Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

domenica 30 ottobre 2016

Come siamo realmente, non facciamo nulla e non siamo consapevoli di nient’altro che noi stessi

Michael James

19 Ottobre 2016
As we actually are, we do nothing and are aware of nothing other than ourself

In diversi commenti ad uno dei miei articoli recenti, Cos’è il ‘sé’ che investighiamo quando cerchiamo di essere attentivamente auto-consapevoli?, un amico di nome Ken ha scritto:
Nota che il Sé è ciò che sta osservando il film […] (4 Settembre 2016 alle 17:45)

[…] l’ego è realmente il Sé in un’altra forma. (4 Settembre 2016 alle 23:27)

Il Sé è Dio […] Il Lila (gioco) del Sé (Brahman/Atman) è che esso ‘vela’ sé stesso così esso stesso pensa di essere limitato. In quanto “velato”, sta osservando il film. Quando decide di smettere di guardare il film, e la luce si accende, allora esso vede che è effettivamente il Sé. Quindi “auto-“ “realizzazione”, cioè realizzare che esso è il Sé. (5 Settembre 2016 alle 04:16)

L’ego si ferma dal dare attenzione alla ‘2a persona e 3a persona”, cioè alle percezioni sensoriali e i pensieri. Il Sé vede questo e se è convinto della completa sincerità, allora termina l’ego (questa è “l’azione della Grazia eseguita dal Sé” secondo Ramana – parafrasato). […] poiché il Sé È la nostra consapevolezza fondamentale, quindi è completamente consapevolezza di ogni cosa che tu hai sempre pensato, detto o fatto. (5 Settembre 2016 alle 04:26)

Il Sé (atman) è : Il momento presente [e] Quello che sta guardando. (7 Settembre 2016 alle 03:26)

Questo è ciò che è chiamato “Il Gioco della Coscienza” (lila in Sanscrito). […] Il Sé compie “l’errore” di identificarsi con un personaggio nel mondo. (8 Settembre 2016 alle 02:09)

Il Sé in definitiva vuole vedere il film altrimenti il film neppure esisterebbe (8 Settembre 2016 alle 17:49)

Poiché non c’è niente altro che il Sé, non c’è niente che può forzare il Sé a fare qualcosa. Il Sé è solo, così decide di “velare” sé stesso e limitarsi come una moltitudine di “individui”. Questo è il Lila, il gioco (9 Settembre 2016 alle 00:04)
Ken, in questi commenti hai attribuito proprietà del nostro ego (e anche proprietà di Dio) a ‘il Sé’, che è noi stessi come siamo realmente, così in questo articolo cercherò di chiarire che il nostro sé reale non compie e non è consapevole di nulla e neppure è in qualche altro modo condizionato dall’apparenza illusoria del nostro ego e di tutte le sue proiezioni, che sembrano esistere solo nella visione auto-ignorante di noi stessi come questo ego.
  1. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 1: il nostro ego non è nient’altro che il nostro sé reale, ma il nostro sé reale non è questo ego
  2. Nāṉ Yār? paragrafo 7: solo il nostro sé reale esiste, così come tale non siamo consapevoli di nient’altro che noi stessi
  3. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 26: la consapevolezza transitiva è la natura del nostro ego, non del nostro sé reale
  4. Nāṉ Yār? paragrafi 3 e 4: quando risplendiamo come il nostro sé reale, niente altro sembra esistere
  5. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 25: sorgiamo come questo ego solo afferrando una forma come noi stessi
  6. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 4: possiamo percepire forme solo se percepiamo noi stessi come una forma
  7. Il nostro sé reale non diviene mai questo ego transitivamente consapevole, ma solamente sembra esserlo
  8. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 17: ciò che all’ignorante sembra essere un corpo limitato è realmente solo l’’io’ infinito
  9. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 18: il mondo è reale non come una serie limitata di forme ma solo come il suo substrato senza forma
  10. Nāṉ Yār? paragrafo 15: come il nostro sé reale, Dio non fa nulla
  11. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 22: non possiamo comprendere Dio tranne che rivolgendo la nostra mente all’interno e annegandola in lui
  12. Come questo ego non possiamo mai ‘realizzare’ noi stessi, e come il nostro sé reale non abbiamo bisogno di ‘realizzare’ noi stessi
  13. Upadēśa Undiyār verso 16: dobbiamo non solo cessare di attendere ad altre cose ma dobbiamo attendere accuratamente solo a noi stessi
  14. La grazia è il nostro infinito amore per noi stessi, e la sua ‘azione’ è ‘fare senza fare’
  15. Il nostro sé reale è la presenza del momento presente
  16. Il nostro sé reale non guarda o vede qualsiasi cosa diversa da sé stesso
  17. L’errore di vedere noi stessi come una persona è fatto solo dal nostro ego e non dal nostro sé reale
  18. Upadēśa Undiyār verso 17: se investighiamo accuratamente il nostro ego, scopriremo che non c’è realmente una tale cosa, e quindi nessun mondo o qualunque altra cosa diversa da noi stessi


1. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 1: il nostro ego non è nient’altro che il nostro sé reale, ma il nostro sé reale non è questo ego

Prima di tutto, per evitare di fare l’errore di attribuire le proprietà del nostro ego al nostro sé reale, è importante che comprendiamo chiaramente la differenza fondamentale tra l’ego che ora sembriamo essere e ciò che siamo realmente. Sebbene è corretto dire che il serpente è una corda, non è corretto dire che la corda è un serpente. Nello stesso modo, è corretto dire sia che l’ego è il nostro sé reale sia che Dio è il nostro sé reale, perché solo il nostro sé reale è ciò che esiste realmente, così qualunque altra cosa sembra esistere non può essere realmente qualcosa diversa da quello, ma non è corretto dire che il nostro sé reale è l’ego o che è Dio. È ciò che sembra essere questo ego e ciò che sembra essere Dio, ma non è realmente nessuna di queste cose, perché è solo pura consapevolezza, nella cui chiara visione niente altro (nessuna forma o fenomeno di qualsiasi genere) esiste.

Il fatto che il nostro ego ed ogni altra cosa che sembra esistere sono nient’altro che il nostro sé reale è affermato chiaramente da Bhagavan nel verso 1 di Uḷḷadu Nāṟpadu (che hai citato in uno dei tuoi commenti):
நாமுலகங் காண்டலா னானாவாஞ் சத்தியுள
வோர்முதலை யொப்ப லொருதலையே — நாமவுருச்
சித்திரமும் பார்ப்பானுஞ் சேர்படமு மாரொளியு
மத்தனையுந் தானா மவன்.

nāmulahaṅ kāṇḍalā ṉāṉāvāñ cattiyuḷa
vōrmudalai yoppa lorutalaiyē — nāmavuruc
cittiramum pārppāṉuñ cērpaḍamu māroḷiyu
mattaṉaiyun tāṉā mavaṉ
.

பதச்சேதம்: நாம் உலகம் காண்டலால், நானா ஆம் சத்தி உள ஓர் முதலை ஒப்பல் ஒருதலையே. நாம உரு சித்திரமும், பார்ப்பானும், சேர்படமும், ஆர் ஒளியும் — அத்தனையும் தான் ஆம் அவன்.

Padacchēdam (separazione delle parole): nām ulaham kāṇḍalāl, nānā ām śatti uḷa ōr mudalai oppal orutalaiyē. nāma uru cittiramum, pārppāṉum, sērpaḍamum, ār oḷiyum — attaṉaiyum tāṉ ām avaṉ.

Traduzione: Poiché noi vediamo il mondo, accettare una cosa originale [sorgente, base o realtà fondamentale] che ha un potere che diviene molti è certamente l’opzione migliore. L’immagine di nomi e forme [il mondo], colui che [la] vede, lo schermo coesivo [su cui essa appare], e la luce pervadente [di consapevolezza che la illumina] – tutte queste sono egli [l’unica cosa originale], che è sé stessi.
Ciò che Bhagavan intende stabilire in questo verso è prima di tutto che poiché vediamo il mondo, possiamo dedurre plausibilmente che c’è una realtà fondamentale che ha il potere di apparire come molte cose. Possiamo dedurre che c’è una realtà fondamentale dal fatto noi che vediamo o percepiamo il mondo siamo uno, perché sebbene abitualmente presupponiamo l’esistenza di altre menti che percepiscono il mondo proprio come facciamo noi, siamo realmente il solo percettore o sperimentatore cosciente di chi siamo direttamente consapevoli. Il nostro credere nell’esistenza di altri percettori è solamente una supposizione, ed è estremamente dubbia perché mentre stiamo sognando facciamo la stessa supposizione riguardo le altre persone che percepiamo nel nostro mondo di sogno, ma appena ci svegliamo da qualsiasi sogno siamo in grado di riconoscere che l’intero mondo che vedevamo in quel momento era solo una nostra proiezione mentale, e che tutte le altre persone in quel sogno non erano di conseguenza reali percettori ma solo fenomeni da noi proiettati e percepiti.

Quando vediamo un sogno, il potere (śakti) che diviene tutti i fenomeni che costituiscono il nostro mondo di sogno è la nostra mente, così è ragionevole per noi supporre che la nostra mente è ugualmente il potere che è divenuto tutti i fenomeni che costituiscono questo mondo attuale. Tuttavia, noi sappiamo che questa mente non è permanente, perché sebbene essa sembra esistere nella veglia e nel sogno, scompare nel sonno, così possiamo ragionevolmente dedurre che c’è una singola sorgente o origine da cui essa appare. Quella singola sorgente è ciò a cui Bhagavan si riferisce qui come ‘ஓர் முதல்’ (ōr mudal), che significa una prima cosa, inizio, origine, base, fondamento o causa (in modo particolare nel senso della causa sostanziale, la sostanza di cui un effetto è fatto, che nella filosofia Indiana è considerato generalmente la sua causa primaria e fondamentale), così in questo contesto significa una realtà prima, originale o fondamentale.

Il termine che ho tradotto come ‘l’opzione migliore’ è ஒருதலை (orutalai), che è un composto di due parole, ஒரு தலை (oru talai), che significano letteralmente ‘una testa’ o una cosa migliore o più alta. Come una parola composta ஒருதலை (orutalai) può significare unilateralità o certezza, ma in questo contesto è intesa nel significato di ‘l’opzione migliore’, perché sebbene accettare l’esistenza di una realtà fondamentale con un potere di apparire come se fosse molte cose è certamente un’opzione molto plausibile, e senza dubbio la migliore, non è la sola, come Bhagavan riconosce nel verso successivo riferendosi alla questione filosofica e religiosa se c’è solo una realtà permanente che appare come molte cose o più di una realtà permanente, che egli dice sono argomenti che possono passare per la testa finché c’è un ego per sostenerli (indicando quindi che la questione fondamentale che egli intende affrontare in Uḷḷadu Nāṟpadu è l’apparente esistenza di questo ego e il mezzo con cui possiamo sradicarlo).

Avendo stabilito nella prima frase di questo verso che l’opzione migliore è di accettare che c’è solo una realtà fondamentale con un potere di apparire come se fosse molte cose, ciò che Bhagavan intende stabilire nella seconda frase è che ogni cosa che sembra esistere, incluso noi stessi come colui che percepisce tutto questo, è solo quell’unica realtà fondamentale, che è il nostro sé reale. Il ‘நாம்’ (nām) o ‘noi’ a cui egli si riferisce nella prima frase quando dice ‘நாம் உலகம் காண்டலால்’ (nām ulaham kāṇḍalāl), ‘poiché noi vediamo il mondo’, e il பார்ப்பான் (pārppāṉ), il ‘veggente’ o ‘colui che vede’, a cui si riferisce nella seconda frase sono entrambi solo noi stessi come l’ego che ora sembriamo essere, così quando conclude questo verso dicendo ‘அத்தனையும் தான் ஆம் அவன்’ (attaṉaiyum tāṉ ām avaṉ), che significa ‘tutte queste’ [o tutte queste molte cose] sono egli [l’unica cosa originale] che è sé stessi’, intende chiaramente che l’immagine di nomi e forme (il mondo costituito da numerosi fenomeni), noi che la vediamo (vale a dire questo ego), lo schermo su cui essa appare e la luce di consapevolezza che la illumina sono in sostanza tutti l’unica realtà fondamentale, che è il nostro sé reale.

Tuttavia, sebbene il nostro ego e ogni altra cosa è in sostanza solo il nostro sé reale, il nostro sé reale non è di fatto alcuna di queste cose, non più di quanto una corda sia di fatto un serpente, perché tutte queste cose sono solo un’apparenza illusoria, ed esse sembrano esistere solo nella visione di noi stessi come questo ego, e non nella visione di noi stessi come siamo realmente. Questo non è affermato esplicitamente in questo verso, ma possiamo chiaramente dedurlo da molti dei versi successivi di Uḷḷadu Nāṟpadu, perché questo verso è inteso solo come un’introduzione al soggetto dell’intero testo, così l’analisi in esso non è profonda come nei versi successivi.

Un esempio del modo in cui l’analisi di Bhagavan in questo verso è meno profonda che in altre parti è di fatto che qui egli dice che ogni cosa è il nostro sé reale, mentre nel quarto paragrafo di Nāṉ Yār? (che citerò e discuterò più pienamente nella quarta sezione) egli ci insegna che l’intero mondo è solo una serie di pensieri o idee proiettate dalla nostra mente, e nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu (che citerò e discuterò nella terza sezione) dice che ogni cosa è solo il nostro ego. Tutte queste tre affermazioni sono corrette, ma ciascuna nel proprio modo.

Cioè, tutti i fenomeni che costituiscono questo o qualche altro mondo, nel sogno o nella veglia, sono solo una serie di percezioni costantemente in cambiamento, e le percezioni sono fenomeni mentali, che sono ciò che Bhagavan chiama pensieri o idee, così oltre ai pensieri non c’è una cosa come un mondo. Tuttavia, come egli indica nel verso 18 di Upadēśa Undiyār, la radice di tutti i pensieri è il nostro ego, che è il nostro pensiero primario chiamato ‘io’, e che è ciò che solo proietta e sperimenta tutti gli altri pensieri, così tutti i pensieri sono un’espansione del nostro ego, e quindi poiché ogni cosa diversa da noi stessi è solo un pensiero (un fenomeno mentale), ogni cosa è solo questo ego. Ma cosa è realmente questo ego? Se lo investighiamo abbastanza attentamente esso scomparirà, perché non esiste realmente e sembra esistere solo finché attendiamo ad altre cose e siamo quindi consapevoli di esse, e ciò che rimarrà risplendente quando esso scompare è solo il nostro sé reale – la pura auto-consapevolezza che sempre siamo realmente. Quindi sebbene la sorgente e la sostanza immediata di ogni cosa è solo noi stessi come questo ego, la sorgente e sostanza ultima di questo ego – e perciò di ogni altra cosa – è solo noi stessi come siamo realmente.

Quindi per formarci una comprensione chiara e coerente degli insegnamenti fondamentali di Bhagavan, abbiamo bisogno di considerarli come un insieme e non come singole parti isolate le une dalle altre. Un altro esempio per illustrare questo è che se leggiamo questo verso in isolamento, può sembrarci che il potere (śakti) a cui egli si riferisce qui e le molte cose che egli dice che esso diviene sono tanto reali quanto la realtà fondamentale di cui esso è il potere, mentre se lo leggiamo nel contesto più ampio dei suoi altri insegnamenti, saremo in grado di comprendere che questo potere è ciò che qualche volta è chiamato māyā (che come Bhagavan ha spiegato spesso significa ‘ciò che non è’), ed è nient’altro che il nostro ego o mente, che diviene molte cose espandendosi come numerosi pensieri. Come tale questo potere e tutta la sua progenie non sono davvero reali, ma sembrano essere reali solo nella visione di noi stessi come questo ego. Ciò che è reale (nel senso di ciò che esiste realmente e non solamente sembra esistere) è solo il nostro sé reale, che è ஓர் முதல் (ōr mudal) o unica sostanza originale e fondamentale a cui egli si riferisce in questo verso.

In conclusione, poiché siamo uno, e siamo quindi solo un singolo sé, il nostro ego non può essere qualcosa diversa dal nostro sé reale. Tuttavia, il nostro ego è noi stessi come ora temporaneamente sembriamo essere, mentre il nostro sé reale è noi stessi come sempre siamo realmente, così sebbene in sostanza il nostro ego è solo il nostro sé reale, in apparenza e in funzione è del tutto differente (proprio come il serpente è in sostanza solo una corda, ma in apparenza e in funzione (come nella funzione di causare paura) è del tutto differente). La funzione o proprietà dell’ego è di compiere azioni e di essere consapevole di cose diverse da sé stesso, mentre la ‘funzione’ o ‘proprietà’ del nostro sé reale non è compiere qualsiasi azione ma solo essere, ed essere semplicemente consapevole senza essere consapevole di qualsiasi diversa da sé stesso. Quindi ciò che è ‘interamente consapevole di ogni cosa che hai sempre pensato, detto o fatto’ non è il nostro sé reale (come hai affermato nel quarto dei tuoi commenti citati sopra) ma solo il nostro ego.

2. Nāṉ Yār? paragrafo 7: solo il nostro sé reale esiste, così come tale non siamo consapevoli di nient’altro che noi stessi

Come dici nello stesso commento, il nostro sé reale è la nostra consapevolezza fondamentale, ma la nostra consapevolezza fondamentale non è ogni genere di consapevolezza transitiva (consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da noi stessi) ma solo pura consapevolezza intransitiva (consapevolezza che è solo consapevole senza essere consapevole di qualsiasi cosa tranne sé stessa). Poiché solo il nostro sé reale è ciò che esiste realmente, nella sua chiara visione niente altro esiste o anche sembra esistere, così non c’è niente altro di cui potrebbe mai essere consapevole.

Come Bhagavan afferma inequivocabilmente nel settimo paragrafo di Nāṉ Yār?:
யதார்த்தமா யுள்ளது ஆத்மசொரூப மொன்றே. ஜக ஜீவ ஈச்வரர்கள், சிப்பியில் வெள்ளிபோல் அதிற் கற்பனைகள். இவை மூன்றும் ஏககாலத்தில் தோன்றி ஏககாலத்தில் மறைகின்றன. சொரூபமே ஜகம்; சொரூபமே நான்; சொரூபமே ஈச்வரன்; எல்லாம் சிவ சொரூபமாம்.

yathārtham-āy uḷḷadu ātma-sorūpam oṉḏṟē. jaga-jīva-īśvarargaḷ, śippiyil veḷḷi pōl adil kaṟpaṉaigaḷ. ivai mūṉḏṟum ēka-kālattil tōṉḏṟi ēka-kālattil maṟaigiṉḏṟaṉa. sorūpam-ē jagam; sorūpam-ē nāṉ; sorūpam-ē īśvaraṉ; ellām śiva sorūpam ām.

Ciò che esiste realmente è solo ātma-svarūpa [il nostro sé reale]. Il mondo, l’anima e Dio sono kalpanaigaḷ [fabbricazioni, immaginazioni, creazioni mentali, illusioni o sovrapposizioni illusorie] in esso, come l’argento [illusorio] in una conchiglia. Questi tre appaiono simultaneamente e scompaiono simultaneamente. Solo svarūpa [la nostra ‘forma propria’ o sé reale] è il mondo; solo svarūpa è ‘io’ [l’ego o anima]; solo svarūpa è Dio; ogni cosa è śiva-svarūpa [il nostro sé reale, che è śiva, l’unica realtà infinita ed assoluta].
Poiché solo il nostro sé reale (ātma-svarūpa) è ciò che esiste (uḷḷadu), noi solo siamo anche ciò che è realmente consapevole, e quindi come il nostro sé reale siamo chiaramente consapevoli che solo noi esistiamo, così nella nostra chiara visione niente altro può sembrare esistere. Tutte le altre cose (il nostro ego, questo mondo e Dio) sono solo apparenze illusorie, e appaiono solo nella visione di noi stessi come questo ego transitivamente consapevole e non nella chiara consapevolezza intransitiva che siamo realmente.

Cioè, secondo il principio che Bhagavan ci insegna nel verso 4 di Uḷḷadu Nāṟpadu, ‘கண் அலால் காட்சி உண்டோ?’ (kaṇ alāl kāṭci uṇḍō?), che significa ‘Può ciò che è visto essere diverso [in natura] dall’occhio [che lo vede]?’, ciò che esiste realmente può vedere solo ciò che esiste realmente, e ciò che sembra esistere può essere visto solo da ciò che sembra esistere, così il nostro sé reale non può essere consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso, perché esso solo esiste realmente, e poiché ogni altra cosa sembra esistere ma non esiste realmente, può essere vista solo dal nostro ego, che è la sola consapevolezza che sembra esistere anche se non esiste realmente.

Quando Bhagavan dice qui ‘சொரூபமே ஜகம்; சொரூபமே நான்; சொரூபமே ஈச்வரன்’ (sorūpam-ē jagam; sorūpam-ē nāṉ; sorūpam-ē īśvaraṉ), che significa letteralmente ‘solo svarūpa è il mondo; svarūpa solo è ‘io’ [l’ego]; svarūpa solo è Dio’, egli non intende che il nostro sé reale (svarūpa) è realmente qualcuna di queste cose, ma solo che è ciò che sembra essere tutte esse, poiché nessuna di esse esiste realmente, anche se sembrano esistere (nella visione di ‘io’, l’ego), come egli indica dicendo che esse sono tutte solo fabbricazioni illusorie (kalpanaigaḷ), come l’argento illusorio visto in una conchiglia.

3. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 26: la consapevolezza transitiva è la natura del nostro ego, non del nostro sé reale

Tutte le altre cose sembrano esistere solo nella visione auto-ignorante del nostro ego, perché la natura di questo ego è di essere consapevole transitivamente, e quindi Bhagavan spesso si è riferito ad esso come சுட்டறிவு (suṭṭaṟivu), che significa letteralmente ‘consapevolezza che indica’ o ‘consapevolezza che mostra’, e che ha lo stesso significato del termine ‘consapevolezza transitiva’ (consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da sé stessi, cioè, di ogni oggetto, forma o fenomeno). Ogni volta che sorgiamo e ci reggiamo come questo ego, come nella veglia e nel sogno, siamo transitivamente consapevoli, e ogni volta che cessiamo di essere questo ego, come nel sonno, cessiamo di essere transitivamente consapevoli. Quindi, poiché le altre cose sembrano esistere solo quando noi sembriamo essere transitivamente consapevoli, l’esistenza apparente di tutte le altre cose dipende dall’esistenza apparente di noi stessi come questo ego transitivamente consapevole.

Questo è il motivo per cui Bhagavan dice nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
அகந்தையுண் டாயி னனைத்துமுண் டாகு
மகந்தையின் றேலின் றனைத்து — மகந்தையே
யாவுமா மாதலால் யாதிதென்று நாடலே
யோவுதல் யாவுமென வோர்.

ahandaiyuṇ ḍāyi ṉaṉaittumuṇ ḍāhu
mahandaiyiṉ ḏṟēliṉ ḏṟaṉaittu — mahandaiyē
yāvumā mādalāl yādideṉḏṟu nādalē
yōvudal yāvumeṉa vōr
.

பதச்சேதம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr.

அன்வயம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், அனைத்தும் இன்று. யாவும் அகந்தையே ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே யாவும் ஓவுதல் என ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, aṉaittum iṉḏṟu. yāvum ahandai-y-ē ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē yāvum ōvudal eṉa ōr.

Traduzione: Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste. [Perciò] l’ego è ogni cosa. Quindi, sappi che solo investigare cosa è questo [ego] è rinunciare a ogni cosa.
Tutte le cose diverse da noi stessi (tutte le forme o fenomeni) sembrano esistere solo nella visione di questo ego, così sembrano esistere solo quando noi sorgiamo come questo ego, e cessano di esistere appena sprofondiamo. Tuttavia, anche quando il nostro ego e qualunque fenomeno di cui è consapevole sembrano esistere, essi non esistono realmente, e nella chiara visone di noi stessi come siamo realmente essi neppure sembrano esistere, perché il nostro sé reale è solo pura consapevolezza intransitiva (consapevolezza che è consapevole di nient’altro che sé stessa), e poiché è immutabile, non può mai divenire transitivamente consapevole.

4. Nāṉ Yār? paragrafi 3 e 4: quando risplendiamo come il nostro sé reale, niente altro sembra esistere

Il fatto che il nostro sé reale non è mai consapevole del mondo o di qualsiasi altra cosa diversa da noi stessi è anche inteso chiaramente da Bhagavan nei paragrafi tre e quattro di Nāṉ Yār?, poiché in questi paragrafi egli spiega che la consapevolezza di qualsiasi mondo in effetti oscura la nostra consapevolezza di noi stessi come siamo realmente (proprio come la percezione di un serpente illusorio oscura la nostra percezione della corda che è realmente), così non possiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente se non cessiamo di essere consapevoli di qualsiasi mondo. Nel terzo paragrafo egli riassume questo dicendo:
சர்வ அறிவிற்கும் சர்வ தொழிற்குங் காரண மாகிய மன மடங்கினால் ஜகதிருஷ்டி நீங்கும். கற்பித ஸர்ப்ப ஞானம் போனா லொழிய அதிஷ்டான ரஜ்ஜு ஞானம் உண்டாகாதது போல, கற்பிதமான ஜகதிருஷ்டி நீங்கினா லொழிய அதிஷ்டான சொரூப தர்சன முண்டாகாது.

sarva aṟiviṟkum sarva toṙiṟkum kāraṇam-āhiya maṉam aḍaṅgiṉāl jaga-diruṣṭi nīṅgum. kaṯpita sarppa-ñāṉam pōṉāl oṙiya adhiṣṭhāṉa rajju-ñāṉam uṇḍāhādadu pōla, kaṯpitamāṉa jaga-diruṣṭi nīṅgiṉāl oṙiya adhiṣṭhāṉa sorūpa-darśaṉam uṇḍāhādu.

Se la mente, che è la causa di tutta la consapevolezza [di cose diverse da sé stessa] e di tutta l’attività sprofonda, jagad-dṛṣṭi [la percezione del mondo] cesserà. Proprio come, se non cessa la consapevolezza del serpente immaginario, la consapevolezza della corda, che è adhiṣṭhāna [la base che sottende e sostiene l’apparenza illusoria del serpente], non sorgerà, così se la percezione del mondo, che è kalpita [una fabbricazione, una creazione mentale o un’invenzione dell’immaginazione], non cessa, svarūpa-darśana [vedere la ‘propria forma’ – ciò che si è realmente], che è adhiṣṭhāna [la base o fondamento che sottende e sostiene l’apparenza immaginaria di questo mondo], non sorgerà.
Il termine svarūpa significa letteralmente ‘propria forma’ e implica ‘reale natura’, così Bhagavan spesso lo usava, come in questo caso, per riferirsi a noi stessi come siamo realmente (e come dice qui, il nostro svarūpa o sé reale è adhiṣṭhāna, la base o fondamento, intendendo quindi che è il fondamento ultimo che sottende e sostiene l’apparenza illusoria di questo mondo). Quindi svarūpa-darśana significa vedere noi stessi come siamo realmente, e non possiamo ovviamente vedere noi stessi come siamo realmente finché vediamo noi stessi come questo ego e qualunque persona esso attualmente prende come sé stesso. Quindi, poiché il mondo è solo un’espansione della nostra mente, la radice della quale è il nostro ego, e poiché di conseguenza esso esiste solo nella visione di questo ego, egli dice qui che non possiamo vedere noi stessi come siamo realmente finché continuiamo a percepire il mondo (che in questo caso include qualsiasi cosa diversa da noi stessi).

Un altro punto importante da notare riguardo questo paragrafo è che Bhagavan ha concluso il paragrafo precedente dicendo ‘அறிவே நான். அறிவின் சொரூபம் சச்சிதானந்தம்’ (aṟivē nāṉ. aṟiviṉ sorūpam saccidāṉandam), che significa ‘solo la consapevolezza (aṟivu) è io. La natura (svarūpa) della consapevolezza (aṟivu) è essere- consapevolezza-beatitudine (sat-cit-ānanda)’, e poi inizia questo paragrafo descrivendo la mente come la causa (kāraṇa) di ‘tutta la consapevolezza’ (sarva aṟivu). Ovviamente la consapevolezza a cui si riferisce qui, che è causata dalla mente, non è la stessa consapevolezza che egli dice è solo ‘io’ e la natura della quale è sat-cit-ānanda, così qual è la differenza tra questi due generi distinti di consapevolezza?

La consapevolezza che è ‘io’ e sat-cit-ānanda non è ovviamente consapevolezza transitiva, perché noi esistiamo anche nel sonno, che è uno stato in cui non siamo transitivamente consapevoli (consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi) ma solo intransitivamente consapevoli (semplicemente consapevoli, sebbene non necessariamente consapevoli di qualcosa all’infuori di noi stessi, così la consapevolezza transitiva che sperimentiamo nella veglia e nel sogno è qualcosa che è temporaneamente sovrapposta alla consapevolezza intransitiva che siamo realmente. Quindi quando egli dice in questo paragrafo che la mente è la causa di ‘tutta la consapevolezza’, la consapevolezza a cui si sta riferendo non è la pura consapevolezza intransitiva che siamo realmente ma solo la consapevolezza transitiva (suṭṭaṟivu) che appare con la mente nella veglia e nel sogno e scompare con essa nel sonno. In altre parole, tutta la consapevolezza causata dalla mente è consapevolezza di cose diverse da noi stessi, vale a dire forme o fenomeni.

Quindi, poiché la percezione del mondo (jagad-dṛṣṭi), che è ciò a cui ti riferisci come ‘vedere il film’, è una forma di consapevolezza transitiva, e poiché tutta la consapevolezza transitiva è causata dalla mente (che sola è ciò che è transitivamente consapevole), non ci può essere percezione di qualche mondo tranne che dalla mente (o più precisamente dall’ego, che è la radice, l’essenza e l’elemento percettivo di ciò che generalmente chiamiamo ‘mente’). Inoltre, poiché la mente o ego è ciò che sperimentiamo come noi stessi quando non vediamo noi stessi come siamo realmente, non possiamo vedere noi stessi come siamo realmente finché sorgiamo come questa mente, e di conseguenza non possiamo vedere noi stessi come siamo realmente se non cessiamo di percepire qualche mondo (o qualsiasi altra cosa diversa da noi stessi), come Bhagavan afferma categoricamente in questo paragrafo.

Nella prima frase di questo paragrafo egli dice che la mente è la causa (kāraṇa) non solo di tutta la consapevolezza (sarva aṟivu) ma anche di tutta l’attività (sarva toṙil), così questo è un altro indizio che egli ci dà riguardo la natura del nostro sé reale (svarūpa). Cioè, proprio come in assenza della mente non c’è consapevolezza transitiva, così anche non c’è attività, come possiamo dedurre dalla nostra esperienza nel sonno. Appena la nostra mente sprofonda nel sonno, tutta la consapevolezza transitiva e tutta l’attività cessano, e appena essa sorge nella veglia o nel sogno, la consapevolezza transitiva e l’attività (in modo particolare l’attività mentale, che è la radice e la causa di tutta l’altra attività) riprende. Quindi poiché la mente è la causa di tutta la consapevolezza transitiva e di tutta l’attività, ciò che conosce e fa ogni cosa che sembriamo conoscere e fare non è il nostro sé reale ma solo la nostra mente. Come siamo realmente, non siamo un conoscitore né un agente, perché la nostra natura è solo puro essere, che non fa nulla, e pura consapevolezza, che non è consapevole di niente altro che sé stessa.

Avendo indentificato tutto questo nel terzo paragrafo, nel quarto paragrafo egli spiega in maggiore dettaglio perché non possiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente finché qualche mondo appare nella nostra consapevolezza:
மன மென்பது ஆத்ம சொரூபத்தி லுள்ள ஓர் அதிசய சக்தி. அது சகல நினைவுகளையும் தோற்றுவிக்கின்றது. நினைவுகளை யெல்லாம் நீக்கிப் பார்க்கின்றபோது, தனியாய் மனமென் றோர் பொருளில்லை; ஆகையால் நினைவே மனதின் சொரூபம். நினைவுகளைத் தவிர்த்து ஜகமென்றோர் பொருள் அன்னியமா யில்லை. தூக்கத்தில் நினைவுகளில்லை, ஜகமுமில்லை; ஜாக்ர சொப்பனங்களில் நினைவுகளுள, ஜகமும் உண்டு. சிலந்திப்பூச்சி எப்படித் தன்னிடமிருந்து வெளியில் நூலை நூற்று மறுபடியும் தன்னுள் இழுத்துக் கொள்ளுகிறதோ, அப்படியே மனமும் தன்னிடத்திலிருந்து ஜகத்தைத் தோற்றுவித்து மறுபடியும் தன்னிடமே ஒடுக்கிக்கொள்ளுகிறது. மனம் ஆத்ம சொரூபத்தினின்று வெளிப்படும்போது ஜகம் தோன்றும். ஆகையால், ஜகம் தோன்றும்போது சொரூபம் தோன்றாது; சொரூபம் தோன்றும் (பிரகாசிக்கும்) போது ஜகம் தோன்றாது. மனதின் சொரூபத்தை விசாரித்துக்கொண்டே போனால் தானே மனமாய் முடியும். ‘தான்’ என்பது ஆத்மசொரூபமே. மனம் எப்போதும் ஒரு ஸ்தூலத்தை யனுசரித்தே நிற்கும்; தனியாய் நில்லாது. மனமே சூக்ஷ்மசரீர மென்றும் ஜீவ னென்றும் சொல்லப்படுகிறது.

maṉam eṉbadu ātma sorūpattil uḷḷa ōr atiśaya śakti. adu sakala niṉaivugaḷai-y-um tōṯṟuvikkiṉḏṟadu. niṉaivugaḷai y-ellām nīkki-p pārkkiṉḏṟa-pōdu, taṉiyāy maṉam-eṉḏṟōr poruḷ illai; āhaiyāl niṉaivē maṉadiṉ sorūpam. niṉaivugaḷai-t tavirttu jagam-eṉḏṟōr poruḷ aṉṉiyam-āy illai. tūkkattil niṉaivugaḷ illai, jagam-um illai; jāgra-soppaṉaṅgaḷil niṉaivugaḷ uḷa, jagam-um uṇḍu. silandi-p-pūcci eppaḍi-t taṉṉiḍamirundu veḷiyil nūlai nūṯṟu maṟupaḍiyum taṉṉuḷ iṙuttu-k-koḷḷugiṟadō, appaḍiyē maṉam-um taṉṉiḍattilirundu jagattai-t tōṯṟuvittu maṟupaḍiyum taṉṉiḍamē oḍukki-k-koḷḷugiṟadu. maṉam ātma sorūpattiṉiṉḏṟu veḷippaḍum-pōdu jagam tōṉḏṟum. āhaiyāl, jagam tōṉḏṟum-pōdu sorūpam tōṉḏṟādu; sorūpam tōṉḏṟum (pirakāśikkum) pōdu jagam tōṉḏṟādu. maṉadiṉ sorūpattai vicārittu-k-koṇḍē pōṉāl tāṉē maṉam-āy muḍiyum. ‘tāṉ’ eṉbadu ātma-sorūpam-ē. maṉam eppōdum oru sthūlattai y-aṉusarittē niṟkum; taṉiyāy nillādu. maṉam-ē sūkṣma-śarīram eṉḏṟum jīvaṉ eṉḏṟum sollappaḍugiṟadu.

Ciò che è chiamata mente è un atiśaya śakti [un potere straordinario] che esiste in ātma-svarūpa [il nostro sé reale]. Esso proietta tutti i pensieri [o fa apparire tutti i pensieri]. Quando si guarda, escludendo [eliminando o mettendo da parte] tutti i pensieri, da sola non c’è una cosa come la mente; quindi solo il pensiero è la svarūpa [la ‘forma propria’ o naturale fondamentale] della mente. Ad esclusione dei pensieri [o idee], non c’è separatamente qualcosa come il mondo. Nel sonno non ci sono pensieri, e [di conseguenza] anche non c’è mondo; nella veglia e nel sogno ci sono pensieri, e [di conseguenza] c’è anche un mondo. Proprio come un ragno allunga il filo da dentro sé stesso e di nuovo lo ritira in sé stesso, così la mente proietta il mondo dall’interno di sé stessa e di nuovo lo dissolve in sé stessa. Quando la mente esce da ātma-svarūpa, il mondo appare. Quindi quando il mondo appare, svarūpa [la nostra ‘forma propria’ o sé reale] non appare [come realmente è]; quando svarūpa appare (risplende) [come realmente è], il mondo non appare. Se si continua ad investigare la natura della mente, solo sé stessi risulterà essere [ciò che ora sembra] la mente. Ciò che è [qui] chiamato ‘tāṉ’ [sé stessi] è solo ātma-svarūpa. La mente si regge solo andando sempre dietro [conformandosi o attaccando sé stessa] a sthūlam [qualcosa di grossolano, vale a dire un corpo fisico]; da sola essa non si regge. La mente sola è descritta come sūkṣma śarīra [il corpo sottile] e come jīva [l’anima].
Ciò che Bhagavan descrive qui come la mente che esce dal nostro sé reale (ātma-svarūpa) è il sorgere di noi stessi come questa mente, che comporta essere consapevoli di noi stessi come qualcosa diversa dalla pura auto-consapevolezza intransitiva che siamo realmente. Poiché il mondo (che in questo caso significa la somma totale di tutti i fenomeni) consiste solo di pensieri o idee proiettate da questa mente, in assenza della mente non può apparire nessuna forma (come possiamo dedurre dalla nostra esperienza nel sonno, in cui tutti i fenomeni scompaiono insieme con la nostra mente, e da cui essi di conseguenza riappaiono insieme con essa), così non possiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente finché siamo consapevoli di qualche mondo, e non possiamo essere consapevoli di qualche mondo quando siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente.

Questo è il motivo per cui egli dice qui: ‘மனம் ஆத்ம சொரூபத்தினின்று வெளிப்படும்போது ஜகம் தோன்றும். ஆகையால், ஜகம் தோன்றும்போது சொரூபம் தோன்றாது; சொரூபம் தோன்றும் (பிரகாசிக்கும்) போது ஜகம் தோன்றாது’ (maṉam ātma sorūpattiṉiṉḏṟu veḷippaḍum-pōdu jagam tōṉḏṟum. āhaiyāl, jagam tōṉḏṟum-pōdu sorūpam tōṉḏṟādu; sorūpam tōṉḏṟum (pirakāśikkum) pōdu jagam tōṉḏṟādu), che significa ‘Quando la mente esce da ātma-svarūpa, il mondo appare. Quindi quando il mondo appare, svarūpa non appare; quando svarūpa appare (risplende), il mondo non appare’.

Ciò che egli descrive qui come l’apparire (o il risplendere) di svarūpa è il nostro essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente, e quindi la non apparizione di svarūpa significa il nostro non essere consapevoli di noi stessi in questo modo. Quindi ciò che egli ci insegna qui è che ogni volta che siamo consapevoli di qualche mondo o fenomeno, non siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, e quando siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, non possiamo essere consapevoli di qualche mondo o fenomeno. Essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente comporta l’essere consapevoli soltanto di noi stessi – in altre parole, essere solo intransitivamente consapevoli, senza alcuna consapevolezza transitiva.

5. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 25: sorgiamo come questo ego solo afferrando una forma come noi stessi

Sebbene il nostro ego (che è l’essenza della nostra mente) è solamente un fantasma senza forma, ha origine apparente solo proiettando ed afferrando la forma di un corpo come sé stesso, come Bhagavan spiega nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உருப்பற்றி யுண்டா முருப்பற்றி நிற்கு
முருப்பற்றி யுண்டுமிக வோங்கு — முருவிட்
டுருப்பற்றுந் தேடினா லோட்டம் பிடிக்கு
முருவற்ற பேயகந்தை யோர்.

uruppaṯṟi yuṇḍā muruppaṯṟi niṟku
muruppaṯṟi yuṇḍumiha vōṅgu — muruviṭ
ṭuruppaṯṟun tēḍiṉā lōṭṭam piḍikku
muruvaṯṟa pēyahandai yōr
.

பதச்சேதம்: உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும், உரு அற்ற பேய் அகந்தை. ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṟkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum, uru aṯṟa pēy ahandai. ōr.

அன்வயம்: உரு அற்ற பேய் அகந்தை உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்; உரு பற்றி உண்டு மிக ஓங்கும்; உரு விட்டு, உரு பற்றும்; தேடினால் ஓட்டம் பிடிக்கும். ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): uru aṯṟa pēy ahandai uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṟkum; uru paṯṟi uṇḍu miha ōṅgum; uru viṭṭu, uru paṯṟum; tēḍiṉāl ōṭṭam piḍikkum. ōr.

Traduzione: Afferrando la forma, l’ego-fantasma senza forma ha origine; afferrando la forma si regge; afferrando e nutrendosi di forma cresce [si diffonde, si espande, si solleva o prospera] abbondantemente; lasciando [una] forma, esso afferra [un’altra] forma. Se cercato [esaminato o investigato], prenderà il volo. Investiga [o conosci di conseguenza].
Poiché ogni cosa diversa da noi stessi ha origine apparente solo quando sorgiamo e ci reggiamo come questo ego (come Bhagavan spiega nel verso 26), afferrare la forma comporta il proiettare forme nella nostra consapevolezza. In altre parole, essere consapevoli di qualche forma è afferrarla, e la prima forma che afferriamo appena sorgiamo dal sonno come questo ego (nella veglia o nel sogno) è qualsiasi corpo che in quel momento afferriamo come noi stessi. Poi avendo proiettato e afferrato un corpo come noi stessi, proiettiamo ed afferriamo numerose altre forme, che ci sembrano tutte (tranne quelle che, insieme con questo corpo, costituiscono la persona che ora sembriamo essere) diverse da noi stessi.

La nostra reale natura è solo pura auto-consapevolezza senza forma, ma come questo ego o mente sperimentiamo sempre noi stessi come una forma. In questo verso Bhagavan descrive il nostro ego come ‘உருவற்ற பேய்’ (uru-v-aṯṟa pēy), un ‘fantasma senza forma’, perché in essenza il nostro ego non è nient’altro che l’auto-consapevolezza senza forma che siamo realmente. Quindi prima di afferrare qualche forma il nostro ego non è altro che il nostro sé reale, e quindi non ha esistenza separata, ma appena afferra una forma come sé stesso, assume proprietà che sono diverse dalle proprietà del nostro sé reale, e quindi sembra esistere come un’entità separata.

Ciò che esiste e ciò di cui siamo consapevoli quando non sorgiamo come questo ego che afferra forme è solo il nostro sé reale, ma ciò che sorge afferrando la forma di un corpo come sé stesso non è il nostro sé reale ma solo questo ego. Questo è il motivo per cui Bhagavan dice che l’ego ha origine afferrando la forma. Il suo avere origine e il suo afferrare la forma non sono due azioni separate, e nessuna delle due può esistere senza l’altra, perché il nostro ego non esiste come tale quando non afferra qualche forma.

Questo è ciò che egli indicava quando nel quarto paragrafo di Nāṉ Yār?, ha detto ‘மனம் எப்போதும் ஒரு ஸ்தூலத்தை யனுசரித்தே நிற்கும்; தனியாய் நில்லாது’ (maṉam eppōdum oru sthūlattai y-aṉusarittē niṟkum; taṉiyāy nillādu), che significa ‘La mente si regge solo andando sempre dietro [conformandosi o attaccando sé stessa] a sthūlam [qualcosa di grossolano, vale a dire un corpo fisico]; da sola essa non si regge’. அனுசரித்து (aṉusarittu) significa letteralmente seguire, perseguire, andare dietro o conformarsi a, ma in questo contesto significa attaccare sé stessa a, e la primaria ஸ்தூலம் (sthūlam) o cosa grossolana a cui la mente sempre attacca sé stessa è un corpo fisico (o piuttosto un corpo che è realmente solo una proiezione mentale ma che sembra essere fisico, come qualsiasi corpo che sperimentiamo come noi stessi in un sogno).

La mente è in essenza solo il nostro ego, che può sorgere e reggersi solo afferrando la forma di un corpo grossolano come sé stessa, così ciò che Bhagavan dice in queste due frasi di Nāṉ Yār? è essenzialmente uguale a ciò che ci insegna nella prima riga del verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu, vale a dire ‘உரு பற்றி உண்டாம்; உரு பற்றி நிற்கும்’ (uru paṯṟi uṇḍām; uru paṯṟi niṟkum), ‘Afferrando la forma esso ha origine; afferrando la forma si regge’.

6. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 4: possiamo percepire forme solo se percepiamo noi stessi come una forma

Poiché il nostro sé reale è solo consapevolezza senza forma, non possiamo come tali essere consapevoli di qualsiasi forma, perché secondo Bhagavan la natura di qualunque cosa è percepita non può essere differente dalla natura del percettore. Quindi per percepire qualsiasi altra forma, dobbiamo prima percepire noi stessi come una forma, come egli spiega nel verso 4 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
உருவந்தா னாயி னுலகுபர மற்றா
முருவந்தா னன்றே லுவற்றி — னுருவத்தைக்
கண்ணுறுதல் யாவனெவன் கண்ணலாற் காட்சியுண்டோ
கண்ணதுதா னந்தமிலாக் கண்.

uruvandā ṉāyi ṉulahupara maṯṟā
muruvandā ṉaṉḏṟē luvaṯṟi — ṉuruvattaik
kaṇṇuṟudal yāvaṉevaṉ kaṇṇalāṯ kāṭciyuṇḍō
kaṇṇadutā ṉantamilāk kaṇ
.

பதச்சேதம்: உருவம் தான் ஆயின், உலகு பரம் அற்று ஆம்; உருவம் தான் அன்றேல், உவற்றின் உருவத்தை கண் உறுதல் யாவன்? எவன்? கண் அலால் காட்சி உண்டோ? கண் அது தான் அந்தம் இலா கண்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uruvam tāṉ āyiṉ, ulahu param aṯṟu ām; uruvam tāṉ aṉḏṟēl, uvaṯṟiṉ uruvattai kaṇ uṟudal yāvaṉ? evaṉ? kaṇ alāl kāṭci uṇḍō? kaṇ adu tāṉ antam-ilā kaṇ.

அன்வயம்: தான் உருவம் ஆயின், உலகு பரம் அற்று ஆம்; தான் உருவம் அன்றேல், உவற்றின் உருவத்தை யாவன் கண் உறுதல்? எவன்? கண் அலால் காட்சி உண்டோ? கண் அது தான் அந்தம் இலா கண்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): tāṉ uruvam āyiṉ, ulahu param aṯṟu ām; tāṉ uruvam aṉḏṟēl, uvaṯṟiṉ uruvattai yāvaṉ kaṇ uṟudal? evaṉ? kaṇ alāl kāṭci uṇḍō? kaṇ adu tāṉ antam-ilā kaṇ.

Traduzione: Se sé stessi è una forma, il mondo è Dio lo saranno ugualmente; se sé stessi non è una forma, chi può vedere le loro forme, e come [farlo]? Può ciò che è visto essere diverso [in natura] dall’occhio [che lo vede]? L’occhio [reale] è sé stessi, l’occhio infinito.
Nella prima frase di questo verso, ‘உருவம் தான் ஆயின், உலகு பரம் அற்று ஆம்’ (uruvam tāṉ āyiṉ, ulahu param aṯṟu ām), che significa ‘Se sé stessi è una forma, il mondo e Dio lo saranno ugualmente’, egli intende chiaramente che se sorgiamo come questo ego afferrando la forma di un corpo come noi stessi, inevitabilmente vedremo il mondo solo come numerose forme separate, e anche Dio ci sembrerà una forma separata da noi stessi. Poi chiedendo un paio di domande retoriche nella seconda e nella terza frase, ‘உருவம் தான் அன்றேல், உவற்றின் உருவத்தை கண் உறுதல் யாவன்? எவன்?’ (uruvam tāṉ aṉḏṟēl, uvaṯṟiṉ uruvattai kaṇ uṟudal yāvaṉ? evaṉ?), che significa ‘Se sé stessi non è una forma, chi può vedere le loro forme? [E] come [farlo]?, egli intende che come la consapevolezza senza forma che siamo realmente non possiamo con qualunque mezzo essere consapevoli di qualche forma.

Nella quarta frase egli afferma questo come un principio generale ponendo un’altra domanda retorica, ‘கண் அலால் காட்சி உண்டோ?’ (kaṇ alāl kāṭci uṇḍō?), che significa ‘Può ciò che è visto essere diverso [in natura] dall’occhio [che lo vede]?’ Qui egli usa la parola கண் (kaṇ), che significa letteralmente ‘occhio’, come una metafora per consapevolezza nel senso di ciò che è consapevole o percepisce. Quindi il principio che qui egli afferma implicitamente è che la natura di qualunque cosa percepita non può essere diversa dalla natura di qualunque cosa la percepisce.

Ciò che possiamo dedurre da questo principio, quindi, è che solo la consapevolezza che è consapevole di sé stessa come una forma può essere consapevole di altre forme, così poiché la sola consapevolezza che è consapevole di sé stessa come una forma è il nostro ego, esso solo può essere consapevole di forme. Di conseguenza, poiché il nostro sé reale non è una forma ma solo auto-consapevolezza senza forma, non può mai essere consapevole di qualsiasi forma. Essendo senza forma, come noi siamo realmente possiamo vedere solo ciò che è senza forma, o in altre parole, possiamo vedere solo noi stessi, e non possiamo mai vedere alcuna alterità o separatezza, perché ciò che crea l’illusione dell’alterità e della separazione è solo la forma. Quindi, poiché la radice e l’origine di tutte le forme o fenomeni è solo il nostro ego proiettore di forme, in assenza di questo ego nessuna forma sembrerà esistere, come sappiamo dalla nostra esperienza nel sonno, in cui tutte le forme scompaiono insieme con questo ego.

Infine nell’ultima frase Bhagavan descrive la natura del nostro ‘occhio’ reale o consapevolezza, dicendo ‘கண் அது தான் அந்தமிலா கண்’ (kaṇ adu tāṉ antam-ilā kaṇ), che significa ‘L’occhio [reale] è sé stessi, l’occhio infinito’. அந்தம் (antam) significa fine o limite, così அந்தமிலா (antam-ilā) significa senza fine, illimitato o infinito. Quindi, poiché ogni forma ha limiti o confini che la separano da ciascuna altra forma, quando Bhagavan descrive il nostro sé reale come ‘அந்தமிலா கண்’ (antam-ilā kaṇ), ‘l’occhio illimitato’, egli intende che la nostra reale natura è solo pura consapevolezza senza forma.

Quindi, poiché siamo realmente solo consapevolezza illimitata e quindi senza forma, come tale non possiamo mai essere consapevoli di una qualsiasi forma o limitazione. In altre parole, come il nostro sé reale, non siamo mai consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, l’unica pura consapevolezza infinita e quindi senza forma. Ciò che è infinito non può vedere qualcosa di limitato, e ciò che è limitato non può mai vedere l’infinito, così è solo essendo il nostro sé infinito (e quindi cessando di sorgere come questo ego limitato che afferra le forme) che possiamo vedere il nostro sé infinito.

Quindi come siamo realmente siamo solo pura consapevolezza intransitiva – consapevolezza che non è mai consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stessa – e non possiamo mai divenire realmente la consapevolezza transitiva (che percepisce la forma) chiamata ‘ego’. Quindi la nostra esistenza apparente come questo ego non è reale ma solo un’apparenza illusoria, e poiché questa apparenza illusoria sembra esistere solo nella visione di noi stessi come questo ego, è realmente del tutto non-esistente, come scopriremo se investighiamo noi stessi in modo sufficientemente accurato.

7. Il nostro sé reale non diviene mai questo ego transitivamente consapevole, ma solamente sembra esserlo

Nel secondo dei tuoi commenti che ho citato all’inizio di questo articolo hai affermato che ‘l’ego è realmente il Sé in un'altra forma’, ma esprimere in questo modo la relazione del nostro ego con il nostro sé reale è potenzialmente ingannevole, perché sembra implicare che il nostro sé reale in qualche modo è stato trasformato in questo ego. Un serpente illusorio non è una corda in un’altra forma, perché la forma della corda rimane immutata, così il serpente è solo la corda che sembra essere qualcosa di diverso da ciò che è realmente. Nello stesso modo, il nostro ego non è ‘realmente il Sé in un’altra forma’, perché il nostro sé reale è immutabile e quindi non è mai trasformato in alcun modo, così il nostro ego è solo noi stessi che sembriamo essere qualcosa di diverso da ciò che siamo realmente. Proprio come il serpente non è mai realmente esistito tranne nella visione ignorante di chi ha confuso la corda come un serpente, l’ego mai esiste realmente tranne che nella propria visione auto-ignorante, così è una cosa non-esistente che sembra esistere solo nella visione di sé stesso, e quindi è chiamato māyā, che significa ‘ciò che non è’ (o più letteralmente ‘lei che non è’)

In due brani in Day by Day with Bhagavan, Devaraja Mudaliar ha registrato ciò che Bhagavan ha detto riguardo la differenza tra la nostra mente (che in questo contesto significa il nostro ego) e il nostro sé reale: ‘La mente rivolta all’interno è il Sé; rivolta all’esterno, diviene l’ego e tutto il mondo’ (11-1-46: edizione 2002, pagina 106), e ‘La mente, rivolta all’esterno, ha come risultato pensieri e oggetti. Rivolta all’interno, diviene il Sé’ (8-11-45: edizione 2002, pagina 37). Il nostro ego o mente ha origine rivolgendo la sua attenzione all’esterno per proiettare ed essere consapevole di cose diverse da sé stesso, così quando si rivolge all’interno per essere consapevole soltanto di sé stesso, sprofonda e si fonde nel nostro sé reale, che è ciò che siamo realmente.

Ciò che si rivolge esteriormente per essere consapevole di altre cose non è il nostro sé reale ma solo il nostro ego. Il nostro sé reale non diviene mai questo ego transitivamente consapevole (non più di una corda che mai diviene un serpente), ma sembra essere questo ego solo nella visione di questo ego stesso. Tuttavia, quando il nostro ego rivolge la sua attenzione soltanto verso sé stesso ‘diviene’ il nostro sé reale nel senso che cessa di essere consapevole di sé stesso come una limitata consapevolezza transitiva e quindi cessa di esistere apparentemente come qualcosa diversa dall’unica consapevolezza infinita e intransitiva che siamo sempre realmente.

Poiché la consapevolezza transitiva (cioè, la consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da noi stessi) sembra esistere solo nella veglia e nel sogno e non nel sonno, non è reale, anche se sembra reale nella visione illusa di questo ego, la cui natura è di essere transitivamente consapevole. Come Bhagavan spesso ha spiegato, tre caratteristiche per definire ciò che è reale sono che è eterno, immutabile e auto-risplendente, così poiché la consapevolezza transitiva non è permanente, non è immutabile, né auto-risplendente, non può essere reale.

Essa non è permanente perché cessa di esistere appena il nostro ego sprofonda nel sonno o in qualche altro stato di manōlaya (qualsiasi stato temporaneo in cui la mente è dissolta completamente), e nello stesso modo anche quando infine sprofonda per sempre in manōnāśa (annientamento della mente); non è immutabile perché anche quando sembra esistere è formata dai suoi contenuti (tutti i fenomeni di cui l’ego è consapevole), che sono costantemente in cambiamento; e non è auto-risplendente, perché non potrebbe risplendere anche temporaneamente se non fosse supportata dalla nostra fondamentale consapevolezza transitiva (cioè, consapevolezza che è solo consapevole senza essere consapevole di qualsiasi cosa). Non possiamo essere transitivamente consapevoli senza essere intransitivamente consapevoli, ma possiamo essere intransitivamente consapevoli senza essere transitivamente consapevoli, come siamo nel sonno, così la consapevolezza intransitiva è la nostra consapevolezza fondamentale, ed è ciò che illumina l’apparenza temporanea del nostro ego e della sua consapevolezza transitiva.

Quindi ciò che è reale è solo la consapevolezza intransitiva che siamo realmente. È la nostra natura fondamentale, così è permanente, e poiché niente potrebbe esistere senza di essa, anche se esiste senza qualsiasi altra cosa in stati come il sonno, è eterna; non cambia mai in alcun modo, così è immutabile; risplende senza dipendere da qualsiasi altra cosa, così è auto-risplendente. Poiché è la sola cosa che è eterna, immutabile ed auto-risplendente, essa sola è ciò che è reale.

E cosa significa reale o irreale in questo contesto? Ciò che è reale è ciò che esiste realmente, e ciò che è irreale è ciò che non esiste realmente ma solo sembra esistere. Quindi, poiché secondo la definizione di realtà fornita da Bhagavan, la consapevolezza intransitiva è la sola realtà, essa sola è ciò che esiste realmente, e poiché la consapevolezza transitiva è irreale, non esiste realmente anche se sembra esistere.

La consapevolezza intransitiva è sempre intransitiva, perché è immutabile, e quindi non può mai diventare consapevolezza transitiva. Quando l’ego sorge, la consapevolezza intransitiva sembra divenire consapevole transitivamente, ma non diviene mai in questo modo, perché la consapevolezza transitiva è solo una sovrapposizione illusoria, come l’illusione di un serpente sovrapposto su una corda. Quindi se stiamo cercando di sperimentare solo ciò che è reale, dobbiamo essere disposti a rinunciare ad essere transitivamente consapevoli (cosa che possiamo fare solo cessando per sempre di sorgere come questo ego transitivamente consapevole) per rimanere solo come la reale consapevolezza intransitiva che sempre siamo realmente.

8. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 17: ciò che all’ignorante sembra essere un corpo limitato è realmente solo l’’io’ infinito

In un commento che hai scritto ad un altro articolo recente, ‘Io sono’ è la realtà, ‘io sono questo’ o ‘io sono quello’ è l’ego, hai citato i versi 17 e 18 di Uḷḷadu Nāṟpadu, in cui sembri interpretare come supporto alla tua opinione che l’ātma-jñāni è consapevole del corpo e del mondo come tali, cosa che implicherebbe che il nostro sé reale è consapevole di tali cose, poiché l’ātma-jñāni non è niente altro che noi stessi come siamo realmente. Tuttavia, sebbene questi versi sembrano supportare questa opinione se li consideriamo in modo superficiale, se li consideriamo più in profondità dovrebbe esserci chiaro che questo non è ciò che Bhagavan intendeva con la sottile e precisa espressione che ha usato in essi.

Nel verso 17 egli dice:
உடனானே தன்னை யுணரார்க் குணர்ந்தார்க்
குடலளவே நான்ற னுணரார்க் — குடலுள்ளே
தன்னுணர்ந்தார்க் கெல்லையறத் தானொளிரு நானிதுவே
யின்னவர்தம் பேதமென வெண்.

uḍaṉāṉē taṉṉai yuṇarārk kuṇarndārk
kuḍalaḷavē nāṉṯṟa ṉuṇarārk — kuḍaluḷḷē
taṉṉuṇarndārk kellaiyaṟat tāṉoḷiru nāṉiduvē
yiṉṉavartam bhēdameṉa veṇ
.

பதச்சேதம்: உடல் நானே, தன்னை உணரார்க்கு, உணர்ந்தார்க்கு. உடல் அளவே ‘நான்’ தன் உணரார்க்கு; உடல் உள்ளே தன் உணர்ந்தார்க்கு எல்லை அற தான் ஒளிரும் ‘நான்’. இதுவே இன்னவர் தம் பேதம் என எண்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uḍal nāṉē, taṉṉai uṇarārkku, uṇarndārkku. uḍal aḷavē ‘nāṉ’ taṉ[ṉai] uṇarārkku; uḍal uḷḷē taṉ[ṉai] uṇarndārkku ellai aṟa tāṉ oḷirum ‘nāṉ’. iduvē iṉṉavar tam bhēdam eṉa eṇ.

அன்வயம்: தன்னை உணரார்க்கு, உணர்ந்தார்க்கு உடல் நானே. தன் உணரார்க்கு, ‘நான்’ உடல் அளவே; உடல் உள்ளே தன் உணர்ந்தார்க்கு ‘நான்’ தான் எல்லை அற ஒளிரும். இன்னவர் தம் பேதம் இதுவே என எண்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): taṉṉai uṇarārkku, uṇarndārkku uḍal nāṉē. taṉ uṇarārkku ‘nāṉ’ uḍal aḷavē; uḍal uḷḷē taṉ uṇarndārkku ‘nāṉ’ tāṉ ellai aṟa oḷirum. iṉṉavar tam bhēdam iduvē eṉa eṇ.

Traduzione: Per coloro che non conoscono sé stessi [e] per coloro che hanno conosciuto sé stessi, il corpo è solo ‘io’. Per coloro che non conoscono sé stessi, ‘io’ è [limitato] solo alla dimensione del corpo, [mentre] per coloro che hanno conosciuto sé stessi all’interno del corpo, il sé stesso [chiamato] ‘io’ risplende senza limite [confine o dimensione]. Tieni presente che la differenza tra essi è solo questo.
Questo corpo è solo una forma limitata, mentre il nostro sé reale, che è ciò di cui il conoscitore di sé (ātma-jñāni) è consapevole come ‘io’, è solo infinita auto-consapevolezza, come Bhagavan intende in questo verso dicendo ‘எல்லை அற தான் ஒளிரும் நான்’ (ellai aṟa tāṉ oḷirum nāṉ), che significa ‘il sé stesso [chiamato] ‘io’ risplende senza limite [confine o dimensione]’. Poiché il corpo è una forma, come ogni altra forma la sua dimensione è limitata, mentre la dimensione di ‘io’ è illimitata, perché è senza forma. Se ‘io’ fosse una forma, sarebbe necessariamente limitata, così poiché esso risplende senza limite, è necessariamente senza forma.

Dicendo che ‘io’ (il nostro sé reale) risplende senza limite, Bhagavan intende che esso non solo non ha limite o confine esterno, ma anche non ha limiti o confini interni, così non è solo infinito ma anche indivisibile. Poiché è infinito, niente può esistere al di fuori di esso o diverso da esso, e poiché è indivisibile, non può consistere di parti, così è senza altro, senza parti e quindi assolutamente non-duale. Di conseguenza solo esso esiste realmente, come Bhagavan dice nella prima frase del settimo paragrafo di Nāṉ Yār? (che ho citato sopra nella sezione 2).

Perché allora egli dice che per l’ātma-jñāni il corpo è solo ‘io’? Per il jñāni ciò che esiste è solo ‘io’, l’unica auto-consapevolezza illimitata, così qualunque cosa sembra esistere non può essere qualcosa diversa da ‘io’. Questo non significa, comunque, che il jñāni è consapevole del corpo e di qualche altra forma, perché come Bhagavan spiega nel verso 4 (che abbiamo esaminato nella sezione 6), uno può essere consapevole di qualsiasi forma solo se sé stesso è una forma, così poiché per il jñāni ‘io’ risplende senza limite, è senza forma e quindi non può mai essere consapevole di qualche forma.

Se confondiamo una corda come un serpente, qualcuno che sa che è solo una corda può dirci, ‘Quel serpente è solo una corda’, proprio come Bhagavan dice in questo verso ‘உடல் நானே’ (uḍal nāṉē), che significa ‘il corpo è solo io’. Tuttavia, proprio come non dovremmo dedurre che la persona che dice ‘Quel serpente è solo una corda’ vede realmente la corda come un serpente, quando Bhagavan dice ‘il corpo è solo io’ non dovremmo dedurre che egli sia realmente consapevole di ‘io’ come un corpo.

Quando qualcuno dice ‘Quel serpente è solo una corda’, ciò che dovremmo comprendere è che chi dice questo non vede realmente alcun serpente ma solo una corda, così ciò che egli intende è solo che ciò che abbiamo erroneamente visto come un serpente è ciò che egli effettivamente vede come una corda. Nello stesso modo, quando Bhagavan dice che per il jñāni ‘il corpo è solo io’, ciò che dovremmo comprendere è che il jñāni non è realmente consapevole di alcun corpo ma solo di ‘io’, così ciò che egli intende è solo che ciò che abbiamo erroneamente visto come la forma limitata di un corpo è ciò che il jñāni vede correttamente come ‘io’, che risplende senza alcun limite e quindi senza alcuna forma.

Quando Bhagavan esprimeva qualche insegnamento, egli generalmente faceva questo in un modo molto sfumato, scegliendo le sue espressioni attentamente e precisamente così che quelli che non erano ancora pronti a comprendere ciò che egli intendeva trasmettere avrebbero compreso le sue parole secondo i limiti della loro comprensione, mentre coloro che erano pronti a comprendere ciò che intendeva trasmettere avrebbero compreso chiaramente e correttamente il significato inteso delle sue parole. Questo verso e quello successivo di Uḷḷadu Nāṟpadu sono esempi molto chiari di queste espressioni sfumate, e se comprendiamo correttamente ciò che egli intendeva in questi due versi, comprenderemo quanto è importante per noi esaminare attentamente e fare affidamento sulle precise espressioni che egli ha usato nei suoi scritti originali piuttosto che fare affidamento su registrazioni dei suoi insegnamenti orali formulate in modo impreciso (e in molti casi estremamente inesatto) da devoti che spesso non riuscivano a comprendere la sottigliezza di ciò che egli aveva detto.

9. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 18: il mondo è reale non come una serie limitata di forme ma solo come il suo substrato senza forma

Nel verso 18 di Uḷḷadu Nāṟpadu Bhagavan dice:
உலகுண்மை யாகு முணர்வில்லார்க் குள்ளார்க்
குலகளவா முண்மை யுணரார்க் — குலகினுக்
காதார மாயுருவற் றாருமுணர்ந் தாருண்மை
யீதாகும் பேதமிவர்க் கெண்.

ulahuṇmai yāhu muṇarvillārk kuḷḷārk
kulahaḷavā muṇmai yuṇarārk — kulahiṉuk
kādhāra māyuruvaṯ ṟārumuṇarn dāruṇmai
yīdāhum bhēdamivark keṇ
.

பதச்சேதம்: உலகு உண்மை ஆகும், உணர்வு இல்லார்க்கு, உள்ளார்க்கு. உலகு அளவு ஆம் உண்மை உணரார்க்கு; உலகினுக்கு ஆதாரமாய் உரு அற்று ஆரும் உணர்ந்தார் உண்மை. ஈது ஆகும் பேதம் இவர்க்கு. எண்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ulahu uṇmai āhum, uṇarvu illārkku, uḷḷārkku. ulahu aḷavu ām uṇmai uṇarārkku; ulahiṉukku ādhāram-āy uru aṯṟu ārum uṇarndār uṇmai. īdu āhum bhēdam ivarkku. eṇ.

அன்வயம்: உணர்வு இல்லார்க்கு, உள்ளார்க்கு உலகு உண்மை ஆகும். உணரார்க்கு உண்மை உலகு அளவு ஆம்; உணர்ந்தார் உண்மை உலகினுக்கு ஆதாரமாய் உரு அற்று ஆரும். ஈது இவர்க்கு பேதம் ஆகும். எண்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): uṇarvu illārkku, uḷḷārkku ulahu uṇmai āhum. uṇarārkku uṇmai ulahu aḷavu ām; uṇarndār uṇmai ulahiṉukku ādhāram-āy uru aṯṟu ārum. īdu ivarkku bhēdam āhum. eṇ.

Traduzione: Per coloro che non hanno conoscenza e per coloro che ce l’hanno, il mondo è reale. Per color che non conoscono, la realtà è [limitata] alla dimensione del mondo, [mentre] per coloro che hanno conosciuto, la realtà pervade priva di forma come l’ādhāra [supporto, substrato o fondamento] per il mondo. Questa è la differenza tra essi. Considera.
Quando una corda è confusa come un serpente, il serpente è solo un’apparenza illusoria sovrapposta sulla corda, così la corda è l’ādhāra (supporto, substrato o fondamento) che sottende e sostiene la falsa apparenza del serpente. Nello stesso modo, secondo Bhagavan ciò che ora confondiamo come questo mondo è solo il nostro vero sé, che solo è reale e che è solo pura auto-consapevolezza, così il mondo è un’apparenza illusoria sovrapposta al nostro sé reale, e quindi il nostro sé reale è l’ādhāra che sottende e sostiene la falsa apparenza del mondo.

Se confondiamo una corda come un serpente, nella nostra visione il serpente sembrerà reale, e se dicessimo a qualcuno che riconosce che è realmente solo una corda, ‘Vedi, questo serpente è reale, non è così?’, egli potrebbe rispondere, ‘Si, certamente, il serpente è reale’, ma ciò che egli intenderebbe dicendo questo non è che è reale in quanto serpente ma solo che è reale in quanto una corda. Cioè, c’è realmente qualcosa lì a terra, ma non è ciò che sembra essere, così è reale, ma non come il serpente con cui confondiamo la corda.

Nello stesso modo, quando Bhagavan dice che per il jñāni il mondo è reale, ciò che intende non è che è reale in quanto tale (cioè, come una miriade di forme) ma che è reale come il substrato senza forma (ādhāra) che è realmente. Ciò che confondiamo come un mondo costituito di forme innumerevoli e sempre mutevoli è realmente solo un’auto-consapevolezza senza forma, indivisibile ed immutabile, che sola è ciò che è reale, e che quindi è l’ādhāra che sottende e sostiene ogni cosa che sembra esistere ma che non esiste realmente.

Questo è il motivo per cui egli dice, ‘உணர்ந்தார் உண்மை உலகினுக்கு ஆதாரமாய் உரு அற்று ஆரும்’ (uṇarndār uṇmai ulahiṉukku ādhāram-āy uru aṯṟu ārum), che significa, ‘Per coloro che hanno conosciuto, la realtà pervade priva di forma come l’ādhāra per il mondo’. Cioè, ciò che il jñāni vede come reale è solo l’ādhāra senza forma che è infinita auto-consapevolezza e quindi ciò che sempre risplende senza alcun limite come ‘io’. Poiché è senza forma e quindi illimitata, niente può essere diverso da essa, così solo essa esiste realmente, e quindi se qualsiasi altra cosa sembra esistere, ciò che è realmente quella cosa apparente non è nient’altro che questa unica auto-consapevolezza senza forma. In questo senso per il jñāni ogni cosa è reale, perché niente altro che la realtà esiste realmente.

Questo non significa, comunque, che il jñāni vede le forme che noi vediamo, perché il jñāni è solo l’ādhāra senza forma, nella cui chiara visione nessuna forma può apparire. Essere consapevoli di forme comporta essere consapevoli della molteplicità (perché ogni forma è limitata in un modo o in un altro, e ogni limitazione comporta l’esistenza o l’apparente esistenza di qualcos’altro al di fuori dei suoi confini), così poiché Bhagavan dice nel verso 13 di Uḷḷadu Nāṟpadu, ‘நானாவாம் ஞானம் அஞ்ஞானம் ஆம்’ (nāṉā-v-ām ñāṉam aññāṉam ām), che significa letteralmente ‘conoscenza [o consapevolezza] che è molti è ignoranza (ajñāna)’ che implica ‘consapevolezza della molteplicità è ignoranza’, essere consapevoli di forme non è reale conoscenza (jñāna) ma solo ignoranza (ajñāna).

Molte persone immaginano che il jñāni vede unicità nella differenza e differenza nell’unicità, o più precisamente, non-differenza (abhēda) nella differenza (bhēda) e differenza nella non-differenza, e di fatto la maggior parte di forme di vēdānta diverse dalla pura advaita postulano la dottrina di bhēdābhēda (la coesistenza di differenza e non-differenza) in una forma o in un’altra. Tuttavia, Bhagavan ha ripudiato esplicitamente questa dottrina, indicando il fatto ovvio che se uno è consapevole di qualche differenza, non è consapevole della non-differenza assoluta, e se uno è consapevole della non-differenza assoluta o unicità, non può essere consapevole di qualunque differenza.

Poiché le forme sono ciò che differenzia una cosa da un’altra, uno non può vedere qualche forma senza vedere differenze, e non può vedere differenze senza vedere forme. Quindi, poiché l’unica realtà è senza forma, nessuna differenza può esistere in essa, così se uno vede qualche differenza di qualsiasi genere, sta vedendo forme e quindi non sta vedendo la realtà senza forma come è realmente. Non possiamo essere consapevoli della realtà senza forma senza essere consapevoli di noi stessi come la realtà senza forma, e se siamo consapevoli di noi stessi come la realtà senza forma, non possiamo essere consapevoli di qualche forma, come Bhagavan ci insegna inequivocabilmente nel verso 4 di Uḷḷadu Nāṟpadu.

Poiché il jñāni non è nient’altro che il nostro sé reale, che è l’ādhāra senza forma, non può essere consapevole di qualsiasi forma o qualsiasi differenza. Quindi quando Bhagavan termina sia questo che il verso precedente dicendo che questa è la differenza (bhēda) tra il jñāni e l’ajñāni, dovremmo comprendere che la differenza che egli indica in ciascun caso esiste solo nella visione dell’ajñāni e non nella visione del jñāni, perché nella visione del jñāni non esiste alcuna differenza.

Questo è il motivo per cui Bhagavan usava spesso dire che nella visione del jñāni non c’è una cosa come un ajñāni. Cioè, per il jñāni non ci sono forme e quindi nessun altro, perché ciò che esiste è solo l’unica auto-consapevolezza senza forma e perciò infinita, oltre alla quale niente può esistere o anche sembrare esistere. Tutte le forme, le differenze e le alterità esistono solo nella visione dell’ego, che è la vera incarnazione dell’auto-ignoranza (ajñāna), e se investighiamo questo ego abbastanza attentamente, scopriremo che esso non esiste realmente e neppure è mai sembrato esistere.

10. Nāṉ Yār? paragrafo 15: come il nostro sé reale, Dio non fa nulla

Nel terzo dei tuoi commenti che ho citato all’inizio di questo articolo hai scritto, ‘Il Sé è Dio […] Il Lila (gioco) del Sé (Brahman/Atman) è che “vela” sé stesso così pensa di essere limitato’, e in diversi dei tuoi commenti ti sei riferito a questo concetto dualistico che l’apparenza dell’ego e del mondo è un līlā o gioco di Dio. Sebbene in certi contesti Bhagavan si è riferito a questo concetto di līlā, non è in accordo con i suoi insegnamenti centrali, perché Dio come un’entità separata sembra esistere solo nella visione del nostro ego, e come il nostro Sé reale Dio non fa realmente nulla.

‘Il Sé è Dio’, come tu dici, ma questo significa che Dio non è niente altro che noi stessi, che è la verità definitiva su Dio. Tuttavia, quando sorgiamo come questo ego, Dio sembra essere qualcosa diversa da noi stessi, così finché egli sembra essere tale, l’affermazione ‘Il Sé è Dio’ è vera solo nel senso che il nostro sé reale è ciò che appare come Dio, ma questo non significa che le proprietà e le funzioni che sono abitualmente attribuite a Dio sono proprietà o funzioni del nostro sé reale, perché il nostro sé reale solo è e non fa nulla e non conosce nulla diverso da sé stesso. È solo per coloro che credono che il mondo e Dio (come un’entità separata) esistono indipendentemente dall’ego che egli è detto eseguire azioni come creazione, sostentamento, dissoluzione, velare e concedere grazia, e che tutte queste funzioni e i loro effetti sono detti essere il suo līlā o gioco divino.

Finché consideriamo Dio come qualcosa diversa da noi stessi ed avere qualche funzione come ‘velare’ o giocare qualche līlā, egli non è reale ma solo una creazione del nostro ego. Come è realmente, Dio è solo il nostro sé reale, che non fa mai nulla e non conosce nulla, ma solo è, così come tale egli non ha alcuna funzione. Come Bhagavan spiega nel quindicesimo paragrafo di Nāṉ Yār?, Dio realmente non fa mai nulla ed è intoccato da qualsiasi cosa che sembra essere fatta, ma tutte le funzioni che sono abitualmente attribuite a lui (creazione, sostentamento, dissoluzione, velatura e grazia) accadono per il potere speciale della sua sola presenza, proprio come tutti i processi vitali e così molte altre azioni sulla terra accadono a causa della sola presenza del sole:
இச்சா ஸங்கல்ப யத்நமின்றி யெழுந்த ஆதித்தன் சன்னிதி மாத்திரத்தில் காந்தக்கல் அக்கினியைக் கக்குவதும், தாமரை மலர்வதும், நீர் வற்றுவதும், உலகோர் தத்தங் காரியங்களிற் பிரவிருத்தித்து இயற்றி யடங்குவதும், காந்தத்தின் முன் ஊசி சேஷ்டிப்பதும் போல ஸங்கல்ப ரகிதராயிருக்கும் ஈசன் சன்னிதான விசேஷ மாத்திரத்தால் நடக்கும் முத்தொழில் அல்லது பஞ்சகிருத்தியங்கட் குட்பட்ட ஜீவர்கள் தத்தம் கர்மானுசாரம் சேஷ்டித் தடங்குகின்றனர். அன்றி, அவர் ஸங்கல்ப ஸஹித ரல்லர்; ஒரு கருமமு மவரை யொட்டாது. அது லோககருமங்கள் சூரியனை யொட்டாததும், ஏனைய சதுர்பூதங்களின் குணாகுணங்கள் வியாபகமான ஆகாயத்தை யொட்டாததும் போலும்.

icchā-saṅkalpa-yatnam-iṉḏṟi y-eṙunda ādittaṉ saṉṉidhi-māttirattil kānta-k-kal aggiṉiyai-k kakkuvadum, tāmarai malarvadum, nīr vaṯṟuvadum, ulahōr tattaṅ kāriyaṅgaḷil piraviruttittu iyaṯṟi y-aḍaṅguvadum, kāntattiṉ muṉ ūsi cēṣṭippadum pōla saṅkalpa-rahitar-āy-irukkum īśaṉ saṉṉidhāṉa-viśēṣa-māttirattāl naḍakkum muttoṙil alladu pañcakiruttiyaṅgaṭ kutpaṭṭa jīvargaḷ tattam karmāṉucāram cēṣṭit taḍaṅgugiṉḏṟaṉar. aṉḏṟi, avar saṅkalpa-sahitar allar; oru karumam-um avarai y-oṭṭādu. adu lōka-karumaṅgaḷ sūriyaṉai y-oṭṭādadum, ēṉaiya catur-bhūtaṅgaḷiṉ guṇāguṇaṅgaḷ viyāpakam-āṉa ākāyattai y-oṭṭādadum pōlum.

Proprio come nella semplice presenza del sole che è sorto senza icchā [richiesta, desiderio o preferenza], saṁkalpa [volontà o intenzione] [o] yatna [sforzo e esercizio], un cristallo [o una lente di ingrandimento] emetterà fuoco, un loto fiorirà, l’acqua evaporerà, e le persone del mondo si impegneranno [o inizieranno] le loro rispettive attività, faranno [queste attività] e si quieteranno [o cesseranno di essere attive], e [proprio come] di fronte a un magnete un ago si muoverà, [così] i jīva [esseri senzienti], che sono catturati da [lo stato limitato governato da] muttoṙil [la triplice funzione di Dio, vale a dire creazione, sostentamento e dissoluzione del mondo] o pañcakṛtya [le cinque funzioni di Dio, vale a dire creazione, sostentamento, dissoluzione, velatura e grazia], che accadono a causa di nient’altro che la speciale natura della presenza di Dio, che è saṁkalpa rahitar [uno che è privo di ogni volontà o intenzione], si muovono [si sforzano o si impegnano in attività], e si quietano [cessano di essere attivi, divengono immobili o dormono] in accordo con i loro rispettivi karma [cioè, in accordo non solo con il loro prārabdha karma o destino, che li costringe a fare qualsiasi azione è a loro necessaria per sperimentare tutte le cose piacevoli e spiacevoli che sono destinati a sperimentare, ma anche con le loro karma-vāsanā, le loro inclinazioni o impulsi a desiderare, pensare, parlare ed agire in modi particolari, che li spingono a compiere sforzo per sperimentare cose piacevoli e per evitare di sperimentare cose spiacevoli]. Nondimeno, egli [Dio] non è saṁkalpa sahitar [uno che è connesso con o possiede qualche volontà o intenzione]; neppure un karma aderisce a lui [cioè, egli non è legato o influenzato da alcun karma o azione]. Questo è simile alle azioni-mondo [le azioni che accadono qui sulla terra] che non aderiscono a [o condizionano] il sole, e [come] le qualità e i difetti degli altri quattro elementi [terra, acqua, aria e fuoco] non aderiscono allo spazio onnipervadente.
Dal punto di vista di noi stessi come questo ego, può sembrare che Dio sta osservando il film della nostra vita e dirigendo ogni dettaglio di essa, ma il suo fare questo è tanto reale quanto il nostro ego, che è realmente non-esistente. In realtà, Dio è il nostro sé reale, e come tale non è mai consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso. Tuttavia, poiché nella sua visione lui solo esiste, niente è realmente diverso da lui, così è vero dire che egli ama noi tutti come sé stesso, perché egli ci vede come niente altro che sé stesso, ma nella nostra visione il suo amore per noi come sé stesso sembra essere un amore per noi come la persona che confondiamo essere.

Dopo aver scritto, ‘Il Sé è Dio […] Il Lila (gioco) del Sé (Brahman/Atman) è che esso “vela” sé stesso così pensa di essere limitato’, nel terzo dei tuoi commenti che ho citato all’inizio di questo articolo hai scritto, ‘In quanto “velato”, sta guardando il film. Quando decide di smettere di guardare il film, e la luce si accende, esso allora vede realmente il Sé’. Tuttavia come il nostro sé reale, non solo Dio non guarda il film, ma anche non decide di smettere di guardare. Di fatto esso mai decide di fare qualcosa, perché è solo pura auto-consapevolezza, che è intransitiva, così non è consapevole di nient’altro che sé stesso. Solo come l’entità separata che egli sembra essere nella visione della nostra mente rivolta esteriormente Dio conosce qualsiasi cosa, fa qualsiasi cosa o decide qualsiasi cosa.

11. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 22: non possiamo comprendere Dio tranne che rivolgendo la nostra mente all’interno e annegandola in lui

Quindi, poiché noi vediamo differenze dove Dio non ne vede nessuna, noi (come l’ego che ora sembriamo essere) non possiamo mai comprendere adeguatamente lui o la sua visione. Tutto ciò che possiamo fare è fonderci all’interno e perderci in lui, come Bhagavan ci insegna nel verso 22 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
மதிக்கொளி தந்தம் மதிக்கு ளொளிரு
மதியினை யுள்ளே மடக்கிப் — பதியிற்
பதித்திடுத லன்றிப் பதியை மதியான்
மதித்திடுக லெங்ஙன் மதி.

matikkoḷi tandam matikku ḷoḷiru
matiyiṉai yuḷḷē maḍakkip — patiyiṯ
padittiḍuda laṉḏṟip patiyai matiyāṉ
matittiḍuda leṅṅaṉ mati
.

பதச்சேதம்: மதிக்கு ஒளி தந்து, அம் மதிக்குள் ஒளிரும் மதியினை உள்ளே மடக்கி பதியில் பதித்திடுதல் அன்றி, பதியை மதியால் மதித்திடுதல் எங்ஙன்? மதி.

Padacchēdam (separazione delle parole): matikku oḷi tandu, am-matikkuḷ oḷirum matiyiṉai uḷḷē maḍakki patiyil padittiḍudal aṉḏṟi, patiyai matiyāl matittiḍudal eṅṅaṉ? mati.

அன்வயம்: மதிக்கு ஒளி தந்து, அம் மதிக்குள் ஒளிரும் பதியில் மதியினை உள்ளே மடக்கி பதித்திடுதல் அன்றி, பதியை மதியால் மதித்திடுதல் எங்ஙன்? மதி.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): matikku oḷi tandu, am-matikkuḷ oḷirum patiyil matiyiṉai uḷḷē maḍakki padittiḍudal aṉḏṟi, patiyai matiyāl matittiḍudal eṅṅaṉ? mati.

Traduzione: Considera, tranne che rivolgendo la mente all’interno [e quindi] immergendola completamente in Dio, che risplende all’interno di quella mente dando luce alla mente, come conoscere [accertarsi, valutare o comprendere] Dio per mezzo della mente?
Finché la nostra mente è rivolta all’esterno, sperimentiamo noi stessi come questo ego limitato, e quindi non possiamo mai conoscere Dio come è realmente, perché egli non è nient’altro che il nostro sé infinito, che è ciò che risplende all’interno della nostra mente come la fondamentale consapevolezza intransitiva che la illumina, permettendogli di essere transitivamente consapevole di altre cose. Quindi possiamo conoscere Dio, che è il nostro sé reale, solo rivolgendo la nostra mente all’interno e annegandola in lui.

12. Come questo ego non possiamo mai ‘realizzare’ noi stessi, e come il nostro sé reale non abbiamo bisogno di ‘realizzare’ noi stessi

Nello stesso commento, dopo aver detto che quando il nostro sé reale ‘decide di smettere di guardare il film’ esso ‘vede che è realmente il Sé’, hai aggiunto ‘Quindi “Auto-“ “realizzazione”, cioè realizzare che esso è il Sé’, ma come il nostro sé reale non siamo mai non consapevoli di noi stessi come siamo realmente, così non possiamo mai ‘realizzare’ noi stessi, né abbiamo bisogno di farlo. Noi siamo immutabili, così per come siamo realmente non c’è mai un evento come l’’auto-realizzazione’ o ciò che descrivi come ‘esso poi vede che è realmente il Sé’. Ciò che accade è solo che la non-esistenza dell’ego si dissolve nella pura auto-consapevolezza che sempre siamo realmente, ma anche questo non accade realmente, perché anche quando questo ego sembra esistere, sembra esistere solo nella propria visione auto-illusa, così nella visione di chi esso potrebbe mai cessare di esistere? Il figlio di una donna sterile ha bevuto il nettare d’immortalità ed è morto. Che non-evento sensazionale!

Tuttavia, finché sembriamo essere questo ego, il figlio della donna sterile non-esistente chiamata māyā, abbiamo bisogno di bere il nettare d’immortalità, che è pura auto-consapevolezza, e che possiamo bere solo cercando di essere esclusivamente auto-attentivi – cioè, attentivamente consapevoli di niente altro che noi stessi. Ma sia che siamo auto-attentivi o no, il nostro sé reale rimane sempre non influenzato ed immutabile, perché è sempre solo come è, consapevole di niente altro che sé stesso.

13. Upadēśa Undiyār verso 16: dobbiamo non solo cessare di attendere ad altre cose ma dobbiamo attendere accuratamente solo a noi stessi

Nel quarto dei tuoi commenti che ho citato all’inizio di questo articolo hai scritto, ‘L’ego si ferma dal dare attenzione a “2a persona e 3a persona”, cioè, percezioni sensoriali e pensieri. Il Sé vede questo e se è convinto dalla completa sincerità, allora termina l’ego (questa l’”azione della Grazia compiuta dal Sé” secondo Ramana – parafrasato)’. Tuttavia, come questo ego, non è sufficiente per noi solo cessare di attendere a seconde e terze persone (cose diverse da noi stessi), perché cessiamo di attendere ad esse ogni volta che ci addormentiamo. Rinunciare ad attendere ad altre cose senza focalizzare la nostra intera attenzione su noi stessi ha come risultato manōlaya (una dissoluzione temporanea della nostra mente insieme con la sua radice, il nostro ego), mentre il nostro fine dovrebbe essere ottenere manōnāśa (permanente annientamento della nostra mente ed ego), che possiamo realizzare solo essendo auto-attentivi in modo acuto e vigilante.

Questo è chiaramente inteso da Bhagavan nel verso 16 di Upadēśa Undiyār, in cui definisce la reale consapevolezza (o vera conoscenza) in questo modo:
வெளிவிட யங்களை விட்டு மனந்தன்
னொளியுரு வோர்தலே யுந்தீபற
      வுண்மை யுணர்ச்சியா முந்தீபற.

veḷiviḍa yaṅgaḷai viṭṭu maṉantaṉ
ṉoḷiyuru vōrdalē yundīpaṟa
      vuṇmai yuṇarcciyā mundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: வெளி விடயங்களை விட்டு மனம் தன் ஒளி உரு ஓர்தலே உண்மை உணர்ச்சி ஆம்.

Padacchēdam (separazione delle parole): veḷi viḍayaṅgaḷai viṭṭu maṉam taṉ oḷi-uru ōrdalē uṇmai uṇarcci ām.

அன்வயம்: மனம் வெளி விடயங்களை விட்டு தன் ஒளி உரு ஓர்தலே உண்மை உணர்ச்சி ஆம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): maṉam veḷi viḍayaṅgaḷai viṭṭu taṉ oḷi-uru ōrdalē uṇmai uṇarcci ām.

Traduzione: Lasciando da parte i viṣaya esterni [fenomeni], solo la conoscenza della mente della propria forma di luce è vera consapevolezza [vera conoscenza o conoscenza della realtà].
La proposizione principale in questo verso non è ‘மனம் வெளி விடயங்களை விடுதலே உண்மை உணர்ச்சி ஆம்’ (maṉam veḷi viḍayaṅgaḷai viḍudalē uṇmai uṇarcci ām), che significherebbe ‘solo la mente che lascia da parte i fenomeni esterni è reale consapevolezza [o vera conoscenza]’, ma solo ‘மனம் தன் ஒளியுரு ஓர்தலே உண்மை உணர்ச்சி ஆம்’ (maṉam taṉ oḷi-y-uru ōrdalē uṇmai uṇarcci ām), che significa ‘la conoscenza della mente della propria forma di luce è soltanto reale consapevolezza [o vera conoscenza]’ o ‘solo la conoscenza della mente della propria forma di luce è reale consapevolezza [o vera conoscenza]’. L’altra proposizione, ‘வெளி விடயங்களை விட்டு’ (veḷi viḍayaṅgaḷai viṭṭu), che significa ‘lasciando da parte i fenomeni esterni’, è una proposizione avverbiale, e specifica una precondizione che è richiesta perché la mente conosca la propria forma di luce. Cioè, se la mente non cessa di dare attenzione a qualsiasi fenomeno esterno (seconde e terze persone) non può focalizzare acutamente la sua intera attenzione sulla ‘propria forma di luce’ (taṉ oḷi-y-uru), che è la pura auto-consapevolezza che la illumina.

Tuttavia, sebbene cessare di dare attenzione a viṣaya esterni (che significa qualsiasi cosa diversa da noi stessi) sia necessario, non è sufficiente, come sappiamo dalla nostra esperienza quotidiana nel sonno, perché ogni volta che ci addormentiamo cessiamo di dare attenzione a tutte le altre cose, ma il nostro ego non è per questo distrutto. Per distruggere il nostro ego dobbiamo focalizzare la nostra intera attenzione soltanto su noi stessi, poiché il ostro ego è una conoscenza errata di noi stessi (una consapevolezza di noi stessi come qualcosa diversa da ciò che siamo realmente), così esso può essere distrutto solo dal nostro essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente.

Questo è il motivo per cui in questo verso Bhagavan definisce la vera conoscenza o reale consapevolezza (uṇmai uṇarcci) come மனம் தன் ஒளியுரு ஓர்தலே’ (maṉam taṉ oḷi-y-uru ōrdalē), ‘il solo conoscere della mente la propria forma di luce’. ஓர்தலே (ōrdalē) è una forma intensificata del sostantivo verbale ஓர்தல் (ōrdal), che significa conoscere, in modo particolare nel senso di conoscere investigando, esaminando o osservando attentamente, così in questo contesto ஓர்தலே (ōrdalē) significa ‘solo conoscere osservando attentamente’. La ragione per cui la nostra mente non è annientata quando ci addormentiamo è che in quel momento ritiriamo la nostra attenzione da ogni altra cosa ma non osserviamo attentivamente noi stessi, così la chiave per liberare noi stessi dall’illusione di essere questo ego o mente è di essere attentivamente consapevoli soltanto di noi stessi.

Tu dici, ‘Il Sé vede questo [l’ego cessando di dare attenzione a seconde e terze persone] e se è convinto della completa sincerità, allora termina l’ego’, ma quando cerchiamo di essere acutamente auto-attentivi, il nostro sé reale non vede questo, perché tutto ciò che vede è solo pura auto-consapevolezza, che è sé stesso, né è mai convinto di qualsiasi cosa diversa dalla propria chiara consapevolezza di sé stesso. Ciò che sta cercando di essere acutamente auto-attentivo è noi stessi come questo ego o mente, e cercando di fare questo stiamo volontariamente arrendendo noi stessi. Questa buona volontà di arrendere noi stessi all’inizio è debole, ma con la pratica paziente e persistente cresce regolarmente e diviene più forte, fino ad essere così forte che l’ego è dissolto nella luce infinita di pura auto-consapevolezza, essendo per questo terminato. Questa buona volontà è vera bhakti, ed è il frutto della grazia, che è l’amore infinito che noi come ciò che siamo realmente abbiamo per noi stessi.

14. La grazia è il nostro infinito amore per noi stessi, e la sua ‘azione’ è ‘fare senza fare’

Nello stesso commento dici che la cessazione dell’ego è ‘azione della Grazia compiuta dal Sé’, ma ‘il Sé’ (noi stessi come siamo realmente) non esegue o fa alcuna cosa, perché la nostra reale natura non è ‘fare’ ma solo ‘essere’. Fare (che significa azione di qualsiasi genere) è una distorsione di essere, e accade solo nella visione di noi stessi come questo ego, la cui natura è sorgere e compiere azioni. Sebbene le cose sembrano accadere a causa della grazia, la grazia non fa mai alcuna cosa. La grazia è solo amore, che è la vera natura del nostro sé reale, ma poiché nella chiara visione del nostro sé reale niente esiste diverso da noi stessi, il nostro amore infinito è amore solo per noi stessi come siamo realmente.

Poiché la nostra vera natura è solo amare noi stessi come il puro essere-consapevolezza (sat-cit) che siamo realmente, questo puro amore di sé si riflette nell’ego come amore per sé stesso come esso sembra essere. Tuttavia, sebbene come questo ego amiamo noi stessi come tali, non siamo mai soddisfatti, perché siamo infinita felicità e quindi non possiamo mai essere perfettamente soddisfatti con qualsiasi cosa minore. Poiché come questo ego siamo sempre insoddisfatti, prima o poi ci disilludiamo dei piaceri limitati e iniziamo a cercare qualcosa al di là di quello, così la grazia, che è il nostro infinito amore di sé, ci appare nella forma del nostro guru per insegnarci che la felicità è la nostra reale natura, ma è apparentemente oscurata dall’apparenza del nostro ego, così per sperimentare l’infinita felicità che siamo realmente dobbiamo rivolgerci all’interno per vedere noi stessi come siamo realmente.

Sebbene è detto che la grazia, che è il nostro sé reale, ci appare nella forma del nostro guru, essa non fa alcuna cosa o non subisce alcun genere di cambiamento per apparirci in questo modo, né ha qualche volontà specifica di farlo. Perché essa ama ciascuno di noi come sé stessa, il puro amore che è realmente causa la sua apparizione nella visione del nostro ego come se fosse un’altra persona che amorevolmente ci insegna il sentiero con cui possiamo arrendere il nostro ego nella chiara luce della pura auto-consapevolezza, e quello stesso puro amore di sé è ciò che si manifesta in noi come bhakti, che è amore per investigare ciò che siamo realmente e quindi per arrendere qualsiasi cosa sembra essere noi stessi ma non è ciò che siamo realmente.

Questa manifestazione di grazia esteriore nella forma del nostro sadguru e dei suoi insegnamenti, e interiore come bhakti, che è la forza che ci spinge a seguire ciò che il nostro guru ci ha insegnato, è ciò che qualche volta è descritta come ‘l’azione della grazia’, anche se la grazia non fa realmente niente. Questa ‘azione della grazia’ è quindi descritta come ‘fare senza fare’, perché solo essendo come è senza fare alcuna cosa, la grazia, che è il nostro infinito amore per noi stessi, causa il nostro rivolgere l’attenzione all’interno per investigare ed essere consapevoli soltanto di noi stessi, sradicando quindi questo fantasma senza forma chiamato ‘ego’.

15. Il nostro sé reale è la presenza del momento presente

Riguardo la tua affermazione che ‘il Sé’ è il momento presente, questo è vero solo in un certo senso. Non è vero nel senso che è una delle tre divisioni del tempo, passato, presente e futuro, perché esso trascende il tempo e tutti gli altri fenomeni. Ciò che chiamiamo il momento presente o il presente luogo nello spazio ci sembra essere presente a causa della presenza del nostro ego in questo particolare tempo e spazio, e la presenza del nostro ego è un riflesso limitato della presenza infinita di noi stessi come siamo realmente (che è ciò a cui ti riferisci come ‘il Sé’).

Come il nostro sé reale siamo onnipresenti – presenti in tutti i tempi e in tutti i luoghi – perché il tempo e lo spazio sembrano esistere solo nella visione del nostro ego, che sorge e si regge nella e per la luce della pura auto-consapevolezza che siamo realmente, così come questo ego ed ogni altra cosa, tutto il tempo e lo spazio (sia bhūtākāśa o spazio fisico che cittākāśa o spazio mentale) sembrano esistere solo in cidākāśa, lo spazio infinito di pura consapevolezza, che è ciò che siamo realmente. Quindi come la presenza fondamentale che dà al nostro ego il suo senso di presenza limitata, che a sua volta fa sorgere l’apparenza che qualunque luogo e tempo in cui il nostro ego sembra essere presente è ciò che è al momento presente, il nostro sé reale può essere detto la presenza del momento presente.

16. Il nostro sé reale non guarda o vede qualsiasi cosa diversa da sé stesso

Nello stesso commento dici anche che ‘il Sé’ è ‘Quello che sta guardando’, ma ciò che sta guardando attraverso i nostri occhi o in ogni modo osservando o percependo qualsiasi cosa diversa da noi stessi è solo il nostro ego e non il nostro sé reale. Come siamo realmente siamo solo pura auto-consapevolezza intransitiva, nella cui chiara visione niente altro che sé stessa esiste o anche sembra esistere, così non possiamo guardare o essere consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi. Solo come questo fantasma senza forma chiamato ‘ego’ sembriamo essere consapevoli di altre cose, ma se avessimo amore (bhakti) sufficiente per voltarci indietro e guardare solo noi stessi, vedremmo che nessun ego esiste realmente, e che ciò che siamo realmente è solo pura consapevolezza intransitiva – cioè, consapevolezza che è consapevole di niente altro che sé stessa.

17. L’errore di vedere noi stessi come una persona è fatto solo dal nostro ego e non dal nostro sé reale

In un altro commento dici, ‘Il Sé fa “l’errore” di indentificarsi con un personaggio nel mondo’, e spieghi che ‘Questo è ciò che è chiamato “Il Gioco della Consapevolezza” (lila in Sanscrito)’. Tuttavia non è così, perché come ho spiegato sopra ‘il Sé’ (noi stessi come siamo realmente) è solo pura e immutabile auto-consapevolezza, che non può mai fare errori o identificare sé stessa come qualsiasi cosa, e nella sua chiara visione nessun mondo o personaggio in esso esiste o anche sembra esistere. Tutte queste cose sembrano accadere solo nella visione auto-ignorante del nostro ego e non nella chiara visione di noi stessi come la pura auto-consapevolezza che siamo realmente.

Ciò che tu chiami ‘il Gioco della Consapevolezza’ non è un gioco della nostra consapevolezza reale, che è solo pura auto-consapevolezza intransitiva, ma solo il gioco del nostro ego, che è la falsa auto-consapevolezza mischiata ad aggiunte che ora sembriamo essere. La nostra reale consapevolezza è assolutamente intransitiva, così non è mai consapevole di qualcosa diversa da sé stessa (noi stessi), e quindi non può mai fare alcuna cosa o essere consapevole dell’accadere di qualsiasi cosa. Qualunque cosa accade o sembra essere fatta avviene solo nella visione transitiva di noi stessi come questo ego, così sembra avvenire solo perché noi sembriamo essere sorti come questo ego. Quindi il solo giocatore in questo dramma illusorio è il nostro ego, che secondo Bhagavan è māyā – quello che non esiste realmente.

Come ho spiegato in un commento in risposta ad un amico che ha scritto che non ha senso dire che ‘l’errore di essere questa auto-consapevolezza mischiata ad aggiunte è stato commesso/fatto dalla nostra pura auto-consapevolezza’:
[…] Ciò che siamo realmente è solo pura auto-consapevolezza, che non è mai mischiata o confusa con qualcosa. Ciò che è mischiato e confuso è solo il nostro ego, che sorge come questa auto-consapevolezza mischiata ad aggiunte con la quale ora confondiamo noi stessi.

La nostra pura auto-consapevolezza non è mai in nessun modo condizionata da questo, proprio come una corda non è mai condizionata dall’essere vista come un serpente. L’errore di vedere la corda come un serpente è fatto da uno spettatore ignorante, così è solo nella visione di quello spettatore che il serpente sembra esistere. Nello stesso modo l’errore di vedere la pura auto-consapevolezza (noi stessi come siamo realmente) come un’auto-consapevolezza mischiata ad aggiunte (noi stessi come questo ego auto-ignorante) è fatto da questa auto-consapevolezza mischiata ad aggiunte, così è solo nella visione di questa auto-consapevolezza mischiata ad aggiunte che sembriamo esistere come tali.

Il nostro ego (questa auto-consapevolezza mischiata ad aggiunte) non esiste realmente, ma paradossalmente sembra esistere solo nella propria visione auto-ignorante. Questa è la meraviglia chiamata māyā, che significa ‘ciò che non è’ o ‘lei che non è’. La soluzione semplice a questo paradosso che Bhagavan ci ha insegnato è che noi stessi come questo ego guardiamo molto attentamente noi stessi, perché se facciamo questo abbastanza attentamente vedremo che non siamo questo ego ma solo pura auto-consapevolezza, e che quindi questo ego paradossale o māyā non è mai realmente esistito o anche sembrato esistere.

Come può ciò che non esiste sembrare esistere nella visione di sé stesso? Questo non può mai succedere, e secondo Bhagavan non è mai successo, come scopriremo se investighiamo noi stessi abbastanza acutamente e attentamente.
18. Upadēśa Undiyār verso 17: se investighiamo accuratamente il nostro ego, scopriremo che non c’è realmente una tale cosa, e quindi nessun mondo o qualunque altra cosa diversa da noi stessi

In un altro commento dici ‘Il Sé in definitiva vuole vedere il film, altrimenti il film non esisterebbe’, ma questa tua argomentazione è basata sul presupposto che il film – l’apparenza illusoria dei fenomeni – esiste realmente, che è precisamente ciò che ci dovremmo chiedere. Ora questo film sembra esistere, ma esiste realmente?

Solo perché esso sembra esistere non significa che esista realmente, e anche la sua esistenza apparente è discutibile. Può sembrare esistere solo se c’è qualcosa nella cui visione esso sembra esistere, così a chi esso sembra esistere? Nella visione di chi esso appare? Esso sembra esistere solo nella visione di noi stessi come questo ego, così la sua esistenza apparente dipende dall’esistenza apparente di questo ego. Quindi per determinare se esso mai sembra esistere abbiamo bisogno prima di tutto di accertarci se questo ego esiste realmente.

Se non c’è ego, niente può sembrare esistere nella sua visione, così abbiamo bisogno di investigare se questo ego esiste realmente o no. Ora sembriamo essere questo ego, l’auto-consapevolezza legata ad un corpo nella cui visione il film chiamato vita sembra esistere, ma è questo ego ciò che siamo realmente? Secondo Bhagavan la verità definitiva è che non c’è una cosa come l’ego, e quindi niente altro sembra esistere, perché non c’è niente nella cui visione esso potrebbe sembrare esistere. In altre parole non c’è affatto film, perché non c’è nessuno che possa vedere alcun film.

Questa verità definitiva è chiamata ajāta, che Bhagavan ha detto essere la sua reale esperienza (come Muruganar ha registrato nel verso 100 di Guru Vācaka Kōvai). Tuttavia, sebbene è la sua esperienza e la verità definitiva, non è il punto di vista da cui egli inizia i suoi insegnamenti, perché nella nostra visione questo ego e il mondo sembrano esistere, così egli ha concesso questo ma ha insegnato che essi sono solo un’apparenza illusoria (vivarta) che sembra esistere solo nella visione di noi stessi come questo ego.

Questo punto di vista è chiamato vivarta vāda, l’assunto (vāda) che ogni cosa diversa dalla nostra auto-consapevolezza fondamentale è solo un’apparenza illusoria (vivarta), e come Bhagavan ha spiegato spesso (come registrato nel verso 83 di Guru Vācaka Kōvai) esso forma il nucleo dei suoi insegnamenti come da lui espresso nei suoi scritti originali, in particolare in Nāṉ Yār?, Uḷḷadu Nāṟpadu e Upadēśa Undiyār. Secondo questa visione ciò che esiste realmente è solo noi stessi come siamo realmente, che è solo pura auto-consapevolezza, così ogni altra cosa, incluso noi stessi come questo ego, non esiste realmente, anche se sembra esistere nella visione di questo ego.

Tuttavia, secondo Bhagavan, se noi (questo ego) investighiamo noi stessi abbastanza acutamente, scopriremo che non siamo e non siamo mai stati questo ego, perché ciò che siamo realmente è pura ed immutabile auto-consapevolezza, che non è mai consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stessa, e che mai subisce cambiamento di qualunque genere. Poiché questo ego è un’errata consapevolezza di noi stessi, quando investighiamo noi stessi e quindi diveniamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, ci sarà chiaro che siamo sempre stati consapevoli di noi stessi come siamo realmente e che quindi nessun ego è mai esistito.

Questo è affermato chiaramente da Bhagavan nel verso 17 di Upadēśa Undiyār:
மனத்தி னுருவை மறவா துசாவ
மனமென வொன்றிலை யுந்தீபற
      மார்க்கநே ரார்க்குமி துந்தீபற.

maṉatti ṉuruvai maṟavā dusāva
maṉameṉa voṉḏṟilai yundīpaṟa
      mārgganē rārkkumi dundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: மனத்தின் உருவை மறவாது உசாவ, மனம் என ஒன்று இலை. மார்க்கம் நேர் ஆர்க்கும் இது.

Padacchēdam (separazione delle parole): maṉattiṉ uruvai maṟavādu usāva, maṉam eṉa oṉḏṟu ilai. mārggam nēr ārkkum idu.

அன்வயம்: மறவாது மனத்தின் உருவை உசாவ, மனம் என ஒன்று இலை. இது ஆர்க்கும் நேர் மார்க்கம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): maṟavādu maṉattiṉ uruvai usāva, maṉam eṉa oṉḏṟu ilai. idu ārkkum nēr mārggam.

Traduzione: Quando uno investiga [esamina o scrutina] la forma della mente senza dimenticanza, qualsiasi cosa chiamata ‘mente’ non esisterà. Questo il sentiero diretto [sicuro o appropriato] per tutti.
Ciò a cui egli si riferisce qui come ‘மனத்தின் உரு’ (maṉattiṉ uru), che significa ‘la forma della mente’, è l’ego, come da lui indicato nel verso successivo (verso 18), in cui spiega che ciò che la mente è essenzialmente è solo l’ego, il pensiero chiamato ‘io’, perché quella è la radice e la base di tutti gli altri pensieri o fenomeni mentali che costituiscono la mente come un insieme. Se investighiamo questo ego osservandolo molto acutamente e fermamente, saremo infine consapevoli di noi stessi come siamo realmente, e in questo modo sarà chiaro che non c’è affatto una cosa come l’ego o mente.

Quindi, poiché ogni altra cosa sembra esistere solo nella visione di questo ego non-esistente, quando l’ego cessa di esistere ogni altra cosa cessa di esistere insieme con esso, come Bhagavan indica chiaramente nella seconda frase del verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu, ‘அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும்’ (ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum), che significa, ‘Se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste’, e nella prima frase del verso 7 di Śrī Aruṇācala Aṣṭakam, ‘இன்று அகம் எனும் நினைவு எனில், பிற ஒன்றும் இன்று’ (iṉḏṟu aham eṉum niṉaivu eṉil, piṟa oṉḏṟum iṉḏṟu), che significa, ‘Se il pensiero chiamato ‘io’ non esiste, ogni altra cosa non esiste’.

Quindi, sebbene vivarta vāda è la spiegazione più appropriata per l’esistenza apparente del nostro ego e di tutti i fenomeni di cui è consapevole, non è la verità definitiva, perché essa presume che l’ego sembra esistere per essere consapevole dell’apparenza di tutte le altre cose, mentre quando lo investighiamo abbastanza acutamente, sarà chiaro che non c’è mai stata una cosa come questo ego. Quindi, come Bhagavan ha spiegato spesso, la verità definitiva non è vivarta vāda ma solo ajāta vāda, l’assunto che niente è mai nato, venuto in esistenza o accaduto, secondo il quale né questo ego né qualsiasi altra cosa mai sembra esistere.

Poiché vediamo il mondo (come Bhagavan dice nella prima frase del verso 1 di Uḷḷadu Nāṟpadu), abbiamo bisogno di un insegnamento che spieghi l’esistenza apparente sia di questo mondo che di noi stessi come il percettore di esso, e che anche ci fornisca un mezzo per sfuggire da tutti i problemi causati dal nostro sorgere come questo ego per percepire cose diverse da noi stessi. Per questo scopo, l’insegnamento più appropriato è vivarta vāda, anche se non è la verità definitiva, perché finché sembriamo esistere come questo ego consapevole transitivamente, l’esserci detto che né questo ego né qualsiasi altra cosa esiste affatto, non ci fornirà un mezzo per sfuggire da questa condizione illusoria.

Vivarta vāda è quindi utile come un’ipotesi di lavoro, ma se verifichiamo questa ipotesi investigando se c’è realmente qualcosa come questo ego che ora sembriamo essere, scopriremo che non c’è una tale cosa e che quindi niente è mai sembrato esistere. Quindi la verità definitiva è solo ajāta, come Bhagavan ha affermato chiaramente nel verso 24 di Upadēśa Taṉippākkaḷ (che ha composto come una condensazione del verso 1227 di Guru Vācaka Kōvai, in cui Muruganar ha espresso l’idea in un verso Sanscrito che Bhagavan ha spesso citato, che si ripete in vari testi come Amṛtabindōpaniṣad verso 10, Ātmōpaniṣad 2.31, Māṇḍukya Kārikā 2.32 e Vivēkacūḍāmaṇi verso 574):
ஆதலழி வார்ப்பவிழ வாசைமுயல் வார்ந்தாரில்
ஈதுபர மார்த்தமென் றெண்.

ādalaṙi vārppaviṙa vāśaimuyal vārndāril
īdupara mārttameṉ ḏṟeṇ
.

பதச்சேதம்: ஆதல், அழிவு, ஆர்ப்பு, அவிழ ஆசை, முயல்வு, ஆர்ந்தார் இல்; ஈது பரமார்த்தம் என்று எண்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ādal, aṙivu, ārppu, aviṙa āśai, muyalvu, ārndār il. īdu paramārttam eṉḏṟu eṇ.

Traduzione: Non c’è divenire [o avere origine], distruzione, schiavitù, desiderio di liberarsi [dalla schiavitù], sforzo [fatto per la liberazione], [o] coloro che hanno ottenuto [la liberazione]. Sappi che questo è paramārtha [la verità definitiva].
Sebbene la nostra mente non può adeguatamente afferrare il fatto che ciò che esiste è solo la nostra auto-consapevolezza fondamentale, e che né questa mente né qualsiasi altra cosa mai sembra esistere, Bhagavan ci ha assicurato che se investighiamo noi stessi abbastanza acutamente questo è ciò che in definitiva scopriremo.

In uno dei tuoi commenti citi un estratto dall’introduzione di David Godman al capitolo 17 di Be As You Are (1985, pagine 181-2) in cui egli spiega la sua comprensione di ajāta vāda dicendo che ‘il jnani è consapevole che il mondo è reale […] come un’apparenza incausata nel Sé’, ma questo non è corretto e non è ciò che Bhagavan ci ha insegnato, perché secondo l’ajāta non c’è mondo e nessuna apparenza di alcun genere. L’assunto che il mondo è solo un’apparenza illusoria causata dal sorgere di noi stessi come questo ego non è ajāta vāda ma solo vivarta vāda, e vivarta vāda sembra essere vero solo finché sembriamo essere questo ego.

Se investighiamo se siamo realmente questo ego, scopriremo che non c’è e non c’è mai stata una cosa come l’ego, e quindi niente altro sembra esistere perché non c’è l’ego per vederla. Quindi ajāta vāda è un rifiuto assoluto e incondizionato della realtà e anche dell’apparenza di qualsiasi cosa diversa dal nostro sé, la cui natura reale è spiegata chiaramente e inequivocabilmente da Bhagavan nel verso 28 di Upadēśa Undiyār:
தனாதியல் யாதெனத் தான்றெரி கிற்பின்
னனாதி யனந்தசத் துந்தீபற
      வகண்ட சிதானந்த முந்தீபற.

taṉādiyal yādeṉat tāṉḏṟeri hiṯpiṉ
ṉaṉādi yaṉantasat tundīpaṟa
      vakhaṇḍa cidāṉanda mundīpaṟa
.

பதச்சேதம்: தனாது இயல் யாது என தான் தெரிகில், பின் அனாதி அனந்த சத்து அகண்ட சித் ஆனந்தம்.

Padacchēdam (separazione delle parole): taṉādu iyal yādu eṉa tāṉ terihil, piṉ aṉādi aṉanta sattu akhaṇḍa cit āṉandam.

அன்வயம்: தான் தனாது இயல் யாது என தெரிகில், பின் அனாதி அனந்த அகண்ட சத்து சித் ஆனந்தம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): tāṉ taṉādu iyal yādu eṉa terihil, piṉ aṉādi aṉanta akhaṇḍa sattu cit āṉandam.

Traduzione: Se uno conosce cos’è la natura di sé stessi, allora [ciò che esisterà e risplenderà sarà solo] sat-cit-ānanda [essere-consapevolezza-beatitudine] senza inizio, senza fine [o infinito] e indiviso.
Qualunque cosa appare deve avere un inizio e una fine, così la comparsa o la scomparsa di qualsiasi cosa può solo avvenire nel tempo, e se il tempo esistesse dividerebbe l’unico tutto infinito che siamo realmente. Quindi, dicendo che la nostra vera natura è solo senza inizio, senza fine e indivisa sat-cit-ānanda, Bhagavan sta in effetti negando l’esistenza del tempo e quindi la comparsa o la scomparsa di qualsiasi cosa. Dunque in questo verso egli intende chiaramente che la verità definitiva sperimentata nello stato di vera auto-conoscenza (ātma-jñāna) è solo ajāta, l’assoluta non-apparenza di qualunque cosa.

Questa è la distinzione tra ajāta vāda e vivarta vāda. Come indicato dal termine vivarta, che significa illusione o apparenza irreale, vivarta vāda accetta l’esistenza apparente dell’ego e del mondo, ma sostiene che essi sono solo un’apparenza illusoria, mentre ajāta vāda nega che qualsiasi cosa sembri esistere anche come una falsa apparenza. Ciò che esiste è solo noi stessi, e poiché siamo senza inizio, senza fine e indivisi, non c’è spazio in noi perché qualsiasi altra cosa appaia anche momentaneamente.

Se vuoi comprendere di più riguardo vivarta vāda e ajāta vāda e la differenza tra essi, come insegnato da Bhagavan, puoi trovare utile leggere tre articoli che ho scritto su questo soggetto due anni fa, vale a dire Solipsismo metafisico, idealismo e teorie della creazione negli insegnamenti di Sri Ramana, Il percettore e il percepito sono entrambi irreali e Possiamo credere direttamente in vivarta vāda ma non in ajāta vāda.

Poiché la verità definitiva è che ‘யதார்த்தமா யுள்ளது ஆத்மசொரூப மொன்றே’ (yathārtham-āy uḷḷadu ātma-sorūpam oṉḏṟē), ‘Ciò che esiste realmente è solo ātma-svarūpa [il nostro sé reale]’ come Bhagavan afferma inequivocabilmente nella prima frase del settimo paragrafo di Nāṉ Yār?), e poiché secondo l’ajāta niente altro sembra esistere, e non c’è quindi divenire, né distruzione, né ego, né mondo, né sogno, né film, né līlā, né velatura, né schiavitù e né liberazione, possiamo dedurre che come siamo realmente non siamo consapevoli di alcuna cosa diversa da noi stessi, l’unica sat-cit-ānanda senza inizio, senza fine e indivisa, così mai veliamo noi stessi o decidiamo di velare noi stessi, mai giochiamo alcun līlā o guardiamo alcun film, né mai facciamo qualcosa, desideriamo qualcosa, decidiamo qualcosa o conosciamo qualsiasi altra cosa. Siamo solo ciò che è (uḷḷadu), e ciò che è sempre è solo come è.

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