Michael James
12 Settembre 2014
Questo articolo è la seconda parte della mia spiegazione del
primo verso di Upadēśa Undiyār, di cui ho pubblicato la prima parte nel
mio articolo precedente: La teoria del karma come insegnata da Sri
Ramana.
Secondo Sri Ramana, ciò di cui dovremmo interessarci è solo
essere e non fare. Abbiamo bisogno di interessarci al karma - cioè, di
ciò che facciamo – solo nella misura di cercare per quanto
possibile di evitare di compiere ogni
azione che possa causare danno (hiṁsā) a qualsiasi essere senziente, ma
il nostro primario interesse dovrebbe essere non su ciò che facciamo ma solo su
ciò che siamo. Quindi non abbiamo bisogno di investigare il karma in
grande profondità o dettaglio, ma dovremmo focalizzare tutto il nostro sforzo e
attenzione solo sull’investigare l’ ‘io’ che sente ‘io sto compiendo karma’
o ‘io sto sperimentando il frutto del karma’.
Come egli dice nel verso
38 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
வினைமுதனா மாயின்
விளைபயன் றுய்ப்போம்
வினைமுதலா ரென்று வினவித் — தனையறியக்
கர்த்தத் துவம்போய்க் கருமமூன் றுங்கழலு
நித்தமா முத்தி நிலை.
viṉaimudaṉā māyiṉ viḷaipayaṉ ḏṟuyppōm
viṉaimudalā reṉḏṟu viṉavit — taṉaiyaṟiyak
karttat tuvampōyk karumamūṉ ḏṟuṅkaṙalu
nittamā mutti nilai.
பதச்சேதம்: வினைமுதல் நாம் ஆயின், விளை பயன் துய்ப்போம். வினைமுதல் ஆர் என்று வினவி தனை அறிய, கர்த்தத்துவம் போய், கருமம் மூன்றும் கழலும். நித்தமாம் முத்தி நிலை.
Padacchēdam (separazione delle parole : viṉaimudal nām āyiṉ, viḷai payaṉ tuyppōm. viṉaimudal ār eṉḏṟu viṉavi taṉai aṟiya, karttattuvam pōy, karumam mūṉḏṟum kaṙalum. nittam-ām mutti nilai.
Traduzione: Se siamo colui che compie le azioni, sperimenteremo il frutto risultante. [Comunque] quando conosciamo noi stessi per mezzo dell’investigare chi è colui che compie l’azione, l’agente se ne andrà e tutti i tre karma fuggiranno. [Questo è] lo stato di liberazione, che è eterno.
வினைமுதலா ரென்று வினவித் — தனையறியக்
கர்த்தத் துவம்போய்க் கருமமூன் றுங்கழலு
நித்தமா முத்தி நிலை.
viṉaimudaṉā māyiṉ viḷaipayaṉ ḏṟuyppōm
viṉaimudalā reṉḏṟu viṉavit — taṉaiyaṟiyak
karttat tuvampōyk karumamūṉ ḏṟuṅkaṙalu
nittamā mutti nilai.
பதச்சேதம்: வினைமுதல் நாம் ஆயின், விளை பயன் துய்ப்போம். வினைமுதல் ஆர் என்று வினவி தனை அறிய, கர்த்தத்துவம் போய், கருமம் மூன்றும் கழலும். நித்தமாம் முத்தி நிலை.
Padacchēdam (separazione delle parole : viṉaimudal nām āyiṉ, viḷai payaṉ tuyppōm. viṉaimudal ār eṉḏṟu viṉavi taṉai aṟiya, karttattuvam pōy, karumam mūṉḏṟum kaṙalum. nittam-ām mutti nilai.
Traduzione: Se siamo colui che compie le azioni, sperimenteremo il frutto risultante. [Comunque] quando conosciamo noi stessi per mezzo dell’investigare chi è colui che compie l’azione, l’agente se ne andrà e tutti i tre karma fuggiranno. [Questo è] lo stato di liberazione, che è eterno.
La teoria del karma è soggetta a condizioni, e la
condizione su cui dipende è il fatto che sperimentiamo noi stessi come ‘io sto
compiendo azioni’ e ‘io sto sperimentando le conseguenze delle mie azioni’.
Fino a quando sperimentiamo noi stessi come un ego, un ‘io’ limitato che compie
azioni per mezzo della mente, della parola, e del corpo, sperimenteremo anche
noi stessi come lo sperimentatore del frutto delle nostre azioni. Senza un tale
senso di agente e sperimentatore, non potremmo compiere alcuna āgāmya o
sperimentare alcun prārabdha, e quindi non ci sarebbe sañcita.
Per cui tutti questi tre karma sembrano esistere solo fino a quando noi
sembriamo essere un ego – un agente e uno sperimentatore di cose diverse da noi
stessi. Quindi Sri Ramana dice che se conosciamo noi stessi investigando chi
sono io, questo ego che sembra compiere azioni, il nostro senso di essere
l’agente (e lo sperimentatore) cesserà di esistere, e quindi insieme ad esso
tutti i tre karma (āgāmya, sañcita and prārabdha)
anche cesseranno di esistere.
Cioè, il senso di agente e sperimentatore è caratteristica integrante
del nostro ego, perché il nostro ego è l’illusoria auto-consapevolezza,
mischiata con attributi, ‘io sono questo corpo e questa mente’, e la natura del
corpo e della mente è compiere azione e sperimentare il suo frutto. Quindi fino
a che sperimentiamo noi stessi come un ego, sembriamo essere legati dai tre karma,
ma se sperimentiamo noi stessi come siamo realmente investigando cos’è questo
‘io’ che sperimenta se stesso come se fosse un corpo e una mente, l’illusione
che siamo legati e condizionati in qualsiasi modo da qualsiasi karma
sarà distrutta per sempre.
Il karma è tanto reale quanto l’ego che lo compie e
sperimenta i suoi frutti, ma se investighiamo questo ego lo scopriremo come
non-esistente (proprio come scopriremmo come non-esistente un illusorio
serpente se lo osservassimo attentamente e riconoscessimo che è realmente solo
una corda), perché ciò che appare come questo ego è realmente solo il puro ‘io’,
senza attributi e quindi infinito. Di conseguenza, dal momento che questo ego è
solo un’apparenza irreale, tutto il suo karma è nello stesso modo una
irreale apparenza.
Perciò secondo Sri Ramana il karma non è reale, ed esso sembra essere reale solo perché confondiamo noi stessi come un ego, un ‘io’ limitato che sperimenta se stesso come un corpo e una mente. Karma non è quindi un interesse centrale nei suoi insegnamenti, così la sola ragione per cui egli discusse il karma nei versi inziali di Upadēśa Undiyār è che, come ho spiegato nell’introduzione (che pubblicherò nel mio sito web dopo aver completato interamente la traduzione e la spiegazione di questo testo), egli lo scrisse come l’essenza della upadēśa che il Signore Siva diede ai ritualisti nella foresta Daruka dopo aver sottomesso il loro orgoglio. Poiché essi credevano che solo il karma è supremo, e che non c’è quindi nessun Dio eccetto il karma, per il Signore Siva si rese necessario insegnare loro che il karma non dà frutto tranne che per ordinamento di Dio, e che (come egli dice nel verso successivo di Upadēśa Undiyār), esso non può dare la liberazione.
Perciò secondo Sri Ramana il karma non è reale, ed esso sembra essere reale solo perché confondiamo noi stessi come un ego, un ‘io’ limitato che sperimenta se stesso come un corpo e una mente. Karma non è quindi un interesse centrale nei suoi insegnamenti, così la sola ragione per cui egli discusse il karma nei versi inziali di Upadēśa Undiyār è che, come ho spiegato nell’introduzione (che pubblicherò nel mio sito web dopo aver completato interamente la traduzione e la spiegazione di questo testo), egli lo scrisse come l’essenza della upadēśa che il Signore Siva diede ai ritualisti nella foresta Daruka dopo aver sottomesso il loro orgoglio. Poiché essi credevano che solo il karma è supremo, e che non c’è quindi nessun Dio eccetto il karma, per il Signore Siva si rese necessario insegnare loro che il karma non dà frutto tranne che per ordinamento di Dio, e che (come egli dice nel verso successivo di Upadēśa Undiyār), esso non può dare la liberazione.
Quindi, proprio perché Sri Ramana iniziò l’ Upadēśa
Undiyār discutendo il karma, non dovremmo concludere che il concetto
di karma è una parte importante del suo insegnamento. Il grado di
importanza che egli diede al karma può essere compreso meglio dall’ Uḷḷadu
Nāṟpadu, in cui egli lo discute solo verso la fine, precisamente nel verso
38, dove insegna che esso è solo condizionatamente reale, e che cesserà di
apparire reale se conosciamo noi stessi investigando chi sono io, ovvero chi
sembra compiere il karma.
La ragione per cui egli insegnò questa particolare teoria del karma, che riassunse ed enfatizzò maggiormente nella nota che scrisse per sua madre, fu di supportarci nella pratica di auto-investigazione o auto-abbandono (che in pratica è lo stesso di auto-investigazione, poiché possiamo abbandonare il nostro ego solo investigando su esso).
Cioè, come indicò chiaramente nella frase di chiusura di quella nota, ‘ஆகலின் மௌனமாய் இருக்கை நன்று’ (āhaliṉ mauṉamāy irukkai naṉḏṟu), ‘Perciò essere silenziosamente è buono’, la deduzione che dovremmo trarre dalla teoria del karma che egli insegnò è che il solo uso corretto che possiamo fare della nostra libera volontà è cercare solo di essere silenti, e come egli ha ripetutamente enfatizzato, il solo mezzo per essere interiormente silenti è dare attenzione solo a ‘io’.
La ragione per cui egli insegnò questa particolare teoria del karma, che riassunse ed enfatizzò maggiormente nella nota che scrisse per sua madre, fu di supportarci nella pratica di auto-investigazione o auto-abbandono (che in pratica è lo stesso di auto-investigazione, poiché possiamo abbandonare il nostro ego solo investigando su esso).
Cioè, come indicò chiaramente nella frase di chiusura di quella nota, ‘ஆகலின் மௌனமாய் இருக்கை நன்று’ (āhaliṉ mauṉamāy irukkai naṉḏṟu), ‘Perciò essere silenziosamente è buono’, la deduzione che dovremmo trarre dalla teoria del karma che egli insegnò è che il solo uso corretto che possiamo fare della nostra libera volontà è cercare solo di essere silenti, e come egli ha ripetutamente enfatizzato, il solo mezzo per essere interiormente silenti è dare attenzione solo a ‘io’.
Se crediamo per mezzo delle nostre azioni volitive di poter
cambiare ciò che siamo tenuti a sperimentare esteriormente, la nostra
motivazione a cercare di fare ciò sarà rinforzata, e quindi ci sentiremo meno inclini a cercare
di rivolgere la nostra attenzione all’interno per sperimentare noi stessi
solamente e in tal modo essere silenti, mentre se crediamo di non potere
cambiare con qualsiasi mezzo ciò che siamo tenuti a sperimentare esteriormente,
la nostra motivazione a cercare di fare ciò sarà indebolita, e quindi ci
sentiremo più fortemente inclini a
cercare di rivolgere la nostra attenzione all’interno per sperimentare
solamente noi stessi.
Di conseguenza il beneficio che possiamo trarre dall’accettare la teoria del karma come insegnata da Sri Ramana è che ciò indebolirà la nostra spinta esteriorizzante e quindi ci renderà più facile rivolgere la nostra attenzione verso noi stessi, lontano da tutte le cose esterne (cioè, da ogni cosa diversa da ‘io’ solamente).
Di conseguenza il beneficio che possiamo trarre dall’accettare la teoria del karma come insegnata da Sri Ramana è che ciò indebolirà la nostra spinta esteriorizzante e quindi ci renderà più facile rivolgere la nostra attenzione verso noi stessi, lontano da tutte le cose esterne (cioè, da ogni cosa diversa da ‘io’ solamente).
Inoltre, dal momento che ciò che siamo destinati a
sperimentare è ordinato da Dio, non sono proprio i frutti delle nostre azioni
passate ma una selezione di tali frutti scelti da lui per il nostro beneficio,
e quindi è la sua volontà. Se crediamo questo, ci sarà più facile accettare con
calma qualsiasi difficoltà o sofferenza possano accadere nella nostra vita, avendo
fiducia che esse sono secondo la sua amorevole volontà e quindi per il nostro massimo
beneficio. In altre parole, ci sarà più facile arrendere la nostra volontà
individuale alla sua volontà, e più arrendiamo in questo modo la nostra
volontà, meno il nostro ego sarà spinto a sorgere e a impegnarsi in azioni
volitive, e più facile ci sarà focalizzare la nostra attenzione solo su ‘io’.
Vale a dire, nell’ordinare i frutti dei nostri karma, Dio non sta solamente operando un sistema di ricompensa e punizione, perché il suo fine ultimo è che dovremmo abbandonare l’illusione di compiere karma e di sperimentare i suoi frutti, cosa che possiamo fare solo sperimentando noi stessi come siamo realmente, quindi fondersi in lui, che è sia la nostra sorgente sia la nostra sostanza.
Sebbene Dio sembra essere qualcosa di diverso da noi fino a
che sperimentiamo erroneamente noi stessi come un essere limitato, egli è
realmente ciò che siamo realmente, così ci ama come il suo proprio sé, e di
conseguenza vuole che sperimentiamo
l’infinita felicità che è la nostra vera natura. Perciò egli ordina i
frutti dei nostri karma passati nel modo più confacente al nostro
sviluppo spirituale e infine al fonderci nella nostra sorgente, il nostro sé
reale, che è l’oceano di infinita felicità.
Per le ragioni che abbiamo considerato precedentemente, la teoria del karma come insegnata da Sri Ramana non funzionerebbe se non ci fosse Dio a ordinare quale frutto ogni karma deve produrre e quando e in quali circostanze quel frutto deve essere sperimentato. Ma chi o cosa è questo Dio? Come Sri Ramana ci insegna nei versi 24 e 25 di Upadēśa Undiyār, Dio non è altro che il nostro sé reale. In altre parole, egli è ciò che noi siamo realmente, anche se ora sperimentiamo noi stessi come se fossimo un ego limitato. Comunque, la natura del nostro sé reale non è fare alcuna cosa ma solo essere, e non sperimentare niente altro che se stesso, ‘io sono’.
Per le ragioni che abbiamo considerato precedentemente, la teoria del karma come insegnata da Sri Ramana non funzionerebbe se non ci fosse Dio a ordinare quale frutto ogni karma deve produrre e quando e in quali circostanze quel frutto deve essere sperimentato. Ma chi o cosa è questo Dio? Come Sri Ramana ci insegna nei versi 24 e 25 di Upadēśa Undiyār, Dio non è altro che il nostro sé reale. In altre parole, egli è ciò che noi siamo realmente, anche se ora sperimentiamo noi stessi come se fossimo un ego limitato. Comunque, la natura del nostro sé reale non è fare alcuna cosa ma solo essere, e non sperimentare niente altro che se stesso, ‘io sono’.
Come può dunque Dio – come il nostro sé reale – essere
l’ordinatore dei frutti dei nostri karma?
Ci sono due modi in cui si può rispondere a questa domanda.
Uno di essi è indicato da Sri Ramana nel quindicesimo paragrafo di Nāṉ Yār?:
இச்சா ஸங்கல்ப
யத்நமின்றி யெழுந்த ஆதித்தன் சன்னிதி மாத்திரத்தில் காந்தக்கல் அக்கினியைக் கக்குவதும், தாமரை மலர்வதும், நீர் வற்றுவதும், உலகோர் தத்தங் காரியங்களிற் பிரவிருத்தித்து இயற்றி யடங்குவதும், காந்தத்தின் முன் ஊசி சேஷ்டிப்பதும் போல ஸங்கல்ப ரகிதராயிருக்கும்
ஈசன் சன்னிதான விசேஷ மாத்திரத்தால் நடக்கும் முத்தொழில் அல்லது பஞ்சகிருத்தியங்கட் குட்பட்ட ஜீவர்கள்
தத்தம் கர்மானுசாரம் சேஷ்டித் தடங்குகின்றனர். அன்றி, அவர் ஸங்கல்ப ஸஹித ரல்லர்; ஒரு கருமமு மவரை யொட்டாது. அது லோககருமங்கள் சூரியனை யொட்டாததும்,
ஏனைய சதுர்பூதங்களின் குணாகுணங்கள் வியாபகமான ஆகாயத்தை யொட்டாததும்
போலும்.
icchā-saṅkalpa-yatnam-iṉḏṟi y-eṙunda ādittaṉ saṉṉidhi-māttirattil kānta-k-kal aggiṉiyai-k kakkuvadum, tāmarai malarvadum, nīr vaṯṟuvadum, ulahōr tattaṅ kāriyaṅgaḷil piraviruttittu iyaṯṟi y-aḍaṅguvadum, kāntattiṉ muṉ ūsi cēṣṭippadum pōla saṅkalpa-rahitar-āy-irukkum īśaṉ saṉṉidhāṉa-viśēṣa-māttirattāl naḍakkum muttoṙil alladu pañcakiruttiyaṅgaṭ kutpaṭṭa jīvargaḷ tattam karmāṉucāram cēṣṭit taḍaṅgugiṉḏṟaṉar. aṉḏṟi, avar saṅkalpa-sahitar allar; oru karumam-um avarai y-oṭṭādu. adu lōka-karumaṅgaḷ sūriyaṉai y-oṭṭādadum, ēṉaiya catur-bhūtaṅgaḷiṉ guṇāguṇaṅgaḷ viyāpakam-āṉa ākāyattai y-oṭṭādadum pōlum.
Proprio come alla semplice presenza del sole, che sorge senza icchā [richiesta, desiderio o preferenza], saṁkalpa [volizione o intento], [o] yatna [sforzo o esercizio], un cristallo [o lente di ingrandimento] trasmetterà fuoco, un loto fiorirà, l'acqua evaporerà, e le persone del mondo si impegneranno [o inizieranno] le loro rispettive attività, compiranno [queste attività] e si quieteranno [o cesseranno di essere attive], e [proprio come] di fronte a un magnete un ago si muoverà, [così] i jīvas [esseri viventi], che sono catturati ne [lo stato limitato governato da] muttoṙil [la triplice funzione di Dio, vale a dire la creazione, il sostentamento e la dissoluzione del mondo] o pañcakṛtyas [le cinque funzioni di Dio, vale a dire creazione, sostentamento, dissoluzione, occultamento e grazia], che accadono a causa di null'altro che la speciale natura della presenza di Dio, che è saṁkalpa rahitar [colui che è privo di ogni volizione o intenzione], si muovono [impegnano loro stessi, realizzano attività, compiono sforzi o si adoperano] e si quietano [cessano di essere attivi, divengono fermi o dormono] in accordo con i loro rispettivi karma [cioè, in accordo non solo con il loro prārabdha karma o destino, che li obbliga a compiere qualunque azione sia necessaria al fine di sperimentare tutte le cose piacevoli e non piacevoli che essi sono destinati a sperimentare, ma anche con le loro karma-vāsanās, le loro inclinazioni o impulsi a desiderare, pensare, parlare e agire in modi particolari, che li obbliga a compiere sforzi per sperimentare certe cose piacevoli che essi non sono destinati a sperimentare, e a evitare di sperimentare certe cose non piacevoli che essi sono destinati a sperimentare]. Nondimeno, egli [Dio] non è saṁkalpa sahitar [una persona connessa con o che possiede volizione o intenzione]; nessun karma si attacca a lui [cioè, egli non è legato o influenzato da alcun karma o azione]. Cioè come le azioni del mondo [le azioni che accadono qui sulla terra] non si attaccano a [o influenzano] il sole, e [come] le qualità e i difetti degli altri quattro elementi [terra, acqua, aria e fuoco] non si attaccano allo spazio onnipervadente.
icchā-saṅkalpa-yatnam-iṉḏṟi y-eṙunda ādittaṉ saṉṉidhi-māttirattil kānta-k-kal aggiṉiyai-k kakkuvadum, tāmarai malarvadum, nīr vaṯṟuvadum, ulahōr tattaṅ kāriyaṅgaḷil piraviruttittu iyaṯṟi y-aḍaṅguvadum, kāntattiṉ muṉ ūsi cēṣṭippadum pōla saṅkalpa-rahitar-āy-irukkum īśaṉ saṉṉidhāṉa-viśēṣa-māttirattāl naḍakkum muttoṙil alladu pañcakiruttiyaṅgaṭ kutpaṭṭa jīvargaḷ tattam karmāṉucāram cēṣṭit taḍaṅgugiṉḏṟaṉar. aṉḏṟi, avar saṅkalpa-sahitar allar; oru karumam-um avarai y-oṭṭādu. adu lōka-karumaṅgaḷ sūriyaṉai y-oṭṭādadum, ēṉaiya catur-bhūtaṅgaḷiṉ guṇāguṇaṅgaḷ viyāpakam-āṉa ākāyattai y-oṭṭādadum pōlum.
Proprio come alla semplice presenza del sole, che sorge senza icchā [richiesta, desiderio o preferenza], saṁkalpa [volizione o intento], [o] yatna [sforzo o esercizio], un cristallo [o lente di ingrandimento] trasmetterà fuoco, un loto fiorirà, l'acqua evaporerà, e le persone del mondo si impegneranno [o inizieranno] le loro rispettive attività, compiranno [queste attività] e si quieteranno [o cesseranno di essere attive], e [proprio come] di fronte a un magnete un ago si muoverà, [così] i jīvas [esseri viventi], che sono catturati ne [lo stato limitato governato da] muttoṙil [la triplice funzione di Dio, vale a dire la creazione, il sostentamento e la dissoluzione del mondo] o pañcakṛtyas [le cinque funzioni di Dio, vale a dire creazione, sostentamento, dissoluzione, occultamento e grazia], che accadono a causa di null'altro che la speciale natura della presenza di Dio, che è saṁkalpa rahitar [colui che è privo di ogni volizione o intenzione], si muovono [impegnano loro stessi, realizzano attività, compiono sforzi o si adoperano] e si quietano [cessano di essere attivi, divengono fermi o dormono] in accordo con i loro rispettivi karma [cioè, in accordo non solo con il loro prārabdha karma o destino, che li obbliga a compiere qualunque azione sia necessaria al fine di sperimentare tutte le cose piacevoli e non piacevoli che essi sono destinati a sperimentare, ma anche con le loro karma-vāsanās, le loro inclinazioni o impulsi a desiderare, pensare, parlare e agire in modi particolari, che li obbliga a compiere sforzi per sperimentare certe cose piacevoli che essi non sono destinati a sperimentare, e a evitare di sperimentare certe cose non piacevoli che essi sono destinati a sperimentare]. Nondimeno, egli [Dio] non è saṁkalpa sahitar [una persona connessa con o che possiede volizione o intenzione]; nessun karma si attacca a lui [cioè, egli non è legato o influenzato da alcun karma o azione]. Cioè come le azioni del mondo [le azioni che accadono qui sulla terra] non si attaccano a [o influenzano] il sole, e [come] le qualità e i difetti degli altri quattro elementi [terra, acqua, aria e fuoco] non si attaccano allo spazio onnipervadente.
Cioè, dal momento che Dio è il nostro sé reale, egli non ha saṁkalpa
(volizione o intenzione) e non fa realmente alcuna cosa ma solo è, così
qualsiasi cosa sembra accadere lo fa alla sua mera presenza e senza la sua
volizione. Inoltre, nella sua visione niente esiste tranne lui stesso, così egli non sperimenta e conosce alcuna
cosa diversa da ‘io sono’, e quindi qualsiasi cosa sembra accadere nella nostra
visione lo fa senza la sua conoscenza.
Quindi i frutti dei nostri karma sono ordinati dal potere della
sua mera presenza – cioè, dal potere del suo semplice essere – senza la sua
volizione e neppure la sua conoscenza.
Questo è il motivo per cui Sri Ramana dice qui, ‘ஒரு கருமமு மவரை யொட்டாது’ (oru karumam-um
avarai y-oṭṭādu), ‘nessun karma si attacca a lui’. Cioè, egli non è
legato o condizionato da alcun karma, poiché nella sua visione nessun karma
esiste affatto.
Sebbene questa sia la più precisa spiegazione di come egli
ordina i frutti dei nostri karma, dalla prospettiva della nostra mente
non è una spiegazione del tutto soddisfacente, perché non possiamo
adeguatamente comprendere come per la sua mera presenza e senza la sua
conoscenza o scelta i frutti dei nostri karma possano essere ordinati in
un modo sia moralmente giusto sia più benefico per il nostro sviluppo
spirituale. Inoltre, sebbene egli è il
nostro sé reale, fino a che sperimentiamo noi stessi come un ego, egli sembra
essere qualcosa di diverso da noi stessi, poiché mentre noi sembriamo essere
limitati e quindi legati da numerose limitazioni, egli è infinito e quindi non
legato da alcuna limitazione. Non solo egli è la sua esistenza infinita, ma in
questo modo è anche la sua conoscenza e amore. Dato che egli solo esiste
veramente, sperimenta e ama ogni cosa
come se stesso. Nella sua visione ‘ogni cosa’ è se stesso, così è uno e non
molti, mentre nella nostra visione è molteplice, poiché esso include tutta la
molteplicità e la diversità del mondo.
Quindi, fino a che sperimentiamo noi stessi come una persona
limitata, e quindi sperimentiamo molte altre cose limitate che costituiscono il
mondo come lo conosciamo, non ci è possibile comprendere adeguatamente
l’assoluta unità, infinità e indivisibilità di Dio, che è il nostro sé reale.
Quindi quando pensiamo a Dio in relazione a noi stessi come una persona e a
questo mondo di pluralità, non possiamo che pensare a lui come qualcosa di diverso
da noi stessi e dal mondo, e dato che egli conosce e ama ogni cosa come se
stesso, e poiché nella sua visione non c’è niente – e quindi nessun potere –
che sia altro da se stesso, egli ci sembra essere qualcosa che è non solo
onnipresente ma anche onnisciente, onnibenevolente e onnipotente. Quindi
l’altro modo per rispondere alla domanda di come Dio, essendo il nostro sé
reale, può essere l’ordinatore dei frutti dei nostri karma è spiegare
che egli lo fa nel suo ruolo apparente di altro, essere onnisciente,
onnibenevolente e onnipotente.
Essendo onnisciente, egli conosce qual’è il frutto più appropriato
da ordinare per ciascuno dei nostri karma; essendo onnibenevolente (che
tutto ama), il tempo e le circostante in cui egli sceglie la nostra
sperimentazione di ciascun frutto è per noi il più benefico a lungo termine
(cioè, è il più confacente al nostro sviluppo spirituale e alla nostra
definitiva liberazione dai vincoli dell’esistenza limitata); ed essendo
onnipotente, non c’è potere altro da se stesso che possa impedirgli di ordinare i frutti dei nostri karma secondo
la sua volontà che tutto conosce e ama.
Comunque, apparentemente come un altro essere, onnisciente,
onnibenevolente e onnipotente, Dio non è assolutamente reale. Come il nostro sé
essenziale e come l’unica sorgente e suprema sostanza che appare come tutto
questo mondo di pluralità, egli è assolutamente reale, ma fino a che sembra
essere diverso da noi stessi e avere una funzione, in qualsiasi modo la
sperimentiamo, da sostenere in questo
mondo, (o in un altro mondo, come qualsiasi mondo che sperimentiamo in un
sogno), egli è reale solo relativamente.
Come tale, egli non è più reale di quanto lo siamo noi come un individuo o di quanto lo è il mondo come qualcosa di diverso da noi stessi. Proprio come noi, come un ego o anima individuale (jīva) siamo soltanto un kalpana (un’invenzione o finzione della nostra immaginazione), e proprio come il mondo è altrettanto solo un kalpana, così lo è Dio quando è concepito come un’entità separata: un Signore (īśvara) onnisciente, onnibenevolente e onnipotente che governa questo mondo e tutto ciò che sperimentiamo in esso.
Come Sri Ramana scrisse nel diciassettesimo capitolo
del Nāṉ Yār?:
யதார்த்தமா யுள்ளது
ஆத்மசொரூப மொன்றே. ஜக ஜீவ ஈச்வரர்கள், சிப்பியில் வெள்ளிபோல் அதிற் கற்பனைகள். இவை மூன்றும் ஏககாலத்தில் தோன்றி ஏககாலத்தில்
மறைகின்றன. சொரூபமே ஜகம்; சொரூபமே நான்; சொரூபமே ஈச்வரன்;
எல்லாம் சிவ சொரூபமாம்.
yathārtham-āy uḷḷadu ātma-sorūpam oṉḏṟē. jaga-jīva-īśvarargaḷ, śippiyil veḷḷi pōl adil kaṯpaṉaigaḷ. ivai mūṉḏṟum ēka-kālattil tōṉḏṟi ēka-kālattil maṟaigiṉḏṟaṉa. sorūpam-ē jagam; sorūpam-ē nāṉ; sorūpam-ē īśvaraṉ; ellām śiva sorūpam ām.
Ciò che esiste realmente è solo ātma-svarūpa [il nostro sé essenziale]. Il mondo, l’anima e Dio sono kalpanas [immaginazioni, invenzioni, creazioni mentali o sovrapposizioni illusorie] in esso, come [l’immaginario] argento [visto] in una conchiglia. Questi tre appaiono simultaneamente e scompaiono simultaneamente. Svarūpa [la nostra ‘propria forma’ o sé essenziale] solo è il mondo; svarūpa solo è ‘io’ [il nostro ego, anima o sé individuale]; svarūpa solo è Dio; ogni cosa è śiva-svarūpa [il nostro sé essenziale, che è śiva, la sola realtà assoluta e veramente esistente].
Perciò quando Sri Ramana dice che i karma danno frutto secondo l’ordinamento di Dio, possiamo concepire questo in due modi. Possiamo comprendere che Dio non è altro che il nostro sé reale, e che come tale non fa nulla e non conosce nulla tranne che se stesso, ‘io sono’, ma dal momento che egli vive e ama ogni cosa come il proprio sé, per mezzo della sua sola presenza o esistenza all’interno di noi come il nostro puro ‘io’ senza attributi, i nostri karma sono fatti produrre il frutto appropriato nel modo più confacente alla realizzazione del nostro massimo fine di fonderci interamente in lui sperimentando noi stessi come siamo realmente, quindi liberando noi stessi dalla schiavitù dell’esistenza limitata. O possiamo comprendere che fino a che sperimentiamo noi stessi come un ego limitato che compie karma che possono essere moralmente giusti o ingiusti, il nostro infinito sé reale ci sembra essere un Dio onnisciente, onnibenevolente e onnipotente, che come tale è altro da noi stessi in quanto ego, e che consapevolmente e compassionevolmente ordina i nostri karma nel produrre il frutto appropriato nel modo più confacente alla realizzazione del nostro fine supremo di fonderci interamente in lui.
yathārtham-āy uḷḷadu ātma-sorūpam oṉḏṟē. jaga-jīva-īśvarargaḷ, śippiyil veḷḷi pōl adil kaṯpaṉaigaḷ. ivai mūṉḏṟum ēka-kālattil tōṉḏṟi ēka-kālattil maṟaigiṉḏṟaṉa. sorūpam-ē jagam; sorūpam-ē nāṉ; sorūpam-ē īśvaraṉ; ellām śiva sorūpam ām.
Ciò che esiste realmente è solo ātma-svarūpa [il nostro sé essenziale]. Il mondo, l’anima e Dio sono kalpanas [immaginazioni, invenzioni, creazioni mentali o sovrapposizioni illusorie] in esso, come [l’immaginario] argento [visto] in una conchiglia. Questi tre appaiono simultaneamente e scompaiono simultaneamente. Svarūpa [la nostra ‘propria forma’ o sé essenziale] solo è il mondo; svarūpa solo è ‘io’ [il nostro ego, anima o sé individuale]; svarūpa solo è Dio; ogni cosa è śiva-svarūpa [il nostro sé essenziale, che è śiva, la sola realtà assoluta e veramente esistente].
Perciò quando Sri Ramana dice che i karma danno frutto secondo l’ordinamento di Dio, possiamo concepire questo in due modi. Possiamo comprendere che Dio non è altro che il nostro sé reale, e che come tale non fa nulla e non conosce nulla tranne che se stesso, ‘io sono’, ma dal momento che egli vive e ama ogni cosa come il proprio sé, per mezzo della sua sola presenza o esistenza all’interno di noi come il nostro puro ‘io’ senza attributi, i nostri karma sono fatti produrre il frutto appropriato nel modo più confacente alla realizzazione del nostro massimo fine di fonderci interamente in lui sperimentando noi stessi come siamo realmente, quindi liberando noi stessi dalla schiavitù dell’esistenza limitata. O possiamo comprendere che fino a che sperimentiamo noi stessi come un ego limitato che compie karma che possono essere moralmente giusti o ingiusti, il nostro infinito sé reale ci sembra essere un Dio onnisciente, onnibenevolente e onnipotente, che come tale è altro da noi stessi in quanto ego, e che consapevolmente e compassionevolmente ordina i nostri karma nel produrre il frutto appropriato nel modo più confacente alla realizzazione del nostro fine supremo di fonderci interamente in lui.
Per un aspirante spirituale queste due visioni alternative
sono complementari, di conseguenza non abbiamo bisogno di sceglierne una in
preferenza all’altra. La prima visione si accorda più strettamente con ciò che
è effettivamente il caso, mentre la seconda si accorda più strettamente con la
nostra attuale esperienza di noi stessi come un ego limitato. Se vediamo la
nostra pratica primariamente in termini di auto-investigazione (ātma-vicāra),
probabilmente la prima visione ci attrae di più e può essere più confacente
alla nostra pratica, mentre se preferiamo vedere la nostra pratica in termini
di auto-abbandono, la seconda visione ci può attrarre di più ed essere più
confacente alla nostra pratica. Ma qualsiasi visione preferiamo, non abbiamo
bisogno e non dovremmo stabilirla come contraria all’altra visione, poiché il karma
è reale solo relativamente e non assolutamente, così ogni spiegazione del
funzionamento del karma deve anche essere reale solo relativamente. In
termini relativi, la prima visione può sembrare più vicina alla verità
assoluta, ma è nondimeno ancora relativa, perché la verità assoluta è che non
c’è karma o qualsiasi altra cosa tranne l’unica realtà infinita (brahman),
che solamente è ciò che siamo realmente.
Sebbene Sri Ramana ha sempre insistito sul fatto che Dio non
è altro che il nostro sé reale, egli riconosceva che, per la maggior parte dei
devoti, Dio sembra essere qualcosa di diverso da loro stessi, ed ammetteva che
coltivare amore per Dio come se fosse altro da noi stessi può essere un mezzo
effettivo per purificare la nostra mente e quindi renderci idonei a riconoscere
che Dio è realmente niente altro che il nostro sé reale – il puro ‘io sono’
senza attributi, che è il solo elemento reale ed essenziale nell’ego, che è
l’esperienza mischiata con attributi e quindi confusa, ‘io sono questo corpo’.
Questo è il motivo per cui egli mai cercò di dissuadere chiunque aveva una fede
dualistica in Dio (credere in Dio come se fosse altro da se stessi), ma allo
stesso tempo mai sostenne che credere in Dio è necessario. Se il concetto di
Dio non attraeva qualcuno, o se qualcuno
esprimeva qualche dubbio riguardo l’esistenza di Dio o riguardo l’efficacia della
sua grazia, egli era solito dire: ‘Perché
dovreste interessarvi a domande su Dio? Sapete che voi esistete, così prima
investigate e scoprite cosa voi siete realmente, e poi se necessario potete
investigare se c’è un qualche Dio diverso da voi stessi’.
Fino a che Dio ci sembra qualcosa di diverso da noi stessi, è
reale quanto lo siamo noi in quanto ego e quanto lo è il mondo. Come Sri Ramana disse, il nostro ego, il
mondo e Dio sono tutti soltanto kalpanas o costruzioni immaginarie.
Dunque Dio come un’entità apparentemente separata è tanto reale quanto i nostri
karma e, fino a che i nostri karma sembrano essere reali, il
fatto che i loro frutti sono ordinati da Dio è ugualmente reale. Di conseguenza
quando Sri Ramana dice che i nostri karma danno frutto secondo
l’ordinamento di Dio, egli non intende suggerire che il Dio che ha una tale
funzione è assolutamente reale, ma solo che egli è reale quanto i nostri karma,
che sono a loro volta solamente reali quanto il nostro ego, il quale li compie
e sperimenta il loro frutto.
Quando egli dice che il karma è jaḍa
(non-cosciente), possiamo presupporre che egli voglia dire che esso è
anche asat (non-esistente),
perché secondo lui ciò che esiste realmente deve essere non solo eterno e
immutabile ma anche svayam-prakāśa (auto-risplendente, auto-luminoso o
auto-illuminante) – cioè, deve sperimentare se stesso per mezzo della propria
luce di consapevolezza. Ogni cosa che non sperimenta se stessa sembra esistere
solo nella visione di qualunque cosa sperimenta o immagina la sua esistenza,
vale a dire l’ego (che è il soggetto che sperimenta, conosce, immagina, deduce,
concepisce o pensa di essa), così la sua apparente esistenza dipende
sull’apparente esistenza dell’ego. Sebbene l’ego sperimenta se stesso, non è
reale di per sé, poiché è una mescolanza di un elemento auto-sperimentante (cit),
vale a dire ‘io’, e vari attributi non auto-sperimentanti (jaḍa) come il corpo che confonde come
se stesso (questo è il motivo per cui è descritto come cit-jaḍa-granthi:
il nodo che lega insieme ciò che cosciente con ciò che è non cosciente come se
fossero uno). Quindi secondo Sri Ramana
ciò che è reale è solo il puro ‘io’ senza attributi, e questo è il motivo per
cui disse nel sedicesimo paragrafo di Nāṉ Yār?: ‘யதார்த்தமா யுள்ளது ஆத்மசொரூப மொன்றே’ (yathārtham-āy
uḷḷadu ātma-sorūpam oṉḏṟē), ‘Ciò che realmente esiste è solo ātma-svarūpa
[il nostro sé essenziale o puro ‘io’].
Non solo il karma è sia jaḍa (non-cosciente)
sia asat (non-esistente), ma tali sono anche la mente, la parola e il corpo
che compiono karma, come Sri Ramana dice esplicitamente nel verso 22 di Upadēśa
Undiyār, in cui egli elenca tutti i principali attributi che sperimentiamo
come ‘io’, vale a dire le cosiddette ‘cinque guaine’ o pañca-kōśas (il
corpo fisico, la vita o prāṇa che anima questo corpo, la mente,
l’intelletto e l’apparente ‘oscurità’ o assenza di conoscenza che sperimentiamo
nel sonno), e afferma che essi sono tutti jaḍa e asat, e quindi
non ‘io’, perché ‘io’ è ciò che è cosciente (cit) e ciò che realmente
esiste (sat).
Quindi secondo Sri Ramana, l’ego, i karma che esso sembra compiere, gli strumenti (la mente, la parola e il corpo) per mezzo dei quali sembra compierli, e il Dio che sembra ordinare il loro frutto sono tutti irreali. Comunque, fino a che sperimentiamo noi stessi come questo ego, esso sembra essere reale, e di conseguenza tutte queste altre cose sembrano essere reali, così il solo mezzo con cui possiamo liberare noi stessi dalla schiavitù che risulta dallo sperimentare tali cose come se fossero reali è investigare noi stessi e quindi sperimentare noi stessi come siamo realmente. Quando facciamo ciò, distruggeremo l’illusione di essere questo ego, e distruggeremo così l’illusione di essere impegnati nel compiere karma e nello sperimentare il suo frutto o conseguenze. Fino ad allora, il karma e le sue conseguenze ci sembreranno reali e un ciclo auto-perpetrante dal quale non possiamo liberarci compiendo qualsiasi karma, come Sri Ramana dice nel prossimo verso di Upadēśa Undiyār.
Quindi secondo Sri Ramana, l’ego, i karma che esso sembra compiere, gli strumenti (la mente, la parola e il corpo) per mezzo dei quali sembra compierli, e il Dio che sembra ordinare il loro frutto sono tutti irreali. Comunque, fino a che sperimentiamo noi stessi come questo ego, esso sembra essere reale, e di conseguenza tutte queste altre cose sembrano essere reali, così il solo mezzo con cui possiamo liberare noi stessi dalla schiavitù che risulta dallo sperimentare tali cose come se fossero reali è investigare noi stessi e quindi sperimentare noi stessi come siamo realmente. Quando facciamo ciò, distruggeremo l’illusione di essere questo ego, e distruggeremo così l’illusione di essere impegnati nel compiere karma e nello sperimentare il suo frutto o conseguenze. Fino ad allora, il karma e le sue conseguenze ci sembreranno reali e un ciclo auto-perpetrante dal quale non possiamo liberarci compiendo qualsiasi karma, come Sri Ramana dice nel prossimo verso di Upadēśa Undiyār.
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