Om Namo Bhagavate Sri Arunachalaramanaya

sabato 26 novembre 2016

Perché Bhagavan qualche volta dice che l’ātma-jñāni è consapevole del corpo e del mondo?

Michael James

23 Novembre 2016
Why does Bhagavan sometimes say that the ātma-jñāni is aware of the body and world?

Nei commenti a diversi dei miei articoli recenti c’è stata una discussione tutt’ora in corso riguardo la questione se l’ātma-jñāni è consapevole del mondo o no, perché molti amici sono convinti dagli insegnamenti di Bhagavan che tutti i fenomeni (seconde e terze persone) sembrano esistere solo nella visione auto-ignorante dell’ego (la prima persona), e che quindi quando l’ego è dissolto per sempre nella chiara luce di ātma-jñāna (pura auto-consapevolezza) nessun fenomeno sembrerà esistere, mentre altri amici sembrano credere che anche se l’ātma-jñāni non è nient’altro che lo stesso brahman, è in qualche modo ancora attivo attraverso un corpo e una mente ed è quindi consapevole di quel corpo e del mondo circostante. Il secondo gruppo di amici spesso cita brani tratti da Talks with Sri Ramana Maharshi e altre registrazioni dei suoi insegnamenti orali che sembrano supportare il loro punto di vista, ed hanno anche trovato versi in Guru Vācaka Kōvai e brani negli scritti di Sadhu Om che ugualmente lo supportano.

Durante il corso di questa discussione, un amico di nome Bob ha scritto un commento ad uno dei miei articoli recenti, La differenza tra vivarta vāda e ajāta vāda non è solo semantica ma sostanziale, in cui egli cita un brano da Il Sentiero di Sri Ramana, a cui altri amici si sono riferiti diverse volte e ha osservato ‘Sperando che Michael possa spargere per noi una certa luce sul profondo significato di questo brano’, perché egli ha ammesso che esso sembra supportare la convinzione che ‘il jnani ancora sperimenta il mondo/molteplicità ma sperimenta ogni cosa come sé stesso’, anche se la sua convinzione è che ‘il jnani/me stesso come io sono realmente non sperimenta il mondo/corpo o dualità di qualsiasi genere’, e per sostenere questo ha citato una traduzione di Sadhu Om e me della versione kaliveṇbā del verso 26 di Uḷḷadu Nāṟpadu e una nota che riguarda questo verso tratta dalle pagine 58 e 59 di Sri Ramanopadesa Noonmalai. Quindi ciò che segue è la mia risposta a questo commento.
  1. L’ātma-jñāni non è una persona ma l’unico spazio infinito di pura auto-consapevolezza, oltre al quale niente esiste
  2. Aruṇācalaramaṇa è paramātman, che risplende beatamente come consapevolezza nel cuore di ciascuno di noi
  3. Quando siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, non possiamo essere consapevoli di qualsiasi altra cosa
  4. Ciò che percepiamo come questo mondo è ciò che l’ātma-jñāni percepisce come sé stesso, che è solo pura auto-consapevolezza
  5. Uḷḷadu Nāṟpadu Anubandham verso 33: sebbene nella visione auto-ignorante del nostro ego il jñāni sembra una persona che sperimenta un certo prārabdha, non è realmente una persona e quindi non sperimenta alcun prārabdha


1. L’ātma-jñāni non è una persona ma l’unico spazio infinito di pura auto-consapevolezza, oltre al quale niente esiste

Bob, riguardo il brano che citi tratto dalla Parte Uno di Il Sentiero di Sri Ramana (edizione 2005, pag.212), vale a dire ‘Rimanere con il corpo e la mente completamente inerti non è il solo segno di samadhi. Sebbene dopo la realizzazione del Sé alcuni Jnani trascorrono tutta la loro vita completamente dimentichi del corpo e del mondo, non tutti i jnani rimangono necessariamente in questo modo. Il ritorno della consapevolezza del corpo (e conseguentemente della consapevolezza del mondo) dopo il raggiungimento della realizzazione del Sé è in accordo al prarabdha di quel corpo; nel caso di alcuni essa può non ritornare, mentre nel caso di altri può ritornare dopo un secondo o dopo alcune ore o giorni. Ma anche in questi casi in cui essa ritorna, non sarà sperimentata come una conoscenza di seconde o terze persone! Vale a dire, il corpo e il mondo non sono sperimentati dal jnani come secondo e terze persone – oggetti diversi da sé stesso – ma come il proprio Sé illimitato e indiviso’, per comprendere perché Sadhu Om ha scritto questo abbiamo bisogno di considerare il contesto in cui lo ha scritto.

Nei due paragrafi precedenti egli ha scritto, ‘[…] Se uno volta la propria attenzione di 180 gradi completi verso il Sé, è sicuro di essere preso da questo artiglio della Grazia, che allora lo prenderà come proprio, e lo proteggerà per sempre dal voltarsi nuovamente verso oggetti di seconda e terza persona. […]’, e poi: ‘Alcune persone dubitano, “Se è così, allora la mente rimarrà per sempre annegata nel samadhi? Non sarà in grado di uscire fuori di nuovo e conoscere tutti gli oggetti di seconda e terza persona di questo mondo? Non è un fatto che anche Bhagavan Sri Ramana ha trascorso circa cinquantaquattro anni nello stato di realizzazione del Sé e che la maggior parte di quel tempo è stato visto attendere a seconde e terze persone?” Si, è vero che sebbene Sri Bhagavan è rimasto sempre nello stato di realizzazione del Sé, nella visione di altri egli è stato visto conoscere il mondo. Come può questo essere considerato?

Da questo contesto è chiaro che egli stava rispondendo a coloro che credono che l’ātma-jñāni è realmente la persona che sembra essere nella visione auto-ignorante del nostro ego, così ha risposto come se questa convinzione errata fosse vera. Chiunque avesse compreso correttamente gli insegnamenti di Bhagavan non porrebbe tali domande sullo stato del jñāni, perché comprenderebbe che sebbene nella nostra visione il jñāni sembra essere una persona (un’entità individuale costituita di un corpo e una mente), ciò che è realmente è solo brahman, l’unico spazio infinito di pura auto-consapevolezza, oltre al quale niente esiste, e che è quindi completamente privo anche della minima consapevolezza di qualsiasi altra cosa.

2. Aruṇācalaramaṇa è paramātman, che risplende beatamente come consapevolezza nel cuore di ciascuno di noi

Come Bhagavan diceva spesso, ‘ஞானமே ஞானி’ (ñāṉamē ñāṉi), che significa ‘il ‘jñāni è solo jñāna’ e in questo contesto jñāna significa ātma-jñāna o pura auto-consapevolezza. Questo è il motivo per cui egli anche diceva spesso, ‘io non sono questo corpo’ e ‘non prendere questo corpo come Bhagavan. Bhagavan è ciò che risplende in te come io’, e il motivo per cui ha scritto in risposta a qualcuno che ha chiesto chi è Ramana:
அரியாதியி தரசீவர தகவாரிச குகையில்
லறிவாய்ரமி பரமாத்தும னருணாசல ரமணன்
பரிவாலுள முருகாநல பரனார்ந்திடு குகையார்ந்
தறிவாம்விழி திறவாநிச மறிவாயது வெளியாம்.

ariyādiyi tarajīvara dahavārija guhaiyil
laṟivāyrami paramāttuma ṉaruṇācala ramaṇaṉ
parivāluḷa murugānala paraṉārndiḍu guhaiyārn
daṟivāmviṙi tiṟavānija maṟivāyadu veḷiyām
.

பதச்சேதம்: அரி ஆதி இதர சீவரது அக வாரிச குகையில் அறிவாய் ரமி பரமாத்துமன் அருணாசலரமணன். பரிவால் உளம் உருகா நல பரன் ஆர்ந்திடு குகை ஆர்ந்து, அறிவு ஆம் விழி திறவா நிசம் அறிவாய்; அது வெளி ஆம்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ari ādi itara jīvaradu aha-vārija guhaiyil aṟivāy rami paramāttumaṉ aruṇācalaramaṇaṉ. parivāl uḷam urugā nala paraṉ ārndiḍu guhai ārndu, aṟivu ām viṙi tiṟavā nijam aṟivāy; adu veḷi ām.

அன்வயம்: அருணாசலரமணன் அரி ஆதி இதர சீவரது அக வாரிச குகையில் அறிவாய் ரமி பரமாத்துமன். பரிவால் உளம் உருகா நல பரன் ஆர்ந்திடு குகை ஆர்ந்து, அறிவு ஆம் விழி திறவா நிசம் அறிவாய்; அது வெளி ஆம்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): aruṇācalaramaṇaṉ ari ādi itara jīvaradu aha-vārija guhaiyil aṟivāy rami paramāttumaṉ. parivāl uḷam urugā nala paraṉ ārndiḍu guhai ārndu, aṟivu ām viṙi tiṟavā nijam aṟivāy; adu veḷi ām.

Traduzione: Aruṇācalaramaṇa è paramātman [lo spirito supremo o il sé fondamentale] che gioisce come consapevolezza nella caverna del loto del cuore di [tutti] i differenti jīva [forme di vita] iniziando con Hari [Viṣṇu]. Ottenendo [accesso a] la sublime caverna soffusa dal Supremo, l’occhio che è consapevolezza si aprirà e tu conoscerai ciò che è innato [la tua reale natura, Aruṇācalaramaṇa che qui dimora]; esso sarà rivelato.
In questo verso Bhagavan afferma che la sua reale natura è அறிவு (aṟivu), che significa ‘consapevolezza’, ma in questo contesto அறிவு (aṟivu) non significa சுட்டறிவு (suṭṭaṟivu) o consapevolezza transitiva (cioè, consapevolezza di qualsiasi cosa diversa da sé stesso) ma solo pura consapevolezza, che è intransitiva (cioè, consapevole di niente altro che sé stessa), perché niente altro che la pura consapevolezza esiste, così non c’è niente altro di cui potrebbe essere consapevole.

3. Quando siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, non possiamo essere consapevoli di qualsiasi altra cosa

I tre testi in cui Bhagavan ha espresso i principi fondamentali dei suoi insegnamenti in modo chiaro, coerente e sistematico sono Nāṉ Yār?, Uḷḷadu Nāṟpadu e Upadēśa Undiyār, così se abbiamo qualche dubbio o incertezza riguardo qualche aspetto cruciale dei suoi insegnamenti, possiamo trovare chiarezza e certezza riguardo ad essi considerando attentamente uno o più di questi tre testi. La domanda se possiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente e allo stesso tempo essere consapevoli del mondo e di ogni altra cosa diversa da noi stessi è chiaramente risposta da Bhagavan nel terzo e quarto paragrafo di Nāṉ Yār? (che ho citato e discusso nel dettaglio in Nāṉ Yār? paragrafi 3 e 4: quando risplendiamo come il nostro sé reale, niente altro sembra esistere), e come egli spiega inequivocabilmente in questi due paragrafi l’intero mondo è solo una proiezione mentale, come qualunque mondo che sperimentano in un sogno, così nessun mondo può apparire se la nostra mente non esce fuori da ātma-svarūpa (il nostro sé reale), e quindi quando qualche mondo appare noi non siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, e quando siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, nessun mondo può apparire.

Per illustrare questo, nel terzo paragrafo di Nāṉ Yār? egli usa l’analogia del confondere una corda come un serpente, spiegando che proprio come uno non può percepire la corda come è realmente finché la percepisce come un serpente, non possiamo percepire noi stessi come siamo realmente finché percepiamo qualche mondo, intendendo con questo che ciò che vediamo come tutti i fenomeni che costituiscono questo o qualche altro mondo sono solamente una percezione errata della nostra mente di ciò che siamo realmente. Poiché la nostra mente o ego non è altro che una percezione errata di noi stessi (una consapevolezza di noi stessi come qualcosa diversa da ciò che siamo realmente), non possiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente finché questa mente sembra esistere, e poiché qualsiasi mondo è proiettato e percepito solo da questa mente (o più precisamente dal nostro ego, che è l’elemento percipiente di questa mente e quindi la sua radice e l’essenza), non possiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente finché siamo consapevoli di qualsiasi mondo.

Cioè, noi solo siamo ciò che esiste realmente (come Bhagavan dichiara categoricamente nella prima frase del settimo paragrafo di Nāṉ Yār?: ‘யதார்த்தமா யுள்ளது ஆத்மசொரூப மொன்றே’ (yathārtham-āy uḷḷadu ātma-sorūpam oṉḏṟē), ‘Ciò che esiste realmente è solo ātma-svarūpa [il nostro sé reale]’), così qualunque altra cosa di cui possiamo essere consapevoli non è nient’altro che il nostro sé reale percepito erroneamente da noi come qualcosa diversa da ciò che siamo realmente (che è solo pura auto-consapevolezza), e quindi quando siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, non possiamo essere consapevoli di qualsiasi altra cosa, e quando siamo consapevoli di qualsiasi altra cosa, non possiamo essere consapevoli di noi stessi come siamo realmente. Quindi quando siamo consapevoli di noi stessi come siamo realmente, non possiamo essere consapevoli di qualsiasi mondo ma solo di noi stessi soltanto.

Ciò che egli ha spiegato così inequivocabilmente nel secondo e nel terzo paragrafo di Nāṉ Yār? è anche da lui inteso chiaramente in molti versi di Uḷḷadu Nāṟpadu, in modo particolare nel verso 26, in cui dice, ‘அகந்தை உண்டாயின், அனைத்தும் உண்டாகும்; அகந்தை இன்றேல், இன்று அனைத்தும். அகந்தையே யாவும் ஆம்’ (ahandai uṇḍāyiṉ, aṉaittum uṇḍāhum; ahandai iṉḏṟēl, iṉḏṟu aṉaittum. ahandaiyē yāvum ām), che significa ‘Se l’ego ha origine, ogni cosa ha origine; se l’ego non esiste, ogni cosa non esiste. L’ego solo è ogni cosa’. Da questo possiamo dedurre senza alcun dubbio che secondo Bhagavan qualsiasi cosa diversa da noi stessi può sembrare esistere solo quando siamo consapevoli di noi stessi come questo ego, e che in assenza di questo ego niente altro che noi stessi può sembrare esistere. Quindi quando il nostro ego è distrutto nella chiara luce della pura auto-consapevolezza (ātma-jñāna) nessun mondo o qualche altro fenomeno sembrerà esistere.

Dopo aver letto questi insegnamenti e considerando attentamente il loro chiaro e indiscutibile significato, se qualche devoto di Bhagavan continua ad immaginare che l’ātma-jñāni è consapevole di qualche mondo o qualsiasi altra cosa diversa da ātma-svarūpa, sarebbe come un amante infatuato che cerca di imporre la castità ad una prostituta, come Bhagavan dice con tono di rimprovero nel verso 74 di Guru Vācaka Kōvai.

4. Ciò che percepiamo come questo mondo è ciò che l’ātma-jñāni percepisce come sé stesso, che è solo pura auto-consapevolezza

Perché allora Sadhu Om ha detto nel brano che hai citato da pagina 212 di Il Sentiero di Sri Ramana: ‘Il ritorno della consapevolezza del corpo (e di conseguenza della consapevolezza del mondo) dopo il raggiungimento della realizzazione del Sé è secondo il prarabdha di quel corpo’? Egli ha scritto questo per la stessa ragione per cui Bhagavan spesso ha risposto in questo modo, vale a dire come una concessione a coloro che non erano disposti ad accettare e comprendere i principi fondamentali dei suoi insegnamenti.

Bhagavan non ha mai cercato di spingere le persone a credere a ciò che essi non volevano credere così se non erano disposti ad accettare i suoi insegnamenti centrali come egli li ha espressi in testi come Nāṉ Yār? e Uḷḷadu Nāṟpadu, avrebbe offerto loro una versione diluita dei suoi insegnamenti, sapendo che, progredendo sul sentiero spirituale, presto o tarsi sarebbero stati disposti a comprendere i suoi insegnamenti in modo corretto e non diluito.

Tuttavia, anche offrendo una versione diluita dei suoi insegnamenti, Bhagavan ha incluso molti indizi indicanti che ciò che aveva detto non avrebbe dovuto essere preso nel valore apparente, come Sadhu Om ha anche fatto nel brano che hai citato. Per esempio. Dopo aver detto che la consapevolezza del corpo e del mondo può ritornare secondo il prarabdha del corpo del jñāni, nelle due frasi finali Sadhu Om ha detto: ‘Ma anche in questi casi in cui essa ritorna, non sarà sperimentata come una conoscenza di seconde e terze persone! Vale a dire, il corpo e il mondo non sono sperimentati dal Jnani come seconde e terze persone – oggetti diversi da Sé stesso – ma come il proprio Sé illimitato e indiviso’.

Ciò che egli intendeva dicendo questo è che sebbene nella visione auto-ignorante di un ajñāni il jñāni può sembrare una persona (un corpo e una mente) che è consapevole del mondo ed interagisce con esso, nella chiara visione dello stesso jñāni ciò che è visto è solo pura auto-consapevolezza. Se confondiamo una corda come un serpente e notiamo che anche un’altra persona lo sta guardando, supporremmo naturalmente che ciò che quella persona sta vedendo è un serpente, proprio come noi lo vediamo, mentre di fatto quella persona può riconoscere che ciò che noi vediamo come un serpente è in realtà solo una corda, così ciò che egli sta realmente vedendo non è un serpente ma solo una corda. Nello stesso modo, quando il jñāni sembra percepire il mondo proprio come noi, naturalmente supponiamo che ciò che egli percepisce è lo stesso fenomeno che stiamo percependo noi, mentre di fatto ciò di cui egli è consapevole non è qualche fenomeno ma solo l’unica auto-consapevolezza infinita e indivisibile che egli è realmente, che è la sola realtà e che è quindi la reale sostanza (vastu) che confondiamo come tutte queste miriadi di fenomeni.

5. Uḷḷadu Nāṟpadu Anubandham verso 33: sebbene nella visione auto-ignorante del nostro ego il jñāni sembra una persona che sperimenta un certo prārabdha, non è realmente una persona e quindi non sperimenta alcun prārabdha

Un altro indizio che Sadhu Om fornisce in questo brano sta nel fatto che egli dice che anche dopo il raggiungimento di ātma-jñāna la consapevolezza del corpo e del mondo può ritornare secondo il prarabdha del corpo, perché chiunque abbia sufficiente familiarità con gli insegnamenti di Bhagavan saprà che nel verso 33 di Uḷḷadu Nāṟpadu Anubandham egli dice enfaticamente che per il jñāni non c’è assolutamente prārabdha:
சஞ்சிதவா காமியங்கள் சாராவா ஞானிக்கூழ்
விஞ்சுமெனல் வேற்றார்கேள் விக்குவிளம் — புஞ்சொல்லாம்
பர்த்தாபோய்க் கைம்மையுறாப் பத்தினியெஞ் சாததுபோற்
கர்த்தாபோ மூவினையுங் காண்.

sañcitavā gāmiyaṅgaḷ sārāvā ñāṉikkūṙ
viñcumeṉal vēṯṟārkēḷ vikkuviḷam — buñcollām
parttāpōyk kaimmaiyuṟāp pattiṉiyeñ jādadupōṟ
karttāpō mūviṉaiyuṅ gāṇ
.

பதச்சேதம்: ‘சஞ்சித ஆகாமியங்கள் சாராவாம் ஞானிக்கு; ஊழ் விஞ்சும்’ எனல் வேற்றார் கேள்விக்கு விளம்பும் சொல் ஆம். பர்த்தா போய் கைம்மை உறா பத்தினி எஞ்சாதது போல், கர்த்தா [போய்] போம் மூவினையும். காண்.

Padacchēdam (separazione delle parole): ‘sañcita āgāmiyaṅgaḷ sārāvām ñāṉikku; ūṙ viñcum’ eṉal vēṯṟār kēḷvikku viḷambum sol ām. parttā pōy kaimmai uṟā pattiṉi eñjādadu pōl, karttā [pōy] pōm mūviṉaiyum. kāṇ.

அன்வயம்: ‘ஞானிக்கு சஞ்சித ஆகாமியங்கள் சாராவாம்; ஊழ் விஞ்சும்’ எனல் வேற்றார் கேள்விக்கு விளம்பும் சொல் ஆம். பர்த்தா போய் கைம்மை உறா பத்தினி எஞ்சாதது போல், கர்த்தா [போய்] மூவினையும் போம். காண்.

Anvayam (parole ridisposte in ordine naturale di prosa): ‘ñāṉikku sañcita āgāmiyaṅgaḷ sārāvām; ūṙ viñcum’ eṉal vēṯṟār kēḷvikku viḷambum sol ām. parttā pōy kaimmai uṟā pattiṉi eñjādadu pōl, karttā [pōy] mūviṉaiyum pōm. kāṇ.

Traduzione: Dicendo che saṁcita e āgāmya non si attaccano al jñāni [ma] il prārabdha rimane è una risposta data a domande di altri. Proprio come [qualunque delle] mogli non può che essere vedova quando il marito è morto, sappi che [quando] l’agente [è morto] tutti i tre karma cessano.
Ciò a cui Bhagavan si riferisce qui come ‘வேற்றார்’ (vēṯṟār), che significa ‘altri’, sono coloro che non sono ancora disposti ad accettare e comprendere i principi fondamentali dei suoi insegnamenti e tutto ciò che questi principi implicano, perché se comprendiamo ed accettiamo che la nostra reale natura è solo pura auto-consapevolezza e che ogni cosa diversa da questa è solo una costruzione illusoria (kalpanā) proiettata e percepita dal nostro ego, dovremmo comprendere che quando vediamo noi stessi come siamo realmente e quindi dissolviamo per sempre l’illusione di essere questo ego, l’apparenza illusoria di tutte le altre cose (incluse tutte le forme di azione o karma) si dissolverà insieme con esso, e quindi non dovremmo presupporre che l’ātma-jñāni è consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso e di conseguenza non dovremmo chiedere qualsiasi domanda insensata, basata sul presupposto che il jñāni è ancora una persona con un corpo e una mente.

I tre karma, vale a dire saṁcita (la provvista dei frutti dei propri passati āgāmya karma che non sono stati ancora sperimentati), āgāmya (il karma nuovo che uno compie con il proprio libero arbitrio durante il corso di ciascuna vita) e prārabdha (il fato o destino, che è i frutti dei propri passati āgāmya karma che sono stati destinati ad essere sperimentati nella propria vita attuale), esistono solo per l’ego, che è l’agente di āgāmya e lo sperimentatore di prārabdha, così quando l’ego è distrutto dalla chiara luce di ātma-jñāna, tutti questi tre karma saranno distrutti insieme con esso (come Bhagavan anche ci insegna nel verso 38 di Uḷḷadu Nāṟpadu).

Tuttavia, sebbene per l’ātma-jñāni non c’è prārabdha – perché l’ātma-jñāni non è niente altro che pura auto-consapevolezza (ātma-jñāna) – nella visione di ajñāni il corpo e la mente dell’ego che è stato consumato da ātma-jñāna possono sembrare rimanere vivi, così per questo corpo e mente il prārabdha sembrerà continuare, e questo è ciò a cui Sadhu Om si è riferito come ‘il prarabdha di quel corpo’. Quindi dicendo che la consapevolezza del corpo e del mondo può ritornare secondo il prārabdha di quel corpo, egli stava indicando che il ritorno di tale consapevolezza transitiva (suṭṭaṟivu) non è per il jñāni ma solo per il corpo e la mente che rimangono nella visione di altri.

Poiché il jñāni è privo di ego, che solo è ciò che è consapevole transitivamente (cioè, consapevole di qualsiasi cosa diversa da sé stesso), non ci può essere alcuna consapevolezza transitiva per il jñāni. Questa è la semplice verità che può essere facilmente e chiaramente compresa da chiunque studi attentamente e rifletta sui principi centrali degli insegnamenti di Bhagavan come da lui espressi in testi come Nāṉ Yār?, Uḷḷadu Nāṟpadu e Upadēśa Undiyār (e anche in molti versi di Guru Vācaka Kōvai) con una mente aperta e senza pregiudizi, che non sia infatuata dall’apparenza illusoria dei fenomeni.


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