero diverso da questo ego. Quindi quando Bhagavan dice che dovremmo lucidare la nostra mente sulla pietra chiamata mente, ciò che intende è che dovremmo attendere solo al nostro pensiero primario, ‘io’, che è la radice di tutti gli altri pensieri.

Quando una gemma è stata raffinata perfettamente, la sua lucentezza e il suo colore non saranno oscurati o adombrati da qualsiasi oggetto vicino. Nello stesso modo, quando la nostra mente sarà raffidata perfettamente dall’auto-attentività persistente, risplenderemo liberi da aggiunte come pura auto-consapevolezza, così nessun desiderio o attaccamento a qualsiasi altra cosa sorgerà in noi, perché saremo consapevoli di niente altro che noi stessi.

Per rendere questo punto ancora più chiaro Bhagavan ha fornito un’altra analogia. Più di un centinaio di anni fa, quando egli ha composto Śrī Aruṇācala Aṣṭakam, un’immagine registrata su una lastra fotografica o pellicola era prodotta da diverse tonalità di luce ed ombra, così se una pellicola era esposta alla brillante luce solare prima che fosse sviluppata, ogni immagine impressa in essa si sarebbe cancellata, e nessun’altra immagine avrebbe potuto essere impressa su di essa. Nello stesso modo, quando la nostra mente è stata sufficientemente purificata dall’auto-attentività, la chiara luce della pura auto-consapevolezza (che egli descrive qui come ‘நின் அருள் ஒளி’ (niṉ aruḷ oḷi), ‘la luce della tua grazia’) risplenderà al di fuori dall’interno di noi, consumando e cancellato per sempre le impressioni di tutte le altre cose, così la nostra mente sarà come una pellicola fotografica non ancora sviluppata esposta alla luce del sole. Cioè, tutte le impressioni passate saranno cancellate da essa, e nessuna ulteriore impressione potrà essere fatta su di essa, così risplenderà come niente altro che la chiara luce della pura auto-consapevolezza. La nostra esperienza sarà allora che solo questa chiara e intensa luce di pura auto-consapevolezza esiste, come inteso da Bhagavan nella frase finale di questo verso: ‘அருண நல் ஒளி மலை, உன்னின் மறு பொருள் உண்டோ?’ (aruṇa nal oḷi malai, uṉṉiṉ maṟu poruḷ uṇḍō?), ‘Aruna, collina di luce intensa, c’è qualcosa altro che te?’

Tuttavia, come la lucidatura di una gemma, la lucidatura della nostra mente sulla pietra chiamata mente è un processo che richiede un certo tempo e quindi richiede pazienza e perseveranza. Quindi dovremmo essere disposti a continuare a lucidarla con calma e persistente auto-attentività finché la luce ardente di pura auto-consapevolezza risplenda dall’interno di noi, distruggendo completamente il nostro ego.

Durante questo processo, più la nostra mente è lucidata, più diventerà raffinata, assottigliata, sottile, acuta e chiara, e questo raffinatezza, sottigliezza, acutezza e chiarezza di mente è ciò a cui Bhagavan si è riferito quando ha usato i termini ‘நுண் மதி’ (nuṇ mati) nel verso 23 di Uḷḷadu Nāṟpadu e ‘கூர்ந்த மதி’ (kūrnda mati) nel verso 28. Quando la nostra mente diviene in questo modo sufficientemente raffinata, acuta e chiara, saremo quindi in grado di focalizzare la nostra intera attenzione soltanto su noi stessi, e quindi sperimenteremo noi stessi come siamo realmente.

Fino ad allora, la sottigliezza, acutezza e chiarezza che sviluppiamo progressivamente praticando l’auto-attentività ci permetterà di riconoscere e comprendere con chiarezza crescente la semplice logica e la verità in tutto ciò che Bhagavan ci ha insegnato. La logica che sottende i suoi insegnamenti e li tiene insieme come un’unità coerente è così semplice che non ci richiede qualche particolare talento, addestramento, competenza o intelligenza eccezionale per comprenderlo, ma richiede un certo grado di chiarezza interiore, così più perseveriamo nell’essere auto-attentivi e quindi nel purificare la nostra mente, più chiaramente saremo in grado di comprendere la semplice ma sottile verità nei suoi insegnamenti.

5. Perché non dovremmo essere contrari a comprendere la logica degli insegnamenti di Bhagavan

Alcuni devoti di Bhagavan sono allontanati quando i suoi insegnamenti sono spiegati o discussi in modo logico, ma la semplice logica non dovrebbe allontanare nessuno di noi, perché noi tutti usiamo costantemente la logica in una forma o in un’altra per condurre le nostre vite di ogni giorno. Ogni decisione che prendiamo, anche riguardo alle questioni minori, è guidata in misura più o meno grande dalla logica, anche se spesso permettiamo alle nostre emozioni (come simpatie, antipatie, desideri, attaccamenti, speranze, paure e così via) di influenzare o anche governare la nostra logica.

La maggior parte della logica che usiamo è abbastanza semplice e lineare, perché per la maggior parte degli scopi non è necessaria una logica complessa o astrusa, così noi tutti siamo capaci di usare la semplice logica. Per alcuni scopi, come la comprensione e l’applicazione della matematica avanzata, può essere richiesta una logica più complessa e astrusa, così la maggior parte di noi non può comprendere questa logica se non abbiamo addestrato la nostra mente a farlo.

Tuttavia, la logica richiesta per comprendere coerentemente e chiaramente gli insegnamenti di Bhagavan è effettivamente molto semplice, così la sola ragione per cui per alcune persone può essere difficile comprenderla è che essa è estremamente sottile e da una prospettiva esteriore può sembrare troppo semplice o troppo astratta, ed alcune delle sue premesse di base richiedono un certo grado di sottigliezza e chiarezza mentale per essere comprese. Se la nostra mente è fortemente incline ad essere esteriorizzante o è costantemente interessata solo a faccende esteriori, probabilmente ci mancherà la sufficiente sottigliezza e chiarezza mentale per comprendere le premesse di base dei suoi insegnamenti (come quella che siamo sempre consapevoli di noi stessi, anche quando non siamo consapevoli di qualsiasi altra cosa, come nel sonno), nel qual caso la semplicità e la chiarezza della sua logica sarà senza effetto su di noi, mentre se siamo più inclini ad essere rivolti all’interno e siamo preoccupati dell’impurità della nostra mente, probabilmente avremo sufficiente sottigliezza e chiarezza mentale per comprendere le sue premesse di base, nel qual caso saremo in grado di apprezzare la semplicità e la chiarezza della sua logica.

Per comprendere le premesse e la logica chiara e semplice dei suoi insegnamenti non abbiamo bisogno di esercitare in grande misura la nostra mente, ma piuttosto abbiamo bisogno di considerarli con una mente calma e chiara, perché solo allora saremo in grado di vedere ed apprezzare pienamente le connessioni logiche tra le varie idee che egli ha espresso e la nostra esperienza. Come Wittgenstein ha indicato in una recente serie di quattro commenti, la logica degli insegnamenti di Bhagavan non è divergente ma del tutto convergente nel senso che essa non incoraggia la nostra mente ad estendersi, a disperdersi e a dissiparsi nella forma di numerosi pensieri in continua moltiplicazione ma la spinge invece solo a guardare all’interno per osservare l’unica radice di tutti i pensieri, vale a dire il nostro ego. Semplificando la nostra comprensione sia di noi stessi che dell’apparenza di tutte le altre cose, la sua logica chiara ci aiuta a ridurre i nostri pensieri e a focalizzarli interamente sul singolo compito di cercare di essere attentivamente consapevoli soltanto di noi stessi.

Ciò che il ragionamento logico comporta fondamentalmente è solo essere in grado di vedere le connessioni e le implicazioni logiche – cioè, i vari modi in cui certe idee sono logicamente connesse, e perché o come certe premesse necessitano di una certa conclusione o la fanno sembrare probabile, improbabile, possibile o impossibile. Comprendere la semplice logica quindi non richiede niente di più che chiarezza mentale, così per una mente che è stata raffinata e chiarificata dalla pratica persistente dell'auto-attentività, il pensare logicamente e il comprendere le ragioni logiche per cui gli insegnamenti di Bhagavan devono essere veri giungono naturalmente e senza sforzo.

Un argomento logico è semplicemente un mezzo con cui aiutiamo noi stessi o altri a vedere perché dipendendo da certe condizioni una certa conclusione è necessariamente vera, probabilmente vera o solo possibilmente vera. La logica e le argomentazioni logiche sono quindi aiuti che ci mettono in grado di discernere cosa è vero in un senso relativo – cioè, nella sfera dell’esperienza mediata dalla mente – ma da soli non possono metterci in grado di discernere cosa è assolutamente vero, perché quello si estende oltre i limiti finiti della nostra mente o intelletto. Tuttavia, come usate da Bhagavan, la logica e le argomentazioni logiche possono metterci in grado di comprendere che il mezzo per discernere cosa è assolutamente vero è rivolgere la nostra mente all’interno di sé stessa focalizzando la nostra intera attenzione soltanto su noi stessi e quindi fonderci nel nostro sé reale, che è la verità assoluta e perciò la sola sorgente e sostanza della nostra mente e di tutto quello che essa sperimenta.

6. Le premesse della conclusione deduttiva che non siamo un corpo o una mente non sono dedotte induttivamente

In risposta a ciò che Wittgenstein ed io abbiamo scritto nei nostri rispettivi commenti un altro amico di nome Venkat ha scritto due commenti, ai quali ora risponderò. Poiché questa e le rimanenti sezioni di questo articolo sono ciò che ho iniziato a scrivere come un commento in risposta a Venkat, ma che poi è divenuto troppo lungo anche per una serie di commenti, esse sono indirizzate a lui, così in esse mi riferirò a lui in secondo persona.

Venkat, riguardo il tuo primo commento, sei nel giusto dicendo che alcune o tutte le premesse della maggior parte delle conclusioni deduttive sono conclusioni induttive, così la correttezza di queste conclusioni deduttive dipende se le loro premesse dedotte induttivamente sono vere o meno. Tuttavia non tutte le conclusioni deduttive dipendono da premesse dedotte induttivamente. Per esempio, l’assunto che non ci sono cerchi quadrati (o che non ci sono quadrati circolari) può essere conclusa deduttivamente dalle definizioni dei termini ‘quadrato’ e ‘cerchio’, così in questa conclusione deduttiva non sono coinvolte premesse dedotte induttivamente.

Più attinente al nostro soggetto, possiamo concludere deduttivamente che non siamo un corpo, una mente o qualsiasi altra cosa diversa da noi stessi, dal fatto che nel sonno siamo consapevoli di noi stessi, cioè quando non siamo consapevoli di qualsiasi altra cosa. La nostra consapevolezza di noi stessi e di niente altro nel sonno non è una premessa dedotta induttivamente, ma è la nostra esperienza diretta, così questa è una conclusione deduttiva che non dipende da nessuna premessa dedotta induttivamente.

Oltre ad essere la nostra esperienza diretta, il fatto che siamo sempre auto-consapevoli può essere dedotto considerando il significato della parola ‘io’. ‘Io’ è un pronome che per definizione si riferisce solo a noi stessi, la prima persona, e perché uno si riferisca a sé stesso deve essere consapevole di sé stesso. Quindi l’auto-consapevolezza è implicata nella parola ‘io’, perché ‘io’ può solo riferirsi a qualcosa che consapevole di sé stesso. (Senza dubbio un computer potrebbe essere programmato per riferirsi a sé stesso come ‘io’, e le persone che incontriamo in un sogno si riferiscono a loro stesso come ‘io’, ma sia il computer che quelle persone si riferiscono a loro stesso come ‘io’ solo nella nostra visione, così essi non si stanno riferendo coscientemente a loro stesso come ‘io’, e quindi il loro fare questo è del tutto diverso dal soggetto che stiamo discutendo, che è il fatto che noi ci riferiamo a noi stessi come ‘io’, e poiché facciamo così nella nostra visione, lo facciamo solo perché siamo auto-consapevoli). Quindi quando diciamo o ricordiamo ‘ho dormito’ o ‘ero addormentato’, stiamo intendendo che nel sonno eravamo consapevoli di noi stessi – cioè, che eravamo consapevoli di noi stessi essendo in uno stato in cui non siamo consapevoli di niente altro che noi stessi.

Inoltre, se nel sonno non eravamo consapevoli, non saremmo affatto consapevoli di aver dormito, o che tra periodi consecutivi di veglia o sogno c’era un intervallo in cui non eravamo consapevoli di alcuna mente, corpo o mondo. Il fatto che siamo consapevoli di essere stati in uno stato in cui non eravamo consapevoli di qualsiasi altra cosa significa chiaramente e indubbiamente che in quello stato eravamo consapevoli di noi stessi. Quindi quando consideriamo attentamente e auto-attentivamente la nostra esperienza del sonno, ci dovrebbe essere chiaro che mentre dormivamo eravamo realmente consapevoli di noi stessi e che ora possiamo ricordare che eravamo consapevoli anche se in quel momento non eravamo consapevoli di niente altro.

Quindi la premessa cruciale su cui Bhagavan ha fondato la sua argomentazione che non possiamo essere qualche corpo o mente perche siamo consapevoli di noi stessi anche quando non siamo consapevoli di nessuna di queste cose, come nel sonno, vale a dire la premessa che noi siamo sempre consapevoli di noi stessi sia che siamo consapevoli di qualsiasi altra cosa o meno, non è qualcosa che abbiamo bisogno di dedurre induttivamente, perche è la nostra reale esperienza, e anche perché possiamo concluderlo deduttivamente dal fatto che ricordiamo di aver dormito e in quel momento di essere stati consapevoli di niente altro.

7. Possiamo concludere deduttivamente che il mondo appare nella nostra consapevolezza solo perché siamo sorti come questo ego

Riguardo la tua affermazione che non possiamo asserire deduttivamente che il sorgere del nostro ego causa l’apparenza del mondo, mi sembra chiaro che se stiamo parlando dell’apparenza del mondo nella nostra visione (cioè, nella nostra consapevolezza), possiamo concludere deduttivamente che esso appare solo perché sorgiamo come questo ego. Poiché il nostro ego (nel senso in cui Bhagavan usa questo termine) è per definizione la nostra esperienza di noi stessi come qualcosa che è separata e quindi limitata, possiamo concludere deduttivamente che se non sperimentiamo noi stessi come un ego non possiamo essere consapevoli di qualsiasi altra cosa, così il sorgere del nostro ego è la causa per l’apparenza di altre cose nella nostra consapevolezza, e quelle altre cose sono ciò che collettivamente è chiamato ‘il mondo’.

Come ho spiegato in una delle mie risposte a Wittgenstein (che ho riprodotto sopra nella seconda sezione), ciò che possiamo concludere deduttivamente è che la nostra consapevolezza del mondo (e quindi l’apparenza di esso) è causata dal nostro essere consapevoli di noi stessi come questo ego. Tuttavia, poiché non siamo mai consapevoli di qualche mondo quando non siamo consapevoli di noi stessi come questo ego, e poiché non abbiamo una prova o una ragione adeguata per credere che qualche mondo esiste quando non siamo consapevoli di esso, possiamo dedurre induttivamente che l’esistenza del mondo è causata dall’esistenza apparente di noi stessi come questo ego.

Poiché questa non è una conclusione deduttiva ma solo induttiva, non è certamente vera ma solo probabilmente vera. Per mezzo del ragionamento logico questo è tutto ciò che possiamo sapere finché sperimentiamo noi stessi come questo ego, ma secondo Bhagavan se investighiamo noi stessi e quindi sperimentiamo noi stessi come siamo realmente, scopriremo che ciò che esiste realmente è solo noi stessi, e che ciò che siamo realmente è infinita e indivisibile auto-consapevolezza, al di là della quale niente esiste.

8. Poiché tutti i pensieri e le percezioni appaiono solo nella consapevolezza del nostro ego, esso è la sola causa della loro apparenza

Riguardo il paragrafo finale del tuo primo commento, in cui chiedi se è valido ritenere che ‘Sulla corda che è consapevolezza/coscienza, sorgono gli illusori pensieri/percezioni di un serpente (che è mente-corpo-universo). Il silenzio del sahaja samadhi è il non-sorgere di questi pensieri‘, a chi appaiono i pensieri/percezioni illusori? Ovviamente solo a noi stessi come questo ego. Quindi questo ego è la causa per la loro apparenza o insorgenza, e senza di esso non potrebbero sorgere. Questo è il motivo per cui Bhagavan ci ha insegnato che il nostro ego è il primo pensiero e la radice di tutti gli altri pensieri o percezioni.

Tutti gli altri pensieri o percezioni sono jaḍa (non-coscienti), e la sorgente e la sostanza originale di tutte queste cose, che è il nostro sé reale, è cit (pura coscienza o auto-consapevolezza), mentre il nostro ego è una mescolanza confusa di cit e jaḍa, così è chiamato cit-jaḍa-granthi (il nodo che apparentemente lega insieme il cosciente e il non-cosciente come se fossero uno). Secondo Bhagavan, sat (ciò che esiste) è cit (ciò che è consapevole) e cit è sat, così qualunque cosa è jaḍa o anche parzialmente jaḍa non esiste realmente, e quindi ciò che esiste realmente è solo cit, che è ciò che siamo realmente.

Qualunque cosa è jaḍa sembra esistere solo quando non attendiamo solo a noi stessi, così quando riusciamo ad attendere soltanto a noi stessi, l’apparenza illusoria del nostro ego e di ogni altra cosa si dissolverà e scomparirà, essendo totalmente non-esistente. Quindi, poiché ogni altra cosa sembra esistere solo nella visione di noi stessi come questo ego, esso è la sola causa per l’apparenza e l’esistenza apparente di ogni altra cosa.

Come tu dici, il perfetto silenzio del sahaja samādhi, che è la nostra reale natura, è ciò che rimane quando tutti i pensieri cessano, e poiché la radice di tutti i pensieri è solo questo ego, che è il nostro primo pensiero, quello che chiamiamo ‘io’, non possiamo sperimentare quel silenzio se non annientiamo questo ego per mezzo della vigilante auto-attentività.

9. Benché tutte le conclusioni deduttive siano tautologie, possono nondimeno essere estremamente significative e preziose

Riguardo il tuo secondo commento, è vero che in un certo senso tutte le conclusioni deduttive sono tautologie, perché la verità di ogni conclusione deduttiva è comportata dalla verità delle sue premesse, così se si dichiara una conclusione deduttiva dopo aver dichiarato le sue premesse, si sta dichiarando ciò che è già stato implicato. Comunque, questo non significa che ogni conclusione deduttiva sia necessariamente futile, perché sebbene una conclusione deduttiva è implicita nelle sue premesse, non tutte le implicazioni sono immediatamente ovvie, così un argomento deduttivo può essere filosoficamente significativo e prezioso se porta alla luce un’implicazione che altrimenti non sarebbe stata ovvia o da noi notata.

Per esempio, la conclusione dell’argomento deduttivo dato da Bhagavan per mostrare che non possiamo essere questo corpo o mente perché nel sonno siamo consapevoli di noi stessi ma di nessuna di queste cose sembra ovvia quando la comprendiamo e accettiamo la premessa che siamo auto-consapevoli anche nel sonno, ma non sembra ovvia a persone che non hanno considerato l’argomento abbastanza attentamente o che non hanno chiarezza mentale sufficiente per riconoscere che la nostra auto-consapevolezza persiste anche quando non siamo consapevoli di niente altro. Quindi per coloro di noi che hanno compreso e sono stati fermamente convinti da questo argomento, la sua conclusione è estremamente significativa e di grande valore, perché essa cambia la nostra intera visione riguardo ciò che siamo e quindi riguardo la realtà di tutto quello che sperimentiamo come questo corpo e mente.

Un altro esempio di una conclusione deduttiva filosoficamente significativa è quella che ho usato nel terzo paragrafo della sezione sei del mio articolo precedente (a cui mi sono anche riferito nelle sezioni uno, due e sette di questo articolo) per spiegare perché dovremmo credere a ciò che Bhagavan ci insegna nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu, vale a dire che poiché l’ego è la nostra consapevolezza di noi stessi come qualcosa che è separata e limitata, e poiché possiamo essere consapevoli di noi stessi solo quando siamo consapevoli di altre cose dalle quali siamo separati e che quindi limitano l’estensione di ciò che sembra essere noi stessi, possiamo dedurre che il nostro ego e la nostra consapevolezza di altre cose sono inseparabili, così non possiamo mai avere l’uno senza l’altra. Sebbene questa conclusione deduttiva è ovviamente una tautologia, come tu dici, perché è implicata nella definizione del termine ego, è ancora filosoficamente significativa e preziosa, perché sembra ovvia solo quando ci è stata indicata.

Molte persone non hanno compreso la semplice logica deduttiva da cui questa deduzione può essere tratta così facilmente, o forse non l’hanno considerata abbastanza attentamente, e questo è il motivo per cui essi tendono a formare convinzioni errate come quella che un ātma-jñāni è consapevole del mondo. Per essere consapevoli del mondo, si deve essere consapevoli di sé stessi come qualcosa che è separato da esso o da tutto esso tranne una parte, e qualunque cosa è separata da qualsiasi cosa è di conseguenza limitata e quindi finita. Se qualcuno obietta a questo affermando che i jñāni sono consapevoli dell’intero mondo come loro stessi, questo significherebbe che essi sono consapevoli di loro stessi come molte cose, non come una cosa, che sarebbe contrario a ciò che Bhagavan ci indica nel verso 33 di Uḷḷadu Nāṟpadu, vale a dire ‘ஒன்று ஆய் அனைவர் அனுபூதி உண்மை’ (oṉḏṟu āy aṉaivar aṉubhūti uṇmai), che significa ‘essere uno è la verità dell’esperienza di tutti’. Di conseguenza il ragionamento deduttivo può aiutarci a mantenere chiara, semplice e libera da confusione la nostra comprensione dei suoi insegnamenti.

Quindi non sei nel giusto dicendo, ‘Il problema con il ragionamento deduttivo è che la conclusione è implicita nelle premesse, e non conduce ad alcuna nuova conoscenza significativa’. Né sei nel giusto dicendo poi, ‘Solo la logica induttiva è capace di questo’, perché ogni deduzione induttiva potrebbe essere sbagliata, così la logica induttiva non può dare alcuna conoscenza definitiva, ma può al massimo dare solo una buona base per formare determinate convinzioni provvisorie. Cioè, sebbene le convinzioni che traiamo dal solido ragionamento induttivo sembrano probabilmente vere, potrebbero essere sbagliate, così possono essere chiamate ‘conoscenza’ solo in un ampio senso del termine, cioè, nel senso ampio in cui spesso casualmente ci riferiamo alle nostre convinzioni come conoscenza.

Il problema con il riferirci in questo modo alle nostre convinzioni come conoscenza è che esso implica che ciò che crediamo sia vero, e quindi tende a farci sfuggire la fallibilità delle nostre convinzioni, che è una trappola in cui molte persone cadono quando si riferiscono, per esempio, alle loro convinzioni religiose o scientifiche come conoscenza. La maggior parte delle convinzioni religiose o scientifiche sono derivate al massimo dal ragionamento induttivo, ma più spesso solo dalla fede cieca in qualche tipo di autorità percepita (come quella di testi religiosi, manuali scientifici o le convinzioni generalmente accettate della propria comunità), così esse sono tutte fallibili e quindi non hanno il titolo per essere chiamate ‘conoscenza’ nel senso stretto del termine.

10. Perché dobbiamo concludere che il nostro ego è la causa dell’apparenza del mondo?

Riguardo la tua osservazione che “tutto quello che conosciamo realmente attraverso l’esperienza è che il sorgere dell’ego è simultaneo e concomitante con il sorgere del mondo. Non penso che possiamo essere certi dalla nostra esperienza o anche attraverso la logica induttiva, che il primo CAUSA il secondo, a parte la testimonianza di Bhagavan e Gaudapada”, abbiamo bisogno di considerare ciò che intendiamo sia con ‘il sorgere del mondo’ sia con il termine ‘causa’. Il ‘sorgere del mondo’ può significare la sua apparenza nella nostra consapevolezza o il suo avere origine, ma poiché non conosciamo se esso esiste indipendentemente della sua apparenza nella nostra consapevolezza, consideriamo prima la sua apparenza nella nostra consapevolezza. Poiché come un sostantivo ‘causa’ significa qualcosa (sia una condizione, un’azione o ogni altro tipo di cosa) che fa sorgere o produce un effetto, e come un verbo significa far succedere qualcosa, farlo sorgere o produrlo, abbiamo bisogno di considerare se il sorgere dell’ego fa sorgere l’apparenza del mondo nella nostra consapevolezza. Sembra a me chiaro che lo fa, perché il mondo non appare nella nostra consapevolezza tranne quando sperimentiamo noi stessi come questo ego, e ogni volta che sperimentiamo noi stessi come questo ego siamo consapevoli di questo mondo o qualche altro mondo in un sogno.

Poiché un mondo appare sempre nella nostra consapevolezza ogni volta che sperimentiamo noi stessi come questo ego, e poiché nessun mondo mai appare nella nostra consapevolezza quando non sperimentiamo noi stessi come questo ego, questo suggerisce molto fortemente che il sorgere di questo ego fa sorgere l’apparenza di un mondo nella nostra consapevolezza, così siamo giustificati a concludere che il nostro ego è quasi certamente la causa dell’apparenza del mondo. Presentare l’argomento in questo mondo è esprimerlo come una deduzione induttiva, che significa che esso è probabilmente vero ma non certamente vero, ma se consideriamo l’argomento a cui mi sono riferito prima (nelle sezioni uno, due, sette e nove) riguardo l’ego in quanto nostra consapevolezza di noi stessi come qualcosa di separato e limitato, possiamo mutare questa deduzione induttiva in una deduttiva, che significa che esso è certamente vero. Cioè, sorgere come qualcosa che sembra essere separato e limitato comporta il creare l’apparenza di qualcos’altro da cui è separato e che quindi limita la sua estensione, rendendolo finito, così poiché il termine ‘ego’ si riferisce a noi stessi come un’entità separata e il termine ‘mondo’ è un nome collettivo per ogni cosa che sperimentiamo come diverso da noi stessi, possiamo concludere deduttivamente che il nostro sorgere come questo ego causa necessariamente l’apparenza di un mondo.

Tuttavia, poiché il sorgere di noi stessi come questo ego e l’apparenza del mondo accadono simultaneamente, alcune persone possono chiedere perché non dovremmo concludere che il secondo causa il primo piuttosto che viceversa. La risposta a questo è che il mondo è jaḍa (non-cosciente) mentre l’ego è una mescolanza confusa di cit e jaḍa, così sebbene il mondo appare nella visione (o consapevolezza) dell’ego, l’ego non appare nella visione del mondo, perché il mondo non ha visione o consapevolezza in cui qualcosa possa apparire. Quindi, poiché il mondo sembra esistere solo nella visione dell’ego, esso non può essere la causa dell’ego, non più di un sogno che non può essere la causa di chiunque lo sta sognando.

Nella visione del sognatore, i sogni vengono e vanno, così sebbene ogni sogno è differente, il sognatore rimane lo stesso. Nello stesso modo, nella visione del nostro ego, i mondi vengono e vanno, così sebbene il mondo visto dal nostro ego in ognuno dei suoi sogni è differente, il nostro ego rimane lo stesso. Quindi proprio come ogni sogno è creato dal suo sognatore, nella cui visione soltanto esso appare, l’apparenza di ogni mondo è creata dal nostro ego, nella cui visione soltanto esso sembra esistere.

Da un’attenta considerazione, quindi, è chiaro che il sorgere di noi stessi come questo ego è ciò che causa l’apparenza di un mondo nella nostra consapevolezza, così poiché un mondo sembra esistere solo quando esso appare nella nostra consapevolezza, possiamo concludere fiduciosamente che l’esistenza apparente del mondo è causata dal nostro sorgere come questo ego. L’esistenza apparente del mondo e la sua apparenza nella nostra consapevolezza sono una cosa sola, perché esso sembra esistere solo perché ne siamo consapevoli.

Alcune persone possono discutere questa conclusione sostenendo che anche quando non siamo consapevoli del mondo altri ne sono consapevoli, così esso sembra esistere nella loro visione anche se non nella nostra, ma questo argomento è difettoso, perché quelle altre persone sono parte del mondo la cui esistenza apparente stiamo discutendo. Se qualche mondo esiste realmente, le altre persone in esso possono realmente esserne consapevoli nello stesso modo in cui lo siamo noi, ma se esso soltanto sembra esistere, le altre persone in esso non possono realmente esserne consapevoli, proprio come le altre persone che vediamo in un sogno non sono realmente consapevoli del mondo di sogno anche se lo sembrano essere finché stiamo sognando quel sogno, perché quelle altre persone sono parte di un mondo che sembra esistere solo nella nostra visione. Quindi quando valutiamo se questo o qualche altro mondo sembra esistere quando non siamo consapevoli di esso, possiamo legittimante considerare solo la sua esistenza apparente nella nostra visione, perché se non possiamo stabilire che qualche mondo esiste realmente indipendentemente dalla nostra consapevolezza di esso – cosa che non abbiamo i mezzi adeguati per fare – non possiamo sapere se c’è realmente qualcun altro nella cui visione esso sembra esistere.

11. Esiste qualche mondo indipendentemente dal nostro ego o mente?

Avendo stabilito che l’apparenza di un mondo nella nostra consapevolezza e di conseguenza la sua esistenza apparente sono causate dal sorgere di noi stessi come questo ego, la domanda che dobbiamo ora considerare è se esso esiste realmente o soltanto sembra esistere – in altre parole, se esso esiste indipendentemente dalla sua apparenza nella nostra consapevolezza o no. Se questo mondo non esiste realmente ma solamente sembra esistere nella nostra visione, come ogni mondo che percepiamo in un sogno, allora possiamo concludere che esso non esiste tranne quando sorgiamo come questo ego, nel qual caso il nostro ego è la sola causa e il creatore del mondo.

Tuttavia, finché sperimentiamo noi stessi come questo ego, la nostra visione è molto limitata, così non possiamo giudicare se questo o qualche altro mondo esiste al di fuori della nostra consapevolezza. Tutto quello che ora possiamo fare è concludere che poiché un mondo sembra esistere solo quando siamo consapevoli di esso, e poiché siamo consapevoli di qualche mondo solo quando sembriamo essere questo ego, non abbiamo ragioni adeguate per ritenere che qualche mondo esiste indipendentemente dal nostro ego o mente. Poiché nel sonno siamo consapevoli di noi stessi ma di niente altro, quando non sembriamo essere questo ego, abbiamo forti motivi, sebbene non decisivi, per credere che nessun mondo esiste indipendentemente dal nostro ego, perché se qualche mondo esistesse indipendentemente dal nostro ego, non ci sarebbe ragione ovvia per cui non siamo consapevoli di esso quando siamo nel sonno (come ho discusso in maggiore dettaglio nella settima sezione del mio articolo precedente, in modo particolare respingendo la contro argomentazione che il motivo per cui non siamo consapevoli di questo mondo mentre siamo addormentati è che i nostri sensi in quel momento non sono in funzione). Questo è ciò che Bhagavan intendeva quando ha detto (come registrato nel terzo capitolo della seconda parte di in Maharshi’s Gospel (edizione 2002, pagine 67-8)):
Il mondo esiste da solo? È stato mai visto senza l’aiuto della mente? Nel sonno non c’è mente né mondo. Nella veglia c’è la mente e c’è il mondo. Cosa significa questa invariabile concomitanza? Hai familiarità con i principi della logica induttiva, che sono considerati proprio la base dell’investigazione scientifica. Perché non risolvi questa questione della realtà del mondo alla luce di quei principi della logica comunemente accettati?
Sebbene possiamo concludere deduttivamente che nessun mondo sembra esistere se non sorgiamo come questo ego o mente, possiamo concludere solo induttivamente che nessun mondo esiste realmente ogni volta che non sorgiamo come questo ego. Poiché ogni volta che sperimentiamo noi stessi come questo ego un mondo o un altro sembra esistere, e poiché ogni volta che non sperimentiamo noi stessi come questo ego nessun mondo sembra esistere, finché sperimentiamo noi stessi come questo ego non possiamo sapere con certezza se qualche mondo esiste realmente indipendentemente da esso.

Dal momento che non conosciamo ciò che siamo realmente, non possiamo conoscere cos’è realmente questo mondo – se sia solo una creazione della nostra mente, come ogni altro mondo che sperimentiamo in un sogno, o se esiste indipendentemente dalla nostra mente. Per mancanza di qualche prova che esso esista indipendentemente dalla nostra mente possiamo presumere che non esista, ma il solo mezzo con cui possiamo accertarci per esperienza diretta se questo presupposto è corretto è di investigare noi stessi per sperimentare ciò che siamo realmente, perché solo allora saremo in grado di giudicare se qualcosa esiste indipendentemente dal nostro ego, nella cui visione soltanto tutte le altre cose sembrano esistere.

L’invariabile concomitanza a cui Bhagavan si riferisce nel suddetto brano di Maharshi’s Gospel è stato da lui riferito anche nella seguente parte del quarto paragrafo di Nāṉ Yār?, in cui egli ci insegna inequivocabilmente che ogni mondo che percepiamo è solo una serie di pensieri o idee proiettate dalla nostra mente, e che quindi nessun mondo sembra esistere quando sperimentiamo noi stessi come siamo realmente:
நினைவுகளை யெல்லாம் நீக்கிப் பார்க்கின்றபோது, தனியாய் மனமென்றோர் பொருளில்லை; ஆகையால் நினைவே மனதின் சொரூபம். நினைவுகளைத் தவிர்த்து ஜகமென்றோர் பொருள் அன்னியமா யில்லை. தூக்கத்தில் நினைவுகளில்லை, ஜகமுமில்லை; ஜாக்ர சொப்பனங்களில் நினைவுகளுள, ஜகமும் உண்டு. சிலந்திப்பூச்சி எப்படித் தன்னிடமிருந்து வெளியில் நூலை நூற்று மறுபடியும் தன்னுள் இழுத்துக் கொள்ளுகிறதோ, அப்படியே மனமும் தன்னிடத்திலிருந்து ஜகத்தைத் தோற்றுவித்து மறுபடியும் தன்னிடமே ஒடுக்கிக்கொள்ளுகிறது. மனம் ஆத்ம சொரூபத்தினின்று வெளிப்படும்போது ஜகம் தோன்றும். ஆகையால், ஜகம் தோன்றும்போது சொரூபம் தோன்றாது; சொரூபம் தோன்றும் (பிரகாசிக்கும்) போது ஜகம் தோன்றாது.

niṉaivugaḷai y-ellām nīkki-p pārkkiṉḏṟa-pōdu, taṉiyāy maṉam-eṉḏṟōr poruḷ illai; āhaiyāl niṉaivē maṉadiṉ sorūpam. niṉaivugaḷai-t tavirttu jagam-eṉḏṟōr poruḷ aṉṉiyamāy illai. tūkkattil niṉaivugaḷ illai, jagam-um illai; jāgra-soppaṉaṅgaḷil niṉaivugaḷ uḷa, jagam-um uṇḍu. silandi-p-pūcci eppaḍi-t taṉṉiḍamirundu veḷiyil nūlai nūṯṟu maṟupaḍiyum taṉṉuḷ iṙuttu-k-koḷḷugiṟadō, appaḍiyē maṉam-um taṉṉiḍattilirundu jagattai-t tōṯṟuvittu maṟupaḍiyum taṉṉiḍamē oḍukki-k-koḷḷugiṟadu. maṉam ātma sorūpattiṉiṉḏṟu veḷippaḍum-pōdu jagam tōṉḏṟum. āhaiyāl, jagam tōṉḏṟum-pōdu sorūpam tōṉḏṟādu; sorūpam tōṉḏṟum (pirakāśikkum) pōdu jagam tōṉḏṟādu.

Quando si mettono da parte tutti i pensieri e si vede, da sola non c’è una cosa come la ‘mente’; quindi solo il pensiero è la svarūpa [la ‘forma propria’ o natura fondamentale] della mente. Escludendo i pensieri [o idee], non c’è separatamente qualcosa come il ‘mondo’. Nel sonno non ci sono pensieri, e [conseguentemente] anche non c’è il mondo; nella veglia e nel sogno ci sono pensieri, e [conseguentemente] c’è anche un mondo. Proprio come un ragno produce il filo da dentro sé stesso e di nuovo lo ritira in sé stesso, così la mente proietta il mondo da dentro sé stesso e di nuovo lo dissolve in sé stessa. Quando la mente esce da ātma-svarūpa, il mondo appare. Quindi quando il mondo appare, svarūpa [la nostra ‘propria forma’ o sé reale] non appare [come realmente è]; quando svarūpa appare (risplende) [come realmente è], il mondo non appare.
12. Come possiamo riconoscere chiaramente che siamo consapevoli di noi stessi mentre dormiamo?

Riguardo a ciò che hai scritto nel paragrafo finale del tuo secondo commento, vale a dire “Lotto con l’argomento deduttivo basato sulla premessa che se siamo consapevoli di noi stessi in tutti i 3 stati, e se in ogni stato non siamo consapevoli del corpo/mente/altro, allora non possiamo essere qualcosa diversa dalla semplice auto-consapevolezza. Nel sonno profondo, non sono consapevole di qualsiasi cosa, oppure, sono consapevole di nient’altro che l’esistenza. Nel mio stadio attuale, non posso distinguere tra queste”, se ti ho compreso correttamente, la difficoltà che hai con questo argomento non è con la sua logica, che è del tutto semplice e lineare, ma con la sua premessa che mentre dormiamo siamo consapevoli di noi stessi.

Questa premessa è fondamentale per tutto ciò che Bhagavan ci ha insegnato, così è molto importante per noi riconoscere chiaramente la sua verità. Quindi per aiutarci ad afferrarlo e ad accettarlo egli ci ha dato vari argomenti (come quelli che ho descritto a grandi linee nella sezione sei), ma per essere fermamente convinti da questi argomenti abbiamo bisogno di considerarli molto attentamente e auto-attentivamente. Benché tutti gli argomenti che egli ha dato riguardo a questo sono logicamente molto semplici, essi stanno riguardando un soggetto molto sottile, così essi possono essere afferrati chiaramente e fermamente solo da una mente che è sufficientemente sottile, affilata, chiara e auto-discernente (il tipo di mente che egli descrive come நுண் மதி (nuṇ mati) nel verso 23 e come கூர்ந்த மதி (kūrnda mati) nel verso 28 di Uḷḷadu Nāṟpadu).

Come ho spiegato nella sezione cinque, comprendere la logica comporta essere in grado di vedere semplicemente o riconoscere le implicazioni e le connessioni logiche, così poiché in questo caso la logica riguarda la nostra consapevolezza di noi stessi nella sua forma più fondamentale (cioè, distinta da tutta la consapevolezza di qualsiasi cosa), saremo convinti da essa solo nella misura in cui siamo in grado di distinguere la nostra consapevolezza di noi stessi dalla nostra consapevolezza della nostra mente, corpo e tutte le altre cose. Quindi più pratichiamo cercando di essere auto-attentivi e perciò diveniamo familiari con l’essere consapevoli di noi stessi in isolamento dalla consapevolezza di altre cose, più chiaramente saremo in grado di riconoscere che siamo sempre consapevoli di noi stessi, sia che siamo anche consapevoli di qualche altra cosa o meno, e che ciò che sperimentiamo nel sonno è quindi solo la nostra semplice e nuda auto-consapevolezza, priva anche della minima consapevolezza di qualsiasi altra cosa.

Questo può sembrare come la domanda di chi viene prima, la gallina o l’uovo, perché per praticare efficacemente l’auto-attentività abbiamo bisogno di riconoscere che siamo consapevoli di noi stessi anche quando non siamo consapevoli di niente altro, come nel sonno, e per riconoscere questo abbiamo bisogno di praticare l’essere auto-attentivi. La risposta a questo è che proprio come ogni gallina viene da un uovo di gallina e ogni uovo di gallina viene da una gallina, più chiaramente siamo in grado di riconoscere che siamo sempre consapevoli di noi stessi e che la nostra auto-consapevolezza è completamente distinta da ogni consapevolezza di qualsiasi altra cosa, più facile sarà per noi attendere precisamente a noi stessi, e nello stesso modo più attendiamo solo a noi stessi, più chiaramente saremo in grado di distinguere la nostra auto-consapevolezza permanente dalla consapevolezza transitoria di qualsiasi altra cosa, inclusi il nostro corpo e la nostra mente.

Questo è il motivo per cui śravaṇa, manana e nididhyāsana (studiare gli insegnamenti di Bhagavan, riflettere su di essi e praticare l’auto-attentività) dovrebbero essere un singolo processo ininterrotto, con ciascuno di essi che si rinforza e si alimenta negli altri due. Śravaṇa (udire o leggere) e manana (riflessione) solo il fondamento su cui la nostra nididhyāsana (auto-attentività) si poggia, e più pratichiamo l’essere auto-attentivi più chiaramente saremo in grado di comprendere ciò che leggiamo e più profonda e chiara diverrà la nostra riflessione. Leggendo i suoi insegnamenti dovremmo riflettere su di essi, e riflettendo su di essi dovremmo praticarli cercando di essere auto-attentivi.

Se hai difficoltà a riconoscere che sei consapevole di te stesso mentre dormi, l’unica soluzione è più manana e nididhyāsana – cioè, considerare le argomentazioni di Bhagavan più attentamente e approfonditamente e investigare te stesso più accuratamente e attentivamente. Facendo questo ripetutamente e persistentemente svilupperai gradualmente una sufficiente chiarezza di auto-consapevolezza per essere in grado di riconoscere che sei sempre auto-consapevole, anche quando non sei consapevole di niente altro.

Come Wittgenstein ha menzionato in uno dei suoi recenti commenti, alla fine della sezione 596 di Talks with Sri Ramana Maharshi (edizione 2006, pagina 569) è registrato che quando fu chiesto a Bhagavan ‘È necessaria una comprensione intellettuale della Verità?’ egli ha risposto:
Si. Altrimenti perché la persona non realizza Dio o il Sé immediatamente, cioè, appena gli è detto che Dio è tutto o il Sé è tutto? Questo mostra qualche esitazione da parte sua. Egli deve discutere con sé stesso e convincere gradualmente sé stesso della Verità prima che la sua fede divenga ferma.
Discutere con noi stessi in questo modo è manana, ma manana è più efficace quando è fatto accanto a nididhyāsana. Quindi non dovremmo solamente considerare profondamente e ripetutamente tutti gli argomenti che Bhagavan ci ha dato e che noi stessi possiamo escogitare per convincerci che siamo sempre consapevoli di noi stessi, anche quando siamo addormentati, ma dovremmo accompagnare la nostra riflessione con tentativi ripetuti di essere tranquillamente e accuratamente auto-attentivi per essere più chiaramente consapevoli di noi stessi in questo preciso momento.

Riguardo la tua osservazione, ‘Nel sonno profondo, non sono consapevole di niente, o alternativamente, sono consapevole di niente tranne l’esistenza. Nel mio stadio attuale, non posso distinguere tra queste’, ciò di cui non siamo consapevoli mentre siamo nel sonno è qualsiasi ‘forma’ (cioè, ogni fenomeno o qualsiasi cosa con caratteristiche), ma poiché ricordiamo di non essere stati consapevoli di tali cose, in quel momento dobbiamo essere stati consapevoli, perché non avremmo ricordo di non essere stati consapevoli di nessun fenomeno se non fossimo stati consapevoli di essere in quel modo.

Una persona dotata di vista normale può distinguere l’oscurità dalla luce, mentre una persona completamente cieca non può farlo, perché quando non c’è luce una persona dotata di vista normale può vedere che è buio, mentre una persona completamente cieca non può mai vedere l’oscurità. Se mentre siamo nel sonno fossimo completamente inconsapevoli, non saremmo consapevoli che non eravamo consapevoli di alcuna cosa, così in quel momento la nostra condizione sarebbe stata come quella di una persona completamente cieca in una stanza buia, che non può vedere che è buio. Tuttavia, poiché siamo consapevoli che nel sonno non eravamo consapevoli di alcun fenomeno, in quel momento dobbiamo essere stati consapevoli, così la nostra condizione era come quella di una persona dotata di vista normale in una stanza buia, che può vedere che è buio.

Proprio come una persona dotata di vista normale può distinguere l’oscurità dalla luce, noi possiamo distinguere il sonno dalla veglia e dal sogno, perché proprio come una persona dotata di vista normale può vedere che c’è luce o no, noi siamo consapevoli se nella nostra consapevolezza c’è qualche fenomeno o nessun fenomeno. Nella veglia e nel sogno siamo consapevoli della presenza di fenomeni nella nostra consapevolezza, mentre nel sonno siamo consapevoli della loro assenza, così per essere di conseguenza consapevoli della loro presenza o della loro assenza dobbiamo essere consapevoli in ciascuno di questi tre stati.

Ciò che distingue la veglia e il sogno dal sonno è che nella veglia e nel sogno siamo consapevoli sia di noi stessi che di altre cose mentre nel sonno siamo consapevoli di noi stessi ma non di altre cose. Se la nostra mente è abituata a soffermarsi costantemente su altre cose durante la veglia e il sogno, ci sarà difficile distinguere la nostra auto-consapevolezza dalla consapevolezza del nostro corpo e mente, così l'assenza di ogni corpo o mente nel sonno ci farà sembrare il sonno come se fosse uno stato in cui non siamo consapevoli di noi stessi. Tuttavia, se pensiamo attentamente e in modo introspettivo riguardo la nostra esperienza nel sonno, e se anche iniziamo a cercare di rivolgere la nostra attenzione verso noi sessi per distinguere la nostra auto-consapevolezza dalla nostra consapevolezza di corpo, mente e tutte le altre cose, ci diverrà sempre più chiaro che nel sonno non cessiamo realmente di essere consapevoli di noi stessi anche se cessiamo di essere consapevoli di ogni altra cosa.

Quando dici che non sei in grado di distinguere tra non essere consapevole di qualsiasi cosa ed essere consapevole di niente tranne l’esistenza, cosa intendi esattamente con ‘niente tranne l’esistenza’? Dell’esistenza di chi, siamo consapevoli nel sonno? Il temine ‘esistenza’ implica l’esistenza di qualcosa, perché non ci potrebbe essere esistenza senza qualcosa che esiste, così quando pensiamo o parliamo riguardo l’esistenza, dovremmo essere chiari nella nostra mente riguardo l’esistenza di chi stiamo considerando. Poiché nel sonno non siamo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, la sola esistenza di cui possiamo essere consapevoli in quel momento è la nostra esistenza – non l’esistenza del nostro ego, mente o corpo, ma solo l’esistenza del nostro sé reale.

Se nel sonno non fossimo consapevoli di qualsiasi cosa – anche di noi stessi – non saremmo affatto consapevoli di aver dormito, così poiché siamo consapevoli che eravamo addormentati e che regolarmente entriamo nel sonno e ne usciamo di nuovo, ci dovrebbe essere chiaro che nel sonno eravamo consapevoli di noi stessi. Cioè, eravamo consapevoli di noi stessi essendo in uno stato in cui non eravamo consapevoli di qualsiasi altra cosa.

Naturalmente mentre siamo nel sonno non pensiamo che non siamo consapevoli di qualsiasi altra cosa, perché non pensiamo affatto, ma nonostante l’assenza di tutti i pensieri e tutta la consapevolezza di altre cose, siamo nondimeno ancora consapevoli di noi stessi, perché la semplice auto-consapevolezza è la nostra vera natura – ciò che più essenzialmente siamo. La consapevolezza di altre cose viene e va, e noi siamo consapevoli non solo della sua presenza (sia nella veglia che nel sogno) ma anche della sua assenza (nel sonno), così per essere consapevoli sia della sua presenza che della sua assenza dobbiamo essere consapevoli non solo quando è presente ma anche quando è assente. Essere consapevoli comporta l’essere auto-consapevoli, perché non possiamo essere consapevoli senza essere consapevoli che noi siamo consapevoli, così anche un poco di semplice riflessione logica sulla nostra esperienza di veglia, sogno e sonno dovrebbe essere sufficiente a convincerci che nel sonno siamo consapevoli di noi stessi, anche se in quel momento non siamo consapevoli di alcuna cosa.

Non siamo mai stati e non potremmo mai essere consapevoli di qualsiasi tempo o stato in cui non eravamo consapevoli di noi stessi, così non abbiamo motivo di supporre che potremmo mai essere non consapevoli di noi stessi. Di fatto logicamente non potremmo mai essere non consapevoli di noi stessi, perché se non fossimo consapevoli di noi stessi non esisteremmo affatto, perché ciò che essenzialmente siamo è solo auto-consapevolezza. Non possiamo realmente essere qualcosa diversa dall’auto-consapevolezza, perché la nostra consapevolezza di tutte le altre cose (incluso il nostro ego, la nostra mente, questo o qualsiasi altro corpo e questo o qualsiasi altro mondo) viene e va, così la sola cosa di cui siamo sempre consapevoli è noi stessi, il solo che è consapevole di noi stessi, e quindi soltanto questa auto-consapevolezza è ciò che siamo realmente.

Ciò che scrivi nella tua frase successiva, vale a dire ‘Ma penso che sono nel giusto dicendo che attraverso atma vichara, la consapevolezza diverrà sempre più sottile e auto-focalizzata, così che sia consapevole di sé stessa nel sonno profondo’, richiede alcune chiarificazioni. Ciò che diviene sempre più sottile e auto-focalizzato come risultato della nostra pratica di ātma-vicāra è la nostra mente, non la nostra consapevolezza fondamentale, perché la nostra consapevolezza fondamentale è il nostro sé reale, che è sempre infinitamente sottile e completamente auto-focalizzato, poiché nella sua visione esso soltanto esiste realmente.

Tuttavia, ciò che è sempre consapevole di sé stesso nel sonno profondo non è noi stessi come questa mente ma noi stessi come siamo realmente. Sembriamo essere questa mente solo finché siamo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, così nella misura in cui diveniamo consapevoli soltanto di noi stessi cesseremo di essere questa mente, e nel sonno quando non siamo consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, non siamo affatto questa mente ma solo il nostro sé reale. Come registrato in due brani di Day by Day with Bhagavan, Bhagavan ha detto: ‘La mente rivolta interiormente è il Sé; rivolta esteriormente, diviene l’ego e tutto il mondo’ (11-1-46: edizione 2002, pagina 106), e ‘La mente, rivolta esteriormente, risulta in pensieri e oggetti. Rivolta interiormente, essa stessa diviene il Sé’ (8-11-45: edizione 2002, pagina 37).

Sia che abbiamo praticato ātma-vicāra o no, mentre dormiamo siamo sempre consapevoli di noi stessi, come lo siamo durante la veglia e il sogno, così la consapevolezza di noi stessi nel sonno non è qualcosa che risulta dalla pratica di ātma-vicāra. Ciò che risulta da questa pratica è che la nostra mente diviene di conseguenza sempre più sottile e auto-focalizzata, e che siamo sempre più in grado di riconoscere chiaramente che siamo sempre consapevoli di noi stessi, anche quando non siamo consapevoli di niente altro, come nel sonno. In altre parole, ātma-vicāra non produce qualcosa che non esiste sempre, ma ci permette di riconoscere o discernere ciò che esiste sempre. Inizialmente ci permette di riconoscere con sempre più chiarezza che siamo sempre consapevoli di noi stessi, anche quando siamo completamente assorbiti nel dare attenzione ad altre cose (come siamo abitualmente nella veglia e nel sogno) e quando non siamo consapevoli di qualsiasi altra cosa (come siamo sempre nel sonno), ed infine ci permetterà di riconoscere con chiarezza assoluta che non siamo mai realmente consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, perché niente altro che noi stessi esiste realmente.

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