Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

lunedì 7 novembre 2016

La differenza tra vivarta vāda e ajāta vāda non è solo semantica ma sostanziale

Michael James

25 Ottobre 2016
The difference between vivarta vāda and ajāta vāda is not just semantic but substantive

Ho scritto il mio articolo precedente, Come siamo realmente, non facciamo nulla e non siamo consapevoli di nient’altro che noi stessi, in risposta a vari commenti scritti da un amico di nome Ken, e in risposta ad esso egli ha scritto un altro commento in cui ha discusso:
Grazie per la tua esauriente ricerca su questi argomenti, essi sono un aiuto significativo nella comprensione degli insegnamenti di Ramana.

[…]

Oltre a questo, mi sembra che stiamo entrando in un campo governato dalle semantiche.

Per esempio, Sherlock Holmes è un personaggio immaginario. Come tale, egli “è irreale e non è mai esistito”. Tuttavia la sua mancanza di esistenza è semantica. Dal nostro punto di vista, certamente troviamo una differenza tra il nostro mondo attuale (con almeno due differenti serie di Sherlock Holmes in produzione) e un universo alternativo dove Conan Doyle non ha mai inventato il personaggio Sherlock Holmes.

In modo simile, andiamo a dormire e abbiamo un sogno. Quando ci svegliamo, realizziamo che gli eventi nel sono erano irreali. “Niente è mai successo”. Ma non possiamo dire che la nostra notte è stata uguale a una notte in cui non abbiamo sognato.

E, se andiamo nel garage al buio e confondiamo la corda arrotolata con un serpente, possiamo certamente dire “il serpente è irreale e non è mai esistito”. Tuttavia, c’è una differenza tra andare nel garage e riconoscere immediatamente la corda e andare nel garage e confondersi vedendo il serpente. Se non ci fosse differenza, allora Ramana non avrebbe avvisato, in Ulladu Narpadu 35:

“Essendo cessata la mente sprofondata, conoscere ed essere la Realtà, che è (sempre) ottenuta, è il (vero) ottenimento (siddhi). […] (Quindi) conosci e sii (come) tu (la Realtà) sei”.

Se non ci fosse differenza tra vedere il serpente e vedere la corda, allora egli invece avrebbe detto:

“La mente è irreale e non esiste, così non praticare l’auto-attenzione, vai a casa, guarda il cricket e finiscila di scocciarmi.”

Così, un universo dove non ci fu mai alcuna apparenza di fenomeni temporanei, mai alcuna maya, mai alcuna identificazione errata, mai alcun ego… solo satchitananda… è forse teologicamente, metafisicamente e/o filosoficamente identico a questo universo… ma non è del tutto identico, altrimenti Ramana non avrebbe mai risposto alla domanda di Pillai “Chi sono io?”.

Il modello Advaita Vedanta di “reale” e “esiste” è molto significativo – esso ci dice ciò che è importante. Ma se lo usiamo in tutti i contesti, finiamo nel “Neo-Advaita”, ovvero “Niente è mai successo, l’ego non è mai esistito, così vai a casa e guarda la T.V., sono 50 dollari, grazie”.

Ne Il sentiero di Sri Ramana, Sadhu Om è attento ad applicare lo standard di metafisica assoluta alla teologia e alla filosofia, ma non altrimenti. Per esempio, egli ha affermato:

“La sola causa di tutte le miserie è l’errore di velare noi stessi immaginando queste guaine essere noi stessi, anche se siamo sempre questa esistenza-consapevolezza-beatitudine (sat-chit-ananda).”

Questa è simile alla mia frase citata il 9 Settembre 2016:

Poiché non c’è niente oltre al Sé, non c’è niente che può forzare il Sé a fare qualcosa. Il Sé è solo, così esso decide di “velare” sé stesso e di limitare sé stesso come una moltitudine di ‘individui’. Questo è il Lila, il gioco.”

Le Upanishad, Shankara e Ramana concordano sul fatto che non c’è niente oltre che il Sé. Così non ci può essere qualcosa che forza il Sé a fare qualcosa.

Sadhu Om descrive la velatura come un “errore”, mentre io la descrivo come una “decisione”. Bene, certamente queste due cose sono compatibili. Un gran numero di decisioni sono scoperte essere errori (come decidere di guidare quando hai bevuto troppo alcol).

Prima della “velatura” non c’era un ego, così Sadhu Om può solo riferirsi al Sé come a colui che vela.
Quindi in questo articolo cercherò di spiegare a Ken perché questi suoi argomenti non si rivolgono adeguatamente alla questione che stavo discutendo nel mio articolo precedente, vale a dire la confusione che sorge se crediamo che il nostro sé reale vela sé stesso e vede sé stesso come numerosi fenomeni.
  1. Sebbene vivarta vāda sembra essere vero finché sembriamo essere questo ego, quando dissolviamo il nostro ego investigando noi stessi scopriremo che solo ajāta è reale
  2. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 4: come siamo realmente, non siamo mai consapevoli di forme o di qualsiasi altra cosa diversa da noi stessi
  3. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 6: il mondo è percepito solo dalla nostra mente, così non esiste indipendentemente da questa mente
  4. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 26: tutti i fenomeni sembrano esistere soltanto quando sorgiamo come questo ego, così nessun fenomeno esiste indipendentemente da questo ego
  5. In senso assoluto, ajāta è la sola realtà, e quindi non una realtà alternativa o parallela
  6. Ciò che è non nato (ajāta) è solo pura auto-consapevolezza, e poiché è il tutto infinito, niente altro esiste realmente
  7. Ajāta è l’esperienza che non c’è mai stato alcun sognatore e quindi nessun sogno è mai avvenuto
  8. Ajāta è lo stato in cui non c’è mai stato alcun ego per percepire qualsiasi illusione
  9. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 35: la realizzazione spirituale non è conseguire qualche potere sovrannaturale ma solo conoscere ed essere ciò che è reale
  10. Finché sembriamo essere questo ego, abbiamo bisogno di essere istruiti e di fare sforzo per investigare cosa siamo realmente
  11. Abbiamo bisogno di distinguere ciò che esiste realmente da ciò che sembra esistere
  12. Il velo dell’auto-ignoranza sembra esistere solo nella visione di noi stessi come questo ego e non nella visione di noi stessi come siamo realmente

1. Sebbene vivarta vāda sembra essere vero finché sembriamo essere questo ego, quando dissolviamo il nostro ego investigando noi stessi scopriremo che solo ajāta è reale

Ken, quando dici ‘mi sembra che stiamo entrando in un campo governato dalle semantiche’ e poi presenti i vari argomenti che hai fornito in questo commento, ciò che stai in effetti dicendo è che la differenza tra vivarta vāda e ajāta vāda è puramente semantica e non sostanziale. Benché in questo commento non menzioni effettivamente né vivarta vādaajāta vāda, i tuoi argomenti (sia in questo commento che nei primi) sembrano avere radice nel fallimento nell’apprezzare l’importanza della distinzione tra essi, e questo è stato il motivo per cui ho cercato di spiegare questa distinzione nella sezione finale nel mio articolo precedente, Upadēśa Undiyār verso 17: se investighiamo accuratamente il nostro ego, scopriremo che non c’è realmente una tale cosa, e quindi nessun mondo o qualunque altra cosa diversa da noi stessi.

Secondo vivarta vāda il nostro ego e tutti i fenomeni di cui esso è consapevole sono solo una falsa apparenza, come ogni cosa che sperimentiamo in un sogno, mentre secondo ajāta vāda nessun ego né alcun fenomeno è mai esistito anche come una falsa apparenza. Il primo è vero dalla prospettiva di noi stessi come questo ego, così è vero solo in un senso relativo, mentre il secondo è vero dalla prospettiva di noi stessi come siamo realmente, così solo esso è ciò che è definitivamente ed assolutamente vero.

Queste sono quindi due prospettive diametralmente opposte, perché ajāta vāda è una diretta contraddizione di vivarta vāda, poiché vivarta vāda riconosce che questo ego e tutti questi fenomeni sembrano esistere, mentre ajāta vāda nega che ognuna di queste cose sembri esistere. Tuttavia c’è una connessione logica tra questi due punti di vista opposti, in quanto, perché ogni cosa appaia o sembri esistere, deve esserci qualcosa nella cui visione questa cosa sembri esistere, e quel qualcosa è solo noi stessi come questo ego, che secondo il vivarta vāda è esso stesso una falsa apparenza, e quindi come Bhagavan ci ha insegnato se noi (questo ego) investighiamo noi stessi, scopriremo che non c’è realmente una cosa come questo ego, e quindi che non c’è niente nella cui visione qualsiasi altra cosa possa sembrare esistere. Quindi paradossalmente la conclusione logica di vivarta vāda è solo ajāta vāda, anche se ajāta vāda contraddice direttamente vivarta vāda.

Tuttavia, benché vivarta vāda è completamente irreale dalla prospettiva di noi stessi come siamo realmente, esso sembra esistere finché sembriamo essere questo ego. Quindi benché Bhagavan ha spiegato che la nostra esperienza definitiva sarà solo ajāta, ci ha insegnato che se non sperimentiamo noi stessi come siamo realmente, dovremmo accettare vivarta vāda come l’ipotesi di lavoro più appropriata e benefica.

Quindi gli insegnamenti centrali di Bhagavan come espressi in Nāṉ Yār?, Uḷḷadu Nāṟpadu, Upadēśa Undiyār e altrove sono in accordo con vivarta vāda, e (come indicato nel verso 83 di Guru Vācaka Kōvai) la ragione per cui ha insegnato da questo punto di vista è da lui spiegato nella proposizione di apertura del primo verso di Uḷḷadu Nāṟpadu: ‘நாம் உலகம் காண்டலால்’ (nām ulaham kāṇḍalāl), ‘poiché noi vediamo il mondo’. Cioè, poiché percepiamo fenomeni, nella nostra visione sia i fenomeni che noi stessi come il percettore di essi sembrano esistere, ma secondo vivarta vāda, benché sembrano esistere, non esistono realmente, così sono solo un’apparenza illusoria (vivarta).

Come possiamo quindi liberare noi stessi da questa illusione? Un’illusione sembra esistere solo nella visione di chiunque la percepisce, e quello che percepisce tutti i fenomeni è solo noi stessi come questo ego, che secondo Bhagavan è esso stesso un’apparenza illusoria – qualcosa che non esiste realmente anche se sembra esistere finché è consapevole di qualsiasi fenomeno. Quindi la causa radice di tutta questa illusione è il nostro ego, così possiamo liberare noi stessi da tutta l’illusione solo liberando noi stessi da questo ego illusorio ed auto-illuso.

Se questo ego, il percettore di tutti i fenomeni, fosse ciò che siamo realmente, non saremmo in grado di liberarci da esso, e quindi saremmo per sempre legati dall’illusione, ma poiché esso non è ciò che siamo realmente ma solo un’apparenza illusoria sovrapposta su noi stessi, possiamo liberarci da esso investigando ciò che siamo realmente. Tuttavia, benché esso non è ciò che siamo realmente, è (nella visione di noi stessi come questo ego) ciò che ora sembriamo essere, così per investigare ciò che siamo realmente abbiamo semplicemente bisogno di osservare noi stessi (chi ora sembra essere questo ego) molto attentamente.

Se osserviamo un serpente illusorio abbastanza attentamente vedremo che non è realmente un serpente ma solo una corda. Ugualmente, se osserviamo questo ego illusorio abbastanza attentamente, vedremo che non siamo realmente questo ego ma solo pura auto-consapevolezza, che sola esiste realmente e che quindi non è consapevole di niente altro che stessa.

2. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 4: come siamo realmente, non siamo mai consapevoli di forme o di qualsiasi altra cosa diversa da noi stessi

So che già comprendi la maggior parte di ciò che ho scritto nei pochi paragrafi precedenti, ma la tua comprensione è errata dove sembri presupporre che poiché l’ego non esiste realmente, ciò che percepisce tutti questi fenomeni è noi stessi come siamo realmente, e che quindi anche quando questo ego sarà sradicato continueremo a percepire i fenomeni. Questo non è corretto, perché come Bhagavan spiega chiaramente nel verso 4 di Uḷḷadu Nāṟpadu, il nostro sé reale è ‘அந்தமிலா கண்’ (antam-ilā kaṇ), l’’occhio illimitato’, che significa che è infinita consapevolezza – e quindi senza forma – così esso non può mai vedere alcuna forma, come egli intende nella seconda e terza frase di quel verso chiedendo retoricamente: ‘உருவம் தான் அன்றேல், உவற்றின் உருவத்தை கண் உறுதல் யாவன்? எவன்?’ (uruvam tāṉ aṉḏṟēl, uvaṯṟiṉ uruvattai kaṇ uṟudal yāvaṉ? evaṉ?), che significa ‘Se sé stessi non è una forma, chi può vedere le loro forme? [E] come [farlo]?’.

Cioè, secondo il principio che egli ci ha insegnato nella quarta frase di questo verso, ‘கண் அலால் காட்சி உண்டோ?’ (kaṇ alāl kāṭci uṇḍō?), che significa ‘Può ciò che è visto essere diverso [in natura] dall’occhio [che lo vede]?’, la natura di chi è percepito non può essere diversa dalla natura di ciò che lo percepisce. Quindi, poiché ciò che siamo realmente è solo consapevolezza infinita e senza forma, non possiamo come tali essere consapevoli di qualsiasi cosa che non sia infinita e senza forma, così siamo eternamente consapevoli solo di noi stessi e di niente altro.

Ciò che Bhagavan ci insegna in questo verso non è pura semantica, ma è uno dei principi fondamentali dei suoi insegnamenti, così consideriamo attentamente ciò che egli dice in esso:
உருவந்தா னாயி னுலகுபர மற்றா
முருவந்தா னன்றே லுவற்றி — னுருவத்தைக்
கண்ணுறுதல் யாவனெவன் கண்ணலாற் காட்சியுண்டோ
கண்ணதுதா னந்தமிலாக் கண்.

uruvandā ṉāyi ṉulahupara maṯṟā
muruvandā ṉaṉḏṟē luvaṯṟi — ṉuruvattaik
kaṇṇuṟudal yāvaṉevaṉ kaṇṇalāṯ kāṭciyuṇḍō
kaṇṇadutā ṉantamilāk kaṇ
.

பதச்சேதம்: உருவம் தான் ஆயின், உலகு பரம் அற்று ஆம்; உருவம் தான் அன்றேல், உவற்றின் உருவத்தை கண் உறுதல் யாவன்? எவன்? கண் அலால் காட்சி உண்டோ? கண் அது தான் அந்தம் இலா கண்.

Padacchēdam (separazione delle parole): uruvam tāṉ āyiṉ, ulahu param aṯṟu ām; uruvam tāṉ aṉḏṟēl, uvaṯṟiṉ uruvattai kaṇ uṟudal yāvaṉ? evaṉ? kaṇ alāl kāṭci uṇḍō? kaṇ adu tāṉ antam-ilā kaṇ.

அன்வயம்: தான் உருவம் ஆயின், உலகு பரம் அற்று ஆம்; தான் உருவம் அன்றேல், உவற்றின் உருவத்தை யாவன் கண் உறுதல்? எவன்? கண் அலால் காட்சி உண்டோ? கண் அது தான் அந்தம் இலா கண்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): tāṉ uruvam āyiṉ, ulahu param aṯṟu ām; tāṉ uruvam aṉḏṟēl, uvaṯṟiṉ uruvattai yāvaṉ kaṇ uṟudal? evaṉ? kaṇ alāl kāṭci uṇḍō? kaṇ adu tāṉ antam-ilā kaṇ.

Traduzione: Se sé stessi è una forma, il mondo e Dio lo saranno ugualmente; se sé stessi non è una forma, chi può vedere le loro forme, e come [farlo]? Può ciò che è visto essere diverso [in natura] dall’occhio [che lo vede]? L’occhio [reale] è sé stessi, l’occhio infinito.
Come questo ego siamo consapevoli di forme solo perché sorgiamo come questo ego afferrando e identificando noi stessi con la forma di un corpo, e finché siamo consapevoli di noi stessi come una forma non possiamo essere consapevoli di noi stessi come l’auto-consapevolezza senza forma che siamo realmente. Tuttavia, se ci rivolgiamo all’interno per investigare ciò che siamo realmente e se lo facciamo abbastanza acutamente, scopriremo che siamo realmente solo auto-consapevolezza senza forma, e che come tali non siamo mai stati consapevoli di alcuna forma.

Ogni forma è un fenomeno, e ogni fenomeno è una forma di un tipo o un altro, così ciò a cui Bhagavan si riferisce in questo verso e altrove come ‘forma’ è un fenomeno di qualsiasi tipo. Poiché la pura auto-consapevolezza è infinita e quindi senza forma, non è un fenomeno, e non può essere consapevole di alcun fenomeno. Tutto ciò di cui essa e sempre consapevole è solo sé stessa – அந்தமிலா கண் (antam-ilā kaṇ), l’’occhio illimitato’ è consapevolezza infinita che essa è realmente.

Ciò che è consapevole di fenomeni di ogni tipo è solo il nostro ego, perché – sebbene questo ego è solo un ‘உருவற்ற பேய்’ (uru-v-aṯṟa pēy) o ‘fantasma senza forma’ (come Bhagavan dice nel verso 25 di Uḷḷadu Nāṟpadu), poiché come un fantasma illusorio esso non esiste realmente – ha origine e si regge solo afferrando una forma (un corpo) come sé stesso, e di conseguenza è in grado di percepire solo forme e fenomeni.

Poiché tutti i fenomeni sembrano esistere solo nella visione auto-ignorante di noi stessi come questo ego, e poiché questo ego non è reale, tutti i fenomeni sono solo un’apparenza illusoria. Cioè, secondo il principio ‘கண் அலால் காட்சி உண்டோ?’ (kaṇ alāl kāṭci uṇḍō?), ‘Può ciò che è visto essere diverso [in natura] all’occhio [che lo vede]?’, poiché questo ego è solo un’apparenza illusoria, qualunque cosa esso percepisce è nello stesso modo solo un’apparenza illusoria. E secondo lo stesso principio, poiché solo l’auto-consapevolezza pura, infinita e senza forma che noi siamo realmente è ciò che esiste realmente, non può percepire alcuna forma o fenomeno, ma può solo essere consapevole di sé stessa, perché niente altro che sé stessa esiste realmente o è infinita o senza forma.

Cioè, poiché il nostro sé reale è senza forma, può essere consapevole solo di ciò che è senza forma (vale a dire sé stesso) e non può mai vedere alcuna forma. Ugualmente, poiché è infinito, può essere consapevole solo di ciò che è infinito (vale a dire sé stesso) e non può mai vedere qualcosa che è finita. E poiché esso solo esiste realmente, può essere consapevole solo di ciò che esiste realmente (vale a dire sé stesso) e non può mai vedere qualcosa che solamente sembra esistere.

Ciò che può vedere forme è solo il nostro ego, perché esso ha origine e si regge solo afferrando la forma di un corpo come sé stesso. Non può vedere ciò che è senza forma, perché essendo sorto come una forma non ha visto la propria natura reale, che è l’auto-consapevolezza senza forma che siamo realmente. Poiché è finito, può vedere solo ciò che è finito (vale a dire i fenomeni) e non può mai vedere il tutto infinito. E poiché non esiste realmente ma solamente sembra esistere, può solo essere consapevole di ciò che sembra esistere e non può mai essere consapevole di ciò che esiste realmente (o più precisamente, non può mai essere consapevole di esso come è).

Quindi vivarta vāda sembra essere vero solo nell’esperienza e nella prospettiva di noi stessi come questo ego, ed è applicabile solo a questo ego, mentre ciò che è vero nell’esperienza e nella prospettiva di noi stessi come siamo realmente è solo ajāta. Questo è il motivo per cui Bhagavan ha detto che la sua esperienza è che solo ajāta è vero, ma ha insegnato vivarta vāda per il nostro beneficio, perché sebbene nella sua visione questo ego e tutti i fenomeni non sembrano affatto esistere, nella nostra visione essi sembrano esistere, almeno come apparenze illusorie.

Come siamo realmente non siamo mai consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi, e poiché siamo eterni e quindi senza inizio, questa esperienza di noi stessi come siamo realmente è chiamata ajāta (che significa non nato, non divenuto, non sorto o non apparso), ma come questo ego percepiamo l’apparenza di fenomeni e siamo di conseguenza consapevoli di noi stessi come un percettore separato, e secondo Bhagavan questa esperienza è solo vivarta (un’illusione o falsa apparenza). Comprendere questo e la distinzione tra questi due tipi di esperienza (dei quali solo uno è reale e l’altro completamente irreale) è cruciale, perché se non lo comprendiamo correttamente la nostra comprensione dei suoi insegnamenti come un insieme sarà confusa e insufficientemente coerente.

Cioè, se immaginiamo che come il nostro sé reale siamo sempre consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi anche in misura minima o in qualunque forma, questo significherebbe che siamo realmente soggetti all’ignoranza e alla schiavitù e quindi inerentemente imperfetti, nel qual caso non saremmo mai in grado di sfuggire in modo permanente dallo stato di ignoranza. Uno dei principi più fondamentali non solo degli insegnamenti di Bhagavan ma anche dell’intera filosofia advaita è che il nostro sé reale è brahman, che è eternamente libero e mai soggetto ad ignoranza, così poiché Bhagavan dice nel verso 13 di Uḷḷadu Nāṟpadu, ‘நானாவாம் ஞானம் அஞ்ஞானம் ஆம்’ (nāṉā-v-ām ñāṉam aññāṉam ām), che significa ‘consapevolezza della molteplicità è ignoranza’, e nel verso 12 di Upadēśa Taṉippākkaḷ, ‘நானாவாய் காண்கின்ற ஞானம் அன்றி இன்று ஆம் அஞ்ஞானம்’ (nāṉā-v-āy kāṇgiṉḏṟa ñāṉam aṉḏṟi iṉḏṟu ām aññāṉam), che significa ‘ignoranza, che non è niente altro che consapevolezza che vede come molti’, dovrebbe esserci chiaro che come siamo realmente non siamo mai consapevoli di qualsiasi cosa diversa da noi stessi soltanto (poiché essere consapevoli di qualsiasi altra cosa comporterebbe essere consapevoli della molteplicità, che è ignoranza).

3. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 6: il mondo è percepito solo dalla nostra mente, così non esiste indipendentemente da questa mente

Non solo nel verso 4 di Uḷḷadu Nāṟpadu ma anche in molti altri versi Bhagavan ha chiaramente indicato che ciò che vede i fenomeni è solo il nostro ego o mente. Per esempio nel verso 6 di Uḷḷadu Nāṟpadu egli dice:
உலகைம் புலன்க ளுருவேறன் றவ்வைம்
புலனைம் பொறிக்குப் புலனா — முலகைமன
மொன்றைம் பொறிவாயா லோர்ந்திடுத லான்மனத்தை
யன்றியுல குண்டோ வறை.

ulahaim pulaṉga ḷuruvēṟaṉ ḏṟavvaim
pulaṉaim poṟikkup pulaṉā — mulahaimaṉa
moṉḏṟaim poṟivāyā lōrndiḍuda lāṉmaṉattai
yaṉḏṟiyula kuṇḍō vaṟai
.

பதச்சேதம்: உலகு ஐம் புலன்கள் உரு; வேறு அன்று. அவ் ஐம் புலன் ஐம் பொறிக்கு புலன் ஆம். உலகை மனம் ஒன்று ஐம் பொறிவாயால் ஓர்ந்திடுதலால், மனத்தை அன்றி உலகு உண்டோ? அறை.

Padacchēdam (separazione delle parole): ulahu aim pulaṉgaḷ uru; vēṟu aṉḏṟu. a-vv-aim pulaṉ aim poṟikku pulaṉ ām. ulahai maṉam oṉḏṟu aim poṟi-vāyāl ōrndiḍudalāl, maṉattai aṉḏṟi ulahu uṇḍō? aṟai.

அன்வயம்: உலகு ஐம் புலன்கள் உரு; வேறு அன்று. அவ் ஐம் புலன் ஐம் பொறிக்கு புலன் ஆம். மனம் ஒன்று உலகை ஐம் பொறிவாயால் ஓர்ந்திடுதலால், மனத்தை அன்றி உலகு உண்டோ? அறை.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): ulahu aim pulaṉgaḷ uru; vēṟu aṉḏṟu. a-vv-aim pulaṉ aim poṟikku pulaṉ ām. maṉam oṉḏṟu ulahai aim poṟi-vāyāl ōrndiḍudalāl, maṉattai aṉḏṟi ulahu uṇḍō? aṟai.

Traduzione: Il mondo è una forma [composta] di cinque [tipi di] informazioni sensoriali, non qualche altra cosa. Questi cinque [tipi di] informazioni sensoriali sono fenomeni sensoriali [relativi] ai cinque sensi. Poiché solo la mente percepisce il mondo per mezzo dei cinque sensi, dimmi, c’è [qualche] mondo oltre a [ad esclusione di, se non per, a parte o senza) la mente?
Poiché il mondo è percepito solo dalla nostra mente, esso non esiste indipendentemente da questa mente, così quando la nostra mente è distrutta dall’infinita chiarezza della pura auto-consapevolezza, l’apparenza illusoria di questo o qualche altro mondo cesserà di esistere. Anche ora quando esso sembra esistere, non esiste realmente, perché sembra esistere solo nella visione di questa mente, e se investighiamo questa mente scopriremo che non c’è una tale cosa, come Bhagavan dice nel verso 17 di Upadēśa Undiyār.

Quando Bhagavan chiede retoricamente, மனம் ஒன்று உலகை ஐம் பொறிவாயால் ஓர்ந்திடுதலால், மனத்தை அன்றி உலகு உண்டோ?’ (a-vv-aim pulaṉ aim poṟikku pulaṉ ām. maṉam oṉḏṟu ulahai aim poṟi-vāyāl ōrndiḍudalāl, maṉattai aṉḏṟi ulahu uṇḍō?), che significa ‘Poiché solo la mente percepisce il mondo per mezzo dei cinque sensi, c’è [qualche] mondo oltre [altro che o senza] la mente?’, egli intende chiaramente in primo luogo che nessun mondo esiste indipendentemente dall’unica mente che lo percepisce, e in secondo luogo che nessun mondo esiste nella chiara visione di noi stessi come siamo realmente.

4. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 26: tutti i fenomeni sembrano esistere soltanto quando sorgiamo come questo ego, così nessun fenomeno esiste indipendentemente da questo ego

Bhagavan intende questo anche più enfaticamente nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu:
அகந்தையுண் டாயி னனைத்துமுண் டாகு
மகந்தையின் றேலின் றனைத்து — மகந்தையே
யாவுமா மாதலால் யாதிதென்று நாடலே
யோவுதல் யாவுமென வோர்.

ahandaiyuṇ ḍāyi ṉaṉaittumuṇ ḍāhu
mahandaiyiṉ ḏṟēliṉ ḏṟaṉaittu — mahandaiyē
yāvumā mādalāl yādideṉḏṟu nādalē
yōvudal yāvumeṉa vōr
.

பதச்சேதம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே ஓவுதல் யாவும் என ஓர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē ōvudal yāvum eṉa ōr.

அன்வயம்: அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், அனைத்தும் இன்று. யாவும் அகந்தையே ஆம். ஆதலால், யாது இது என்று நாடலே யாவும் ஓவுதல் என ஓர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, aṉaittum iṉḏṟu. yāvum ahandai-y-ē ām. ādalāl, yādu idu eṉḏṟu nādal-ē yāvum ōvudal eṉa ōr.

Traduzione: Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non esiste ogni cosa non esiste. [Perciò] l’ego è ogni cosa. Quindi, sappi che solo investigare ciò che è questo [ego] è rinunciare a ogni cosa.
அனைத்தும் (aṉaittum) e யாவும் (yāvum) significano entrambi ‘ogni cosa’ o ‘tutto’, che in questo contesto si riferisce a tutti i fenomeni, ovvero ogni cosa diversa da noi stessi. Poiché tutti i fenomeni sono percepiti solo dal nostro ego, essi non esistono indipendentemente da esso, così essi sembrano esistere solo quando sorgiamo e ci reggiamo come questo ego, ed non esistono affatto (anche come illusorie apparenze) quando non confondiamo noi stessi come questo ego.

Sebbene questo può inizialmente essere difficile da accettare, poiché siamo così abituati a ritenere che il mondo esiste indipendentemente dalla nostra percezione di esso, ciò che Bhagavan dice in questo verso corrisponde realmente alla nostra esperienza, perché ogni volta che sorgiamo e ci reggiamo come questo ego (vale a dire nella veglia e nel sogno) siamo sempre consapevoli di fenomeni, e ogni volta che non sorgiamo come questo ego (come nel sonno) non siamo consapevoli di alcun fenomeno. Poiché non abbiamo una ragione adeguata per supporre che ogni cosa esiste indipendentemente dalla nostra percezione di esso, non abbiamo una ragione adeguata per supporre che alcun fenomeno esiste tranne che quando sorgiamo come questo ego per percepirlo.

In un sogno percepiamo fenomeni, proprio come facciamo ora in questo stato che prendiamo come la veglia, e finché stiamo sognando riteniamo che tutti i fenomeni fisici che percepiamo intorno a noi esistono anche quando non li percepiamo, ma appena ci svegliamo riconosciamo che essi erano solo una nostra proiezione mentale e quindi sembravano esistere solo perché li percepivamo. Nello stesso modo, sebbene ora riteniamo abitualmente che tutti i fenomeni fisici che percepiamo intorno a noi esistono anche quando non li percepiamo, secondo Bhagavan il nostro stato attuale è solo un sogno, così nessuno di questi fenomeni è più reale di qualunque cosa abbiamo percepito in qualche altro sogno, e quindi non esistono indipendente dalla nostra percezione di essi.

Così chi è che percepisce tutti i fenomeni che appaiono in questo o in qualche altro sogno? È solo noi stessi come questo ego, perché solo quando sperimentiamo noi stessi come questo ego ogni fenomeno appare. Quindi solo questo ego è ciò che percepisce tutti i fenomeni, e in sua assenza nessun fenomeno esiste o anche sembra esistere.

Se i fenomeni potessero sembrare esistere nella visione di noi stessi come siamo realmente, questo significherebbe che essi potrebbero apparire anche in assenza del nostro ego, ma questo non è in accordo alla nostra esperienza, perché noi non abbiamo mai percepito alcun fenomeno tranne quando abbiamo confuso noi stessi come questo ego limitato. Questo è il motivo per cui Bhagavan insisteva sempre che il veggente o percettore di tutti i fenomeni non è noi stessi come siamo realmente ma solo noi stessi come questo ego che ora sembriamo essere.

Quindi poiché questo ego è solo un’apparizione illusoria che scompare quando lo guardiamo in modo sufficientemente acuto, nella chiara visione di noi stessi come siamo realmente nessun ego né alcun fenomeno è mai esistito o anche sembrato esistere. Quindi l’esperienza del nostro sé reale è sempre solo ajāta, la verità che niente altro che noi stessi è mai apparso, è nato o è sembrato esistere.

5. In senso assoluto, ajāta è la sola realtà, e quindi non una realtà alternativa o parallela

Consideriamo ora più attentamente alcuni degli argomenti che hai offerto nel commento che ho citato all’inizio di questo articolo.

Dopo aver detto che ‘stiamo entrando in un campo governato dalle semantiche’, procedi a discutere diverse analogie che illustrano ciò che tu consideri essere la relazione tra questo universo di cui ora siamo consapevoli e ‘un universo dove non c’è mai stata alcuna apparenza di fenomeni temporanei, né alcun maya, né alcuna identificazione errata, mai alcun ego… solo satchidananda’, come se queste fossero due realtà alternative e parallele, la prima corrispondente a vivarta (apparenza illusoria) e l’altra ad ajāta (assoluta non-apparenza). Tuttavia, nessuna delle analogie che menzioni illustrano adeguatamente la loro relazione, perché effettivamente non c’è alcuna relazione, poiché dalla prospettiva assoluta di ajāta essa è la sola realtà (poiché essa sola esiste) e vivarta è del tutto irreale (perché non esiste affatto). Solo dalla prospettiva relativa di vivarta vāda essa sembra precursore di ajāta, anche se ajāta è una negazione completa di qualsiasi vivarta.

Cioè, se ajāta è vera, non è una realtà alternativa o parallela ma la sola realtà, e in essa o accanto ad essa non c’è spazio per vivarta vāda o per qualsiasi altra cosa. Questo è qualcosa che sfida tutta la logica e che la nostra mente non può concepire, ma secondo Bhagavan e vari testi antichi è la verità definitiva ed assoluta (pāramārthika satya). È inconcepibile e sfida la logica perché sfida proprio l’esistenza della nostra mente anche come un’apparenza illusoria, così tutto ciò che possiamo fare ora è accettare almeno a titolo di prova che essa è la verità assoluta, e quindi investigare questa nostra mente per vedere se esiste realmente.

Mentre delle analogie possono essere usate per illustrare vivarta vāda, nessuna analogia potrebbe mai illustrare ajāta vāda, poiché secondo ajāta vāda ciò che esiste è solo una consapevolezza infinita, eterna, immutabile e indivisibile, e niente altro è mai sembrato esistere. Quindi se cerchiamo di usare qualche analogia per spiegare ajāta, non le faremo certamente giustizia.

Riguardo ajāta abbiamo una semplice scelta: o accettiamo che in un senso assoluto essa è la sola verità, e che tutti gli altri punti di vista quindi non sono affatto veri, anche se essi possono essere apparentemente veri e beneficio dalla prospettiva di noi stessi come questo ego, come Bhagavan ci ha assicurato; o non la accettiamo, nel qual caso non saremo in grado di comprendere adeguatamente vari aspetti importanti dei suoi insegnamenti, e quindi la nostra comprensione di essi non sarà completamente coerente.

6. Ciò che è non nato (ajāta) è solo pura auto-consapevolezza, e poiché è il tutto infinito, niente altro esiste realmente

La prima analogia che fornisci per illustrare la relazione tra ciò che tu intendi due realtà alternative e parallele, vale a dire vivarta e ajāta, è la realtà di Sherlock Holmes:
Per esempio, Sherlock Holmes è un personaggio immaginario. Come tale, egli “è irreale e non è mai esistito”. Tuttavia la sua mancanza di esistenza è semantica. Dal nostro punto di vista, certamente troviamo una differenza tra il nostro mondo attuale (con almeno due differenti serie di Sherlock Holmes in produzione) e un universo alternativo dove Conan Doyle non ha mai inventato il personaggio Sherlock Holmes.
Questa non è un’analogia particolarmente appropriata per illustrare la relazione tra vivarta vāda e ajāta vāda, ma se vogliamo usarla per questo scopo la dovremmo analizzare e intrepretare come segue:

Nel nostro mondo attuale Sherlock Holmes non esiste e non è reale come un personaggio storico, ma esiste ed è reale come un personaggio immaginario (un’idea), mentre nel mondo immaginario creato da Conan Doyle egli esiste ed è reale come un personaggio storico, così in nessuno di questi due mondi egli è del tutto non-esistente o irreale. Solo in un mondo ipotetico in cui né Conan Doyle né chiunque altro ha mai creato questo personaggio immaginario egli sarebbe del tutto non-esistente e quindi irreale.

Come analizzato da Bhagavan, ogni possibile teoria della creazione appartiene a una delle tre classi, vale a dire sṛṣṭi-dṛṣṭi-vāda (anche conosciuta come krama sṛṣṭi or pariṇāma vāda), dṛṣṭi-sṛṣṭi-vāda (anche conosciuta come yugapat sṛṣṭi or vivarta vāda) e ajāta vāda. La grande maggioranza delle teorie della creazione, sia religiose che scientifiche e filosofiche, sono tutte forme di sṛṣṭi-dṛṣṭi-vāda, che è l’assunto che la creazione(sṛṣṭi) precede ed infine ha come risultato la percezione (dṛṣṭi), e tali teorie sono quindi chiamate krama sṛṣṭi (creazione graduale, progressiva o passo dopo passo) e pariṇāma vāda, l'assunto che il mondo è come è come il risultato di un qualche tipo di pariṇāma, che significa cambiamento, trasformazione, sviluppo, evoluzione o divenire, perché esse ritengono che il mondo come è ora è il risultato di una graduale trasformazione, sviluppo o evoluzione di qualche sostanza originale (come brahman, un’idea o parola di Dio, prakṛti, materia primordiale o energia fisica). Queste teorie sono tutte basate sull’ipotesi che il mondo esiste indipendentemente dalla nostra percezione di esso, che è un’ipotesi non supportata da qualche prova adeguata, mentre secondo dṛṣṭi-sṛṣṭi-vāda la percezione (dṛṣṭi) è ciò che causa la creazione (sṛṣṭi), poiché il mondo sembra esistere solo quando lo percepiamo, e perciò questa visione è anche chiamata yugapat sṛṣṭi (creazione simultanea), poiché percezione e creazione accadono simultaneamente, e vivarta vāda, perché ciò che è creato dalla percezione non è reale ma solo un’apparenza illusoria (vivarta). In contrasto a queste di classi di teorie della creazione, ajāta vāda è l’assunto che nessuna creazione è mai accaduta anche come un’apparenza illusoria, perché ciò che esiste realmente è immutabile ed è quindi sempre come è, e perciò nella sua consapevolezza chiara e immutabile nessun evento come creazione, apparenza o percezione potrebbe mai accadere.

Il mondo immaginario in cui Sherlock Holmes esiste come una persona reale è analogo a sṛṣṭi-dṛṣṭi-vāda, perché sebbene tutti i fenomeni sono solo un’apparenza illusoria e quindi costruiti come una finzione, sṛṣṭi-dṛṣṭi-vāda li considera reali; il nostro mondo attuale in cui Sherlock Holmes esiste solo come un personaggio immaginario è analogo a dṛṣṭi-sṛṣṭi-vāda, perché dṛṣṭi-sṛṣṭi-vāda considera tutti i fenomeni solo un’apparenza illusoria; e il mondo ipotetico in cui né Conan Doyle né alcun altro personaggio immaginario da lui creato è mai esistito anche come idee è analogo ad ajāta vāda, perché in un tale mondo Conan Doyle è non-esistente come il nostro ego, e i personaggi immaginari da lui creati sono quindi non-esistenti come i fenomeni proiettati e percepiti dal nostro ego.

Tuttavia, un tale mondo ipotetico non è un’analogia adeguata per ajāta, perché usarlo come analogia in questo modo implica che ajāta è solo un’altra realtà alternativa, mentre di fatto è la sola realtà, perché niente altro esiste realmente o potrebbe mai esistere. Quindi non come un mondo in cui solo una singola persona e le sue idee non esistono, ma come un vasto spazio in cui niente esiste o potrebbe mai esistere, perché è solo pura auto-consapevolezza – poiché niente altro che pura auto-consapevolezza è non nata (ajāta) – e nella pura auto-consapevolezza niente altro che sé stessa esiste.

La pura auto-consapevolezza, che sola è ajāta, è uno spazio infinito, eterno, immutabile e indivisibile, oltre al quale niente può esistere, perché niente potrebbe esistere al di fuori o indipendentemente da esso, poiché è infinito, e non c’è assolutamente spazio per l’esistenza di qualsiasi altra cosa dentro di esso, poiché è assoluta pienezza (pūrṇatva). Poiché è l’unico tutto infinito (paripūrṇa vastu), ciò che è pieno solo di sé stesso, che è essere infinito (sat), infinita consapevolezza (cit), infinita felicità (ānanda) ed infinito amore (priya). Quindi non c’è niente che potrebbe mai essere paragonato ad esso, e quindi nessuna analogia potrebbe mai fargli giustizia.

7. Ajāta è l’esperienza che non c’è mai stato alcun sognatore e quindi nessun sogno è mai avvenuto

La seconda analogia che fornisci per illustrare la tua comprensione di vivarta e ajāta è il sogno:
In modo simile, andiamo a dormire e abbiamo un sogno. Quando ci svegliamo, realizziamo che gli eventi nel sogno erano irreali. “Niente è mai successo”. Ma non possiamo dire che la nostra notte è stata uguale a una notte in cui non abbiamo sognato.
Quando ci svegliamo da un sogno, non sarebbe corretto dire ‘niente è mai avvenuto’, perché sebbene niente può sembrare essere avvenuto nel nostro mondo di veglia, nella nostra mente il sogno è avvenuto. Quindi come tu dici c’è una differenza tra un sonno in cui abbiamo sognato e un altro sonno in cui non abbiamo sognato. Tuttavia questo non è ciò che abbiamo bisogno di dedurre dalla nostra esperienza del sogno, e non illustra la natura dell’esperienza di ajāta.

Ogni cosa che sperimentiamo in un sogno è creata o proiettata solo dalla nostra mente, e secondo Bhagavan il nostro attuale stato è solo un altro sogno, come anche ogni altro stato in cui siamo consapevoli di fenomeni, così qualunque fenomeno possiamo sperimentare in qualsiasi stato è solo una nostra creazione mentale. Quindi secondo vivarta vāda tutti i fenomeni sono solo apparenze illusorie, come tutti i fenomeni che sperimentiamo in un sogno.

Ma chi percepisce tutti questi fenomeni? È solo noi stessi come questo ego, così l’apparenza illusoria di ogni fenomeno può avvenire solo se c’è realmente un ego per percepirlo. Tuttavia, secondo vivarta vāda non solo tutti i fenomeni sono solo un’apparenza illusoria, ma così anche questo ego, e questo ego sembra esistere solo quando è consapevole di fenomeni di un tipo o di un altro. Quindi se noi (questo ego) investighiamo noi stessi focalizzando la nostra intera attenzione soltanto su noi stessi, cessando quindi di essere consapevoli di qualsiasi fenomeno, questo ego si dissolverà e scomparirà, e ciò che rimarrà a risplendere chiaramente sarà solo la pura auto-consapevolezza intransitiva, che è ciò che siamo realmente.

La ragione per cui il nostro ego scompare quando lo investighiamo in questo modo è che esso non esiste realmente anche ora, ma solamente sembra esistere quando stiamo guardando da qualche altra parte invece che soltanto noi stessi. Quindi quando questo ego è annientato dall’auto-investigazione, la nostra esperienza non sarà che una volta c’era un ego che ora ha cessato di esistere, ma che non c’è mai stato alcun ego, e che di conseguenza non c’è mai stata alcuna apparenza illusoria di qualsiasi cosa. Questa è l’esperienza di ajāta.

Quindi ajāta non è come una notte di sonno a caso in cui ci è successo di non sognare, al contrario di altre notti in cui ci era successo di sognare, ma è l’esperienza che non c’è mai stato alcun sognatore e quindi nessun sogno è mai avvenuto o anche potrebbe avvenire.

8. Ajāta è lo stato in cui non c’è mai stato alcun ego per percepire qualsiasi illusione

La terza analogia che fornisci per illustrare la tua comprensione di vivarta e ajāta è l’illusione di confondere una corda come un serpente:
E, se andiamo nel garage al buio e confondiamo la corda arrotolata con un serpente, possiamo certamente dire “il serpente è irreale e non è mai esistito”. Tuttavia, c’è una differenza tra andare nel garage e riconoscere immediatamente la corda e andare nel garage e confondersi vedendo il serpente.
Se riconosciamo una corda come una corda, nessuna illusione è avvenuta, ma se la confondiamo come un serpente, l’apparenza o esistenza apparente del serpente è un’illusione. Ovviamente queste due condizioni sono differenti, come tu dici, ma comprendere questa differenza non ci aiuta a comprendere la verità di ajāta.

In un’occasione possiamo riconoscere una corda come una corda, ma finché rimaniamo come percettore di corde, siamo soggetti in ogni momento a confonderne una come un serpente. Tuttavia, se non fossimo mai esistiti come il percettore di qualcosa, non saremmo soggetti a fare un tale errore, né saremmo soggetti a percepire qualsiasi altra illusione di qualunque tipo. Lo stato di non essere mai un percettore illustra la natura di ajāta più precisamente che la condizione di essere un percettore che è abbastanza fortunato da riconoscere una corda come una corda invece di confonderla come un serpente, perché ajāta è l’esperienza di pura auto-consapevolezza, in cui non è e non ci potrebbe essere alcun ego a percepire qualsiasi cosa.

9. Uḷḷadu Nāṟpadu verso 35: la realizzazione spirituale non è conseguire qualche potere sovrannaturale ma solo conoscere ed essere ciò che è reale

Dopo aver detto che c’è una differenza tra il riconoscere una corda come una corda e confonderla come un serpente, hai scritto:
Se non ci fosse differenza, allora Ramana non avrebbe avvisato, in Ulladu Narpadu 35:

“Essendo cessata la mente sprofondata, conoscere ed essere la Realtà, che è (sempre) ottenuta, è il (vero) ottenimento (siddhi). […] (Quindi) conosci e sii (come) tu (la Realtà) sei”.
Sebbene l’estratto del verso 35 di Uḷḷadu Nāṟpadu che hai citato qui è tratto dalla traduzione della versione kaliveṇbā di Sadhu Om e me, che è stampata a pagina 74 di Sri Ramanopadesa Noonmalai, non è stata stampata lì esattamente come l’avevamo tradotta, così le parole di apertura non dovrebbero essere “Essendo cessata la mente sprofondata, conoscere ed essere la Realtà’ ma ‘Sprofondando la mente, conoscere ed essere la realtà’, e la frase finale non dovrebbe essere ‘(Quindi) conosci e sii (come) tu (la Realtà) sei’ ma ‘(Quindi) conosci e sii tu [la realtà].

Senza le parole supplementari che Bhagavan ha aggiunto nella versione kaliveṇbā per unire tutti i versi insieme come un singolo verso per facilitare la memorizzazione per la recitazione, questo verso come egli lo ha originariamente composto era:
சித்தமா யுள்பொருளைத் தேர்ந்திருத்தல் சித்திபிற
சித்தியெலாஞ் சொப்பனமார் சித்திகளே — நித்திரைவிட்
டோர்ந்தா லவைமெய்யோ வுண்மைநிலை நின்றுபொய்ம்மை
தீர்ந்தார் தியங்குவரோ தேர்.

siddhamā yuḷporuḷait tērndiruttal sidddipiṟa
siddhiyelāñ soppaṉamār siddhikaḷē — niddiraiviṭ
ṭōrndā lavaimeyyō vuṇmainilai niṉḏṟupoymmai
tīrndār tiyaṅguvarō tēr
.

பதச்சேதம்: சித்தமாய் உள் பொருளை தேர்ந்து இருத்தல் சித்தி. பிற சித்தி எலாம் சொப்பனம் ஆர் சித்திகளே; நித்திரை விட்டு ஓர்ந்தால், அவை மெய்யோ? உண்மை நிலை நின்று பொய்ம்மை தீர்ந்தார் தியங்குவரோ? தேர்.

Padacchēdam (separazione delle parole): siddhamāy uḷ poruḷai tērndu iruttal siddhi. piṟa siddhi elām soppaṉam ār siddhigaḷ-ē; niddirai viṭṭu ōrndāl, avai meyyō? uṇmai nilai niṉḏṟu poymmai tīrndār tiyaṅguvarō? tēr.

அன்வயம்: சித்தமாய் உள் பொருளை தேர்ந்து இருத்தல் சித்தி. பிற சித்தி எலாம் சொப்பனம் ஆர் சித்திகளே; நித்திரை விட்டு ஓர்ந்தால், அவை மெய்யோ? உண்மை நிலை நின்று பொய்ம்மை தீர்ந்தார் தியங்குவரோ? தேர்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): siddhamāy uḷ poruḷai tērndu iruttal siddhi. piṟa siddhi elām soppaṉam ār siddhigaḷ-ē; niddirai viṭṭu ōrndāl, avai meyyō? uṇmai nilai niṉḏṟu poymmai tīrndār tiyaṅguvarō? tēr.

Traduzione: Conoscere ed essere poruḷ [l’unica sostanza reale, che è sé stessi], che esiste come siddham [ciò che è sempre realizzato], è [reale] siddhi [realizzazione]. Tutte le altre siddhi sono solo siddhi sperimentate nel sogno; se uno si sveglia lasciando il sogno, sono esse reali? Coloro che, mantenendosi fermamente nello stato reale, hanno lasciato l’irrealtà [o illusione] saranno illusi [da queste siddhi irreali]? Sappi.
Nella versione kaliveṇbā Bhagavan ha aggiunto due parole prima dell’inizio di questo verso e due parole e mezza sono la fine. Le due parole che ha aggiunto all’inizio sono ‘ஒண்டி உளம்’ (oṇḍi ulam), che significa ‘la mente unendosi [fondendosi, prendendo rifugio o celando sé stessa in]’ (e che quindi implica ‘sprofondando la mente’), e alla fine ha cambiato la parola finale தேர் (tēr), che è una forma imperativa di un verbo che significa ‘sapere’, in ‘தேர்ந்து இரு நீ’ (tērndu iru nī), che significa letteralmente ‘conoscendo sii tu’ e che in questo contesto implica ‘tu conosci e sii [poruḷ, la sostanza reale]’ perché ‘தேர்ந்து இரு’ (tērndu iru) si riferisce alla frase nella prima riga ‘பொருளை தேர்ந்து இருத்தல்’ (poruḷai tērndu iruttal), ‘conoscere ed essere poruḷ’. Quindi il significato della versione kaliveṇbā di questo verso è:
Sprofondando la mente, conoscere ed essere poruḷ [l’unica sostanza reale, che è sé stessi], che esiste come siddham [ciò che è sempre realizzato], è [reale] siddhi [realizzazione]. Tutte le altre siddhi sono solo siddhi sperimentate nel sogno; se uno si sveglia lasciando il sogno, sono esse reali? Coloro che, mantenendosi fermamente nello stato reale, hanno lasciato l’irrealtà [o illusione], saranno illusi [da queste siddhi irreali]? Tu conosci e sii [poruḷ, la sostanza reale].
La frase finale di questa versione kaliveṇbā, ‘தேர்ந்து இரு நீ’ (tērndu iru nī), தேர்ந்து (tērndu) è un participio che significa ‘conoscere’ e இரு (iru) è un imperativo che significa ‘sii’, così தேர்ந்து இரு’ (tērndu iru) significa ‘conoscendo sii’ o ‘conosci e sii’. நீ () significa ‘tu’ ed è il soggetto di questi due verbi, così ‘தேர்ந்து இரு நீ’ (tērndu iru nī) significa ‘tu conosci e sii’, ma in Tamil come in Inglese non è necessario includere ‘tu’ in una affermazione imperativa, perché è implicito, così la sua inclusione qui aggiunge enfasi all’imperativo [proprio come in Inglese ‘tu vieni qui’ sarebbe un ordine più enfatico di ‘vieni qui’).

La parola Sanscrita siddhi significa realizzazione, ma è spesso usata per riferirsi a poteri sovrannaturali, che sono comunemente ritenuti delle realizzazioni spirituali, così in questo verso Bhagavan ripudia questa convinzione indicando che i poteri sovrannaturali o qualsiasi altra cosa che possiamo realizzare in questo stato di veglia non sono più reali dei poteri o realizzazioni in un sogno, intendendo quindi che essi sono solo apparenze illusorie. Quindi la sola reale realizzazione spirituale è conoscere ed essere ciò che è reale, che è il nostro sé reale e quindi sempre realizzato.

Se conosciamo e siamo fermamente stabiliti come l’unica sostanza reale (poruḷ or vastu), che è noi stessi come siamo realmente, ciò che allora sperimenteremo sarà solo ajāta, che è ciò a cui Bhagavan si riferisce qui come ‘உண்மை நிலை’ (uṇmai nilai), ‘lo stato reale’, così nessun potere sovrannaturale o qualsiasi altra apparenza illusoria sembrerà esistere, e perciò non saremo illusi da queste cose. Poiché ajāta è il nostro stato reale, siamo sempre fermamente stabiliti in esso, e perciò è eternamente realizzato, ma poiché ora sembriamo essere sorti come questo ego e di conseguenza sembriamo consapevoli dell’apparenza illusoria di fenomeni, a noi come questo ego, ora ci sembra che sia questo ego che altri fenomeni esistono almeno come apparenze illusorie.

Quindi, come tutti gli altri versi di Uḷḷadu Nāṟpadu, Bhagavan ha scritto questo verso dalla prospettiva di vivarta vāda, perché è solo in questo stato irreale di vivarta che sembriamo essere questo ego e che di conseguenza i sogni, i poteri sovrannaturali ed altri fenomeni sembrano esistere. Così finché sembriamo essere questo ego, abbiamo bisogno che ci venga detto di conoscere ed essere l’unica sostanza reale che siamo realmente, vale a dire pura auto-consapevolezza.

Quindi il tuo argomento che se non ci fosse differenza tra il riconoscere una corda come una corda e confonderla come un serpente, Bhagavan non ci avrebbe consigliato di conoscere ed essere ciò che siamo realmente è corretto, ma solo dalla prospettiva di vivarta e non dalla prospettiva di ajāta, perché dalla prospettiva di ajāta non esiste alcuna differenza. Tutte le differenze sono apparenze illusorie che sembrano esistere solo finché noi sembriamo essere questo ego, e quando sembriamo essere questo ego abbiamo bisogno di fare lo sforzo di conoscere ed essere ciò che siamo realmente.

10. Finché sembriamo essere questo ego, abbiamo bisogno di essere istruiti e di fare sforzo per investigare cosa siamo realmente

Poi hai scritto:
Se non ci fosse differenza tra vedere il serpente e vedere la corda, allora egli invece avrebbe detto:

“La mente è irreale e non esiste, così non praticare l’auto-attenzione, vai a casa, guarda il cricket e finiscila di scocciarmi.”
Dalla prospettiva di Bhagavan nessuna differenza esiste, ma dalla nostra prospettiva esse esistono e causano infiniti problemi, così poiché Bhagavan è il nostro sé reale e quindi ci ama come sé stesso, il suo amore infinito si è manifestato in forma umana in questo nostro sogno per consigliarci di conoscere ed essere ciò che siamo realmente. Sebbene l’ego e la mente che ora sembriamo essere non esistono realmente e sono quindi interamente irreali, essi ci sembrano esistere ed essere ciò che siamo, così noi (come questo ego) siamo ora in un autentico caos, e non possiamo uscire da questo caos guardando il cricket o qualsiasi altra cosa, ma solo guardando in modo vigilante noi stessi, questo ego, per vedere cosa siamo realmente.

In ajāta nessun insegnamento e nessuna pratica spirituale sono necessari o anche possibili, perché non c’è ignoranza o schiavitù da cui qualcuno ha bisogno di sfuggire, e non c’è nessuno per insegnare qualsiasi cosa e nessuno per essere istruito o per fare qualche pratica spirituale. Questa è la verità assoluta, ma poiché ora sembriamo essere questo ego e di conseguenza sembriamo essere consapevoli di numerosi fenomeni, in primo luogo abbiamo bisogno di essere istruiti su come uscire da questo sogno illusorio, e in secondo luogo di fare lo sforzo di uscire da esso investigando ciò che siamo realmente, come Bhagavan ci ha consigliato di fare.

11. Abbiamo bisogno di distinguere ciò che esiste realmente da ciò che sembra esistere

Un altro argomento che fornisci è:
Il modello Advaita Vedanta di “reale” e “esiste” è molto significativo – esso ci dice ciò che è importante. Ma se lo usiamo in tutti i contesti, finiamo nel “Neo-Advaita”, ovvero “Niente è mai successo, l’ego non è mai esistito, così vai a casa e guarda la T.V., sono 50 dollari, grazie”.
Nel contesto degli insegnamenti di Bhagavan ‘reale’ significa ciò che esiste realmente e ‘irreale’ significa ciò che non esiste realmente anche se sembra esistere, e ci ha insegnato che le caratteristiche che definiscono ciò che è reale sono che è eterno, immutabile ed auto-risplendente. La sola cosa che si adatta a questa definizione è noi stessi come siamo realmente, perché ogni altra cosa, incluso il nostro ego, compare e scompare, ed è quindi non eterno; perché anche mentre appaiono, tutte le altre cose cambiano, così niente altro che la pura auto-consapevolezza che siamo realmente è immutabile; e perché, dato che tutte le altre cose sembrano esistere solo perché il nostro ego è consapevole di esse, nessuna di esse è auto-risplendente. La sola altra cosa che sembra essere auto-risplendente è il nostro ego, ma esso sembra essere auto-risplendente solo perché sembra essere noi stessi. Nel sonno, quando non sembriamo essere questo ego, esso non risplende affatto, ma noi continuiamo a risplendere come ‘io sono’, la fondamentale auto-consapevolezza che siamo realmente, così noi soli siamo auto-risplendenti, e quando il nostro ego risplende, lo fa solo per la luce della nostra auto-consapevolezza, di cui esso si appropria indebitamente come se fosse sua.

Poiché niente altro che la nostra auto-consapevolezza fondamentale è reale, tutte le altre cose non esistono realmente ma solamente sembrano esistere. Quindi ciò che tu chiami ‘Il modello Advaita Vedanta di “reale” e “esiste”’ traccia una chiara distinzione tra ciò che esiste realmente (ed è di conseguenza reale) e ciò che solamente sembra esistere (ed è di conseguenza irreale). Quindi, contrariamente a ciò che tu dici, abbiamo bisogno di applicare questo modello in tutti i contesti per distinguere l’esistenza reale dall’esistenza apparente. Questo è ciò che i così detti ‘neo-advaitin’ non riescono a fare, così essi confondono frequentemente ciò che sembra esistere con ciò che esiste realmente, e perciò cercano di applicare i modelli di ajāta nel contesto di vivarta.

Per esempio, se essi dicono come tu hai citato, ‘Niente è mai successo, l’ego non è mai esistito, così vai a casa e guarda la T.V., sono 50 dollari, grazie’, mancherebbero di comprendere che sebbene l’ego non esiste realmente e quindi niente è mai realmente successo, esso sembra esistere e di conseguenza le cose sembrano succedere, e che andare a casa guardare la TV, pagare 50 dollari o qualsiasi altra azione che sembriamo fare sembra essere possibile solo perché noi sembriamo essere questo ego. Così finché sembriamo essere questo ego, sembriamo sperimentare tutti i generi di problemi, e di conseguenza sembriamo soffrire. Nessuna di queste cose è reale, ma esse continueranno a sembrare reali se non investigheremo noi stessi e quindi sperimenteremo noi stessi come siamo realmente.

Molti neo-advaitin presuppongo che poiché è detto che l’ego non esiste realmente e che niente è mai realmente successo, nessuna pratica spirituale è necessaria, così possiamo continuare a vivere la nostra vita come ci piace. Questa è ovviamente una conclusione insensata, perché sebbene questo ego non esiste realmente, esso sembra esistere e di conseguenza noi sembriamo essere non consapevoli di noi stessi come l’eterna, infinita ed immutabile felicità che siamo realmente. Quindi se prendiamo seriamente la nostra condizione attuale, non saremo soddisfatti con queste convinzioni immature, e comprenderemo che abbiamo bisogno di investigare noi stessi per essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente.

Ciò che è realmente vero è solo ajāta, ma finché siamo consapevoli di fenomeni, sembriamo essere nel reame di vivarta, e secondo il vivarta vāda la causa radice dell’apparenza illusoria dei fenomeni è l’apparenza illusoria di noi stessi come questo ego. Quindi per sperimentare ajāta, abbiamo bisogno di investigare noi stessi e quindi di sperimentare noi stessi come la realtà non nata ed infinita che siamo realmente.

12. Il velo dell’auto-ignoranza sembra esistere solo nella visione di noi stessi come questo ego e non nella visione di noi stessi come siamo realmente

Nei pochi paragrafi finali del tuo commento discuti il concetto di ‘velatura’ e citi la frase finale del quarto capitolo della prima parte de Il Sentiero di Sri Ramana:
La sola causa di tutte le miserie è l’errore di velare noi stessi immaginando queste guaine essere noi stessi, anche se siamo sempre questa esistenza-consapevolezza-beatitudine (sat-chit-ananda).
Cos’è che immagina le cinque guaine (il corpo fisico, la vita, la mente, l’intelletto e la beata ‘oscurità’ del sonno) come noi stessi? È sat-cit-ānanda ad immaginare questo? No, ovviamente no. Ciò che immagina questo è solo noi stessi come questo ego, perché queste cinque guaine e tutti gli altri fenomeni sono proiettati e percepiti solo da questo ego che ora sembriamo essere e non da sat-cit-ānanda che siamo realmente.

Poiché questo ego è ciò che immagina sé stesso come queste cinque guaine, esso è anche ciò che ha velato sé stesso, perché in questo contesto ‘velare’ significa auto-ignoranza, che è l’errore di non essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente, e ciò che non è consapevole di sé stesso come è realmente è solo noi stessi come questo ego e non noi stessi come siamo realmente, perché come siamo realmente siamo immutabili e quindi sempre chiaramente consapevoli di noi stessi come siamo realmente. Cioè, l’auto-consapevolezza assolutamente chiara, senza macchia ed immutabile è la nostra vera natura, così come tale non possiamo non essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente, e quindi non possiamo mai velare o anche sembrare velare noi stessi.

Tuttavia tu presupponi che ‘il Sé’ (noi stessi come siamo realmente) è ciò che vela sé stesso, e nel tuo paragrafo finale discuti: ‘Prima della “velatura” non c’era un ego, così Sadhu Om può solo riferirsi al Sé come a colui che vela. L’errore in questo ragionamento è che la velatura e l’ego non sono due cose separate ma la stessa cosa, così la velatura non precede l’apparenza di noi stessi come questo ego. Sorgendo come questo ego noi (questo ego) veliamo la nostra consapevolezza di noi stessi come siamo realmente e simultaneamente proiettiamo e confondiamo altre cose (aggiunte come queste cinque guaine) come noi stessi.

Tutti questi eventi – il nostro sorgere come questo ego, il nostro velare noi stessi, il nostro proiettare queste cinque guaine ed altri fenomeni, il nostro confondere queste cinque guaine come noi stessi – accadono simultaneamente, e questo è il motivo per cui vivarta vāda o dṛṣṭi-sṛṣṭi-vāda è anche chiamato yugapat sṛṣṭi, che significa ‘creazione simultanea’. Questo è ciò che Bhagavan intende nel verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu quando dice: ‘அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம்’ (ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandai-y-ē yāvum ām), ‘Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste. [Quindi] l’ego è ogni cosa’.

Prima del sorgere del nostro ego non c’è una cosa come il velare, né qualsiasi altra cosa diversa da noi stessi, così tutte queste cose sono solo un’espansione del nostro ego, che è il motivo per cui Bhagavan dice, ‘அகந்தையே யாவும் ஆம்’ (ahandai-y-ē yāvum ām), che significa ‘L’ego è ogni cosa’. Velatura ed ego sono sinonimi, perché l’ego solo è ciò che vela la nostra vera natura, ed è solo nella visione di questo ego che la nostra vera natura è velata.

Velatura significa auto-ignoranza, che è la natura di questo ego, perché ciò che è auto-ignorante è solo questo ego, e senza auto-ignoranza nessun ego sembrerebbe esistere. Quindi velatura o auto-ignoranza non è niente altro che questo ego, e questo ego non è niente altro che velatura o auto-ignoranza.

Tu anche discuti, ‘Poiché non c’è niente oltre al Sé, non c’è niente che può forzare il Sé a fare qualcosa. Il Sé è solo, così esso decide di “velare” sé stesso’, ma poiché non c’è niente altro che noi stessi come siamo realmente, non c’è velatura né alcuna azione di qualsiasi genere, così il nostro sé reale non fa mai niente. È immutabile e quindi immobile (acala), così ogni cambiamento, movimento, azione o evento che sembra avvenire è solo un’apparenza illusoria (vivarta) che sembra avvenire solo nella visione auto-ignorante di noi stessi come questo ego e non nella visione assolutamente chiara e non illusa di noi stessi come siamo realmente.

Il tuo argomento che ‘il Sé, deve essere ‘quello che vela’ perché non c’è niente altro che potrebbe forzarlo a fare qualsiasi cosa, è basato sul tuo presupposto che in primo luogo ‘il Sé’ fa realmente qualcosa e in secondo luogo che la velatura avviene realmente, e niente di tutto questo è il caso. Come siamo realmente, siamo immutabili, così non abbiamo mai fatto alcuna cosa, e la velatura sembra essere avvenuta solo nella visione di noi stessi come questo ego. Se investighiamo noi stessi per vedere se siamo realmente questo ego velato di ignoranza, scopriremo che non c’è una tale cosa, e che siamo sempre stati chiaramente consapevoli di noi stessi come siamo realmente e di niente altro.

Nell’esperienza e dalla prospettiva di noi stessi come siamo realmente, solo ajāta è vero, così nessun ego, né velatura né qualsiasi altra cosa è mai esistita o accaduta anche come un’apparenza illusoria. Questa sola è la verità assoluta (pāramārthika satya). Tuttavia, nell’esperienza e dalla prospettiva di noi stessi come questo ego che ora sembriamo essere, tutta questa apparenza illusoria (vivarta) sembra esistere, così se noi (questo ego) non abbiamo investigato noi stessi abbastanza acutamente da riconoscere ciò che siamo realmente, abbiamo bisogno di considerare vivarta vāda come vero, perché è il solo punto di vista che ci permetterà di sfuggire da questa condizione illusoria e quindi di sperimentare ajāta come la sola verità.

Cioè, se consideriamo vero vivarta vāda, non considereremo reale qualsiasi cosa diversa dalla pura auto-consapevolezza, e comprenderemo che altre cose sembrano essere reali solo a causa della nostra auto-ignoranza, così investigheremo noi stessi per vedere ciò che siamo realmente. Se comprendiamo correttamente vivarta vāda, comprenderemo che questo ego auto-ignorante non esiste realmente, e perciò niente altro esiste realmente oltre alla nostra auto-consapevolezza fondamentale, così se investighiamo questo ego e quindi vediamo ciò che siamo realmente, questo ego non sembrerà più esistere (poiché sembrava esistere solo nella propria visione) e neppure sembrerà essere esistito nel passato o in qualsiasi momento (poiché il tempo sembra esistere solo nella sua visione), e quindi ciò che allora sperimenteremo sarà solo ajāta, la verità assoluta che nessuna apparenza illusoria (vivarta) mai sembra esistere.

Quindi contrariamente a ciò che tu sembri presupporre, la differenza tra vivarta vāda e ajāta vāda non è solo semantica ma sostanziale, ma questa differenza sostanziale sembra esistere solo dalla prospettiva di noi stessi come questo ego, che è la prima apparenza illusoria (vivarta) e la radice e la base di tutte le altre apparenze illusorie, perché dalla prospettiva di ajāta (che è la prospettiva eterna ed immutabile del nostro sé reale) non c’è assolutamente vivarta, né c’è alcun ego per essere consapevole di alcun vivarta. Tuttavia, ajāta non può mai essere la prospettiva di noi stessi come questo ego, perché quando siamo consapevoli di noi stessi come questo ego siamo anche consapevoli di fenomeni, e sia questo ego sia i fenomeni sono solo un’apparenza illusoria, così come questo ego dobbiamo adottare la prospettiva di vivarta vāda, ma con la comprensione che ciò che è realmente vero è solo ajāta.

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